“Il calore era mitigato dal vento del mare aperto. Il barchino era piccolo ma potente, dipinto a colori vivaci e di legno buono. Il capitano a piedi scalzi, governava come un vecchio lupo di mare assistito da un uomo di plastica, lesto come un gatto nelle operazioni di attracco e nell’eseguire i comandi gutturali che sovrastavano il borbottio del motore.Tutti sotto coperta, o meglio addossati alle panche a ferro di cavallo attorno ai possenti polpacci sembravamo un carico di bistecche abbrustolite mentre iniziavamo un viaggio sospeso tra mitologia e sogno, due ore di beccheggio, due ore di sole ribalzato sulle onde e quindi un piccolo scoglio alla destra sempre più grande, ma poi non così grande. Le Cicladi meridionali sono un pugno di sassolini nella leggenda di Atlandide, sopravvissuti all’onda del futurismo, nel placido silenzio del frastuono delle cicale.Dallo scoglio, un gruppo di casette bianche, un pontile senza acqua, con i pali leggermente storti in una posa innaturale, immersi in una gelatina vitrea sporcata da guizzanti forme scure dirette da melodie arcaiche. L’attracco termina con il cigolio del legno contro legno. C’e’ da caricare una moto, un motociclista o un pastore, entrambi unti come se fossero stati separati nella preparazione del trasporto, ma uniti come un Sagittario nell’orgoglio di sfidare il mare con strumenti montani.Il vocìo concitato cessa per far posto al borbottio del gasolio, e il barchino ora carico e stipato in ogni pertugio, impavido ed orgoglioso, punta prua verso l’ignoto, il nulla, il blu del cielo all’orizzonte: altre tre ore per lo scoglio successivo, in tutto 5 ore di barchino, di rollate, di beccheggio, di spuma, di colori, ripercorrendo le rotte di Ulisse dei fenici, degli egizi forse degli atlantidei.Il nostro scoglio e’ più grande, ha un porto naturale che abbraccia un pugno di piccole barchine variopinte in un mare che permette di distinguere le incrostazioni della carena. Il sole allo zenit, non consente sbavature; la bouganvillea si muove lentamente e sembra lenire il calore delle casupole addossate al molo. Quattro sedie impagliate dinanzi ad una rivela l’unico movimento di civiltà, un imposta che si schiude per favorire la lesta mano a disporre in bella vista un cartello “ice cream”. Il turismo avanza con la velocità della coerenza, dal frigorifero di casa potrebbe spuntare il cornetto alla fragola.Sospesi nel silenzio ci getteremmo in acqua sotto il barchino di cui ora si puo’ distinguere l’elica e il timone, galleggia nel cielo, o forse vola nell’acqua. Quattro olivi segnano la strada verso l’interno: scoppiettando come una caffettiera rauca dal calcare si allontana il Saggittario lasciandosi il fil di fumo della paglia appena accesa a festeggiare il felice approdo. Due ciuchini legati all’ultimo olivo segnalano con le orecchie il disappunto per il frastuono e poi curiosi annusano l’aria nel tentativo di classificare gli strani odori che ha trasportato il novel Caronte.Se sparissi, non sarei mai vissuto, o forse non sarei mai ritrovato: raggiungo la vetta dello scoglio e vengo investito da un vento saltellante e a volte deciso. Da lassu’ si vede tutta la trasparenza che il digradare del sasso nel mare Egeo rivela, ad est la punta dello scoglio precedente, per il resto c’e’ solo Dio e respiro con l’anima uno dei momenti di pace più intensi della vita.”
Post N° 30
“Il calore era mitigato dal vento del mare aperto. Il barchino era piccolo ma potente, dipinto a colori vivaci e di legno buono. Il capitano a piedi scalzi, governava come un vecchio lupo di mare assistito da un uomo di plastica, lesto come un gatto nelle operazioni di attracco e nell’eseguire i comandi gutturali che sovrastavano il borbottio del motore.Tutti sotto coperta, o meglio addossati alle panche a ferro di cavallo attorno ai possenti polpacci sembravamo un carico di bistecche abbrustolite mentre iniziavamo un viaggio sospeso tra mitologia e sogno, due ore di beccheggio, due ore di sole ribalzato sulle onde e quindi un piccolo scoglio alla destra sempre più grande, ma poi non così grande. Le Cicladi meridionali sono un pugno di sassolini nella leggenda di Atlandide, sopravvissuti all’onda del futurismo, nel placido silenzio del frastuono delle cicale.Dallo scoglio, un gruppo di casette bianche, un pontile senza acqua, con i pali leggermente storti in una posa innaturale, immersi in una gelatina vitrea sporcata da guizzanti forme scure dirette da melodie arcaiche. L’attracco termina con il cigolio del legno contro legno. C’e’ da caricare una moto, un motociclista o un pastore, entrambi unti come se fossero stati separati nella preparazione del trasporto, ma uniti come un Sagittario nell’orgoglio di sfidare il mare con strumenti montani.Il vocìo concitato cessa per far posto al borbottio del gasolio, e il barchino ora carico e stipato in ogni pertugio, impavido ed orgoglioso, punta prua verso l’ignoto, il nulla, il blu del cielo all’orizzonte: altre tre ore per lo scoglio successivo, in tutto 5 ore di barchino, di rollate, di beccheggio, di spuma, di colori, ripercorrendo le rotte di Ulisse dei fenici, degli egizi forse degli atlantidei.Il nostro scoglio e’ più grande, ha un porto naturale che abbraccia un pugno di piccole barchine variopinte in un mare che permette di distinguere le incrostazioni della carena. Il sole allo zenit, non consente sbavature; la bouganvillea si muove lentamente e sembra lenire il calore delle casupole addossate al molo. Quattro sedie impagliate dinanzi ad una rivela l’unico movimento di civiltà, un imposta che si schiude per favorire la lesta mano a disporre in bella vista un cartello “ice cream”. Il turismo avanza con la velocità della coerenza, dal frigorifero di casa potrebbe spuntare il cornetto alla fragola.Sospesi nel silenzio ci getteremmo in acqua sotto il barchino di cui ora si puo’ distinguere l’elica e il timone, galleggia nel cielo, o forse vola nell’acqua. Quattro olivi segnano la strada verso l’interno: scoppiettando come una caffettiera rauca dal calcare si allontana il Saggittario lasciandosi il fil di fumo della paglia appena accesa a festeggiare il felice approdo. Due ciuchini legati all’ultimo olivo segnalano con le orecchie il disappunto per il frastuono e poi curiosi annusano l’aria nel tentativo di classificare gli strani odori che ha trasportato il novel Caronte.Se sparissi, non sarei mai vissuto, o forse non sarei mai ritrovato: raggiungo la vetta dello scoglio e vengo investito da un vento saltellante e a volte deciso. Da lassu’ si vede tutta la trasparenza che il digradare del sasso nel mare Egeo rivela, ad est la punta dello scoglio precedente, per il resto c’e’ solo Dio e respiro con l’anima uno dei momenti di pace più intensi della vita.”