Torn & Frayed

XXXIII


 
Trentatreesimo giorno di navigazioneNel mentre che Io mi ero inginocchiato a liberarmi dellemie colpe per il tramite del Pastore il mio equipaggio siera nuovamente sparso intorno al leggero avvallamento.Quando mi rialzai Li vidi, raggruppati o dispersi, con losguardo visibilmente pieno di indecisione e rabbia, malinconia e odio, e non potei fare a meno di accettarela muta preghiera che mi rivolgevano. Così mi ripromisiche ci saremmo sbarazzati di quella zavorra di mortiinsepolti e mezzi vivi al più presto, ma la mia parterazionale e un certo opportunismo mi spinse a considerareche non era ancora il momento giusto. Dovevamoassolutamente scollinare e scendere fino alle navi. Equello sarebbe stato il momento di regolare i conti. Miavvicinai a Fratello Geremia per cercare di prolungare iltepore ricevuto dalla comunicazione con Padre Reynolds,e lo fissai negli occhi cerulei e spenti, quasi sperassi in un segno di comprensione e di incoraggiamento. La mia vocazione era di certo cambiata rispetto alla diffidenzaverso i due religiosi un tempo fratelli e ora antagonisti,e quello che mi premeva adesso era recuperare un ponte diruto che Li potesse rimettere in comunicazionee illuminarmi al tempo stesso sui chiaroscuri di quellavicenda complessa e imbrogliata. Così strinsi la mano ossuta di Fratello Geremia e gli sussurrai nell'orecchioparole di conforto e fede tratte dalla mia lettura dei Vangeli. In maniera stupefacente e imprevista il Fratesocchiuse le palpebre e mi squadrò con attenzione,cercando forse di mettermi a fuoco attraverso ilcaleidoscopio dei propri ricordi sepolti. Lo tenni strettoe insistetti a citargli passi delle Sacre Scritture, dolcementee a bassa voce. "Makom, sei tu?" Vibrò all'improvvisoe mi sfiorò il viso con la mano scambiandomi, di certo,per il selvaggio che si era gettato dalla rupe per evitarela nostra inchiesta serrata all'inizio dell'avventura su quell'isola maledetta. Qualcuno che doveva essere stato il suo assistente più stretto nel custodire l'equipaggio diStringfellow nelle catacombe della Terra. Capì di esserearrivato a un punto decisivo per svelare le trame di quellostrano e sfuggente Frate. "Sì, sono Io, Fratello." Gli mentìcercando di catturare le parole che ora si affollavano frementi, anche se sottili, alle sue labbra. "Distruggi la statuetta, Makom. Io Ti perdono ma Tu distruggi quelfeticcio o altrimenti ne verranno solo disgrazie. Hai commesso un grave peccato di protervia e sensualità ma ti perdono, solo annienta la statuetta." Evidentemente stava delirando, scambiando la sacra rappresentazionedella Vergine per un feticcio pagano. Oppure nella sua mete contorta le due cose si erano talmente fuse da non risultarne più alcuna differenza. Troppo tempo era statoevidentemente in mezzo ai Selvaggi. "Il Feticcio è distrutto,Fratello" Gli biascicai "Non hai più nulla da temere. Il Peccatoè stato portato a compimento ma forse, ancora, non siamocondannati e possiamo sperare nel tocco deciso della manodi Dio". Cercai di confortarlo e trarlo dalla profonda agitazioneche Lo scoteva tutto. Stringfellow si fece alle mie spalle e mormorò senza misericordia :"Quest'Uomo ci ha liberati,comunque. Non dovrei avere pietà per Lui, dal momento checi ha imprigionati per trent'anni nelle viscere della terra,ma, nella sua stupida superstizione ci ha anche posto nellecondizioni di riassaporare l'aria fresca. Per Me può farne quello che vuole." Non Lo sogguardai nemmeno da sopra la spalla tanto ero disgustato improvvisamente dal suo pendermi sulla schiena. Feci aria con il mio copricapo a Fratello Geremia e pregai tutti i felloni che mi ansimavanoaddosso a ritirarsi di qualche metro; che forse stavamo assistendo alla dipartita di un Vecchio che, certo alla sua strana e barbara maniera, era stato un Uomo di Dio.