Torn & Frayed

VI


La Casa di Paglia VIConcluse il suo breve discorso e decise di allontanarsi dall'ufficio pervisionare tutto ciò che sarebbe potuto cambiare nei prossimi giornisotto i suoi occhi. Aveva voglia di riempirsi il cervello con i successidella Casa di Paglia. Salutò Elettra e si avviò per le scale fino ai pianiinferiori. Era tutto un fiorire di laboratori, camerette, attività varie e positività. Da quando si era messo alla barra del posto, da quando era nato dalla sua visionaria esperienza quell'edificio pionieristico, tanta acqua era passata sotto i ponti. Sapeva di avere anche moltinemici: gente che non credeva nella possibilità di autogestirsi deimalati di mente, persone che guardavano con sospetto a quella gabbia di matti trattati con tutto il dignitoso rispetto. Ma lui insisteva,ci credeva, ed era pure riuscito a stabilire buoni rapporti con le ienedell'amministrazione comunale e provinciale. Possibile che tutto questo giungesse a un suo termine tattico? Era veramente nel lorointeresse che il questore aveva intenzione di stiparli nel nuovo centropolifunzionale ultramoderno? Nessuno voleva i profughi e così si era pensato di colpire l'anello debole della catena. Un popolo fragilissimoche non avrebbe potuto opporsi a decisioni radicali sopraggiunte dall'alto.Si decideva per decreto e i matti erano l'obbiettivo più semplice e malleabile. Guerra tra poveri gli passò come una freccia attraverso il cervello, ma lui non avrebbe ceduto tanto facilmente. Entrò nel laboratoriodi ceramica e incontrò lo sguardo di Maria Luisa Guerrieri, un'ex insegnantedi greco che un giorno di due anni prima aveva sclerato e preso a calciun'allieva irridente. In seguito le era stata diagnosticata una forma gravedi bipolarità e si erano aperte per lei le porte della Casa di Paglia. Orastava nettamente migliorando e si era data all'attività manuale ricavandoneindubbi benefici e un umore preziosamente stabile. Poco distante notò,impegnata su un vaso, Dafne Rigotti che per lungo tempo aveva avuto unposto al caldo nel consiglio di amministrazione dell'Autostrada. In seguitouna durissima forma depressiva l'aveva scalzata e fatta passare per il centro di salute mentale da uno psichiatra all'altro, fino all'incontro con Emanuele Radice e il trasloco nell'Edificio in aperta campagna. Pure a lei aveva fatto bene e ora stava in netto miglioramento dentro illaboratorio. Salutò tutti, da Mirko Abate a Stefano Lorandi, da PaolaDe Finis a Benedetta Brini e si soffermò a guardare lo sviluppo della loro attività. Su diverse mensole stavano il frutto del paziente lavoro:anfore panciute, bacili spaziosi, brocche filiformi. Avevano tutte un granmercato e contribuivano all'autofinanziamento della struttura, che si inorgogliva di campare con pochissimi sussidi regionali e provinciali.Maria Luisa affrontò con un po' di paura nelle pupille il medico: "Abbiamo sentito Matteo urlare. è per caso successo qualcosa?"Il dottore la squadrò amaro e raccontò una sua versione della verità:"Stava bivaccando in pianta stabile nel mio ufficio. Era troppo gasato.Cominciava a farmi le veci e questo in una Casa basata sull'eguaglianzanon va per nulla bene. Quando gliel'ho fatto notare ha avuto una crisie abbiamo dovuto usare le maniere forti. Ma adesso le cose dovrebberoessersi sistemate. Penso gli abbiano somministrato una buona dose di haldol." La donna gli si fece più vicina: "Abbiamo sempre paura quandoGiustiniani fiuta il vento e impazzisce. Temiamo sempre qualcosa di grave in arrivo." Radice sospirò, e carezzò i capelli della donna.(Continua)