Torn & Frayed

XIV


La Casa di Paglia XIVAdebanke Adhiambo stava osservando anche lei la sera farsi nottee un profondo malessere si era impadronito della sua figura bella ma distrofica. Regolò il poggiatesta schiacciando un bottone e lasciò colmarsi i polmoni della buona aria della campagna, che tanto le ricordava i giorni terribili ma anche importanti, prima della sua fuga dalla Nigeria al Ghana. Rammentava...caricata con l'ultimo biplano che lasciava la pista del villaggio di Nagaré, trasportata in spalla da un volenteroso e generoso parente, si era salvata per il rotto della cuffia. Non ci sarebbe stato spazio per lei nel dominion che i guerriglieriavevano in mente, Lei, considerata tutt'al più una spastica inutile e irritante sarebbe stata liquidata con un proiettile nel cervello da BokoHaram e abbandonata a fare da pasto alle iene del bush. Invece in quel momento stava sorvolando la terra della sua agonia ed esclusione,provandone, comunque in segreto, un profondo rimpianto. Malgrado non avesse mai avuto una tecnologia a sua disposizione per muoversi,malgrado fosse considerata una disgrazia persino dalla sua famigliae reclusa in una specie di pagliaio in disuso che le forniva un riparo alquanto rozzo ed elementare. La sua malattia era tabù in quelle remote zone agricole: non poteva correre quando era bambina e non poteva aiutare in casa più tardi. La madre si lamentava pubblicamente della disgrazia e la attribuiva a un malocchio che le era stato lanciato contro mentre era ancora incinta. Lei sapeva anche chi era stata a produrre quel disastro: sua cognata, con la quale non aveva mai stabilito un rapporto equilibrato. Prima della nascita di Adebanke si azzuffavanoin cucina, si strappavano i capelli, si minacciavano con attizzatoi. La cognata le aveva promesso disgrazie, e siccome era una nota fattucchierai risultati non si erano fatti attendere. Ed erano comparsi sotto forma di quella bambina che non aveva nessun controllo sui suoi muscoli. Unpeso morto, una maledizione. Fin da piccola era stata emarginata e posta negli angoli bui perché non allargasse la sventura agli altri membri del clan. Poi, raggiunti gli undici anni, era stata messa nel fienile diroccatocon un po' di pane giornaliero e una ciotola d'acqua, qualche pezzo di carne ogni tanto e la possibilità di non essere seccata da nessuno. Una prospettiva interessante per lei che provava in ogni fibra l'inutilità, ma anche una decisione foriera di un'immensa solitudine e tanto simile a un precoce seppellimento. Ogni notte temeva che i suoi fratelli sarebberoarrivati, armati di machete per farla a pezzi e disperderla nel bush. Cosìdormiva con un occhio solo e si trascinava sui gomiti da una parte all'altradel vasto e marcio edificio. Medici non ne aveva mia visti, solo stregoni che nutrivano per lei il più profondo disprezzo e la più fottuta paura. La riempivano di esorcismi e poi se ne andavano dopo essersi fatti pagarein alcolici per il oro disturbo. Il padre, un cristiano di nome Joseph era l'unico a venirla a trovare portandole qualche rara leccornia, poi la tenevafra le braccia fissandola con immenso dolore. Quindi se ne andava lento,scrollando la testa sotto l'ampio cappello. Poi, dopo diversi anni di vita vegetativa la guerra di Boko Haram s'era avvicinato al paesino che s'era deciso di evacuare al più presto possibile. La madre di Adebanke avrebbe voluto lasciare la ragazza a terra, sbarazzarsene finalmente. Ma papà Joseph se l'era caricata in spalle e l'aveva portata di corsa sotto le ali del biplano, imbarcandola e rifocillandola. Vicino allo sguardo critico dei superstiti di Nagaré, l'adolescente aveva fatto un voto e s'era ripromessa che nessuno, mai più, l'avrebbe giudicata dall'alto verso il basso ma, al contrario, avrebbe dovuto scostare le pupille ogni volta che queste avessero incrociato le sue. Ebbene, fu da quel momento che AdebankeAdhiambo divenne quello che divenne. (Continua)