Torn & Frayed

XVI


 
La Casa di Paglia XVIAdebanke ora sorrideva dell'ottimismo del dottor Griffith. Era sera e stavaguardando fuori dalla finestra del grande camerone centrale in cui eranostati posizionati tutti i disabili africani. Aveva vissuto sulla sua pelle l'ostileaccoglienza in quel Paese e tutti erano dovuti passare fra due ali di folla che vomitava insulti e rabbia. Eppure, secondo i piani, tutto sarebbe dovuto andare liscio come l'olio. Avevano, passaporti, permessi, timbri, non erano invasori o clandestini ma semplici malati che volevano usufruire delle strutture e delle attrezzature all'avanguardia in Italia.Non intendevano restare oltre il tempo che era stato assegnato esperavano di stabilire con la popolazione locale il grado massimo di collaborazione ed empatia. Questo non era successo. Erano stati accolti a sassate e sputi e con inviti perentori e selvaggi a tornare al proprio Paese. Ma, almeno lei, non aveva più una patria. Era fuggita dalla Nigeria per non essere liquidata e aveva avuto la fortuna di trovare nel Ghana una seconda Nazione. Ma qui, in Italia, si sentiva prigioniera di una gabbia e fissava nervosamente la pattuglia di agentiantisommossa che percorreva avanti e indietro il viottolo innanzi alla struttura delle religiose. Com'era potuto succedere tutto questo? Qualche suora le aveva accennato che la loro prossima destinazione sarebbe stataun'ex Casa di matti, poco distante nella campagna. "Ma non li caccerannomica per il nostro arrivo?" Aveva chiesto apprensiva. "Oh no, assolutamente"Le era stato assicurato. V'era già un'enorme struttura polifunzionale destinata a fare da residenza per gli psicopatici, un gigantesco edificioadibito all'accoglienza e alla riabilitazione. Semmai loro, i disabili di coloreavrebbero forse trovato difficoltà a impiantarsi nell'edificio campagnolo in cui mancavano parecchie attività di prima accoglienza. Adebanke si stavapassando una mano sui corti capelli crespi ed era preoccupata. Forse v'era stata un'incomprensione maggiore prima della partenza. Tutti i malati africani erano certi di approdare direttamente in un centro all'avanguardiacome quello, a Kumasi, che avevano appena lasciato. Invece stavano per venire parcheggiati in un casolare di periferia senza facilitazioni di sorta. Era perplessa. E in quanto rappresentante degli altri disagiati alquanto confusa. Non voleva alzare la voce, non era suo diritto e nemmeno suo carattere, ma iniziava a chiedersi se non fosse il caso di chiedere delucidazioni più dettagliate e chiare sul futuro prossimoe comprendere se la loro presenza non fosse eccessiva in quei frangenti. Da notizie di seconda mano si era resa conto che l'Italia era sottoposta a ondate massicce di flusso migratorio dal continente africano e che la xenofobia cresceva esponenzialmente negli animi e nei voti elettorali deicittadini locali. Sospirò. Si sentiva stritolata fra l'esasperazione della gente bianca comune e la necessità di difendere i diritti dei suoi compagni.Non voleva stare fra l'incudine e il martello, ma esitava ad avanzare pretese.Lei, come gli altri, erano solo ospiti e non era nelle loro corde gridare al razzismo e all'intolleranza. Solo una cosa le era ben evidente: qualcunoaveva sbagliato e li aveva mandato tra le fauci del leone con lampante ignoranza.(Continua)