Torn & Frayed

XXIV


La Casa di Paglia XXIVEmiliano Maccani lasciò Involsi fuori dalla porta di casa dopo chequesti l'aveva accompagnato per un breve tratto proteggendolodall'acqua che scendeva dal cielo. Si salutarono senza enfasi e un peso fastidioso sul cuore. Il questore aprì il portone dell'edificio e si infilò dentro cominciando a risalire la scalinata imperiale che lo avrebbe condotto al suo grande loft. Da quando Elisabetta lo aveva lasciato l'enorme sala appariva ancor più desolata e deserta, come una spiaggia senza palme o una riva senza mare. Gettò il cappottosull'attaccapanni e si versò due dita di bourbon per ritrovare un pocodi calore. Con suo stupore, mentre si sedeva sul divano con il bicchieretra le dita, si ritrovò a pensare ad Adebanke Adhiambo e al suo viso dolce e schivo intrappolato fra le smorfie di Matteo Giustiniani, la pelle rugosa di Emanuele Radice e la sua stessa faccia da ragazzino perfettamente sbarbato e pulito. Pensò che forse solo lei era liberadai doppi giochi, dalle ambizioni non rivelate, dai tiri sporchi e daglisgambetti che la società occidentale metteva pesantemente in campo.Solo lei manteneva una purezza e una dignità incomparabili, un teporeconfortante e una serenità che tutti gli italiani coinvolti in quella faccendasi erano lasciati sfuggire. Lui stesso per primo. Vuotò il bicchiere e lo riempì nuovamente. Guardò sul tavolo l'opale che Elisabetta gli aveva restituito prima di andarsene, e pensò quanto sarebbe stato carino al collo di quella ragazza discreta e vagamente intimidita. Ci pensòe poi si attaccò alla bottiglia con lo stesso trasporto che si prova perun giubbotto di salvataggio. Non era un grande bevitore, ma quella notte la solitudine stava compiendo la sua ellissi. Adebanke, giunta alconvento, non riusciva a prendere sonno. Fissava il soffitto e vedevadei funghi dalla forma strana spuntare dall'alto e cangiare continuamentecolore sotto la luce dei lampioni che filtrava attraverso le tapparelle.Alcuni prendevano la forma di mongolfiere, altri di piccoli vermi striscianti,altri ancora assumevano volti umani deformati ma non cattivi, come quegli uomini che aveva lasciato poco prima; così apparentementedeterminati e forti ma nella realtà indecisi e confusi. Lei non riuscivaa comprendere come si fosse finiti in quella situazione e rimpiangeva Kumasi e le sue strutture all'avanguardia, Kumasi e il suo calore umano,Kumasi e l'allegria che vi regnava malgrado la sofferenza. Ora lei e gli altri degenti erano prigionieri in una struttura minuscola, ostaggi dei giochi di potere fra persone sfuggenti che non riusciva pienamente ad inquadrare. E lei avrebbe tanto voluto tornare nel suo amato continentee riprendere la vita di sempre, anche se era poco quella che gli restava.Guardò sfrecciare sulla parete i fari delle automobili e pensò al questore:quel signor Maccani esile e magrissimo, con una gran massa di capellibiondo-scuri, occhiali sottili e gambe lievemente arcuate. Istintivamenteprovò un moto di simpatia. Non che odiasse il dottor Radice e l'altro giovane pazzo, Matteo Giustiniani, ma le pareva che la battaglia di Maccani assomigliasse tanto a quella contro dei mulini a vento.Gli appariva tanto solo e provava istintivo affetto per l'impegno che profondeva nella ricerca di una sistemazione per loro. Al tempo stesso,però, subiva anche sofferenza degli uomini e delle donne della Casa di Paglia. Pur nella diversità erano soggetti come loro, che sarebberostati scacciati da un edificio nel quale avevano piantato profonde radici.Un dolore profondo le si insinuò nello stomaco, si girò nel letto per quanto glielo concedesse la malattia, poi fu preda di un sonno leggero.(Continua)