Torn & Frayed

# 12


 
Double DutchMi ero messo lì come tutte le mattine a farela mia parte di lavoro. Scrittore, si diceva. E come tale buttavo giù porzioni a volte ispirate,altre noiose e che non avrebbero mai vistola luce su una pubblicazione decente. Stavo sorbendo il mio té quando Lui si decise aentrare e a sedersi senza tante cerimonie accanto alla mia scrivania. Portava un lurido cappellino da baseball, pantaloni corti di jeans strappati in più punti, piedi nudi, maglietta talmente usurata da essere ormai lisa. E capelli lunghi e unti, di un colore fra il rugginoso e il verde brillante. Era, efficacemente, la visuale permanente dell'ex narratore di successo, alternativo ed eccessivo, qualcuno che aveva scritto pezzi e romanzi molto ispirati, a metà fra lo steampunk e i neoclassici, in bilico fra Gibson e Dumas padre; insomma un dono per le cronache di qualche tempo prima: anche grazie ai 4 matrimoni e al ricovero in 2 cliniche per la disintossicazione da speedball. Lo fissavo mentre giocherellava con una confezione dibiscottini tedeschi e parlottava a bassa voce,discutendo con sé stesso sul tempo e sulle royalties bruciate troppo in fretta. Non avevoil coraggio di affrontarlo; i peli mi si eranodrizzati sulla schiena e le mani si erano toltedal PC per cadere senza forza lungo i fianchi.Alla fine si era deciso a uscire dalle sue stanzedove trascorreva il tempo in una clausura acida,ma mai avrei creduto che avrebbe trovato il coraggio e la sfacciataggine di venirmi a tampinaredurante le mie sedute di lavoro. Mai avrei pensatoche lo avrebbe fatto in modo squinternato, straccionee impertinente, come stava facendo. Le ciglia incollate alle palpebre per il poco sonno, le unghie nere e le labbra sottolineate da una strisciolina rosso carminio, quasi avesse sbagliato rossetto prima di uscire per la ricreazione. Io, dal mio canto, non riuscivo a vergare neppure una riga sotto quello sguardo vacuo e inopportuno e dietro quel blaterare sordo e continuo, praticamente indecifrabile. Restai qualche minuto immobile e imbarazzato, finchémi decisi a borbottare qualcosa in risposta mentreallungavo la mano per prendere il suo gomito, e cercavo di sollevarlo per allontanarlo dalla mia stanza.Lo pregai sommessamente di lasciarmi in pace, diandare una volta per tutte e riprendersi in mano lasua vita. Di cercare di mettere insieme i pezzi dellasua ormai baraccata esistenza. Ma Lui nemmeno si degnava di farmi un cenno con il capo, continuavaspento a giocherellare con l'accendino per la miaerba. Alla fine mi arrabbiai di brutto e cominciaiad alzare la voce riempiendolo di contumelie. Fui talmente brutale da far accorrere mia moglie, che fece irruzione nel locale con gli occhi strabuzzati.Le urlai di darmi una mano a buttare fuori quelcialtrone seduto alla mia scrivania. "Chi?" Rispose Lei preoccupata. Fu allora che mi accorsi del tragico silenzio che si stava posando su tutto. Ero solo, ero sempre stato solo. Mi passai la mano fra i capelli a metà fra il rugginoso e il verde brillante, lisciai i luridi jeans con i buchi e mi passai la mano sulle labbra per togliere la strana linea carminio. Zoppicando mi sollevai e, passato fianco a mia moglie,mi trascinai in veranda a pigliare un poco d'aria.fine