Torn & Frayedsottomarini di superficie |
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
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Post n°102 pubblicato il 11 Febbraio 2017 da call.me.Ishmael
La Casa di Paglia XIX Il giorno successivo non era diverso da quello precedente: nebbia, bruma, pioggia e cattivi presagi s'avviticchiavano nell'aria. Adebanke aveva ricevuto la telefonata di Involsi e ora attendeva serena, anche se lievemente perplessa, l'arrivo di Radice e Giustiniani. Il questore e il suo vice tormentavano i bordi dei loro documenti restando seduti a una certa distanza l'uno dall'altro. La ragazza, accompagnata da una suora, Sorella Ludovica, maneggiava la sua carrozzella per cercare la posizione giusta e non far uscire dalla gola un rantolo fastidioso. Alle 8.45 si sentì un trambusto nell'anticamera e delle voci confuse si levarono, sfociando in una discussione piuttosto vivace. Maccani si levò e spalancò la porta. Vide la sua segretaria: Marisa De Caro con in mano un piccolo martello medicinale, di quelli per misurare i riflessi. "Il giovanotto" Fece la donna "Aveva in tasca uno di questi. Ne spuntava fuori addirittura il manico. Allora mi è sembrato giusto sequestrarglielo. non si entra con oggetti contundenti nell'ufficio del questore." Maccani era attonito: "Beh, che significa questa pagliacciata? Da quando in qua si gira con martelli per le strade del centro? Radice, mi stupisco di lei." Lo psichiatra parve difendersi e affermò di non saperne nulla, poi però, fece subito un passo indietro dopo avere fissato Matteo. "Penso servisse solo per una dimostrazione. Doveva essere parte di una specie di spettacolo o pantomima. Qualcosa con un forte valore simbolico. Andiamo, Maccani, può intuire benissimo che quel martelletto non scalfirebbe nemmeno un bambino di tre anni. Giustiniani quando esprime dei concetti elaborati ha bisogno di avere dei manufatti con cui accompagnare le sue dimostrazioni. Per lui è decisivo." "Ma non per noi." Replicò il questore a muso duro. "Lasci quell'aggeggio a Marisa ed entrate. Spero di non essere costretto a perquisirvi!" I due personaggi fecero una smorfia quasi contemporanea e abbandonarono il martelletto facendo ingresso bell'ufficio. Salutarono senza stringere nessuna mano e si sedettero sulle sedie additate loro da Involsi. Vi fu qualche colpo di tosse, sguardi che vagolavano per l'aria, aggiustatine ai polsini e qualche restrizione alla cravatta. Poi fu tutto sul punto di cominciare. "Inutile fare presentazioni. Vi conoscete tutti. Solo Adebanke Adhiambo è estranea ma imparerete a conoscerla. Qualcuno ha voglia di cominciare?" Vi fu un ulteriore momento di stasi finché Matteo Giustiniani estrasse dei pezzi di lego dalla tasca destra della giacca (quella che non conteneva il martello) e li dispose con cura sul pavimento. "Provi adesso la signorina a costruire qualcosa con questi oggetti. Noi, alla Casa di Paglia, lo abbiamo fatto." Il volto di Maccani divenne di tutti i colori ma con una permanente sfumatura di viola. Parve a tutti sul punto esplodere appena cominciato l'incontro al vertice. Si avvicinò quasi scivolando sul pavimento e con un calcio poderoso mandò all'aria il lego del Giustiniani, facendone sbattere qualche componente persino addosso alla finestra ermeticamente chiusa. Matteo lo aveva seguito con sguardo curioso, ma quando vide il lego massacrato, calpestato e lanciato nell'aria, urlò così forte da fare accorrere Marisa Di Caro mentre Radice gli tappava la bocca con un placcaggio da protagonista. Il grido spaventoso si smorzò in pochi secondi. Matteo, liberato dalla mano dello psichiatra, prese a sorridere non senza sforzo. "Perché ha fatto questo?" Maccani aveva il viso cianotico e la sincope non gli era troppo lontana: "Perché Tu hai fatto questo?" "Quello che abbiamo ce lo siamo guadagnati col sudore della fronte. è giusto che anche la signorina ci dimostri quanto vale. Facile occupare luoghi, più difficile donargli un carattere. Quella Casa è un corpo e noi siamo le sue vene. Se qualcuno vuole spezzarci e spazzarci via con tanto di scopa di saggina deve avere il coraggio di farsi avanti e di non nascondersi dietro le Istituzioni." (Continua) |
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