La spiritualità di Teilhard nel ricordo del Card. MartiniIl Caardinale Carlo Maria Martini ci ha lasciati non senza averci trasmessa, attraverso la sua testimonianza di uomo e di sacerdote, la spinta per costruire una Chiesa nuova che fosse vicina all’Uomo per accompagnarlo verso l’unione finale con i Cristo redentore ed evolutore.Moltissime riflessioni e pensieri del Cardinale, sono intrise di quella passione per l’Uomo che è stata il leit-motiv della vita di Teilhard de Chardin.Da quel che noi sappiamo il Cardinale aveva tra i suoi libri di riflessione alcuni testi del Padre Gesuita: Il Fenomeno Umano, l’Ambiente Divino e da ultino L’Orizzonte dell’Uomo.Quelle note che vi presentiamo qui, oggi, erano statepubblicate dal quotidiano Avvenire ed era state da noi riproposte alcuni anni fa su questo blog. Ve le riproponiamo oggi per dimostrarvi come lo spirito del Cardinale era impermeato della visione stupenda di Padre Teilhard IDEESpia di un intrinseco "finalismo",l’evoluzione del cosmo passa dalla materia fino allo spirito:una riflessione del Cardinale Martini. L’universo? È armonico «Gli astronomi e i fisici parlano da tempo di "multiverso",ed è un concetto che interroga la fede».Un itinerario che parte da San Paolo e attraverso Pascal arriva a Teilhard de Chardin.CARD. CARLO MARIA MARTINI("Avvenire", 15/12/’07)Che cosa può significare l’"universalismo" nel rapporto fra religioni e culture? Per rispondere a questa domanda, personalmente mi sarei piuttosto ispirato prima alla scienza, poi alle Scritture. Sarei partito cioè dalla definizione fisica di universo, così come viene data dagli astronomi e dai fisici.Essi parlano anzi oggi di «multiverso» intendendo così che non riusciamo a cogliere i limiti delle realtà nelle quali siamo immersi e che forse esistono altre realtà analoghe con le quali, almeno per il momento, non comunichiamo. Ciò ha a che fare anche con il desiderio che sentiamo di totalità e insieme con l’impossibilità pratica di raggiungerla. Anche se rimane vera la frase di Pascal: «Tous les corps, les firmaments, les étoiles, la terre et ses royaumes, ne valent pas le moindre des esprits: car il connait tout cela, et soi», rimane parimenti vero che tutto in questo universo nostro è costruito a partire dalla materia, che è quindi la prima «universalità», pur se debole, che noi tocchiamo senza riuscire a misurarla a fondo.Questo universo è in continua evoluzione, almeno l’universo che noi conosciamo. Un’evoluzione che passa per tutti i gradi dell’essere e arriva dalla materia fino al pensiero e all’amore. E qui citerei ancora le parole di Pascal, che con grande coraggio supera l’incantesimo prodotto dalla quantità illimitata di materia per giungere a dire che un atto di bontà, un sorriso, un atto d’amore, valgono immensamente più di tutte le misure possibili e immaginabili: «De tous les corps et esprits, on n’en saurait tirer un mouvement de vraie charité: cela est impossibile, et d’un autre ordre».Il punto finale a cui tende questa evoluzione potrebbe essere espresso con le parole misteriose di San Paolo: «Quando tutto gli (al Figlio) sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (l Cor 15, 28).È in questo «tutto in tutti» che vedo concretamente indicato l’universo, che rappresenta perciò chiaramente non un dato già costruito ma un punto di arrivo.Ciò è espresso anche nella "Lettera agli Efesini", quando essa nomina «la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (1, 23), «che ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire ogni cosa» (4, l0). C’è dunque una universalità che è il termine di tutto il cammino umano. Non si tratta però di una universalità debole, per "entropia", cioè di qualcosa di amorfo e di gelatinoso; ma di una universalità forte, nella quale le singole individualità personali sono riunite in unica e perfetta armonia.E qui non potrei non ricordare le pagine mirabili scritte da Teilhard de Chardin a questo proposito.Per esempio, là dove parla di quella tensione gradualmente accumulatasi tra l’umanità e Dio che toccherà un giorno i limiti prescritti dalle possibilità di questo mondo. E allora sarà la fine. Nell’azione finalmente liberata delle vere affinità degli esseri, gli "atomi spirituali" del mondo saranno portati al loro pieno sviluppo e collegati da una forza generatrice, dal potere di coesione proprio dell’universo e occuperanno il posto designato per loro nella struttura vivente del "Pleroma" ("Le milieu divin").Si potrebbero citare molte altre pagine dello stesso autore, in particolare dell’"Inno dell’universo", dove egli esalta questa pienezza totale che non è cancellazione delle singole individualità, ma affermazione piena della individualità di ciascuno in una perfetta armonia.Guardando le cose da questo punto di vista, si vede allora come non sono da promuovere le singole individualità semplicemente in quanto opposte le une alle altre, ma in quanto esiste in loro una forza di convergenza che permette di superare il loro stato presente di chiusura e aprirsi sempre più a quella pienezza cui sono chiamate. In questo senso occorrerebbe considerare le diversità culturali e anche le opposizioni delle diverse religioni. Non si tratta di esasperarle e neppure di banalizzarle o "omologarle" o ridurle a un minimo denominatore, ma di far emergere quegli elementi a partire dai quali esse possono raggiungere una sempre maggiore convergenza, anche attraverso le necessarie purificazioni. Riflessione Una "Meditazione" del "Cardinale" Martini sulle ragioni del "credere",quando si sperimenta, come Gesù, il "Getsèmani" e poi la "Resurrezione". Card. Martini: così la "fede" rinasce nella "notte" «Triste fino alla morte!»: come vincere il "peso" che incombe,quando vediamo le "ingiustizie" del mondo, della storia,e le "sofferenze" che colpiscono anche la "Chiesa"?Ma l’"oscurità" è la strada che porta alla "luce",anche per "Santi" come Giovanni della Croce e Madre Teresa.CARD. CARLO MARIA MARTINI("Avvenire", 5/11/’10)Queste parole mi fanno sempre molta impressione, perché non mi è mai capitato di dire: «La mia anima è triste fino alla morte!»; ci sono stati momenti di tristezza, ma proprio di essere schiacciato, di essere stritolato non mi è mai successo. Penso quindi che a Gesù sia accaduto qualcosa di terribile. Che cosa sarà stato? Probabilmente la previsione imminente della Passione; forse Gesù non sapeva tutti i particolari, ma sapeva che gli uomini ce l’avevano con lui, volevano eliminarlo nella maniera più crudele possibile.Sapeva di essere in mano a uomini cattivi: questo è già un motivo di paura e di angoscia.Ma poi probabilmente sentiva su di sé tutta l’ingiustizia del mondo e questo è qualcosa che non si può sopportare; l’ingiustizia del mondo che si esprime nelle guerre, nelle carestie, nelle oppressioni, nelle forme di schiavitù, che è immensa e percorre tutta la storia. E quando noi ci fermiamo a considerare questa ingiustizia, siamo come senza fiato, siamo schiacciati.Però Gesù ha voluto essere quasi schiacciato da queste cose per poterle prendere su di sé. Quindi dobbiamo dire che da una parte le ingiustizie del mondo, della storia, della storia della Chiesa ci fanno soffrire, ma che insieme siamo certi che Gesù le ha accolte in sé, e quindi le ha riscattate. Non sappiamo come, ma questa è una certezza che ci deve accompagnare, e ci deve accompagnare in tutte le notti della sofferenza, del dolore, quando uno si trova di fronte a una notizia che lo riguarda e che è infausta. Per esempio un tumore, pochi mesi di vita.Allora succede come una sorta di ribellione, di non accettazione.C’è una lotta interiore. "Notte" della sofferenza, notte della fede in cui non si sente più la presenza di Dio. Questo è molto duro, soprattutto quando si è impegnati.Notte della fede per cui sono passati San Giovanni della Croce e, recentemente, Madre Teresa di Calcutta, la quale diceva che fino a verso i cinquant’anni le pareva che Dio le fosse vicino, poi più niente.Avendola conosciuta, vedevo questo suo rigore, questa sua fedeltà, questa sua tensione, ma non immaginavo che dietro ci fosse il buio completo sull’esistenza di Dio, del Dio "rimuneratore".Anche Santa Teresa di Gesù Bambino è passata per questa notte. Possiamo dire che tutte queste notti sono riassunte nella Notte del "Getsèmani" e in essa Gesù riceve tutte le nostre ingiustizie e le fa sue, le accoglie per poterle offrire e purificarle. Questa è una prima immagine che vi lascio.Una seconda immagine è quella della Tomba. Che cosa sia avvenuto il giorno di Pasqua, noi non lo sappiamo. La Liturgia Romana dice: «Beata notte, che non hai saputo il giorno e l’ora!»; e noi non sappiamo niente, nessuno è stato presente, nessuno ce l’ha raccontato; però possiamo immaginarne le conseguenze. Lo descriverei così: un grande scoppio di luce, di pace e di gioia nella Notte della Tomba. Scoppio di luce, di pace e di gioia che è potenza dello Spirito, che prende prima di tutto il Corpo di Gesù e lo vivifica, lo rende capace di essere intercessione per il mondo. Ma poi continua in ciascuno dei viventi suscitando in lui le disposizioni di Gesù. Mi pare quindi che sia troppo riduttivo dire: lo Spirito Santo è il segno dell’amore di Dio per me. Lo Spirito Santo è segno delle scelte di Gesù fatte mie. È quella forza, quel dinamismo, quella capacità di amare il povero, di amare il sofferente, di amare colui che si trova in situazione di ingiustizia perché così lo Spirito compie la sua opera. E noi possiamo dire che quest’opera si compie sempre quando Gesù dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!» ("Mt 28,26"). Vuol dire la sua presenza anche con il suo Spirito, con la sua capacità di vedere le cose, di reagire alle cose, di giudicare le cose.Certo, occorre per questo un grande spirito di fede, perché molta gente dirà: «Io non vedo niente, io vedo le cose andare di male in peggio!». Occorre l’occhio della fede per leggere negli eventi miei e intorno a me questa presenza dello Spirito Santo che costruisce il mondo nuovo, la Gerusalemme Celeste, che non è una Città nel Cielo separata da qui, ma una Città che viene dal Cielo, cioè dalla forza di Dio e trasforma tutti i rapporti di questa terra.Nessuno meglio di Teilhard de Chardin ha descritto questa Gerusalemme Celeste in cui vedeva appunto il termine finale, il punto "Omega" della Redenzione nel Cristo, dove tutta l’umanità era riunita e salvata, una e trasparente gli uni agli altri, e tutti noi verso Dio. Occorre tenere presente questo fine della storia, perché altrimenti siamo banalizzati dalle vicende quotidiane, oppure siamo sofferenti quando ci sono grandi calamità e non abbiamo nessuna chiave per interpretarle. E questa che vi ho detto non è una chiave logica, è una chiave Mistica Spirituale data dallo Spirito Santo: cercare di vedere in tutto l’azione dello Spirito che opera incessantemente!
Il Cardinale C.M.Martini e Teilhard
La spiritualità di Teilhard nel ricordo del Card. MartiniIl Caardinale Carlo Maria Martini ci ha lasciati non senza averci trasmessa, attraverso la sua testimonianza di uomo e di sacerdote, la spinta per costruire una Chiesa nuova che fosse vicina all’Uomo per accompagnarlo verso l’unione finale con i Cristo redentore ed evolutore.Moltissime riflessioni e pensieri del Cardinale, sono intrise di quella passione per l’Uomo che è stata il leit-motiv della vita di Teilhard de Chardin.Da quel che noi sappiamo il Cardinale aveva tra i suoi libri di riflessione alcuni testi del Padre Gesuita: Il Fenomeno Umano, l’Ambiente Divino e da ultino L’Orizzonte dell’Uomo.Quelle note che vi presentiamo qui, oggi, erano statepubblicate dal quotidiano Avvenire ed era state da noi riproposte alcuni anni fa su questo blog. Ve le riproponiamo oggi per dimostrarvi come lo spirito del Cardinale era impermeato della visione stupenda di Padre Teilhard IDEESpia di un intrinseco "finalismo",l’evoluzione del cosmo passa dalla materia fino allo spirito:una riflessione del Cardinale Martini. L’universo? È armonico «Gli astronomi e i fisici parlano da tempo di "multiverso",ed è un concetto che interroga la fede».Un itinerario che parte da San Paolo e attraverso Pascal arriva a Teilhard de Chardin.CARD. CARLO MARIA MARTINI("Avvenire", 15/12/’07)Che cosa può significare l’"universalismo" nel rapporto fra religioni e culture? Per rispondere a questa domanda, personalmente mi sarei piuttosto ispirato prima alla scienza, poi alle Scritture. Sarei partito cioè dalla definizione fisica di universo, così come viene data dagli astronomi e dai fisici.Essi parlano anzi oggi di «multiverso» intendendo così che non riusciamo a cogliere i limiti delle realtà nelle quali siamo immersi e che forse esistono altre realtà analoghe con le quali, almeno per il momento, non comunichiamo. Ciò ha a che fare anche con il desiderio che sentiamo di totalità e insieme con l’impossibilità pratica di raggiungerla. Anche se rimane vera la frase di Pascal: «Tous les corps, les firmaments, les étoiles, la terre et ses royaumes, ne valent pas le moindre des esprits: car il connait tout cela, et soi», rimane parimenti vero che tutto in questo universo nostro è costruito a partire dalla materia, che è quindi la prima «universalità», pur se debole, che noi tocchiamo senza riuscire a misurarla a fondo.Questo universo è in continua evoluzione, almeno l’universo che noi conosciamo. Un’evoluzione che passa per tutti i gradi dell’essere e arriva dalla materia fino al pensiero e all’amore. E qui citerei ancora le parole di Pascal, che con grande coraggio supera l’incantesimo prodotto dalla quantità illimitata di materia per giungere a dire che un atto di bontà, un sorriso, un atto d’amore, valgono immensamente più di tutte le misure possibili e immaginabili: «De tous les corps et esprits, on n’en saurait tirer un mouvement de vraie charité: cela est impossibile, et d’un autre ordre».Il punto finale a cui tende questa evoluzione potrebbe essere espresso con le parole misteriose di San Paolo: «Quando tutto gli (al Figlio) sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (l Cor 15, 28).È in questo «tutto in tutti» che vedo concretamente indicato l’universo, che rappresenta perciò chiaramente non un dato già costruito ma un punto di arrivo.Ciò è espresso anche nella "Lettera agli Efesini", quando essa nomina «la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose» (1, 23), «che ascese al di sopra di tutti i cieli per riempire ogni cosa» (4, l0). C’è dunque una universalità che è il termine di tutto il cammino umano. Non si tratta però di una universalità debole, per "entropia", cioè di qualcosa di amorfo e di gelatinoso; ma di una universalità forte, nella quale le singole individualità personali sono riunite in unica e perfetta armonia.E qui non potrei non ricordare le pagine mirabili scritte da Teilhard de Chardin a questo proposito.Per esempio, là dove parla di quella tensione gradualmente accumulatasi tra l’umanità e Dio che toccherà un giorno i limiti prescritti dalle possibilità di questo mondo. E allora sarà la fine. Nell’azione finalmente liberata delle vere affinità degli esseri, gli "atomi spirituali" del mondo saranno portati al loro pieno sviluppo e collegati da una forza generatrice, dal potere di coesione proprio dell’universo e occuperanno il posto designato per loro nella struttura vivente del "Pleroma" ("Le milieu divin").Si potrebbero citare molte altre pagine dello stesso autore, in particolare dell’"Inno dell’universo", dove egli esalta questa pienezza totale che non è cancellazione delle singole individualità, ma affermazione piena della individualità di ciascuno in una perfetta armonia.Guardando le cose da questo punto di vista, si vede allora come non sono da promuovere le singole individualità semplicemente in quanto opposte le une alle altre, ma in quanto esiste in loro una forza di convergenza che permette di superare il loro stato presente di chiusura e aprirsi sempre più a quella pienezza cui sono chiamate. In questo senso occorrerebbe considerare le diversità culturali e anche le opposizioni delle diverse religioni. Non si tratta di esasperarle e neppure di banalizzarle o "omologarle" o ridurle a un minimo denominatore, ma di far emergere quegli elementi a partire dai quali esse possono raggiungere una sempre maggiore convergenza, anche attraverso le necessarie purificazioni. Riflessione Una "Meditazione" del "Cardinale" Martini sulle ragioni del "credere",quando si sperimenta, come Gesù, il "Getsèmani" e poi la "Resurrezione". Card. Martini: così la "fede" rinasce nella "notte" «Triste fino alla morte!»: come vincere il "peso" che incombe,quando vediamo le "ingiustizie" del mondo, della storia,e le "sofferenze" che colpiscono anche la "Chiesa"?Ma l’"oscurità" è la strada che porta alla "luce",anche per "Santi" come Giovanni della Croce e Madre Teresa.CARD. CARLO MARIA MARTINI("Avvenire", 5/11/’10)Queste parole mi fanno sempre molta impressione, perché non mi è mai capitato di dire: «La mia anima è triste fino alla morte!»; ci sono stati momenti di tristezza, ma proprio di essere schiacciato, di essere stritolato non mi è mai successo. Penso quindi che a Gesù sia accaduto qualcosa di terribile. Che cosa sarà stato? Probabilmente la previsione imminente della Passione; forse Gesù non sapeva tutti i particolari, ma sapeva che gli uomini ce l’avevano con lui, volevano eliminarlo nella maniera più crudele possibile.Sapeva di essere in mano a uomini cattivi: questo è già un motivo di paura e di angoscia.Ma poi probabilmente sentiva su di sé tutta l’ingiustizia del mondo e questo è qualcosa che non si può sopportare; l’ingiustizia del mondo che si esprime nelle guerre, nelle carestie, nelle oppressioni, nelle forme di schiavitù, che è immensa e percorre tutta la storia. E quando noi ci fermiamo a considerare questa ingiustizia, siamo come senza fiato, siamo schiacciati.Però Gesù ha voluto essere quasi schiacciato da queste cose per poterle prendere su di sé. Quindi dobbiamo dire che da una parte le ingiustizie del mondo, della storia, della storia della Chiesa ci fanno soffrire, ma che insieme siamo certi che Gesù le ha accolte in sé, e quindi le ha riscattate. Non sappiamo come, ma questa è una certezza che ci deve accompagnare, e ci deve accompagnare in tutte le notti della sofferenza, del dolore, quando uno si trova di fronte a una notizia che lo riguarda e che è infausta. Per esempio un tumore, pochi mesi di vita.Allora succede come una sorta di ribellione, di non accettazione.C’è una lotta interiore. "Notte" della sofferenza, notte della fede in cui non si sente più la presenza di Dio. Questo è molto duro, soprattutto quando si è impegnati.Notte della fede per cui sono passati San Giovanni della Croce e, recentemente, Madre Teresa di Calcutta, la quale diceva che fino a verso i cinquant’anni le pareva che Dio le fosse vicino, poi più niente.Avendola conosciuta, vedevo questo suo rigore, questa sua fedeltà, questa sua tensione, ma non immaginavo che dietro ci fosse il buio completo sull’esistenza di Dio, del Dio "rimuneratore".Anche Santa Teresa di Gesù Bambino è passata per questa notte. Possiamo dire che tutte queste notti sono riassunte nella Notte del "Getsèmani" e in essa Gesù riceve tutte le nostre ingiustizie e le fa sue, le accoglie per poterle offrire e purificarle. Questa è una prima immagine che vi lascio.Una seconda immagine è quella della Tomba. Che cosa sia avvenuto il giorno di Pasqua, noi non lo sappiamo. La Liturgia Romana dice: «Beata notte, che non hai saputo il giorno e l’ora!»; e noi non sappiamo niente, nessuno è stato presente, nessuno ce l’ha raccontato; però possiamo immaginarne le conseguenze. Lo descriverei così: un grande scoppio di luce, di pace e di gioia nella Notte della Tomba. Scoppio di luce, di pace e di gioia che è potenza dello Spirito, che prende prima di tutto il Corpo di Gesù e lo vivifica, lo rende capace di essere intercessione per il mondo. Ma poi continua in ciascuno dei viventi suscitando in lui le disposizioni di Gesù. Mi pare quindi che sia troppo riduttivo dire: lo Spirito Santo è il segno dell’amore di Dio per me. Lo Spirito Santo è segno delle scelte di Gesù fatte mie. È quella forza, quel dinamismo, quella capacità di amare il povero, di amare il sofferente, di amare colui che si trova in situazione di ingiustizia perché così lo Spirito compie la sua opera. E noi possiamo dire che quest’opera si compie sempre quando Gesù dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!» ("Mt 28,26"). Vuol dire la sua presenza anche con il suo Spirito, con la sua capacità di vedere le cose, di reagire alle cose, di giudicare le cose.Certo, occorre per questo un grande spirito di fede, perché molta gente dirà: «Io non vedo niente, io vedo le cose andare di male in peggio!». Occorre l’occhio della fede per leggere negli eventi miei e intorno a me questa presenza dello Spirito Santo che costruisce il mondo nuovo, la Gerusalemme Celeste, che non è una Città nel Cielo separata da qui, ma una Città che viene dal Cielo, cioè dalla forza di Dio e trasforma tutti i rapporti di questa terra.Nessuno meglio di Teilhard de Chardin ha descritto questa Gerusalemme Celeste in cui vedeva appunto il termine finale, il punto "Omega" della Redenzione nel Cristo, dove tutta l’umanità era riunita e salvata, una e trasparente gli uni agli altri, e tutti noi verso Dio. Occorre tenere presente questo fine della storia, perché altrimenti siamo banalizzati dalle vicende quotidiane, oppure siamo sofferenti quando ci sono grandi calamità e non abbiamo nessuna chiave per interpretarle. E questa che vi ho detto non è una chiave logica, è una chiave Mistica Spirituale data dallo Spirito Santo: cercare di vedere in tutto l’azione dello Spirito che opera incessantemente!