Teilhard de Chardin

Post N° 102


Un aspetto trascurato del grande gesuitaTeilhard de Chardin misticoLe tappe di una esperienza privilegiata. Le tre “vie”“Il bisogno di possedere interamente qualcosa di “assoluto” fu, sin dalla mia infanzia, l’asse di tutta la mia vita interiore.   Fra i piaceri  propri di  quell’età io non ero felice che in riferimento ad una gioia fondamentale, la quale consisteva in generale nel possesso (o nel pensiero) di qualche oggetto più prezioso, più consistente, più inalterabile.  A volte si trattava di un pezzo di metallo, altre volte, saltando all’estremo opposto, mi compiacevo nel pensiero di Dio Spirito (la Carne di Cristo mi pareva, a quell’età, qualcosa di troppo fragile e di troppo corruttibile) .Questa preoccupazione potrà apparire strana. Ma ripeto che a me capitava così, senza interruzione.  Sin da allora provavo il bisogno invincibile -  vivificante e riposante -  di adagiarmi senza paura  in Qualcosa di tangibile e definitivo e dovunque cercavo questo Oggetto fonte di beatitudine.  La storia della mia vita interiore è la storia di questa ricerca di realtà sempre più universali e perfette.  In fondo, la mia tendenza naturale profonda è rimasta assolutamente inflessibile,  da quando mi conosco”.Sono parole di Pierre Teilhard de Chardin, scritte nel 1917, in piena prima guerra mondiale: sono parole che, meglio di qualsiasi altra, gettano luce su un aspetto della complessa personalità del celeberrimo gesuita (spentosi nel giorno di Pasqua del 1955 a New York) che sinora i “teilhardisti” hanno scarsamente studiato, l’aspetto mistico.   Anche se la “teilhardite acuta” di cui furono affetti gli ambienti intellettuali cattolici degli anni sessanta (pro o contro) sembra essersi ormai calmata, peraltro l’opera filosofica e scientifica di Teilhard de Chardin continua ad essere fonte di studio e di riflessione, ma,  stranamente, Teilhard mistico è ancora poco noto.  Questo spiega l’eccezionale affluenza di pubblico avutasi venerdì 10 marzo ( 1972 n.d.r.) al Centre Saint Louis de France in occasione di una conferenza tenuta su Teilhard mistico da colui che fu uno dei suoi superiori provinciali, padre  Andrè Ravier.Padre Ravier, che conobbe molto da vicino Teilhard de Chardin ed è depositario dei suoi “carnet” intimi (che conta  di poter un giorno pubblicare) ha voluto anzitutto delineare brevemente quale fosse il pensiero di Teilhard sulla mistica.  Esisteva per lui una “via prima” che parte  dall’amore esclusivo della terra e conduce al Nulla, esisteva una “via secunda” che parte dall’amore esclusivo per il cielo e porta direttamente a dio ed è la via solitamente seguita dai grandi mistici, una Teresa d’Avila,  o un San Juan de la Cruz:  fra queste due strade mistiche, esisteva secondo Teilhard una “via tertia” che attraverso il cosmo, l’amore per il cosmo quale realtà non già terminata ma che “si inventa” ogni anno che passa, porta al Cristo “ricapitolatore” di tutto e quindi a Dio.   Dalla “via termia” si arriva alla “via secunda”.E’ la “via tertia” quella che Teilhard scelse, unendo all’amore per la terra l’amore di Dio,  arrivando all’ amore di Dio attraverso l’amore per la terra e gli uomini.  Non che Teilhard  concedesse scarsa importanza alla strada seguita da Tersa, alla “via secunda”:  le riconosceva anzi un valore eccezionale , visto che un mistico che abbia scelto quel cammino “è colui che Iddio ha chiamato a realizzare, prima della sua morte, quel collegamento tra “via tertia” e “via secunda”  che gli altri realizzano solitamente al termine della loro esistenza.    Ma a Teilhard Dio aveva riservato di arrivare molto più lentamente, con ben maggiori angoscie – attraverso l’amore  del   cosmo -  la dove una Tersa o un San Giovanni della Croce erano arrivati fulmineamente.Secondo Padre Ravier quello dell’autore de: “Le coeur de la matiere” era un “temperamento mistico caratterizzato” :  l’intangibilità di Dio è stata per Teilhard  “la difficoltà  profonda della sua vita”, quel continuo cercarlo ( perché l’aveva, si,  trovato da parecchio tempo, ma non riusciva ad impossessarsene per calmare la sua sete di assoluto)  è stata fonte di continue terribili angosce .  “Du canard, delivrez-moi Jesus”, scriverà in una pagina dei suoi “carnet” intimi.   “Le canard”: uno stato d’animo intermedio fra il tedio e l’angoscia.  Quel “canard” - ha notato padre Ravier- che  ritroviamo sotto  differenti forme in Ignazio da Lodola (e che spiega il suo tentativo di suicidio) nel  curato d’Ars, in Francesco di Sales.In un altro “carnet” troviamo questa annotazione :” senso della presenza, dubbio dell’inesistenza”.   Senso vivissimo della presenza di Dio,e, allo stesso tempo, dubbio sulla sua esistenza:  quale grande mistico o anche semplicemente quale umile cristiano  non ha provato a volte e quel senso e quel dubbio?Si immagini ora un uomo angosciato come Teilhard costretto al silenzio dai suoi superiori, preoccupati per alcuni aspetti quanto meno discutibili della sua dottrina.  Fu un autentico calvario , “un dramma atroce” per riprendere le parole di padre Ravier.  Se Teilhard  seppe sopportarlo fu perché a differenza – ad  esempio -  di un Lamennais , aveva una profondissima fede religiosa.“Se mi ribellassi – scriveva al suo consigliere spirituale, Auguste Valensin -  sarei infedele alla mia fede”:  e  più tardi aggiungerà  “ con gioia profonda comunicherò a questo piccolo calice, ma almeno possa essere  sicuro che è sangue di Cristo!”.Teilhard accetta il calice della sofferenza: si augura solo che all’origine di questa sofferenza vi sia il desiderio di Cristo di metterlo alla prova e non la maldicenza o, peggio, la cattiveria degli uomini.  Gesuita attaccatissimo alla sua Compagnia , Teilhard amò come pochissimi altri la Chiesa.  Nel 1945 scriveva:” sprofondare, sparire”:  inabissarsi nell’anonimato, scomparire,  ecco quanto desiderava come ultima prova del suo amore per la Chiesa .Che era un po’ ripetere quanto aveva invocato secoli prima Jacopone: “ Gesù, speranza mia subissame en  amore…”Massimo OLMI(in Avvenire 15 marzo 1972