Teilhard de Chardin

Post N° 117


TEILHARD DE CHARDIN: VERSO COLUI CHE VIENE Teilhard de Chardin fu un uomo che visse una esperienza spirituale nella quale la sua fede soprannaturale in Dio e nel Cristo si conciliò con le sue convinzioni scientifiche. Che Pierre Teilhard de Chardin sia stato un “mistico” è un fatto che nessuno discute. Così viene riconosciuto, addirittura dai suoi avversari più intelligenti. Il caso più evidente è quello di Jacques Maritain che ne Le paysan de la Garonne accusò Teilhard di avere concettualizzato male, con la disgraziata idea di evoluzione, l'esperienza poetica e mistica del valore sacro dell'universo, diventando così, in terra di cristiani, il principale rappresentante di ciò che lui chiama "la grande favola" e "la falsa moneta' intellettuale. In altre parole, per il vecchio lottatore tomista, Teilhard fu indiscutibilmente un mistico, ma talvolta per lo stesso motivo, anche un pensatore inetto. All'estremo opposto, gli interpreti più favorevoli alla ricerca di Teilhard, riconoscendo il suo lato mistico, puntualizzano la sua condizione di buon pensatore e presentano il suo pensiero come un grande corpo dottrinale che si estende dialetticamente, dalla fenomenologia alla mistica. Prendiamo come esempio il saggio di Claude Cuénot, Ce que Teilhard a vraiment dit. L'autore si propone di ricostruirne l'architettura o, meglio ancora, confrontandosi con un pensiero dialettico, seguire il movimento profondo di un'opera sintetica e unitaria. Secondo questo movimento e, seguendo un piano abbozzato proprio da Teilhard nel Journal, il progetto teilhardiano comprenderebbe i seguenti quattro momenti: 1. una fisica: il fenomeno umano e il dispiegarsi della legge di complessità-coscienza. Per Teilhard, la filosofia è una storia pensata: la storia dell'universo strutturato intorno all'uomo; 2. una dialettica: il passaggio dal fenomeno-umano al punto Omega divino. Si tratta, non c'è bisogno di dirlo, di una dialettica esistenziale, basata sull'esigenza di senso che ha l'azione dell'uomo nel mondo e che culmina in una specie di difesa della verità cristiana. L'universo non può essere bicefalo e se la fede assegna al Cristo risorto la funzione di asse strutturale del mondo rinnovato, è a Lui che corrisponde pure "hic et nunc" la funzione di punto omega; 3. una metafisica dell'unione: creazione, incarnazione e redenzione si trasformano nelle tre facce di un mistero avvolgente: l'assunzione dell'universo in Dio; 4. una mistica, nella quale Dio non è raggiunto al margine delle cose, ma attraverso di esse, nello sforzo attivo e appassionato di integrarle, (l'unica eccezione è il peccato), nel nostro cammino verso di Lui. Il primato della mistica Cuénot ha innalzato la sua dottrina con materiali provenienti dalle opere di Teilhard. Nonostante ciò, la sua costruzione falsifica in qualche modo il proposito teilhardiano, almeno nella misura in cui ne raccoglie soltanto il lato logico, la ragione ragionata e il suo ordine esterno; e dimentica l'ordine interiore vivente, del cuore che batte e dell'anima che lo abita. Così, il discorso razionale precede la mistica e quest'ultima sboccia dal suo tronco come un bel fiore, quando di fatto succede esattamente il contrario: è la mistica che precede il discorso razionale; è la sua presenza latente che fonda il discorso e ne segna in qualche modo la traiettoria. In altre parole: lontano dall'essere il fiore più bello della dialettica, la mistica è la radice e la savia vivificante, in tal modo che il discorso razionale non è, in definitiva, se non l'armatura logico-riflessiva di un'esperienza spirituale. No, Teilhard de Chardin fu anzitutto un mistico e un mistico tra i migliori. Ciò non vuol dire che sia stato oggetto da parte di Dio di favori e manifestazioni straordinarie, ma solo che fu un uomo che ebbe una penetrante visione interiore, un cristiano che visse un'esperienza spirituale di grande qualità, nella quale la sua fede soprannaturale in Dio e in Cristo, ardente e viva sino alla sua morte, si dibatté e finalmente si riconciliò con la profonda convinzione che aveva come scienziato: il nostro mondo si trova in uno stato di evoluzione guidata o di genesi. L'idea di una creazione evolutiva e un nascente cristocentrismo cosmico sono il frutto più immediato di questa visione. Ma il suo nucleo centrale è costituito dall'esperienza dell'onnipresenza e pertanto, per chi sa guardare, della trasparenza di Dio e addirittura concretamente di Cristo in un universo che si trasforma in autentico "Ambiente divino". Tre linee di forza Teilhard de Chardin è dunque un mistico della santa Presenza. All'inizio del suo itinerario spirituale, nelle lettere che scrisse dal fronte a sua cugina Marguerite, egli stesso definisce il suo proposito "una specie di mistica che ci fa andare alla caccia di Dio, appassionatamente, nel cuore di ogni sostanza e di ogni azione". E' il modo in cui Teilhard fa suo il motto di Sant'Ignazio: "Cercare e trovare Dio in tutte le cose". Così come diventa anche suo, convenientemente modificato, il famoso "Principio e fondamento" degli Esercizi spirituali. Nel nostro Universo, ogni uomo è per Dio nel Nostro Signore Gesù Cristo e ogni realtà sensibile è, a sua volta, per l'uomo. Tutto è, dunque, attraverso di noi per Dio nel Nostro Signore Gesù Cristo. Come nella concezione di Sant'Ignazio le cose rimangono legate a Dio attraverso l'uomo. Teilhard accentua molto di più di Sant'Ignazio il riferimento della creazione, anche materiale, a Cristo e la corrispondente mediazione umana. Le cose sono, per Dio, in Gesu Cristo, attraverso l'uomo. Più che dalla prospettiva dell'uomo, Teilhard contempla le cose dalla prospettiva di Dio (come una realtà divinizzabile) e di Cristo, che la mediazione umana deve reintegrare al suo Centro divino. Dalla cima di questo "principio e fondamento” si aprono al nostro sguardo orizzonti amplissimi di vita spirituale. Teilhard fissa particolarmente la nostra attenzione nella direzione di ciò che il padre Lubac chiama tre linee di forza: la divinizzazione della vita quotidiana, la trasparenza di Dio nell'universo, l'attesa della parusia Scrive Teilhard in Le milieu divin: "in forza della creazione e ancor di più dell'incarnazione, niente è profano quaggiù per colui che sa guardare. Al contrario, tutto è sacro per chi sa cogliere in ogni creatura quella parcella dell'essere scelto sottomesso all'attrazione del Cristo in cammino di consumazione”. Si compie letteralmente il detto della scrittura: "Togliti le scarpe perché il luogo che pesti è terra sacra” (Es. 3, 5). Dio non è lontano da noi, ci aspetta in ciò che operiamo e in ciò che soffriamo. Mediante le creature e i fatti della vita, senza eccezione, ci assedia, ci penetra, ci modella. Si tratta dunque di lasciarci modellare dalle sue 'due" mani e di essere in comunione con Lui attraverso il mondo in ciò che facciamo, in ciò che riceviamo e in ciò che soffriamo, nell'azione e nella passione, nella crescita e nella diminuzione, nella vita e nella morte. A partire da questo atteggiamento spirituale, bisogna capire il gesto di Teilhard nella “messe sur le monde” (messa sul mondo), quando in mezzo alle immense solitudini del deserto del Ordos, non avendo né pane né vino per celebrare l'Eucarestia, offrirà al Signore, come Sacerdote della Creazione, 'il lavoro e la pena del mondo". La poesia sorge qui espressamente dalla vita. Allora, chiaramente, l'universo si illumina poco a poco, sino a trasformarsi in pura trasparenza divina. E' l'esperienza che ebbe Teilhard quando navigava nel golfo di Suez, mentre esplorava nell'orizzonte la cima rossiccia e la scarpata del Sinai. Lui avrebbe voluto avvicinarsi a quelle rocce nude per vedere se riusciva a percepire, come tempo prima Mosè, la voce di Colui che è. Ma egli capi che le cime ove Lui si trova non sono più le montagne inaccessibili, ma una sfera più profonda delle cose. “Il segreto dei mondo si trova in ogni luogo ove riusciamo a vedere l'universo trasparente". Perciò, senza disprezzare in alcun modo la verità e il valore insostituibili dell'epifania storica di Gesù, Teilhard metteva l'enfasi nella sua diafanità universale, per cui il Cristo risorto, rivestito dal mondo, illumina il fondo di ogni essere. Ecco una frase che Teilhard non si stancava mai di ripetere: "Si ama Cristo come una persona ed egli si impone come un mondo”. Ecco anche una preghiera che recitava frequentemente: "Vorrei che Gesù fosse per me il mondo vero!". La spiritualità di Teilhard trova il suo completamente naturale e necessario nell'attesa della parusia. Teilhard vide in questa attesa la funzione cristiana per eccellenza. Perciò, di fronte a qualche cristiano che, venti secoli dopo l'ascensione del Signore aveva perso la nostalgia impaziente del ritorno di Cristo, Teilhard cercò un mezzo umano per rinnovare il desiderio del grande avvenimento. E lo trovò nella percezione di una connessione più intima tra il trionfo di Cristo e la riuscita dell'opera che lo sforzo umano cerca di edificare sulla terra. Dalla sua prospettiva di convergenza tra la storia dell'universo e la storia della salvezza, Teilhard concepisce la realizzazione dei progresso autentico dell'umanità come una condizione previa, anche se insufficiente, della venuta del Regno di Dio. E perciò, con il fine di desiderare la parusia (avvenimento glorioso di Gesù Cristo alla fine dei tempi), basta lasciar battere nel nostro cuore lo stesso cuore della terra. più tardi, l'ultimo Teilhard rivedrà questa questione in funzione dei due assi che si contendono, secondo lui, il cuore dell'umanità contemporanea: un l'asse verso l'alto" e "un asse in avanti". In altre parole, il rapporto con la trascendenza, con il Dio che crea e che salva, e il rapporto con l'immanenza, con il mondo e il suo progresso umano. Questi due movimenti non sono così contrari come sembrano. Hanno bisogno l'uno dell'altro e in questo modo dimostrano che sono destinati a incontrarsi. Per poter andare "in avanti", occorre guardare anche "verso l'alto". Per potere invitare gli uomini a guardare verso l'alto occorre assumere il loro andare avanti. Questa è, secondo Teilhard, la grande opera della Chiesa nel mondo di oggi, opera della quale si sarebbe fatto eco nel Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes - incorporare l"'in avanti" umano nel "verso l'alto" cristiano, senza affondare quest'ultimo, ma al contrario elevando e soprannaturalizzando il primo. Il punto di convergenza dei due movimenti è ancora una volta Colui il quale Teilhard, quindici giorni prima di morire, invocava come il grande Cristo Risorto, il Cristo glorioso della parusia. Cristo sempre maggiore Con questa celebre espressione, che avrebbe scandalizzato più di uno, Teilhard non fa in fondo altro che applicare al Cristo glorioso il tema teologico del 'Deus semper maior'. Era da tanto che egli aveva percepito il pericolo che rappresentava, per molta gente, la 'rivelazione" contemporanea dell'universo uno e grande. Il problema non era artificiale, né fu lui l'unico a trattarlo. Uno spirito molto diverso dal suo, Reinhold Schneider portò dolorosamente, in carne viva, lo stesso interrogativo. Per Teilhard, la soluzione era cosa fatta: a misura di quanto il mondo cresce, deve crescere anche la nostra rappresentazione di Cristo. Così, invece di cercare nel cielo un astro diverso e maggiore di Cristo, a settantacinque anni, in una preghiera che diventa l'accordo finale della sua religiosità, esclamò semplicemente: “O Cristo, sempre maggiore!' "Me ne vado verso Colui che viene", scriveva Teilhard nel suo diario un mese prima di morire. In questa stessa epoca è datata la sua confidenza: "Vorrei morire il giorno di Pasqua", La mistica teilhardiana della santa Presenza, essenzialmente cristocentrica ed escatologica è la strutturazione dottrinale di que sto atteggiamento vitale: Teilhard de Chardin visse di fronte a Gesù Risorto. E' significativo che il Signore della vita e della morte venisse a cercarlo, così come lui aveva desiderato, un giorno luminoso di Pasqua. di Eusebi Colomer ( Da: Itinerari ed esperienze di cristiani nel mondo operaio 13 ,gennaio-febbraio 1997, 1, 73-76