Teilhard de Chardin

Post N° 121


Il Gesuita proibito ha lavorato per il futuro di CARLO BO E’ venuto anche per noi, cattolici italiani, il tempo di leggere Pierre Teilhard de Chardin ?  Il veto resta, per le opere di pensiero. Si è fatto un passo avanti secondo il nostro costume: aggirando o cercando di aggirare le posizioni.  Non le opere ma libri sulle opere, dove almeno attraverso il quadro delle citazioni sia consentito un primo contatto .  Diamo quindi il benvenuto alla traduzione delle Lettere di viaggio e del saggio fondamentale di Claude Cuenot, L’Evoluzione di Teilhard de Chardin  usciti nelle edizioni Feltrinelli, ma soprattutto diamo il benvenuto al libro di Giancarlo Vigorelli: Il Gesuita proibito, pubblicato  da Il Saggiatore.Vigorelli non ha bisogno di presentazioni, basterà dire che per questo  lavoro di rottura era il più indicato.  In qualche modo tutta la sua storia di cattolico irrequieto sta a giustificare la scelta e lo autorizza a mettere gerarchie e la famiglia dei fedeli di fronte al libro delle responsabilità.D’altra parte, non si può fare a meno di registrare con qualche sorpresa questo costante terrore del nuovo in questioni di fede e di religione.  Se c’è un paese che ha bisogno vitale di scosse, di richiami all’ordine, , di iniezioni di inquietudini, , questo paese è il nostro.  E invece, si fa del tutto per proteggere la sua inerzia di fondo e per offrirgli il magro compenso d’illusione che deriva da un modo di illustrare la religione dal di fuori e di  farne soltanto un dato di civiltà.  Ma anche qui, quale riduzione si fa al termine, in che modo si tende ad equiparare  stanchezza e obbedienza, vuoto e rinuncia.  Ora Vigorelli per la sua natura ardente ( e l’impressione sussiste con il passare degli anni,  in mezzo al generale lasciar andare, prendere le cose per il verso più facile  sembrava chiamato a proporre il caso Teilhard in un modo che non fosse possibile rendere equivoco,  spegnendone a poco a poco il fuoco di carica.  Naturalmente l’impresa non era facile, tanto più che Vigorelli si trovava di fronte ad un terreno completamente o quasi del tutto vergine:  il padre gesuita è infatti per forza di cose rimasto da noi sospeso fra l’alta informazione giornalistica e gli echi di una condanna che per prudenza si è arrestata al limite del “monitum”  Si trattava, dunque, di offrire, al lettore non soltanto una definizione del problema o una situazione geografica nel libro delle nuove idee ma, prima di tutto, di mettere il lettore nella possibilità di giudicare direttamente.  Vigorelli, riscontrata questa difficoltà iniziale e registrata la mancanza di un retroterra che è indispensabile per ogni operazione critica,  ha scelto un modo di lettura comune, camminando, se possiamo dire così, con il libro aperto di Teilhard e invitando il lettore a seguire  linea per linea questi testi “proibiti”.  A questo punto sorgeva un’altra difficoltà e chi conosce Vigorelli poteva temere addirittura un abuso, una sollecitazione  eccessiva da parte sua: presentare un Teilhard non intero, un Teilhard letto in un senso unico.   Ora conviene aggiungere subito che questo pericolo è stato evitato  e che Vigorelli in tal modo ha reso un grosso servizio alla causa che intendeva suffragare.    In conclusione, il grosso saggio di conoscenza costituisce una introduzione all’opera del gesuita e non c’è dubbio che i lettori più avvertiti sapranno far tesoro delle sollecitazioni sottolineate dal Vigorelli, in modo da passare a un completamento di conoscenza, a quel secondo stadio della frequentazione per cui un’opera passa dalla registro delle attualità a quello delle letture quotidiane, delle letture che tengono oltre l’ombra dell’ora.Quali risultati si avranno da questo primo incontro?  Lasciamo da parte quel tanto di scandalo, di choc  che oggi, così come stanno le cose, non hanno più ragione di essere e vediamo invece dove presumibilmente avverrà il primo contatto.   Credo che esista anche da noi una famiglia di spiriti,  molto più larga  di quel che di solito si crede, pronta a ricevere messaggi di questo genere.    Proprio perché da secoli viviamo sotto l’incubo di una religione restrittiva, naturalmente nemica della vita, la parola di speranza che si leva dai libri di Teilhard de Chardin dovrebbe colpire immediatamente la zona più derelitta e spenta del nostro cuore.  Tale tendenza a spegnere dentro di noi questi aneliti, questi fermenti è stata sempre alimentata da una visione pessimistica della nostra vita.  Il “gesuita proibito”, per ripetere l’immagine vigorelliana, è fatto a posta per mettere un termine a questa corsa verso il buio, verso il nulla: una corsa a ostacoli, dove gli ostacoli sono rappresentati, dai pretesti, dalle occasioni della vita, dalle proposte di costruire.  Se ci dovessimo servire a nostra volta di un’immagine, dovremmo dire che il nostro cristianesimo nutre il suo pessimismo al senso di condanna assoluta e generale che siamo soliti dare ai nostri atti.   Il pessimismo nasce da una netta separazione fra quello che l’uomo può fare e quello che Dio fa.  Per molti secoli si è pensato che non si dovesse tentare un collegamento tra questi due poli, rimettendo all’intervento divino l’incertezza e la deformità dei nostri atti.  Il gesuita rimette tutt’e due le posizioni sullo stesso piano e concede all’attività dell’uomo  il soccorso di un’altra carità, di un’altra pietà, per cui tutto è suscettibile di essere trasformato in bene.E’, dunque, una visione positiva, attiva che  ci viene prodigata dal padre gesuita il  quale del resto, grazie alle sue conoscenze d’ordine scientifico, era in grado di vedere le cose in modo ben diverso dal nostro,  da un angolo che non rispetta la legge della rinuncia e del fallimento.  Noi siamo stati abituati a misurare anche le cose dell’anima con il contagocce, come dire che la nostra vita non è mai passata dallo stato della tana, non è mai uscita all’aria, sotto il confronto di tutti gli elementi della natura.   Ora il credito che il gesuita apre all’uomo, al di sopra  delle patrie, delle classi, delle politiche e forse delle religioni, intendendo per religione tutto ciò che ci lega in basso,  ci riporta ad una visione terrena, è immenso, è qualcosa che nessuno è mai riuscito ad immaginare.  Al suo confronto che cosa regge? Ma non è possibile fare confronti del genere, si tratta di materiali diversi: noi siamo fatti di “passato”, Teilhard di “futuro”.  Resta il modo, l’operazione di saldatura e qui il tema assuma un carattere di eccezionale drammaticità:  soltanto il domani potrà darci la risposta che aspettiamo.  Se il futuro prenderà la strada segnata da Teilhard, noi sapremo che nel suo lavoro di uomo c’era qualcosa di più alto, c’era un segno sensibile di un’altra,  di una più alta volontà. Carlo BOL’Europeo, 24 febbraio 1963, pag. 74