Teilhard de Chardin

UN' IMPORTANTE TESTO DI DON CARLO MOLARI


(seconda parte)FUTURO DEL COSMO FUTURO DELL'UOMO4.          IL FUTURO DEL COSMO E DELL'UOMOL'interesse e la continuità con cui Teilhard ha riflettuto sul futuro dell'umanità ha fatto sì che questa sia, a detta di quasi tutti i critici, la parte più originale, anche se la più discussa del suo pensiero (cf F. Ormea).  Teilhard, anche se insiste sul fatto che il futuro dell'uomo e dei cosmo non possono essere descritti o immaginati, si è esercitato a lungo a farlo intravvedere attraverso le dinamiche e la tensione dello stesso processo.  Esse svelano in qualche modo alcuni caratteri dei futuro del cosmo e dell'uomo.  Esso è affidato ad un programma di evoluzione che condurrà a una forma ora inimmaginabile, ma già influente come punto di attrazione.  Il futuro può essere esaminato semplicemente nel suo svolgersi, in una prospettiva fenomenologica, oppure dal punto di vista del polo di attrazione o del punto omega.  Ormai il destino dell'universo e del suo processo è affidato all'uomo e al suo divenire, sicché il futuro del cosmo non è più disgiunto da quello dell'uomo. Teilhard non ha scritto molto sullo sviluppo del cosmo, ha accennato però ad una possibile sua futura spiritualizzazione, di cui il corpo glorioso di Cristo rappresenterebbe il nucleo iniziale.  Il futuro umano può essere descritto in termini laici o in termini cristiani. Negli scritti per i "pagani" Teilhard utilizza i primi e si richiama ai dati fenomenologici.  Teilhard procede per estrapolazione in avanti della legge della complessità-coscienza con l'introduzione della ipotesi che la socializzazione abbia una dimensione biologica, dato che per Teilhard tutto nell'uomo ha radici biologiche (cf Phénomène Humain, 1957).  La fase attuale del processo evolutivo dell'umanità è appena al neolitico della vita sociale che tende ad un secondo punto critico di saturazione, ad una maturazione collettiva, ad un ultraumano, che costituirà una superumanità, a sua volta risvolto interno di una forma transumana, che non possiamo pensare né descrivere attraverso anticipazioni.  L'ultraumano o superumano può essere solo previsto attraverso una estrapolazione infallibile.  Per la sua natura convergente, il movimento di socializzazione  determina necessariamente, a una distanza finita nell'avvenire, un punto o vertice critico di incontro".  "Il punto critico di riflessione planetaria, frutto della socializzazione, lungi dall'essere solo una scintilla nella notte, corrisponde invece al nostro passaggio, attraverso capovolgimento o dematerializzazione, su un'altra faccia dell'universo: non già un fine dell'ultraumano, ma l'accesso a un qualche Transumano, nel cuore stesso delle cose".  "Questo nuovo punto critico sarà costituito da una comunità perfetta di persone, legate dalla reciprocità di una riconoscenza delle loro libertà e dalla loro adesione collettiva a un ideale assoluto di amore" (Cf. É. Rideau).Questo processo può essere descritto anche in termini cristiani.  Allora esso è la rivelazione di Cristo come centro evolutore del mondo, è la pleromizzazione, cioè l'attuazione del Pleroma, quando Dio sarà tutto in tutti, il momento in cui una scintilla parusiaca scoccherà tra cielo e terra.  Il passaggio alla forma nuova avviene per saturazione interiore del mondo e nello stesso tempo per discesa del fuoco celeste: due risvolti della stessa azione creatrice di Dio.  Ne conseguirebbe che "la scintilla parusiaca non potrebbe scoccare, per necessità fisica e organica, che fra il cielo e una umanità biologicamente pervenuta a un certo punto critico evolutivo di maturazione collettiva" (Cf Le coeur du problème, 1949).  L'umanità è in processo verso una laboriosa unificazione per la quale "una polvere di anime, distinte da Dio, ma sospese a Lui, s'incorporano progressivamente a Cristo attraverso l'edificazione dell'unità collettiva umano-cristiana" (Cf CI.  Cuenot).4.1. La morte   In questa prospettiva, la morte del cosmo, come la morte dell'umanità e di ogni singola persona hanno una necessità fisica, fanno parte necessariamente del processo evolutivo.  Sulla concezione della morte propria di Teilhard si è svolta una discussione tra i suoi studiosi.  Sembrava infatti ad alcuno che Teilhard avesse dato poca importanza alla morte.  Secondo L. Cognet, ad esempio, Teilhard "ha minimizzato nella sua visione del mondo l'idea della morte e l'ha ricondotta a considerazioni puramente biologiche", ispirato ad una "serenità biologica e cosmica" non degna di un cristiano.  In realtà, come evento di una persona, giunta al compimento della vita, la morte è il residuo del dominio del molteplice e il passaggio a una forma superiore di unità come "il pane che noi mangiamo sembra decomporsi in noi; e invece diventa nostra carne.  In ogni unione, l'elemento dominato non diventa uno con il termine dominatore se non cessa di essere se stesso.  Nel caso dell'unione definitiva con Dio in omega (= il Cristo glorioso), si comprende che il mondo per essere divinizzato, debba perdere la sua forma visibile in ciascuno di noi e nella sua totalità.  Questa è, dal punto di vista cristiano, la funzione vivificante  della morte umana, in virtù della morte di Gesù" (Cf Mon Univers, 1924).  La condizione perché abbia tale carattere è che "le monadi condannate a subirla sappiano accettarla con umiltà, amore e soprattutto con immensa fiducia" (ibid.). La morte nel cosmo per ogni creatura, è uscire dal proprio centro interiore per centrarsi in un centro superiore fino al centro supremo: essa, al culmine del processo, è fenomeno di ex-centratione: uscire dal proprio centro per essere centrati in Dio.4.2. L'ultraumanoLa morte delle singole creature non deve far perdere di vista il processo che l'umanità intera vive nella storia e che tende a un compimento non ancora raggiunto.  L'umanità è l'unico ambito creato della terra non ancora compiuto. Prima della morte essa ha ancora un traguardo da raggiungere: l'ultraumano o il super umano. Teilhard lo intravvede partendo dagli sviluppi attuali dell'umanità, cioè dalle dinamiche che l' universalizzazione mette in moto.4.3.         La fine della storia e il trans-umanoLa fine della storia può essere vista nei suoi due risvolti: uno interno e uno esterno.  L'aspetto interno della fine del mondo, è "il ripiegamento interno in blocco, su se stessa della noosfera, giunta simultaneamente al massimo della sua complessità e della sua centrazione".  L'aspetto esterno "è il capovolgimento dell'equilibrio, che consente allo Spirito di sganciarsi dalla sua matrice materiale per farla riposare ormai, con tutto il suo peso, in Dio omega" (Cf Phénomène Humain).  L'umanità non pu ò attingere il suo punto supremo di unità interna se non nel momento in cui si abbandona senza resistenze all'amore di Dio, dissolvendosi in un amore superiore.  Questo esito è indicato da Teilhard con il termine "transumano", che insieme sembra indicare lo sbocco del superumano nella fase parossistica della noosfera, ma anche la fonte suprema dell'umanità compiuta: la dimensione umana di Dio.  Per questo Teilhard pone l'iniziale maiuscola quando prevede "non una fine dell'ultra umano ma il suo accesso a un qualche Transumano nel cuore stesso delle cose" (Cf Du pré-humain à l'ultra-humain, 1950).  Assumendo l'analogia delle stelle, Teilhard pensa che ciò potrebbe avvenire per una "brusca folgorazione o esplosione dove il pensiero portato all'estremo, si volatilizzerebbe su di sé".  Teilhard riassume bene le tappe di questo processo: "In un primo tempo (sino all'ominizzazione), una successione di unità fragili, sospese nel vuoto che sta dietro a loro: la centrazione che aumenta, ma senza che vi sia ancora un vero centro perfetto nella natura.  In un secondo tempo (dopo l'ominizzazione), uno stato misto in cui, sotto complessità esterna sempre in progresso, l'universo ormai portatore di grani di pensiero comincia (come un cono  giunto alla sua cima) ad invertirsi su se stesso: una fisica non tangibile di centri succede alla fisica tangibile alla centrazione.  In una terza fase, l'ultima, il rivolgimento completo dello spirito (collettivamente centrato) su di un polo interiore di consistenza e di unificazione totale: l'ipercentrazione dopo la centrazione.  L'evasione in profondità attraverso il centro, o ciò che è la stessa cosa, l'estasi" (cf L'atoinisme de l'Esprit, 1941).4.4.         La fine positiva della storia: la Parusia"L'idea della parusia costituisce per Teilhard de Chardin il motivo teologico dominante che si basa su Col 1,16" (cf Fr. J.  Nocke).  Egli distingue due gruppi di uomini: "da un lato il gruppo di coloro che proiettano le proprie speranze in una condizione o in un obiettivo assoluti posti al di là e al di fuori del mondo.  E dall'altro lato il gruppo di coloro che pongono le medesime speranze in un compimento interno dell'universo sperimentale" (cf Réflexions sur le progrès, 1941).  Il conflitto annoso tra coloro che Teilhard chiamava i "servitori del cielo" e i "servitori della terra", ha acquistato ora un nuovo vigore.  Secondo Teilhard "i fedeli della terra si sono effettivamente risvegliati ergendosi a costituire una vera e propria forma di religione, dei tutto carica di speranze illimitate, di sforzi e di rinunce" (cf ibid.). A costoro egli ricorda la necessità di un vertice che trascenda il movimento.  Per questo "in ultima analisi il compimento ultraumano dell'evoluzione intravisto dal neoumanesimo coincide concretamente con il coronamento della incarnazione atteso da tutti i cristiani" (cf Le coeur du problème, 1949).Per Teilhard de Chardin vi è una continuità di fondo tra l'azione creatrice di Dio e l'opera della salvezza e quindi una continuità tra la storia in evoluzione e il regno di Dio: man mano che la Parola si fa carne la perfezione umana cresce nel mondo.  L'incarnazione di Cristo è il paradigma di tutta l'evoluzione cosmica e del suo compimento.  Egli scrive: "Perché Cristo apparisse una prima volta sulla terra, occorreva evidentemente (nessuno ne dubita) che in conformità con il processo generale dell'evoluzione, il tipo umano si trovasse anatomicamente costituito, e socialmente sviluppato già fino a un certo grado di coscienza collettiva.  Ciò posto, perché, facendo un passo ulteriore, non immaginare che, anche per la sua seconda e ultima venuta, il Cristo attenda, per riapparire, che la collettività sia infine divenuta capace, perché pienamente sviluppata nelle sue potenzialità 'naturali', di ricevere da lui la sua consumazione soprannaturale?  Perché in fin dei conti, se vi sono regole fisiche precise per lo sviluppo storico dello Spirito, perché non ne esisterebbero, a fortiori, per il suo completamente e il suo termine"? (cf Trois choses que je vois, 1948).  Per Teilhard le diverse tappe della storia si condizionano reciprocamente fino a rendere  possibile la manifestazione suprema di Cristo nella Parusia.  Per questo egli qualifica la sua posizione come "una forma di incarnazionismo senza residui, il cui processo però non inizia con la venuta di Gesù ma con la creazione stessa, con l'azione cioè che dal di dentro anima tutte le cose e le sospinge alla loro pienezza.  Il processo perciò non avviene per una spinta dal basso ma per una chiamata dall'alto che si traduce in una spinta dal di dentro della storia che collega le varie fasi del processo condizionandole l'una all'altra.  La venuta del regno ha perciò come condizione la maturazione umana, la pienezza della socializzazione dell'uomo.  Posto in altre parole, che questa sia la condizione di quella, i due avvenimenti non possono accadere che simultaneamente" (ibid.).(fine seconda parte)Don CARLO MOLARI