Teilhard de Chardin

TEILHARD DE CHASRDIN, TEOLOGO


Teilhard de Chardin come teologo                       Quando Teilhard de Chardin, reduce dal suo esilio in Cina, venne a Roma per ottenere, come gesuita, l’autorizzazione ad accettare la cattedra che gli veniva offerta al Collège de France (l’autorizzazione non gli sarà accordata), e per ottenere l’imprimatur alla sua opera Le Phénomène humain (il volume uscirà postumo), entrando nella basilica di San Pietro ebbe la sensazione – come confessa nelle sue Lettres de voyage – di essere arrivato al luogo, dove si situa «il polo cristico» della terra, dove passa l’asse ascensionale dell’ominizzazione. Roma, a questo grande viaggiatore, immunizzato com’era nei confronti del passato e del pittoresco, non poteva dare alcuna emozione estetica, ma gli dava la coscienza di essere approdato ad uno «straordinario focolare di irradiazione universale», al luogo dove «si cefalizza» lo spirito della terra.        Questa immagine, che ricorre più volte – non solo come metafora, ma formulata come «principio scientifico» - negli scritti del “Gesuita proibito”, come lo ha definito lo scrittore italiano Gianfranco Vigorelli, si è fatta spontaneamente avanti a me, quando ho ricevuto l’invito a partecipare a questo convegno romano nell’Alma Mater della Pontificia Università Gregoriana, di cui sono stato alunno. Roma non si è dimostrata ospitale verso questo cercatore della verità, di cui il grande libro del teologo francese (poi cardinale) Henri de Lubac ha dimostrato la «rettitudine sostanziale dell’orientamento» del suo pensiero religioso e la passione della sua fede cattolica. Questo convegno romano – bilingue –, oltre che come congresso di studio, figura anche come riconoscimento postumo del suo contributo al pensiero teologico del XX secolo.            1. Se il filosofo neoscolastico Paul Grenet ha potuto scrivere un saggio su Teilhard de Chardin dal titolo polemico, ma espressivo, Pierre Teilhard de Chardin ou le philosophe malgré lui (1960), si potrebbe anche sostenere che Teilhard è teologo «suo malgrado». Teilhard è innanzitutto uno scienziato, come documentano la sua attività e i suoi scritti scientifici, ma la legge, tipicamente teilhardiana, di complessità-coscienza, che gli permette di decifrare, in qualità di geologo e paleontologo, gli archivi del passato, lo orienta anche alla decifrazione delle direttrici di marcia dell’umanità fino ad intravedere il punto terminale di approdo del processo evolutivo: il Punto Omega, immettendolo in una problematica filosofica e teologica. La cosmogenesi e la biogenesi si prolungano in noogenesi; la noogenesi sale irreversibilmente verso Omega, centro personale di deriva universale, trascendente il tempo e lo spazio, che fonda, anima e darà consumazione al processo evolutivo; e il Punto Omega va assumendo la figura teologica del Cristo universale.     Forse l’opera di Teilhard de Chardin è l’ultima sintesi dei tempi moderni: egli ha sentito il bisogno di sintesi del sapere e ha rischiato una sua sintesi.      Nella prefazione a Il Fenomeno umano scrive: «Come accade ai meridiani nelle vicinanze del polo, scienza, filosofia e religione convergono nelle vicinanze del Tutto. Convergono, ripeto, ma senza confondersi, e senza cessare, fino all’ultimo, di affrontare il Reale sotto angoli e su piani diversi».       È la ricerca di una sintesi, che lo accompagna per tutta la vita, e che in uno degli ultimi testi, scritti prima della sua morte, esprime in linguaggio esistenziale nelle parole-chiave «Ricerca, lavoro e adorazione». Scrive Teilhard: «“Faccia tranquillamente della Scienza, senza occuparsi di filosofia, né di teologia…”.       Questo è il consiglio (e l’avvertimento) che l’autorità mi avrà ripetuto, durante tutta la vita.       Questa è ancora, immagino, la direttiva data ai numerosi e brillanti puledri lanciati oggi, molto opportunamente, nel campo della Ricerca.       Ma questo è anche l’atteggiamento, vorrei far notare a chi di diritto, rispettosamente, – e tuttavia con la sicurezza che mi viene da cinquant’anni passati nel cuore del problema, – psicologicamente impossibile da vivere e direttamente contrario, del resto, alla maggior gloria di Dio». 2. Il contributo di Teilhard de Chardin alla teologia è notevole.·                     In sede di teologia della creazione, ha operato per una corretta concettualizzazione del rapporto tra Dio e mondo in evoluzione; e ha posto con estrema acutezza il problema di una nuova interpretazione del peccato originale per superare l’angusta rappresentazione tradizionale, che farebbe del peccato originale – come si esprime nelle Riflessioni del 1947, che riprendono la famosa Nota del 1922 – «un accidente sopravvenuto, verso la fine del Terziario, in un angolo del pianeta Terra». E, così, l’opera di Teilhard rappresenta la prima risposta, critica e articolata, della teologia cristiana, alla sfida lanciata da Darwin con L’origine della specie del 1859 e con il darwinismo che ne è seguito. La soluzione di Teilhard sarà ripresa nelle sue linee essenziali da teologi come Karl Rahner e l’olandese Piet Schoonenberg e introdotta nella riflessione teologica come un dato ormai acquisito sul rapporto tra creazione e evoluzione.·                     In sede cristologica, Teilhard ha operato una «dinamizzazione» dell’evento del Cristo, elaborando ed illustrando la categoria del Cristo universale (che ricomprende quelle del Cristo cosmico, e quella, più controversa, del Cristo evolutore), che dilata gli orizzonti del «fenomeno cristiano», ed è destinata a mostrare la sua fecondità ermeneutica anche nella teologia delle religioni – un cantiere che attualmente lavora a pieno ritmo –, e nella problematica, ora solo intravista, connessa con la possibile pluralità di mondi abitati.·                     In sede escatologica, Teilhard ha mostrato come la prospettiva cristiana non è disattivante (una fuga dal mondo), ma al contrario può risultare superattivante, come ricerca del senso finale, capace di orientare ed alimentare l’azione umana, incidendo efficacemente nel superamento del tradizionale pessimismo religioso nel confronti del mondo, anticipando così le istanze delle teologie orientate alla prassi, come la teologia politica, la teologia della liberazione e le teologie del Terzo Mondo.        L’opera di Teilhard appartiene anche alla storia della spiritualità e della mistica, come ha dimostrato ampiamente la teologa di Bristol, Ursula King, nella sua recente opera Exploring Spirituality with Teilhard (1997): la spiritualità teilhardiana è una spiritualità della presenza nel mondo; una spiritualità che riconosce l’importanza dell’amicizia e degli affetti umani, come dimostrano i suoi numerosi epistolari, in particolare i suoi epistolari con donne amiche; una spiritualità, nella migliore tradizione ignaziana, che conduce a trovare Dio in tutte le cose, non solo in ambito religioso, nella preghiera e nella meditazione, ma in tutte le esperienze e attività umane. 3. L’opera di Teilhard, come hanno evidenziato gli studi più documentati, non va esente da critiche, sia sotto il profilo metodologico: procede con una certa «approssimazione» nell’accostare dati scientifici, concetti filosofici e dottrine teologiche; sia sotto il profilo contenutistico: corre, a volte, il rischio di «razionalizzare» i contenuti della fede, inserendoli nello schema evolutivo.A queste critiche – peraltro ormai ampiamente discusse – si sono aggiunte più recentemente le puntualizzazioni provenienti dalla comunità ecologica, come avverte, tra gli altri, il nord-americano Thomas Berry, profondo conoscitore dell’opera del pensatore francese, ma che, andando oltre Teilhard, propone una filosofia della riconciliazione tra gli Umani e la Terra (cf. Befriending the Earth. A Theology of Reconciliation between Humans and the Earth, 1991). Egli scrive: «E così, mentre Teilhard è indispensabile per comprendere i grandi modelli dell’orientamento della vita, il suo pensiero non deve subire delle fissazioni. Tematiche che erano secondarie o scarsamente percepite durante la sua vita sono andate imponendosi con crescente urgenza. E tra queste tematiche deve essere innanzitutto menzionato il rapporto Umani-Terra. […] Mentre Teilhard insisteva sull’attivazione della più alta espressione della vita, stava prendendo piede la distruzione delle forme esistenti della vita. Alla critica all’opera di Teilhard proveniente dalla comunità scientifica e alla critica proveniente dalla comunità teologica, si deve ora aggiungere la critica proveniente dalla comunità ecologica». Thomas Berry prosegue mostrando come le critiche all’opera di Teilhard, provenienti dalle due prime istanze – scientifica e teologica – hanno condotto a rettificare il suo pensiero, ma insieme a far emergere il valore delle sue intuizioni di base. E così, ora, la presa in considerazione delle critiche della comunità ecologica, porterà a chiarificazioni, «ma non a cancellare le grandi visioni del passato, bensì a portarle ad una nuova e più fruttuosa efficacità del presente».  Credo sia questo un metodo produttivo. Deve continuare il lavoro filologico e storiografico di approfondimento dell’opera di Teilhard, ma insieme non si deve irrigidire o fossilizzare la sua opera, ma riprenderla nella sua visione e nelle sue intuizioni di fondo nel contesto delle nuove problematiche, per renderla capace di “attivazione” (per usare una sua espressione) nei nuovi contesti di pensiero, culturali e teologici.ROSINO GIBELLINI (Relazione tenuta al Convegno internazionale di Roma su Teilhard de Chardin nel   2005)