Teilhard de Chardin

Una breve nota di Mons. Ravasi su Teilhard


La morte rovesciataQuando sul mio corpo e sul mio spirito comincerà a incidere il logorio dell’età, quando su di me piomberà dall’esterno o nascerà in me, dall’interno, il male che fa declinare o che rapisce, nell’istante doloroso in cui, tutt’a un tratto, mi accorgerò di essere malato o d’invecchiare e soprattutto in quel momento estremo in cui mi sentirò sfuggire a me stesso, assolutamente passivo tra le mani delle grandi forze ignote che mi hanno formato, in tutte quelle ore cupe, concedimi, mio dio, di comprendere che sei Tu colui che dischiude dolorosamente le fibre del mio essere per penetrare sin nel cuore della mia sostanza e per rapirmi in Te.Gesuita, scienziato, nato in Francia nel 1881 e morto a New York nel 1955, Teilhard de Chardin è stato uno degli autori più amati trenta-venti anno fa. Anche se ridimensionata, la sua presenza è pur significativa e l’opera L’ambiente divino, nuovamente tradotta qualche mese fa dall’ed. Queriniana di Brescia, costituisce – assieme a Il fenomeno umano – uno scritto affascinante che propone un’intensa spiritualità fondata sull’impegno di costruire il mondo in Cristo.Con questo impegno si edificherebbe il Corpo mistico di Cristo nel quale convergono il lavoro, la scienza, la tecnica, l’arte, la cultura. Anche la morte, vista per eccellenza come il male e l’anti-creazione, acquisterebbe una luce differente. Quel corpo in sfacelo non sarebbe votato alla dissoluzione e alla polvere ma sarebbe sottoposto come a una rigenerazione: Dio “dischiuderebbe le fibre del nostro essere” penetrando nel nucleo profondo e intimo del nostro io per irradiarlo di eternità e per attirarlo a sé. Scriveva ancora P. Teilhard de Chardin: “Nella morte, come in un oceano, viene a confluire il nostro decadere repentino o graduale. La morte è il compendio di tutte le nostre diminuzioni, è il male. Ma noi superiamo la morte, scoprendovi dio. E, di colpo, il Divino si troverà insediato nel nostro essere, nell’ultimo recesso che sembrava potesse sfuggirgli”. La morte, così, non è più separazione dalla vita e dall’essere ma è comunione piena con la Vita.GIANFRANCO RAVASI( da Avvenire, 30 marzo 1995, pag. 1)