Teilhard de Chardin, evoluzione e fede in dialogo La scorsa settimana ho provato ad appuntare alcune riflessioni sul rapporto tra evoluzionismo ed intelligenza della fede. Oggi vorrei scrivere qualche riga su una straordinaria figura che del dibattito sull’evoluzione è stato protagonista: Teilhard de Chardin (1881-1955), gesuita, teologo, filosofo, paleontologo e mistico, tra i pi. grandi del XX secolo se consideriamo la qualit.à e la quantità. degli scritti che ci ha lasciato. Nonostante la grandezza e lungimiranza delle sue intuizioni, nonostante l’ispirazione che diede al Concilio Vaticano II, il suo pensiero è stato spesso trascurato ed una parte significativa delle lettere e dei diari attende ancora di essere studiata e approfondita. Anche stavolta riconosco che mi è possibile solo brevemente accennare ad alcuni punti del suo pensiero, tanto vasto e complesso. Mi pare che una considerazione profonda si intreccia sin dagli inizi con la sua opera: il mondo moderno va accolto in tutta la sua bontà, con i suoi limiti ma anche con le sue potenzialità. La Chiesa è chiamata a riconciliarsi con il mondo e con la scienza, riteneva Teilhard tanti anni prima del Concilio Vaticano II. Egli, come detto, fu paleontologo e svolse sempre la sua attività. scientifica come un privilegio altissimo attribuito all’uomo, un compito mediante il quale lo scienziato non si limitava ad una descrizione distaccata o disinteressata del mondo, ma si poneva al servizio dell’intera umanità.. Proprio dalla scoperta degli ominidi del Pleistocene, che studi. a lungo nei deserti dell’Asia, capì che occorreva trovare nel presente le linee di sviluppo dell’umanità. Solo l’uomo, non frutto del caso, dell’azzardo, può infatti spiegare la natura delle cose perchè la sua coscienza regge il cosmo: ecco un altro punto importante che il suo pensiero impose nel dibattito furioso tra creazionisti ed evoluzionisti nella prima metà del Novecento. L’evoluzione dell’uomo raccontava per lui una natura che si faceva lentamente più complessa lungo tutta la storia, storia incessante di un muoversi verso – così lui definiva la legge evolutiva. Capì che era possibile constatare un’evoluzione verso forme sempre pi. complesse, e poi, dopo la comparsa della vita, verso forme sempre più dotate di coscienza. Un'altra intuizione straordinaria fu quella di non fissare l’uomo al centro del cosmo: l’antropocentrismo di Teilhard è infatti dinamico perchè l’uomo è parte del divenire delle cose, anzi, è responsabile di questa stessa evoluzione. La centralità dell’uomo che Galileo aveva messo da parte collocando la Terra in orbita intorno al sole, che Darwin sembrava mettere da parte facendo derivare l’uomo dalla scimmia, che Freud sembrava aver messo da parte legando la libertà dell’uomo a pulsioni del suo io più profondo, si recupera attraverso quest’idea: l’uomo non più come centro fisico ma come centro spirituale dell’universo perchè sulla Terra nasce la coscienza riflessa, nasce l’essere pensante, capace di rispondere all’alleanza con Dio. Scrive Teilhard ne Il fenomeno umano: “Il Cristo si ammanta organicamente nella maestà della sua creazione. E, per questo motivo, l’uomo si rivela, senza metafora, capace di subire e di scoprire il suo Dio mediante tutta la lunghezza, tutto lo spessore, tutta la profondità del mondo in movimento. Poter dire letteralmente a Dio che lo si ama, non soltanto con tutto il corpo, con tutto il cuore, con tutta l’anima, ma con tutto l’universo in via di unificazione, ecco una preghiera che si può fare solo nello spazio-tempo”. Teilhard era scienziato esploratore sì, ma gesuita. E quando gli chiesero la sua opinione sulla teoria del peccato originale e sulla perfezione perduta della natura, dopo anni di studi sui fossili e pubblicazioni scientifiche, rispose che il racconto della Bibbia indicava come la sofferenza, il dolore e la morte non entrassero nel mondo in conseguenza del peccato. Esse facevano parte della stoffa stessa dell’universo e bisognava cambiare il modo di vedere il giardino dell’Eden e il progetto di Dio sull’uomo: esiste la sofferenza perchè l’universo non è ordinato fin dall’inizio e la creazione non può avere una perfezione originaria perchè la materia in quanto tale ha sempre delle imperfezioni, delle difficoltà ad organizzarsi. L’ordine appartiene al futuro. Allora il giardino dell’Eden non è un punto di nostalgia, di un passato irreparabilmente alterato e inaccessibile per l’uomo, è invece il punto a cui tendere nel futuro. L’imperfezione della natura è un invito all’uomo per costruire un ordine del futuro cui la libertà della creatura, di ciascuno di noi, è chiamata a tendere. Questo è un aspetto bellissimo della sua teologia. Il Dio non è più l’orologiaio di Newton o il dio di Leibniz, un Dio che, azionato l’orologio dell’evoluzione, si disinteressa delle sorti dell’uomo. Il Dio di Teilhard scommette sulla libertà della creatura, sulla sua possibilità di costruire la Terra e sulla volontà di preparare il suo futuro, proponendogli un’alleanza, una salvezza, una redenzione. (segue) TIZIANO TORRESI
Appunti sul pensiero straordinario di un teologo scienziato
Teilhard de Chardin, evoluzione e fede in dialogo La scorsa settimana ho provato ad appuntare alcune riflessioni sul rapporto tra evoluzionismo ed intelligenza della fede. Oggi vorrei scrivere qualche riga su una straordinaria figura che del dibattito sull’evoluzione è stato protagonista: Teilhard de Chardin (1881-1955), gesuita, teologo, filosofo, paleontologo e mistico, tra i pi. grandi del XX secolo se consideriamo la qualit.à e la quantità. degli scritti che ci ha lasciato. Nonostante la grandezza e lungimiranza delle sue intuizioni, nonostante l’ispirazione che diede al Concilio Vaticano II, il suo pensiero è stato spesso trascurato ed una parte significativa delle lettere e dei diari attende ancora di essere studiata e approfondita. Anche stavolta riconosco che mi è possibile solo brevemente accennare ad alcuni punti del suo pensiero, tanto vasto e complesso. Mi pare che una considerazione profonda si intreccia sin dagli inizi con la sua opera: il mondo moderno va accolto in tutta la sua bontà, con i suoi limiti ma anche con le sue potenzialità. La Chiesa è chiamata a riconciliarsi con il mondo e con la scienza, riteneva Teilhard tanti anni prima del Concilio Vaticano II. Egli, come detto, fu paleontologo e svolse sempre la sua attività. scientifica come un privilegio altissimo attribuito all’uomo, un compito mediante il quale lo scienziato non si limitava ad una descrizione distaccata o disinteressata del mondo, ma si poneva al servizio dell’intera umanità.. Proprio dalla scoperta degli ominidi del Pleistocene, che studi. a lungo nei deserti dell’Asia, capì che occorreva trovare nel presente le linee di sviluppo dell’umanità. Solo l’uomo, non frutto del caso, dell’azzardo, può infatti spiegare la natura delle cose perchè la sua coscienza regge il cosmo: ecco un altro punto importante che il suo pensiero impose nel dibattito furioso tra creazionisti ed evoluzionisti nella prima metà del Novecento. L’evoluzione dell’uomo raccontava per lui una natura che si faceva lentamente più complessa lungo tutta la storia, storia incessante di un muoversi verso – così lui definiva la legge evolutiva. Capì che era possibile constatare un’evoluzione verso forme sempre pi. complesse, e poi, dopo la comparsa della vita, verso forme sempre più dotate di coscienza. Un'altra intuizione straordinaria fu quella di non fissare l’uomo al centro del cosmo: l’antropocentrismo di Teilhard è infatti dinamico perchè l’uomo è parte del divenire delle cose, anzi, è responsabile di questa stessa evoluzione. La centralità dell’uomo che Galileo aveva messo da parte collocando la Terra in orbita intorno al sole, che Darwin sembrava mettere da parte facendo derivare l’uomo dalla scimmia, che Freud sembrava aver messo da parte legando la libertà dell’uomo a pulsioni del suo io più profondo, si recupera attraverso quest’idea: l’uomo non più come centro fisico ma come centro spirituale dell’universo perchè sulla Terra nasce la coscienza riflessa, nasce l’essere pensante, capace di rispondere all’alleanza con Dio. Scrive Teilhard ne Il fenomeno umano: “Il Cristo si ammanta organicamente nella maestà della sua creazione. E, per questo motivo, l’uomo si rivela, senza metafora, capace di subire e di scoprire il suo Dio mediante tutta la lunghezza, tutto lo spessore, tutta la profondità del mondo in movimento. Poter dire letteralmente a Dio che lo si ama, non soltanto con tutto il corpo, con tutto il cuore, con tutta l’anima, ma con tutto l’universo in via di unificazione, ecco una preghiera che si può fare solo nello spazio-tempo”. Teilhard era scienziato esploratore sì, ma gesuita. E quando gli chiesero la sua opinione sulla teoria del peccato originale e sulla perfezione perduta della natura, dopo anni di studi sui fossili e pubblicazioni scientifiche, rispose che il racconto della Bibbia indicava come la sofferenza, il dolore e la morte non entrassero nel mondo in conseguenza del peccato. Esse facevano parte della stoffa stessa dell’universo e bisognava cambiare il modo di vedere il giardino dell’Eden e il progetto di Dio sull’uomo: esiste la sofferenza perchè l’universo non è ordinato fin dall’inizio e la creazione non può avere una perfezione originaria perchè la materia in quanto tale ha sempre delle imperfezioni, delle difficoltà ad organizzarsi. L’ordine appartiene al futuro. Allora il giardino dell’Eden non è un punto di nostalgia, di un passato irreparabilmente alterato e inaccessibile per l’uomo, è invece il punto a cui tendere nel futuro. L’imperfezione della natura è un invito all’uomo per costruire un ordine del futuro cui la libertà della creatura, di ciascuno di noi, è chiamata a tendere. Questo è un aspetto bellissimo della sua teologia. Il Dio non è più l’orologiaio di Newton o il dio di Leibniz, un Dio che, azionato l’orologio dell’evoluzione, si disinteressa delle sorti dell’uomo. Il Dio di Teilhard scommette sulla libertà della creatura, sulla sua possibilità di costruire la Terra e sulla volontà di preparare il suo futuro, proponendogli un’alleanza, una salvezza, una redenzione. (segue) TIZIANO TORRESI