Teilhard de Chardin

Teilhard: rovistando tra vecchi libri


Andando alla ricerca di lavori e studi tra vecchi libri ho trovato questo volume di DONADIO Francesco, Elogio della storicità. Orizzonti ermeneutici ed esperienza credente, Paoline, Milano 1999, 165-172. Il capitolo 4. era dedicato a Teilhard de Chardin. Mi fa piacere riproporvelo e vi auguro buone lettura.Giovanni Fois, Centro di Documentazione Teilhard de Chardin sul futuro dell'Uomo. 4. CRITICA DELLA TENDENZA ESCATOLOGICA A PARTIRE DALL'INCARNAZIONE: P. TEILHARD DE CHARDIN « In che modo colui che crede nel cielo e nella Croce può continuare a credere sinceramente al valore delle proprie occupazioni terrestri?  In che modo, in virtù di quel che c'è in lui di più cristiano, il fedele può andare verso la totalità del suo dovere umano, con la stessa forza come se andasse verso Dio? »19     Con questo interrogativo fondamentale che apre il Milieu divin l'oggetto specifico della nostra ricerca risulta rigorosamente ed efficacemente delineato.  Si tratta di sapere se l'umanizzazione del mondo abbia un valore in sé rispetto al compimento escatologico oppure costituisca soltanto un'impalcatura provvisoria, una materia occasionale rispetto al fatturo assoluto di Dio per il quale soltanto le buone intenzioni hanno un valore positivo.  A questo intreccio problematico si deve legare la tesi programmatica di Teilhard secondo cui « l'attrattiva di un risultato indistruttibile » è essenziale alla costruzione stessa di un'energetica umana.  In tal senso è stato osservato che « l'antropogenesi teilhardiana si sviluppa in una energetica generalizzata capace di integrare in sé un'antropodinamica.  Questa a sua volta sfocia in una filosofia dell'azione e in una escatologia, due aspetti che sono strettamente legati tra loro»20.Il sottofondo intellettuale della ricerca teilhardiana è di natura apologetica: si tratta di restituire al  cristianesimo la forza contagiosa del senso dell'evolutivo illegittimamente monopolizzato dai vari umanitarismi moderni. Per la realizzazione di un tale programma c’è da costruire un neo-antropocentrismo non più di posizione, ma di evoluzione, c'è da ripensare tutta la cristologia in termini di cristogenesi, soprattutto c'è da operare una trasposizione nella dimensione di una cosmogenesi della visione cristiana espressa tradizionalmente in termini di cosmo.  E’ evidente che al fondo di queste preoccupazioni c'è tutto un ricupero di valori acquisiti dalla scienza moderna, in primo luogo il ricupero della fecondità del tempo 21.  Con il passaggio da una concezione meccanicistica e statica dell’Universo a una concezione dinamica ed evolutiva l'idea stessa di evoluzione, di un processo di sviluppo  progressivo «costituisce il solo quadro dimensionale in cui possa orinai funzionare la nostra capacità di pensare, di cercare, di creare »22. «Non ci è possibile considerare il mondo intorno a noi come una costruzione Ne-varietur, artificiosamente montata d'un colpo.  Nello spazio di due o tre secoli, sotto l'effetto convergente di molteplici influenze (tutte legate a un'invasione delle nostre coscienze mediante la storia), l'universo ha cessato di esserci rappresentabile sotto forma di armonia prestabilita, per prendere decisamente l'aspetto di un sistema in movimento: non più un ordine, ma un processo, non più un cosmo, ma una cosmo-genesi»23.  Non si tratta comunque di un processo cosmogenetico che si sviluppi disordinatamente (pseudocosmogenesi), ma di un processo polarizzato secondo certi assi privilegiati e in particolare secondo l'asse principale di complessità-coscienza (eucosmogenesi).  Geosfera, biosfera e noosfera sono le grandi tappe dell'evoluzione  del mondo.  Ma è con l'ominizzazione che l'evoluzione acquista una coscienza riflessa e l'essere umano, asse dell'evoluzione, avverte di non essere semplice « oggetto di conoscenza », ma «chiave di volta» di ogni scienza della natura. L’antropo-centrismo  biblico è in tal modo ribadito e trasposto su un piano più alto: non più nel quadro di una dimensione statica dell'universo, ma in quello di una dimensione dinamica ed evolutiva del cosmo.  Non un antropocentrismo di posizione, ma di movimento.  Al di là della sua portata retrospettiva la legge dell'evoluzione attraverso l'uomo prosegue il suo cammino.  Non una noosfera, quindi, come un tutto statico e immutabile, ma una noogenesi.  L’essere umano, prolungamento attivo di una corrente cosmica, erede di un lavoro antico quanto il mondo e incaricato di trasmettere il capitale accresciuto a tutti quelli che devono venire, è impegnato a spingere sempre più avanti il grande sforzo dell'ominizzazione. Ma « dal momento in cui l'umanità comincia a presentarsi alla nostra esperienza, non più come una condizione raggiunta ma come un'opera da compiere, il cui completamento dipende in ultima analisi dalla nostra ingegnosità e dalla nostra tenacia nel proseguirla, come non vedere che, a partire da questo momento, l'avvenire umano dipende da una forte passione nello sforzo, ben più che da una forte ricchezza in risorse materiali? »24.  In altri termini si tratta di conservare la pressione evolutiva, il «gusto di vivere», cioè una «disposizione psichica, intellettuale ed affettiva insieme, in virtù della quale la vita, il mondo, l'azione ci si presentano, nell'insieme, luminosi, interessanti, salvabili»25.  Questa polarità di fondo - da intendersi non come un semplice fenomeno di euforia - «che muove e dirige l'universo secondo il suo asse principale di complessità-coscienza»26, con l'essere umano acquista, però, anche la possibilità di ripiegarsi su se stessa: con la libertà di accettare o rifiutare l’« energia di evoluzione universale» l'essere umano può mettere in crisi la vita.  L’evoluzione, diventata  criticamente cosciente nell'uomo, deve essere voluta.  Ciò si rende possibile solo a tre condizioni, le quali sono ricavate da una pura analisi del meccanismo psicologico dell'azione riflessiva, cioè da motivi di pura energetica.   La prima condizione è costituita dalla irreversibilità dell'evoluzione.  Perché l'essere umano accetti di spingere in avanti, con gioia e con passione, lo sforzo evolutivo dell'umanità, deve essere certo dell'irreversibilità dell'evoluzione. L’idea di una morte totale, è incompossibile con il meccanismo dell'attività riflessa; la crescita dello spirito, nel suo insieme, deve essere, dunque, tenuta per irreversibile. «Altrimenti detto: in un universo di natura evolutiva, l'esistenza dello spirito esclude, per struttura, la possibilità di una morte in cui sarebbero distrutte totalmente (cioè, più esattamente, in cui non sarebbero più conservate attraverso i loro fiori) le conquiste dello spirito »27.   La seconda condizione è che l'evoluzione, diventata cosciente e quindi irreversibile, «per il raccoglimento e il concentramento di tutte le sue forze e di tutte le sue fibre, da divergente diventa convergente»28.  Teilhard parla di cône du temps 29, metafora destinata a sottolineare l’organicità e la convergenza della noogenesi, e di « trasposizione conica dell'azione»30.  La noogenesi non ha ancora raggiunto il termine della sua evoluzione, la «vetta dell'ominizzazione ». Per poter raggiungere questo «secondo punto critico di riflessione » bisogna avvertire uno «slancio verso qualcosa in avanti », anzi verso un «polo o centro superiore che diriga, sostenga, raccolga l'intero fascio dei nostri sforzi »31.          La terza condizione dell'evoluzione, quella che in ultimo assicura la solidità dell'insieme, è la personalizzazione della convergenza evolutiva.  Questo punto-Omega dell'evoluzione « non può essere conosciuto che come ultra-cosciente, ultratra-personale,  ultra-attuale »32.  Il termine verso cui si dirige il processo dell'ominizzazione deve essere « supremamente personale, supremamente personalizzante », perché « nessun oggetto... può avere la pretesa di totalizzare  su di sé l'energia umana a meno che esso non possieda un anima, non sia "Qualcuno"»33.Al di là, però, di questo punto estremo al quale ci conduce l'analisi fenomenologica dell'azione umana, Teilhard, « utilizzando una sorgente complementare di conoscenza» 34 desunta da una comprensione teologica della realtà, deduce la coincidenza del polo-Omega, postulato dall'antropogenesi, con il polo universale cristico della teologia classica, riscoprendo il realismo cosmico dell'incarnazione espresso da san Paolo e dai padri greci.  Tale corrispondenza e identità fondamentale tra i due poli si manifesterà pienamente nella parusia.  In tal modo la stessa cristogenesi prende il suo significato completo soltanto da una teologia parusiaca nella quale è necessario riconoscere un vero punto nodale della fede cristiana. « In questo avvenimento unico e supremo, in cui ciò che è storico (così ci dice la fede) deve saldarsi con il trascendente, culmina il mistero dell'incarnazione e si afferma con il realismo di una spiegazione fisica dell'universo »35.   La visione teilhardiana della parusia ha per il nostro tema un'importanza fondamentale perché costituisce la «via d'uscita » per salvare la fede nell'opera umana, determinandone il legame genetico che essa presenta con le realtà ultime.  Intanto già la stessa «attesa della Parusia » - che è il titolo con cui si chiude il capitolo finale del Milieu divin esprime l'idea che la storia è maturazione, compimento, non eterno ritorno.  Anche se nel breve arco delle nostre vite individuali non possiamo sperimentare lo spessore e la radicalità dei mutamenti, è certo che «sotto l'involucro banale delle cose, epurato e liberato da tutti i nostri sforzi, nasce  gradatamente la nuova terra »16.  Questo radicale evento finale non è preventivamente determinabile, né può essere pensato in puri termini di catastrofe cosmica.  Non solo perché una tale ipotesi bloccherebbe virtualmente sulla terra ogni movimento spirituale, ma anche perché, collegando la parusia all'ipotesi di una catastrofe cosmica, la si penserebbe « suscettibile di prodursi senza un rapporto preciso con uno stato determinato dell'umanità, in qualsiasi momento della storia»37.  La parusia avverrà, invece, quando «la presenza del Cristo, silenziosamente accresciuta nelle cose, si rivelerà di improvviso; come la folgore, come un incendio, come un diluvio, l'attrazione del Figlio dell'uomo afferrerà, per riunirli e sottometterli al proprio corpo, tutti gli elementi turbinanti dell'universo»38.  Più importante, però, di questa ricapitolazione cosmica come effetto convergente del dono parusiaco della salvezza dell'essere umano, è importante la ripresa che Teilhard fa dell'idea paolina della « pienezza dei tempi » estesa alla seconda venuta del Cristo.  L’irruzione parusiaca si lega per Teilhard a un certo grado di maturazione psichica da parte dell’umanità; esso costituirà quasi il momento sperimentale di applicazione della parusia. «Perché la scintilla parusiaca, per necessità fisica e organica, può scoccare solo tra il cielo e una umanità biologicamente giunta a un certo punto critico evolutivo della maturazione collettiva.  E questo in perfetta analogia con il mistero del primo Natale che ha potuto realizzarsi (e su questo tutti sono d'accordo) solo tra il cielo e la terra pronta socialmente, politicamente e psicologicamente ad accogliere Gesù »39.  Certo, per lo stesso Teilhard « la consumazione collettiva dell'umanità terrestre» costituisce «una condizione preliminare, condizione necessaria ma non sufficiente, per l'istituzione finale, parusiaca, del regno di Dio»40.  La convergenza comica non implica automaticamente l’emergenza cristica,  mentre l'evento parusiaco implica un trapasso qualitativo, un punto di annullamento e di morte, anche se Teilhard concentra la sua attenzione sul rapporto di continuità tra le due fasi.  Wildiers e De Lubac hanno giudicato questa visione teilhardiana della parusia perfettamente coerente con la teologia cattolica e il Rabut ne ha osservato l'affinità con il pensiero tomano circa i rapporti tra natura e grazia 41.  L’insistenza di Teilhard sulla necessità di una corrispondenza - come condizione necessaria, anche se non sufficiente - tra l'orizzontale dello sviluppo psichico dell'umanità e la verticale dell'irruzione divina, non consente certo di speculare sul momento e sulla modalità dell'apparizione parusiaca, ma giustifica e attiva un movimento di attesa come funzione specifica della religiosità ebraico-cristiana.  Non deve trattarsi di un'attesa passiva, ma operativa e "incarnata", capace di «lasciar battere dentro di noi, cristianizzandolo, il cuore stesso dell'umanità »42.  Da questo processo di convergenza simpatetica, dal quale l'impegno umano risulta cristianizzato e la vita cristiana umanizzata, si deduce la « percezione di una connessione più intima tra il trionfo del Cristo e la riuscita dell'opera che lo sforzo umano cerca di edificare su questa terra»43.  Divinizzare non è distruggere, ma supercreare. «Non sappiamo mai tutto quello che l'incarnazione aspetta ancora dalle potenze del mondo »44.  Questa insospettata energetica umana deriva al cristiano dalla consapevolezza che il Cristo mistico continua a formarsi, è in cammino verso la sua piena crescita e che attraverso il suo lavoro l'uomo può concorrere a preparare al pleroma divino un corpo degno di risurrezione.  L’asse di ogni fatica e parabola umana non è costituito da un movimento di interna virtù salvatrice, ma dalla funzione di preparare misteriosamente ciò che sarà salvato, cioè assunto e sollevato nel prolungamento di un'iniziativa divina. « Noi non sappiamo molto in quale proporzione né sotto quale forma le nostre facoltà naturali passeranno nell’atto finale della visione divina. Ma non dubitiamo affatto che quaggiù, aiutati da Dio, noi forgiamo gli occhi e il cuore che attraverso una trasfigurazione finale diventeranno capaci di una vera e personale adorazione»45.  (segue al prossimo post)