Messaggi del 24/07/2008

Il paleontologo della teologia

Post n°24 pubblicato il 24 Luglio 2008 da bioantroponoosfera

L’ascetico quarantacinquenne, che vagava nel 1926 attraverso le foreste di Hong Kong, emanava la compitezza seducente e ricca della vecchia Francia. Districava i bambù con delicato charme aristocratico e pareva ancora il signore della magione dov’era nato in Alvernia. Invece era gesuita, ma senza tonaca alla ricerca di fossili, essendo uno dei più eruditi paleontologi del mondo. Scostato un intreccio di cespugli, si vide davanti lo squallido paesaggio di una foresta bruciata per far posto all’albero della gomma. Chiunque, e forse pure lui che aveva gran bontà nel cuore, ne sarebbe divenuto furioso, o almeno inconsolabile per lo scempio ecologico. E invece proprio quella desolazione a lui pareva la conferma di quanto da tempo aveva inteso nelle sue ricerche: «Stiamo assistendo alla nascita di una nuova zona di vita attorno alla Terra, e sarebbe assurdo rimpiangere la scomparsa d’un antico strato che deve cadere...». Da quella ossessione per i fossili e le pietre che l’aveva posseduto sin da bambino Pierre Teilhard de Chardin aveva dedotto infatti una potente teologia.
Alla sua percezione di mistico, e però anche di scienziato, pareva in atto un convergere della natura e degli Io, straziante solo a obliarne l’esito. Il Cristo dava modo all’umanità di portare a riunione la Terra in superiore coscienza. Mentre l’emanazione della Natura creata si disfaceva, una noosfera umana compiva via via la Terra in un Corpo di Gloria che era il suo fine. L’evoluzione era insomma il complicarsi di tutti i nessi di vita nei quali però poteva riconoscersi una tendenza unitiva, verso il punto Omega: l’Apocalisse che implicava il compimento del fenomeno umano. Estasi, abbraccio conclusivo del Cristo ad Adamo che Teilhard vedeva scritto negli strati fossili come nei destini. In Cristo «la materia... prende coscienza di sé solo in noi».
Questa mistica della materia l’aveva posseduto del resto sin da giovane, quando in devozione a un ritratto del Sacro Cuore, ne aveva visto dissolvere i contorni. Come se «la separazione tra il Cristo e il mondo circostante si fosse trasformata in una fascia vibrante in cui tutti i limiti si confondevano... vi passavano scie fosforescenti, che rivelavano un loro continuo sgorgare di vita fino alle sfere estreme della Materia». Al noviziato presso i gesuiti ad Aix en Provence nel 1899, dodici anni più tardi era seguita l’ordinazione nel Sussex. Giacché gli studenti gesuiti s’erano dovuti esiliare in Inghilterra sotto la Terza Repubblica. Ma nel frattempo aveva applicato tutte le sue altre energie alle scienze naturali. Anche in Egitto dove insegnò dal 1905 per tre anni. E fu in quest’Oriente bevuto avidamente nella sua luce, e nei suoi deserti che sentì di potersi tuffare in Dio per mezzo della Natura. Nel 1912, lavorò al laboratorio di paleontologia del Muséum d’Histoire Naturelle di Parigi e ad Altamira in Spagna. Ma poi arrivò la grande Guerra e Teilhard venne mobilitato come infermiere in un reggimento coloniale. Una medaglia al valore e il cavalierato della Legion d’onore, premiarono il suo coraggio. Dopodiché proseguì gli studi alla Sorbona e prese tre lauree in geologia, botanica e zoologia. Maître de conférence a Parigi, dottore nel 1922, finì a Tien Tsin, dove per due anni partecipò alle massime scoperte paleontologiche di quegli anni. Fu quando nel deserto di Ordos in Mongolia scrisse La Messe sur le Monde. Che riprese poi nelle conferenze che tenne a Parigi agli allievi della scuola Normale e del Politecnico. Gli uditori furono entusiasti, e i testi delle sue conversazioni iniziarono a circolare sotto forma di dattiloscritti. Alcuni teologi di Lovanio gli chiesero però di redigerle. Così nel 1925 scrisse alcune pagine in cui sostiene la necessità di stabilire un accordo tra il dogma del peccato originale e le nuove scoperte della paleontologia. Bastò perché il testo arrivasse a Roma e lui venisse pregato di lasciare la sua cattedra di Parigi per ritornare in Cina.
Eppure era a ben vedere insensato sospettare Teilhard de Chardin di darwinismo. Darwin era stato moderno perché, dicendo d’Adamo che era una scimmia specializzata, aveva fatto divergere dall’uomo la cosmicità divina. Col darwinismo veniva ripudiata ogni sapienza, che permettesse di veder convergere la Terra in un Adamo divino. Teilhard de Chardin invece era importante, perché nella materia riscopriva un movente unitivo, un convergere dell’umano e della Natura: il Cristo era il fine della materia trasmutata dagli uomini, redenta. Per vent’anni in Cina proseguì a studiare nei fossili le onde di questa sua materia sempre meno distinguibile dallo spirito. Notevole una lettera del 1927: «...vedo crescere la possibilità di un’altra ipotesi: che i cinesi cioè siano dei primitivi arrestati, degli “infantili” la cui stoffa antropologica sarebbe inferiore alla nostra... la loro massa emana una insuperabile forza di livellamento e di “dissoluzione”. Tra loro, tutto ciò che tende a elevarsi viene immediatamente riportato a zero. Tutto ciò che vive a lungo in mezzo a loro è psicologicamente sminuito, snervato. Ho una buona mezza dozzina di amici che non sembrano corrispondere a questo modello, saranno forse individui eccezionali, terminali».
Studiò accuratamente la storia dei mammiferi nella Cina del Nord e raccolse le prove che il Sinantropo era un Homo faber che praticava il taglio delle pietre e conosceva il fuoco. Ma era solo una delle scoperte che gli diedero fama e onori. La morte della madre e della sorella, nel 1936, gli diede un dolore più grande di quelli che aveva conosciuto in guerra. Vedeva nelle donne una energia luminosa e casta, portatrice di coraggio, ideali e bontà. Applicò questa cavalleria alle molte con cui corrispose, e si sentì unito. Aveva sessant'anni quando lasciò la Cina che stava per patire l’inizio della dinastia di Mao. Un infarto non gli evitò che a Roma gli rifiutassero la pubblicazione del libro Il Fenomeno Umano. Ma i superiori lo stimavano e la Compagnia di Gesù lo considerava un figlio prediletto. E quanto egli vedeva era già smisuratamente più vasto e maestoso di tutte le inerzie e gli ostacoli. Però dovette lasciare Parigi. Dal 1951, visse negli Stati Uniti, ma recandosi in Sud Africa a indagare giacimenti di Australopitechi. L’Africa è il solo continente che permette una collezione completa dei differenti livelli dell'industria litica. Infine si ritirò presso una Fondazione, a New-York, e si vide libero a sorpresa dalla mente. Il 15 marzo 1954, durante un pranzo al Consolato di Francia, Padre Teilhard confidò ad alcuni parenti: «Desidererei morire il giorno della Resurrezione». Agli inizi del 1955 in una lettera il desiderio era già evoluto a quasi certezza: «Se non ho preso abbagli, chiedo al Signore di morire il giorno di Pasqua». E il 10 aprile 1955, in una splendida giornata, dopo aver assistito alla solenne funzione nella Cattedrale di San Patrizio, Teilhard si recò a un concerto, poi a casa di amici. Colloquiò elegante e mite, e sorseggiando il té crollò per un infarto. Era quel giorno della sua morte appunto una domenica di Pasqua.

Geminello Alvi

(da Il Giornale 12 agosto 2007)


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RIFLESSIONI TEILHARDIANE

"  La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto.  Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori?  Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva.  E' una distinzione illusoria.  La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente,  la Verità "   

                                                                                                                                                          

 

" Senza che si possa dire per ora in quali termini esatti, ma senza che vanga perduto un solo frammento del dato, sia rivelato che definitivamente dimostrato, sul problema scottante delle origini umane, l'accordo si farà senza sforzo, a poco a poco, tra la Scienza e il Dogma.  Intanto, evitiamo di respingere anche il minimo raggio di luce, sia da una parte che dall'altra.  La fede ha bisogno di tutta la verità". (da Les Hommes fossiles, marzo 1921) 
 
" Inventariare tutto, provare tutto, capire tutto. Ciò che è in alto, più lontano di quanto è respirabile, e  ciò che è in basso, più profondo della luce.  Ciò che si perde nelle distanze siderali, e ciò che si dissimula sotto gli elementi... Il sole si alza in avanti... Il Passato è una cosa superata...  La sola scoperta degna dei nostri sforzi è come costruire l'Avvenire". (La découverte du passé, 5 settembre 1935)
 

"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.

Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno...  Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)

 
"  Chiniamoci dunque con rispetto sotto il soffio che gonfia i nostri cuori per le ansie e le gioie di "tutto tentare e di tutto trovare".  L'onda  che sentiamo passare non si è formata in noi stessi.  Essa giunge a noi da molto lontano, partita contemporaneamente alla luce delle prime stelle.  Essa ci raggiunge dopo aver creato tutto lungo il suo cammino.  Lo spirito di ricerca e di conquista è l'anima permanente dell'Evoluzione" (Il Fenomeno Umano 1940)
 

" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando...  E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto...  Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro.  Manovra impossibile e fatale.  La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide.  Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936) 

 
" L'Energia diventa Presenza...  Sembrerebbe che un solo  raggio di una tale luce, cadendo come una scintilla in qualsiasi punto della Noosfera, dovesse provocare un'esplosione abbastanza forte da incendiare e rinnovare quasi di colpo la faccia della Terra. Allora, come è possibile che, guardando attorno a me, è ancora tutto inebriato di ciò che mi è apparso, io mi trovi pressochè solo della mia specie?  Solo ad aver "visto"?...  Incapace, quindi, quando me lo si chiede, di citare un solo autore, un solo testo, in cui si riconosca, chiaramente espressa, la meravigliosa "Diafania" che, per il mio sguardo, ha trasfigurato tutto ?"  (Le Christique, marzo 1955) 
 
....IN QUESTA APERTURA VERSO QUALCHE COSA CHE SFUGGE ALLA MORTE TOTALE, L'EVOLUZIONE E' LA MANO DI DIO CHE CI RICONDUCE A  LUI . ( La Biologie, poussee à fond,peut-elle nous  conduire à èmerger dans le transcendant?  Maggio 1951)
 

Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio.  "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)

 

" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.

Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.

Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?

Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)

 

" Nel Cuore della Materia.

   Un Cuore del  Mondo,

    Il Cuore d' un Dio"

        (da Le  Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)

 
" Nella peggiore delle ipotesi, se ogni possibilità futura di parlare e di scrivere si chiudesse davanti a me, mi rimarrebbe, con l'aiuto di Gesù, quella di compiere questo gesto, affermazione e somma testimonianza della mia fede: scomparire,m inabissarmi in uno spirito di Suprema Comunione con le forze  cristiche  dell'Evoluzione  (da Note di esercizi spirituali, 22 ottobre 1945) 
 
 
 

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