Teilhard de Chardin
Incontro con Teilhard de Chardin attraverso varie testimonianzeMessaggi del 14/11/2008
Teilhard de Chardin e la Grande Guerra (1914 - 1918)
Ricorre in questi giorni, in Francia, la rievocazione della furiosa battaglia di Verdun un cui l’esercito alleato (francesi, inglesi, americani, australiani e migliaia di truppe “coloniali”) sconfisse definitivamente l’esercito tedesco, decretando di fatto la fine della Grande Guerra.
Pierre Teilhard de Chardin , giovane seminarista venne richiamato alle armi nel nel 1914 ed assegnato come infermiere alle 13° sezione di fanteria. Partì per ìl 20 gennaio 1915 per il fronte come portaferiti di II classe assegnato all’8° reggimento di fucilieri marocchini ( che si trasformò, il 25 giugno 1915, nel 4° reggimento di zuavi e fucilieri marocchini ). Venne promosso caporale nel maggio del 1915..
Prima di fare qualche riflessione su Teilhard “soldato” vorrei informarvi sui meriti e sulle citazioni che il padre gesuita ottenne negli anni della guerra.
Citazioni al merito guadagnate sui campi di battaglia
Teilhard de Chardin, non si tirò mai indietro nelle azioni di guerra per andare a recuperare feriti e morti e riportarli nelle trincee. Vorrei sottolineare che come portaferiti Egli non aveva armi, anzi aveva le armi di un testimone di Dio: coraggio, altruismo, dedizione per gli altri, fede e due mani per pregare, benedire, dare quel sollievo che nell’inferno delle trincee, in mezzo al fango e alle granate, dava pace a quei poveri esseri martoriati che riempivano le trincee.
E per questo si guadagnò le citazioni che seguono:
25 Agosto 1915 - Citato all’ordine del giorno della Divisione
“ Trasferito a sua richiesta, dall’infermeria in prima linea, dava prova di altissimo
spirito di sacrificio e di assoluto sprezzo del pericolo”
17 settembre 1916- Citato all’ordine del giorno dell’Esercito
“Esempio di coraggio e di sangue freddo: Dal 15 al 19 agosto ha diretto squadre di portaferiti su un terreno sconvolto dall’artiglieria e battuto dalle mitragliatrici. Il 18 agosto si spingeva fino a venti metri dalle linee nemiche per raggiungere un ufficiale caduto e riportarlo nelle nostre trincee”
20 giugno 1917 – Medaglia militare
“Ottimo graduato. Per l’elevatezza dell’animo si è meritato la fiducia e il rispetto di tutti. Il 20 maggio 1917 raggiungeva una trincea battuta da un violentissimo fuoco d’artiglieria per raccogliervi un ferito”
21 maggio 1921 – Su proposta del suo reggimento, è nominato cavaliere della Legion d’Onore
“Portaferiti d’eccezione, partecipava in quattro anni di campagna a tuttele battaglie e a tutti i8 combattimenti del reggimento, richiedendo di restare fra la truppa per essere più vicino ai suoi uomini di cui condivideva fatiche e pericoli”
Gli anni della guerra 1914 – 1918
Sono questi gli anni che ebbero un’eco profondo sulla sua esistenza e che sicuramente furono decisivi per lo svolgersi della sua vita. Egli scrisse più volte che furono quegli anni a rivelargli la sua personalità e ad accelerare il suo sviluppo spirituale; furono quegli anni che accrebbero inconsapevolmente la sua coscienza temprando il suo carattere e dando l’avvio al suo grandioso pensiero.
Nella presentazione al volume “Genesi di un pensiero- Lettere dal fronte (1914-1919) Marguerite Teilhard (che si firmava in arte Claude Aragonnes), cugina del gesuita, così scriveva:
“Convinto, come tanti altri, in quella mischia che confuse ogni specie d’uomini di diverse razze, condizioni, mentalità; messo di fronte alle più terribili realtà della vita e della morte, da quelle più basse e atroci, alle più eroiche e sovrumane; partecipe, fino all’estremo spasimo, allo sforzo di questa generazione gettata nel crogiuolo, ne uscì trasformato in un altro uomo, un uomo nuovo pronto a battersi con coraggio morale (quello più difficile) per conquistare la verità, per difendere il suo pensiero e per compiere la singolare missione a cui si sentì chiamato in quegli anni così duri e, per lui, così fecondi.” (Genesi di un pensiero- Lettere dal fronte 1914-1919 – Editore Feltrinelli pag. 22)
“ Amava la vita, amava la sua vita, che gli si presentava sotto il segno di una duplice vocazione: Dio lo chiamava a servire in una promettente carriera scientifica dove le sue attitudini e i suoi doni sarebbero stati pienamente utilizzati “ per una sempre maggiore gloria di dio”” (cit. pag. 23)
“Ora bisognava abbandonare le proprie abituali occupazioni; la guerra, importuna, ma si sperava, breve, (…) sarebbe stata solo una parentesi che per un certo tempo avrebbe distolto lui come gli altri dal suo cammino. “Come gli altri…” Questo fu il suo motto per tutto il periodo di guerra, quattro anni combattuti con il grado più basso, quello di caporale.
Numerosi amici gesuiti erano stati mobilitati e molti erano già caduti. Ecco, ora veniva il suo turno, ed era giusto che fosse così. Egli temeva soltanto di dovere perdere tempo in caserma. Il fronte l’attirava, perché almeno lì avrebbe agito. Era profondamente convinto, e si sarebbe ancor più rafforzato in questa convinzione, che i fatti della vita andavano sempre accolti con ottimismo. Del resto la guerra aveva per lui un certo sapore d’avventura, un gusto giovanile che non perderà mai. Un giorno, maturato dalle circostanze e dalla meditazione, avrebbe concluso che ogni avvenimento va accettato come possibile apportatore di rivelazione, qualunque cosa riservi il futuro immediato, sia pure la morte, il massimo mistero della vita.
E pensava che, ormai, Dio l’aspettava là . " (cit. pag. 24)
Tutti noi, anche i più giovani, parlando della guerra, ricordiamo la seconda guerra mondiale, ancora così presente negli scritti e nella memoria collettiva. Ma quel che successe nella Grande Guerra vive orami soltanto nel ricordo di quanti ebbero la fortuna, salvandosi, di testimoniare anche per iscritto gli orrori, i sacrifici, l’eroismo, la morte di milioni di persone, soldati e non.
I pochi uomini politici, i governanti dell’epoca che dovevano decidere si buttarono a capofitto nell’abisso di quella guerra quasi fosse una passeggiata scandalosamente allegra.
(segue)
Giovanni FOIS
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" La verità non è asltro che las coerenza totale dell'Universo in rapporto ad ogni suo punto. Perchè dovremmo mai avere in sospetto o sottovalutare tale coerenza, per il solo fatto che siamo noi stessi gli osservatori? Si continua ad opporre una certa illusione antropocentrica a una certa realtà obiettiva. E' una distinzione illusoria. La verità dell'Uomo è la verità dell'Universo per l'Uomo, cioè sempliceemente, la Verità "
"...Si potrebbe dire che oggi, come ai tempi di Galileo, ciò che più occorre per percepire la Convergenza dell'Universo, non è tanto la scoperta di fatti nuovi (ne siamo accerchiati, da restarne accecati) quanto un modo nuovo di guardare e accettare i fatti.
Un nuovo modo di vedere, connesso con un nuovo modo di agire: ecco ciò di cui abbiamo bisogno... Dobbiamo prendere posizione e metterci all'opera, presto-subito " (La Convergence de l'Univers,23 luglio 1951)
" ...Sento, come chiunque altro, quanto sia grave per l'Umanità il momento che stiamo attraversando... E tuttavia un istinto, che si è sviluppato al contatto con il grande Passato della Vita, mi dice che la salvezza per noi è nella direzione stessa del pericolo che ci spaventa tanto... Come viaggiatori presi nel flusso di una corrente, vorremmo tornare indietro. Manovra impossibile e fatale. La nostra salvezza è più in là, oltre le rapide. Nessun ripiegamento. Ma una mano sicura al timone, e una buona bussola..." ( Esquisse d'un Universe personnel, 4 maggio 1936)
Di colui che pronuncerà queste parole nell'Aeropago, ci si burlerà come d'un sognatore e lo si condannerà. "Il senso comune lo vede, e la scienza lo verifica: nulla si muove", dirà un primo Saggio. "La filosofia lo decide: nulla può muoversi", dirà un secondo Saggio. "La religione lo proibisce: nulla si muova", dirà un terzo Saggio. Trascurando questo triplice verdetto, "colui che ha visto" lascerà la piazza pubblica, e tornerà nel seno della Natura ferma e profonda. Là, immergendo lo sguardo nell'immensa ramificazione che lo sorregge e i cui rami si perdono molto lontano al di sotto di lui, in mezzo all'oscuro Passato, egli colmerà ancora una volta la sua anima della contemplazione e del sentimento d'un moto unanime e ostinato, inscritto nella successione degli strati morti e nella distribuzione attuale di tutti i viventi. -Volgendo allora lo sguardo al di sopra di lui, verso gli spazi preparati per le nuove creazioni, egli si consacreà corpo e ed anima, con fede rinsaldata, a un Progresso che trascina e spazza via persino coloro che non ne vogliono sapere. E, con tutto il suo essre fremente di ardonre religioso, lascerà salire alle proprie labbra, verso il Cristo già risorto ma ancora imprevedibilmente grande, questa invocazione, sommo omaggio di fede e d'adorazione: "Deo ignoto" [Al Dio ignoto] (L'avenir de l'homme, note sur le Progrès, 10 agosto 1920, Le Seuil, pp. 35-37)
" Adesso che, attraverso tutte le vie dell'esperienza, l'Universo comincia a crescere fantasticamente ai nostri occhi è ceramente giunta l'ora per il Cristianesimo di destarsi ad una consapevolezza precisa di ciò che il dogma dell'Universalità di Cristo, trasposto in quelle nuove dimensioni, suscita di speranze pur sollevando al tempo stesso certe difficoltà.
Speranze, certo, poichè, se il Mondo diventa così formidabilemte vasto e potente, vuol dire che il Cristo è ancor ben più grande di quanto noi pensassimo.
Ma le difficoltà, poichè, alla fin fine, come concepire che il Cristo s'"immensifichi" secondo le esigenze del nostro nuovo Spazio-Tempo senza simultaneamente, perdere la sua personalità adorabile e, in qualche modo, volatilizzarsi?
Ed è qui che risplende la stupenda e liberatrice armonia tra una religione di tipo cristico e un'Evoluzione di tipo convergente (Le Cristique, 1955)
" Nel Cuore della Materia.
Un Cuore del Mondo,
Il Cuore d' un Dio"
(da Le Coeur de laMatiere, 30 ottobre 1950)