Impressioni australi

Aussie poenta e osei, e il secondo ombrello perso


Un gratta-calli, un compressore, e il cd di tale celeberrimo (a quanto pare) Helmut Lotti (sic) sono alcuni dei prodotti maggiormanete pubblicizati nella televisione australia, che una guida turistica (ma ho smesso da tempo di credere nelle guide turistiche come in Babbo Natale e nell'Immacolata Concezione) non esita a definire di qualità. Non è per nulla di qualità la televisione australiana. Trasmette ogni sorta di sport, ad ogni ora (dal cricket, ovviamente, a corse d'auto, a partite di bowling), e i programmi, le fiction e gli spot sono più o meno al livello dei video che (fatte le dovute proporzioni) giravamo ingloriosamente ma con indomita passione io e il mio collega qualche anno fa. Suddetta guida descrive anche Melbourne come città ricca d'atmosfera ed europea. Sydney è invece più europea di Melbourne, la quale non è altro che un conglomerato anonimo di palazzi, priva di qualunque atmosfera, e con sobborghi tutti più o meno, desolatamente, uguali - mi pare di averlo già detto ma repetita iuvant. Dopo un mese non esito a dire che vale la pena di essere visitata per un paio di cose: il Bennet's Lane e la National Gallery del Victoria. Il Bennet's Lane è un jazz club che si trova in un vicolo, è grande più o meno come un soggiorno, è una sola stanza col bancone del bar, quattro tavoli e cinque sgabelli, che puzza ancora di fumo anche se dentro non ci fumano più da anni, dove suonano del jazz tutto sommato decente. La National Gallery (del Victoria, nulla a che vedere con la sacrosanta londinese) è un palazzo moderno che contiene opere se non di spessore quanto meno piacevoli, come, oltre ad alcuni dipinti europei e americani (ci dev'essere qualche Picasso, un Rothko, e qualcos'altro che ora mi sfugge), dei mobili di design viennese di inizio novecento che hanno destato la meraviglia di una signora al mio fianco, alla quale ho sorriso in risposta al suo tentativo di coinvolgermi nel suo mal rivolto stupore nei confronti di un orologio a pendolo. A Sydney, invece, nel museo cittadino, ci sono opere del rinascimento italiano che credo siano state vendute al governo australiano da Elefante Telemarketing, perché comprendono autori quali (copio e incollo da internet) Jacopo Amigoni, Domenico Beccafumi, Andrea Boscoli, Andrea Andreani, Federico Barocci, Francesco Bartolozzi (e credo qualche Staccolanana), che nei miei superficiali studi di arte, francamente, devono essermi passati inosservati. "A chi vendiamo 'ste croste, dotto'?", "Vedi un po' se le vonno li 'straliani, tanto quelli se pijeno de tutto, si no le buttamo ar cesso o le damo ar gatto".A proposito di Italia, ho realizzato che una cosa la si ama o la si odia se la si conosce o molto bene oppure molto poco. Io odio l'Italia (o meglio, alcuni aspetti dell'Italia) perché la conosco, gli australiani la amano perché la conoscono solo superficialmente, come si ama un'opera quando la si conosce a fondo, oppure un paese se ci si è stati solo mezza giornata. In un bar di Sydney un tizio israeliano mi ha detto di non aver mai conosciuto suo padre ma di essere sicuro fosse italiano in quanto amava a tal punto l'Italia da averla nel sangue, geneticamente. Un ragazzo pakistano mi ha detto allo stesso modo di adorare l'Italia, e che alcuni lo scambiano per italiano. Quando mi ha chiesto se poteva essere scambiato effettivamente per italiano ho risposto diplomaticamente, che sì, beh, aveva i capelli neri, dopo tutto. Ma non so se Calderoli sarebbe disposto ad avvellare questa mia affermazione su tali povere basi. Provi comunque il ragazzo pakistano a venire in Italia, ho pensato, e vedrà, conoscendo Calderoli e compagnia, quanto sarà bella.Questo è un sabato qualunque, un sabato italiano, il peggio sembra essere passato. Solitamente si sfruttano le persone che non hanno alternative. C'è chi prende le ragazze dell'est e le piazza sulla statale di notte, chi porta su un barcone delle persone come fossero animali e li spiaggia (quelli che sopravvivono) sulle coste, e con pari dignità ci sono i ristoratori italiani nel mondo che assumono come camarieri e laviapiatti quelli che non sanno dove sbattere la testa. Due cose volevo evitare hic et nunc, ed entrambe stavano per succedere oggi. Prima di tutto volevo evitare di telefonare a un vecchio amico di mio nonno che è qui da dopo la guerra per chiedergli lavoro, per non dovermi trovare nella sgradevole situazione di rifiutarlo nel momento in cui mi avesse offerto qualcosa che non mi aggradava. Infatti l'ho chiamato l'altro giorno e mi ha fissato un incontro per ieri sera a un club italiano per farmi conoscere il manager che mi avrebbe dato un lavoro come cameriere. Al telefono non ho aggiunto nulla per qualche secondo, sono stato immobile con la cornetta in mano, pensando di dovermi attrezzare con qualche colonna sonora dei cartoni animati per momenti come questo (Uhauhauhauaaa). Ed ecco la seconda cosa che volevo evitare come la peste: lavorare per italiani. Veneti per lo più. Fuggo a nove fusi orari di distanza, e me li ritrovo tra i piedi? Ma com'è possibile? In un ristorante italiano ti sfruttano, mi hanno detto dei tizi conosciuti qui, e in più non impari niente perché continui a parlare italiano. Veneto, per la precisione. Così mi sono trovato in questo club, molto anni settanta, con facce antropologicamente note, odore di dopo barba da supermercato, pance rotonde sotto a vecchie polo a righe orizzontali. Incontrato l'amico di mio nonno, gli spiego che da dove sto io arrivare fin lì è obiettivamente un problema, mi ci vuole un'ora di autobus, e inoltre non ci sono mezzi per tornare la sera, di sabato e domenica. Ammette che è un problema, e mi dice che ho scelto un pessimo posto dove vivere, e io bofonchio di aver trovato dove ho potuto, mica sapevo dove avrei lavorato. Indubbiamente è gentilissimo, mi offre la cena, un vero signore, su questo seriamente nulla da dire, io tendo sempre a smontare le cose. In breve mi trovo a un tavolo invischiato in conversazioni degne da osteria di provincia sulla politica italiana e australiana, con un signore che sostiene che l'attuale premier italiano sia la migliore persona d'Italia, al che io sorrido alla battuta esilarante, prima di rabbrividire rendendomi conto che una battuta non è, e quando viene chiesta la mia opinione mi sfogo liberamente senza mezzi termini lasciando da parte solo le blasfemie. In un attimo piombo in un bar della bassa padana, mancano solo le carte da briscola e qualche cappello da alpino, tra discussioni mezze in dialetto veneto e mezze in inglese da immigrati, e in quel momento comunico che per me si è fatto tardi, molto tardi.Lasciato il locale, l'amico di mio nonno mi riaccompagna a casa invitandomi a tenerlo informato, e mi accorgo di aver dimenticato l'ombrello, il secondo che perdo in un mese. Ora che mi sono giocato anche questa carta e non ho concluso nulla, mi chiedo cosa posso fare. Immagino comunque che quando arriverò all'aeroporto per ripartire, sia fra un anno o fra un'ora, mi sfogherò come il personaggio di Verdone che viene a votare di ritorno dalla Germania ed elenca tutte le sue sfighe. Se non altro, tornato nella casa dove sono in affitto, trovo un amico del mio compagno d'appartamento slovacco che mi offre da bere del fernet e acqua tonica, e ci troviamo per tre ore a parlare di opera lirica, anfetamine e arte moderna.Se manca l'acqua usate Duemiladucentodiciotto, Giraldi editore, il romanzo del mio oste Davide De Lucca.