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Canguri, Koala, Wombat, Pinguini, Calamari, e Marxisti

Post n°8 pubblicato il 16 Novembre 2008 da garfield007

Premessa. Una decina di giorni fa, quando mi sono presentato all'appuntamento col mio attuale padrone di casa, sono arrivato leggermente in ritardo e l'ho fatto aspettare. L'ho contattato appena sceso dal treno, mi ha chiesto dove mi trovassi, e gli ho spiegato di essere in una strada di ristoranti. Così mi ha detto di prendere un caffé ed aspettarlo a uno di questi. Mi ha chiesto quale fosse il più vicino, o almeno un riferimento tra quelli che vedevo. Essendo circondato da insegne per me illeggibili in cinese, coreano e giapponese, l'unica comprensibile per me era una sola: "La porchetta". Così sono entrato in questo ristorante italiano, ho ordinato un caffé, e non potendo resistere a una torta al cioccolato, ho ordinato una fetta anche di quella. Quando il mio attuale padrone di casa mi ha telefonato dicendomi di essere arrivato e di uscire, io ero neanche a metà dell'enorme fetta di torta, ho temporeggiato, assicurandogli che l'avrei raggiunto entro cinque minuti, e ho terminato di mangiare. Sono uscito dopo dieci minuti con la bocca sporca di cioccolato, lamentandomi che non c'era nessuno alla cassa per pagare il caffé.

Ora è domenica mattina. Sto ascoltando una radio locale, il programma di musica classica (in pratica la Radio tre di Melbourne). Tempo tutto sommato buono e fresco. Dopo i tre giorni di caldo atroce, questi ultimi sono stati piacevoli.

Essendo praticamente disoccupato, ieri mi sono improvvisato turista tradizionale anziano nipponico e ho acquistato un pacchetto per un daily tour nella zona: visita a fattoria locale, e a Philip Island (quella dei pinguini, che verso le otto e trenta di sera approdano in spiaggia per dormire). Alla stazione di Flinders Street c'era una manifestazione dei Socialisti Alternativi di Melbourne. Ho acquistato la loro rivista dall'eloquente titolo: "Marx was right: capitalism doesn't work", e ho scambiato due chiacchiere con uno di loro. Sulla situazione italiana, e quindi su Gigetto (lo chiamo così, come fa Paolo Rossi). Mi fa notare che qui sono giunte le voci su un certo razzismo da parte dell'attuale governo italiano e sulle intenzioni di prendere le impronte ai rom. Io prendo le doverose distanze. Mi chiedono se voglio unirmi alla marcia del giorno; ringrazio, magari la prossima volta, e mi avvio a prendere la mia borghese corriera per il mio tour capitalista.

Prima tappa, una fattoria del Victoria con visita ad animali tipici. I giapponesi scattavano foto alle galline. Era possibile nutrire le povere bestiole, e un ragazzo orientale coi capelli arancioni, ridendo di gusto, ha versato sulla testa di un Wombat un intero bicchiere di carta di mangime. Il Wombat è un placido, pigro e sgraziato animale piccolo ma tozzo (che, stando al cartello, può diventare aggressivo), simile a un maialino peloso. Mi sarebbe piaciuto aver chiuso il giapponese nella gabbia con lui. C'erano delle comuni oche, anatre, struzzi, e gli immancabili canguri, che, per resistere alle foto dei turisti e alla loro invasione, credo fossero drogati o imbottiti di oppiacei, visti gli occhi dilatati e l'espressione catatonica. Mi sono azzardato ad accarezzarne uno, ma appena si è mosso sono fuggito. Ho poi accarezzato una pecora, con la sensazione di toccare la coperta in lana merinos di mia nonna, mentre una sua simile a tradimento mi leccava l'altra mano convinta nascondessi del mangime come gli altri turisti. Prima che la corriera ripartisse mi sono concesso un gelato. Ma mi sono attardato. Tanto che tutti erano già risaliti a bordo, e io mi sono presentato placidamente col mio cono e la bocca sporca.

Attraversate lande isolate e lievemente desolanti con paesi composti da una strada con la posta e un supermercato, siamo approdati a una riserva di Koala. Le bestiole stanno appollaiate come scimme sugli alberi incuranti delle decine di imbecille che li stanno a guardare sulla passarella sottostante e scattano fotografie.

Philip Island. Quella dei pinguini e del circuito. Sull'unica strada che compone il centro, mi fermo in un ristorantino, e, dato che ho poco tempo, ordino il piatto più veloce stando a quanto mi assicura la cameriera: calamari. A metà del piatto guardo l'orologio e mi accorgo che sono le sei e venticinque. La mia corriera ripartiva alla sei e trenta. Questo può essere un problema, penso. Così mi ripresento nuovamente in ritardo, coi calamari e le patate fritte ancora in bocca, e risalgo di corsa.

La parata dei pinguini ha francamente del ridicolo. Alla faccia del rispetto della natura australiana, ci sono delle gradinate da stadio coi fari sulla spiaggia, e la gente sta in attesa di vedere queste bestiole arrivare in spiaggia. L'atmosfera è decisamente esigitata: turisti che si alzano in piedi gridando alla vista di un gruppo di pinguini, e poi corrono per vederli il più vicino possibile nella zona dove i pinguini hanno le tane per dormire. Il divieto di scattare fotografie per non spaventare gli animali viene puntualmente ignorato. Un cartello nel parcheggio raccomanda di prestare attenzione prima di ripartire, qualche pinguino potrebbe trovarsi sotto le auto. Il centro turistico coi souvenir è grande quasi come l'intera spiaggia.

Viaggiare in corriera in Australia, almeno per me, non è soporifero e rilassante come in Svezia o Norvegia, dove mi facevo lunghe e distensive dormite circondato da boschi lungo strade scorrevoli. Qui non ho chiuso occhio.

In caso di incendio, acquistate il romanzo di mio fratello (che è figlio unico) Davide De Lucca, Duemiladuecentodiciotto, Giraldi Editore.

 
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