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Due punto zero: e se Internet cambiasse?


Il famigerato web 2.0 esiste davvero? Diverse opinioni si scontrano senza tregua. Proviamo ad individuare i principali temi del mutamento, dalla semantica alla separazione tra grafica e contenuti, dal superamento del soggetto in favore dell’oggetto, dai web services allo scontro epocale tra qualità e quantità. Opportunità mai viste nella storia nell’uomo possono trasformare chiunque in cineasta, enciclopedico, giornalista, fotografo. In Italia se ne è accorto qualcuno? Tutti gli addetti ai lavori parlano di web 2.0: è solo una terminologia alla moda, un make-up della rete oppure stiamo assistendo a cambiamenti profondi? Possiamo già osservare alcuni mutamenti in atto, alcuni dei quali permessi dalla diffusione della banda larga (che è comunque un privilegio di parte degli abitanti del pianeta), altri dipendenti da un modo diverso di pensare e scrivere il web. Le novità possono essere divise in questi punti: · nascita del web semantico · separazione netta tra grafica e contenuti · passaggio dal soggetto all’oggetto · diffusione dei web services · scontro tra qualità e quantità. Per web semantico si intende una scrittura delle pagine web che permetta con facilità estrema la reperibilità delle informazioni. Al momento io scrivo un articolo, ed un motore di ricerca deve individuare le parole chiave richieste all’interno di questo testo. E’ quindi fondamentale associare al testo un altro file, contenente una serie di metadati (tags) scritti secondo una grammatica fatta di regole condivise. E’ proprio la scrittura di questa comune grammatica l’ostacolo principale. Al momento – e solo per il giornalismo - è molto diffuso un criterio semplice, che divide le notizie in titolo, testo, link, categoria. Se si definisse un dizionario condiviso per ogni settore, dalla farmacia al turismo, sarebbe facilissimo scambiarsi informazioni e risulterebbe pressoché superato il metodo di ricerca con le parole chiave da inserire in un modulo. E’ fondamentale realizzare la divisione tra grafica (formattazione) e contenuto (testo). Una pagina web sarebbe così divisa in tre file: testo (xhtml), file dei metadati (xml) e file della formattazione (css). Il primo contiene il testo e poco altro, il secondo tutti gli elementi che consentano la facile reperibilità del contenuto (ad esempio: di cosa si parla, in quale settore, in quale lingua, quali gli argomenti trattati, chi è l’autore, quale la sua posta elettronica, e così via…) e l’interscambio delle informazioni, il terzo file contiene tutte le informazioni che riguardano la grafica. Solo l’informatica permette questa divisione, finora impossibile (se stampo un giornale, formattazione e contenuto non solo sono indivisibili sulla carta stampata, ma vengono automaticamente associate l’una con l’altro dal lettore). Conseguenza diretta di questa separazione è il passaggio di importanza dal soggetto all’oggetto. E’ una svolta epocale, dalle conseguenze ancora difficili da comprendere, forse la vera grande conquista del web 2.0. Finora conoscevamo il post del mio sito, l’articolo di Repubblica.it e quello della CNN, l’editoriale del New York Times on line. Li conoscevamo in questi termini perché li andavamo a leggere sui rispettivi siti, che a loro volta erano identificabili attraverso una serie di elementi puramente grafici, dal set dei colori alla font dei caratteri. Oggi io posso già leggere un articolo di repubblica.it su un qualsiasi aggregatore html (come Google News) o RSS, ed insieme a quello leggo tanti altri articoli. Conta quindi il contenuto (l’oggetto) e non il soggetto (la testata), che tende a diventare sempre meno importante. Conta quindi la reputazione su internet, che si costruisce tramite la capacità di essere presente sui luoghi che contano in rete (da Google a Delicious, per fare degli esempi) o dalle preferenze degli utenti, che creano quella moderna forma di passaparola che prende il nome di network sociale e virtualmente associa un punteggio ad ogni oggetto. Un giornalista di avanzata età, cresciuto con l’ordine professionale, la tessera, il direttore responsabile, si trova spaesato in un mondo dove chiunque, anche un non professionista, può avere molti (o moltissimi) più lettori di lui purché abbia qualcosa di interessante da dire e la capacità/volontà di farlo. I blog non sono più dei semplici diari on line ma software sempre più sofisticati capaci di comunicare con gli aggregatori e tra loro stessi, scambiandosi elementi e creando un nuovo modo di fare informazione. Cambia anche il modo di fare comunicazione alternativa, ed in fondo diventa tutto più facile. Conta la capacità di aggregare gli oggetti di informazione e di proporli ad un pubblico sempre più vasto, anche attraverso i dispositivi mobili. In poche parole, se mi mettono tra le mani un aggregatore RSS, ho per esempio le notizie fornite dal Corriere della Sera e quelle fornite da ilsitoalternativo.it. Oggi scelgo le prime perché mi fido di più della testata che conosco, domani sceglierò semplicemente le notizie più interessanti. Altro punto fondamentale è la diffusione dei web services, cioè la capacità delle piattaforme web di comunicare tra loro, facendo domande ed ottenendo risposte. Se voglio aggregare una serie di servizi sul mio sito, non ho più bisogno di installarli fisicamente su un’unica macchina, ma posso utilizzare servizi distribuiti diffusi potenzialmente su tutto il globo. Le potenzialità sono enormi, dal turismo alla medicina al giornalismo fino ai servizi pubblici. I web services sono strettamente legati ad una semantica che permetta di individuare con precisione l’informazione desiderata. Ultimo punto, lo scontro tra quantità e qualità che si svolge parallelo a quello tra soggetto ed oggetto. Tre esempi: Wikipedia, Flickr e YouTube. Abbiamo una enciclopedia libera che cresce con i contribuiti aperti dei collaboratori volontari, potenzialmente tutti gli utenti del web. Wikipedia ha ottenuto grandi elogi e feroci critiche, tutte incentrate sulla qualità dei contenuti (nessuno ha avuto nulla da dire sulla quantità dei contribuiti). Su Wikipedia si sono scatenate lotte sui temi politici e su quelli d’attualità, a colpi di post successivi e non autorizzati, e si sono moltiplicate le richieste di un controllo a monte sugli interventi. Discorso simile per i contenitori di video on line. La crescente capacità degli hard disk permette ad alcuni fornitori di servizi di ospitare in maniera illimitata i filmati degli utenti. Flickr fa la stessa cosa per le fotografie. Su Google Video oggi è possibile trovare clip scadenti fatti da adolescenti nella cameretta così come film indipendenti che hanno scoperto all’improvviso un canale distributivo insperato, gratuito e potentissimo. Coloro che erano abituati al controllo alla fonte, a decidere cosa si deve vedere, leggere, ascoltare e cosa no, si trovano spiazzati ed agitano la bandiera della qualità, piangendo su notizie che non hanno fonti, fotografie scattate da amatori, filmati di teen ager brufolosi, mp3 che non pagano la SIAE, voci d’enciclopedia non compilate da accademici e tutto ciò che pur venendo prodotto da “abusivi” si trova con piena cittadinanza accanto ad autori con la patente. Un oceano delle opportunità che lascia perplessi, entusiasti, timidi, euforici. Se questo è il web 2.0, non è roba per chi ama le vie di mezzo. Sono possibilità che ancora non sono state imbrigliate da multinazionali e governi. Ma per quanto tempo ancora?Scritto da : sunking77