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Questa penna su questa carta.Parole e immagini allo specchio di Frida Kahlo.


Determinare i confini fra i generi, è un’operazione spesso rischiosa e non sempre necessariamente lecita. Del resto è proprio degli intenti di questa rivista percorrere quei sentieri incerti che si inerpicano fra le lande poco battute di questi incontri fra arte e letteratura. L’appassionato saggio di Maria Cristina Secci, L’Autoritratto letterario di Frida Kalho si colloca di diritto all’interno di questi nostri percorsi sinestetici. Cominciai ad interessarmi alle opere della Kahlo in occasione di una bellissima mostra ospitata nella splendida cornice di Castel dell’Ovo a Napoli, nella primavera del ’97: Passione per la vita. La Rivoluzione dell’Arte Messicana nel XX Secolo. Un percorso trascinante in cui la forza e la potenza di un arte spesso mai vista in Italia riusciva a condensare millenni di storia, di lotte, di magia in un solo secolo e in un solo luogo. Fu proprio in questa occasione che rimasi affascinato dalle opere di Frida di cui mi colpì soprattutto la Columna Rota del 1944, forse sintesi emblematica di tutta la vita e l’opera della pittrice messicana, segnata da una libertà di stile che si muove fra consapevolezza di sé e ricerca di identità, fra magia e realtà, fra Eros e Thanatos, fra fantasia e dolore, fra simbolismo e classicismo. Questo percorso di passione, oltre che nella pittura ufficiale, lo ritroviamo condensato nelle 171 tavole del Diario composto fra il 1942 e il 1954, oggi custodito nella casa azul in una vetrina di cristallo.Se fino alla fine degli anni ottanta, è solamente un pubblico di nicchia che si interessa al suo personaggio, il decennio successivo vede la nascita del mito di Frida che scoppia a New York proprio in occasione della pubblicazione dell’autobiografia, catapultando la pittrice d’improvviso nella storia dell’arte, tanto che nel 1992 un’intera sala del Moma ospita una decina di sue opere in occasione della grande esposizione Latin-American Artists of the Twentirth Century. La Secci, cagliaritana di origine ma messicana di adozione, si immerge senza indugi nella difficile analisi di un’Opera totale (perché è di questo che si tratta) e ne restituisce una sintesi sicuramente originale e moderna rispetto a quella che la critica fin’ora aveva proposto. Il Diario, che nel suo complesso non si lascia ingabbiare nei canoni di alcun genere preciso, ma che liberamente si prende il lusso di percorrerli tutti (diaristico, intimistico, autobiografico, retrospettivo...) ci viene restituito come un collage incauto, un assemblaggio talvolta poco coerente di elementi diversi tra loro, dove c’è posto sia per la scrittura che per la pittura, sia per i colori che per la poesia, il tutto legato da continui richiami, sovrapposizioni, giustapposizioni che riescono a dare un senso a tutta l’opera.Maria Cristina Secci riesce a restare in equilibrio sul filo dei generi e delle definizioni, suggerendoci quella più appropriata, Autoritratto letterario, argomentando con precisione e dovizia di esempi la sua tesi: il risultato è molto simile a certi temi della pittura ufficiale. Le grafie così associate svelano la voracità e le tonalità delle sue parole e sembrano radici, rami che s’intrecciano, un reticolato dentro cui scorre la linfa, il sangue il colore.Interessante è anche la ricerca di affinità fra il Diario con la forma popolare dell’ex voto: Frida Kahlo, durante la sua vita, ne collezionò oltre un centinaio di esemplari e in alcuni casi sembrerebbe appropriarsi dei contenuti, dei materiali e degli stili tipici di questa forma di citazioni grafico-pittoriche per poi rielaborarli di volta in volta secondo le proprie esigenze: la storia accidentata della sua malattia, della sua esistenza, diviene la storia ideale di un suo personale ex voto cartaceo. Del resto lo stesso Diego Rivera, senz’altro l’interlocutore privilegiato di quest’opera, sosteneva che il retablo di Frida dipinge sempre la sua stessa vita.L’ultimo capitolo di questo intrigante percorso fra le sinuosità di quest’opera fintamente privata è dedicato, invece, allo specchio e al rapporto quindi con l’io e con il suo doppio, leit motiv del lavoro della Kahlo.L’artista sembra staccarsi in continuazione di dosso la sua immagine come una sindone da un Cristo martoriato, lasciando impronte di sé e del suo sé in un continua rielaborazione enantiomorfica dell’autoritratto, sia nella pittura ufficiale che in quella letteraria. Lo specchio è soltanto un mezzo funzionale al suo obbietivo pittorico, che le restituisce la possibilità di indagare il suo corpo laddove con gli occhi non sarebbe potuta arrivare, imprimendolo, falsificandolo, amplificandolo, lasciandoci per sempre l’immagine di una Frida riflessa nel riverbero del suo specch-io.G.F.Scritto da: con_fine_arte