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Quando il lavoro è un inferno ...


Che la vita non sia rose e fiori, ma un continuo movimento verso la ricerca, spesso faticosa e non poco dolorosa, di equilibri instabili, credo sia un dato scontato e del quale ognuno di noi, in un modo o nell'altro, può vantare una certa esperienza. Spesso si incontrano problemi  di varia natura, la maggior parte dei quali ha a che fare con la qualità dei rapporti con gli altri: tensioni, incomprensioni, conflitti, barriere comunicative ... Ma quando la sorte colpisce sistematicamente sempre le stesse persone e nello stesso ambiente di vita quotidiana, allora si rende necessaria una riflessione un po' più approfondita.
Mi riferisco al fenomeno del mobbing, sul quale sono stati consumati litri di inchiostro, ma nei confronti del quale poco è stato messo concretamente in atto, se non altro per contenerlo in intensità e frequenza. Tutti sappiamo cos'è il mobbing: sostanzialmente è il corrispettivo "adulto" e lavorativo del bullismo, altrimenti definibile come "una forma di terrore psicologico esercitato sul posto di lavoro da uno o più individui su di un altro, con lo scopo di espellerlo dal proprio posto di lavoro" (Ege, 1996). Già, terrore ... con l'aggravante dell'intenzionalità, altrimenti non si spiegherebbero i ripetuti attacchi. Che sia una prepotenza attuata dai colleghi o una abberrante "strategia aziendale", il mobbing produce danni psicologici e all'organismo anche immediati: cefalea, dolori muscolari, disturbi a carico dell'equilibrio (vertigini), malattie della pelle (psoriasi) ed altri quadri sintomatologici che rispecchiano una forte sofferenza psicologica (depressione). Il mobbing non è una malattia, certamente non è un infortunio sul lavoro. Viene comunque naturale pensare come mai, a differenza di altri stati della Comunità Europea, in Italia si versi ancora in una condizione di totale arretratezza e vuoto legislativo. Certo non stupisce ... i morti della Thyssen e altre vittime dell'incuria e dell'omissione sarebbero i primi a testimoniare su quanto la sicurezza in luogo di lavoro sia un aspetto totalmente e colpevolmente misconosciuto ...! Però viene lo stesso da riflettere: stress e conflitto sono fattori ad elevato grado di rischio! Una persona vessata, umiliata, rifiutata e a volte schiavizzata ("mobbizzata", per usare un neologismo che, ahimè, si sta facendo largo nelle pagine dei nostri vocabolari ...) è una persona a rischio, è una persona che sta male e che può ammalarsi ... allora, come mai non vengono messi in atto (ma, prima ancora, "pensati"), tutti i dispositivi di tutela legali vigenti in alti paesi? Come mai le aziende non vengono indotte a promuovere una cultura di mediazione del conflitto, anzichè sviluppare unicamente la logica dell'efficenza e del profitto? O forse, ancora più a monte, dovremmo interrogarci nuovamente sul significato e sul valore della Persona? Quando penseremo ad essa come ad una misteriosa unione di Mente e Corpo, Pensieri ed Emozioni, e non come braccio per sollevare o dita per martellare sopra una "produttiva" tastiera? Scusate per le ingenue considerazioni, ma non mi viene da fare la psicologa, ma di esprimere rabbia e condividere dolore ...RobyScritto da morton0