mars expedition

PORTI


Esiste una parola più confortante per chi va per mare della parola PORTO?Come credere che esista qualcosa di più naturale del seno per un uomo in miniatura.O un gol per un attaccante. A parte debite eccezioni.O fumo per un fuoco.O vento per un’isola.No. Non lo credo. È una di quelle parole che ti mette serenità. È una parola attesa come il vento quando c’è bonaccia di quelle testarde. Di quelle che se vai a vela non ti sposti di un centimetro, mentre sei abituato a tagliarlo il filo delle onde, a sfiorarlo il bianco che lasci dietro di te. Di quelle che non piove da tempo e non ti puoi lavare. E aspetti che la bonaccia passi - chi ricorda master and commander? – e le gocce d’acqua te le prendi tutte – chi ricorda jfk in caso ancora aperto? – e amen.Anzi. Sia…Non è così. o almeno non lo è sempre.Ad andare per mare prima o poi si impara. Ci sono scogli affioranti, ma quelli lo sai che sono pericolosi e puoi evitarli. Salve, sempre, le debite eccezioni.Ci sono le sirene. Sanno cantare, loro. E per quanto sia un bel canto, resta solo un canto.E nell’epoca in cui i cd sono superati e i cantautori imbastarditi da chi usa la rete, non per caricare pesce, per scaricare – e non pesce – di canti se ne trovano di tutti i tipi. Anche per sordi.Ci sono le tempeste – crederle perfette mi pare azzardatelo – e pure queste lo sai, ti devi tenere stretto alla murata più vicina, ma così ti bagni. Alle drizze più resistenti, ma così ti tagli le mani. All’albero, ma così è difficile reggersi. Sotto coperta, ma rimetti anche l’anima che non hai. O che ahi lasciato a casa. Insomma, di male te ne fai.In tutto questo, quando qualcuno ti urla nelle orecchie PORTOOO, quello è un bel momento. È un suono gradito, quello. Più di TERRAAA. Perché non sempre la terra è ospitale. Non sempre ti lascia approdare. Non sempre.Il porto invece è diverso. Che sia naturale o artificiale, l’approdo c’è. Sai che rimetti piedi a terra, la giornata è stata lunga e la navigazione lo è stata d più. L’acqua l’hai presa e il vento non è mancato. Ma ora sei a terra. Hai recuperato te stesso. Chè nessun marinaio considera il mare più vicino a se stesso di quanto non lo sia la terra.La terra è ferma. La terra ti nutre. La trovi proprio vicino a te. In ogni istante.La terra cammina piano e dopo un po’ ti ricaccia in mare, se sei un marinaio.Ma poi ci torni sulla terra. Lo speri. Lo spera chi ti è vicino. Se sei fortunato.Eppure certi porti sono diversi. Li vedi così vicini, li attendi da giorni. Pensi a quanto siano buone le pietanze della taverna e a quanto sia bello vedere le vetrate insaporite da anni di salsedine affumicarsi un po’ alla volta, diventare bugiarde e lasciar perdere la contezza dei riflessi. Da dentro e da fuori.Ma ti sbagli. Prendi il porto di Pantelleria. I venti del IV e del I quadrante entrano a velocità folle e cercano lo scafo, anelano alla vela, la strapazzano e non governi più, loro sanno influenzare anche il timone. Giardinetto, prua, poppa, tutto colpito in pieno e lì davanti scogli affioranti, le carte nautiche li indicano.Non è un porto, quello. È l’inizio di quello che qualcuno chiamerebbe inferno. Se solo sapesse cos’è anziché confonderlo con la sfortuna di dover rinunciare a una ciliegia o con il passpartout della celebrità e del consenso popolare. D’altra parte anche la signora santanchè gode di una certa visibilità. Non è un inferno, al confronto cosa vuoi che sia. Ma finisci lo stesso a mare con tutti i panni.Myday myday ripeteva la radio prima di saltare al contatto con l’acqua. Lo sguardo del comandante iniziava a liquefarsi. L’acqua che scendeva era pari a quella che saliva.I gabbiani se ne stavano rintanati nel faro.L’isola si allontanava.