mars expedition

UNA STORIA


La sagoma un po’ tozza, scura ma vivacizzata da fasce color legno; le due vele latine ed una nasiera italiana che sventola a poppa. Questa è l’immagine del S. Giuseppe II, feluca di sedici metri sicuramente simbolo nella storia delle spedizioni italiane in Antartide. Storia che iniziava verso la fine del 1800, quando Giacomo bove, tenente di vascello della regia marina italiana, conduce la goletta san Josè verso le terre fredde a sud dell’america latina.Quella del San Giuseppe è una storia che inizia circa un secolo dopo. Sono storie simili quelle dei due piccoli velieri, accomunate dai sogni e dall’amore per il mare ddei loro comandanti.Ma a lasciar stupefatti sono soprattutto le motivazioni che suggeriscono al comandante del San Giuseppe di intraprendere un’avventura del genere con un’imbarcazione di soli sedici metri: non solo la voglia di conoscere e sfidare in piccola, singolar tenzone il mare; anche la necessità di raccogliere fondi da destinare a una comunità di senzatetto.Chè questo è un inferno diverso da quello che si legge nei post copiosi di tanti blogger che ritengono di acquisire un fascino superiore per il semplice fatto di dichiarasi quali emissari di satana, viaggiatori solitari di un mondo che solo dante ha saputo immaginare davvero e non certo per concedere vanagloria a chi non sa apprezzare il significato di essere vivi. Si, mi rivolgo ai signori di tante e tanto luminose tenebre, finti luoghi di disperazione dove il consumismo intellettuale detta legge, la legge di sembrare disperati, di prendere dai disperati alcuni degli aspetti di vita, quelli comodi, per sperare di vivere da belli e dannati.Bene, si sappia che non è un film, non è come una storia da televisione. Chi non ha una casa, chi finisce nella spirale della droga, chi non può cambiare gli abiti che indossa da settimane, queste persone la sera non fanno le scopate cui anelate, né gli scambi di effusioni che immaginate e che ci propinano in film e canzoni (il signor vasco rossi ne sa qualcosa?). chi sta in queste condizioni, prima di tutto puzza. E a chi puzza spesso non ci si avvicina nessuno. Tanto meno per concedere parti intime di sé.Questa è la maledetta realtà. Questo è l’inferno che non potete neanche immaginare se non lo vivete.O forse l’avete vissuto tutti? Forse tutti siete stati in prigione? Forse tutti avete subito violenze di qualsiasi genere? Allora sbaglio io. E pago.Sia… Il piccolo motoveliero San Giuseppe II prende vita nei cantieri del golfo di Napoli dalle mani esperte di antonio palomba, maestro d’ascia di memoria storica. I locali della piccola imbarcazione vengono concepiti per resistere alle basse temperature del polo sud. Particolare attenzione è dedicata alle vele: la realizzazione di due latine, fiocco, controfiocco e scopamare è affidata ad un altro maestro del settore.Nel corso della navigazione, l’equipaggio del San Giuseppe II muta diverse volte, unico comune denominatore il comandante Ajmone Cat.Direzione Gibilterra e poi Buenos Aires. In questo tragitto il motoveliero è sottoposto a dura prova da un repentino peggioramento delle condizioni meteomarine, come si evince dal diario di bordo: “a circa 100 miglia da punta del este … in un baleno il cielo si è coperto di nubi bassissime ed è venuto un vento da 70 nodi con mare 8 da due direzioni … sono andato sempre di bordata abbastanza stretta verso la costa dell’uruguay e il mare in continuo aumento ha fatto diversi danni … il vento era tale da non riuscire a stare in piedi sul ponte eppure non ho mai visto una sbandata oltre il trincarino”.Il 31 dicembre 1970 il San GiuseppeII raggiunge le isole South Shetland in Antartide. “Si vive un’atmosfera molto particolare, un misto di sensazioni al confine tra il surreale e la soddisfazione per la meta raggiunta, trovandosi alle prime luci dell’alba dinanzi alla base argentina di Deception … ma l’equipaggio si trova ad affrontare anche una forma di dramma psicologico. La nave è arrivata in un ambiente sconosciuto, è diventata strumento per aprire nuove conoscenze di carattere umano, come la sopravvivenza laddove la vita è legata a valori essenziali ed a forme cui l’uomo civilizzato del mondo attuale non è abituato: niente bar, niente tabacchi, niente televisione, nessuna manifestazione di vita legata al progresso moderno”. Passano gli anni, il San Giuseppe II si ricopre di polvere, la stesa che posso notare sui gradi di chi sopravvive in quei ricordi, su una uniforme invecchiata ma smre lucida, un che ai tempi era sergente e ora è un ufficiale. Ma non è stanco.Uno che continua a portare in giro i suoi racconti, uno che continua a credere nell’esigenza di fare qualcosa da parte di chi qualcosa può fare.Senza stare a lamentarsi del buoi che circonda la propria misera vita. E l’inferno che ne esce. E il trillo del diavolo che altro non è che un sogno. E una musica che non doveva essere divulgata. Almeno non quella volta, una volta di troppo.Alla nave non resterà che diventare presto luogo di visite per le scuole, essere interessata al Progetto Antartide e la sua foto finirà insieme a quelle di altre più grandi, più ricche, più famose sul calendario pubblicatp per l’occasione.Così finisce una storia che, pur conoscendo risvolti quasi leggendari, è poco conosciuta proprio in quella italia rappresentata con tante fatiche e con tanti dolori in territori lontani. Niente a che vedere con (false) glorie militari o quant’altro.Ora la piccola nave è orfana e sotto i colori della bandiera inglese, si trova in un cantiere di torre del greco. Il sogno è quello di riportarlo in un porto vicino roma, in un capannone – museo.