il blog di raffa

il mondo prima di..


(dedicato a writer) Nel 1980 avevo sei anni, e nel 1989 ne compivo quindici. Degli anni ottanta ricordo la scuola, le maestre, alcune delle quali già passate a miglior vita, i compagne e le compagne, di cui in quasi tutti i casi ho perso le tracce, il portiere che mi faceva attraversare la strada per andare a scuola, mio nonno che veniva a prendermi, mia nonna che ci faceva da mangiare quando mamma, ormai in pensione, era a scuola e mio padre, come ancora oggi, a Napoli. Mio padre si ritirava mai prima delle tre o le quattro, per cui anche mia madre spesso mangiava con noi ed i nonni. Più spesso però lei lo aspettava, e a noi toccava mangiare prima. Ogni tanto mi innervosivo e mi rifiutavo di mangiare finchè non fosse tornata. Anche la mattina prima di andare a scuola spesso piangevo, e non volevo che lei uscisse prima di me. Non mi piaceva stare con la baby-sitter, anche perché, tra le tante che si sono avvicendate, prima per me e poi anche per mio fratello, alcune mi terrorizzavano con storie di macchine che vedevano dentro. Poi il terremoto, terribile, serale e devastante. I miei manco a farlo apposta erano via, a Napoli per una cena con i colleghi. Mia nonna cominciò a pregare e poi arrivò mia zia. Negli anni ho riflettuto e ho pensato che forse è per questo che mia madre per molto tempo non era più andata a cena fuori con mio padre, e spesso lo lasciava andare solo. Forse aveva avuto troppa paura di perdere noi piccoli. Degli anni ottanta mi ricordo anche un sacco di stati febbrili, tossi e influenze, mal di pancia e iniezioni di calcio che ci dava mio zio medico. Quando arrivava l’infermiere mio fratello scappava sotto il tavolo, perché era terrorizzato dalle punture. E i richiami antitetano, per non parlare delle gamma-globuline che ci toccavano tutte le estati. Antibiotici, antipiretici e sciroppi per la tosse e il raffreddore imperavano a casa, così come vitamine, flaconcini di Enterogermina e l’imperitura Citrosodina, che presto diventò un rito post-prandiale. Comunque delle malattie non avevamo mai avuto una gran paura, perché sicuri che mio zio ci avrebbe curati. Quasi ci piaceva ammalarci, per non andare a scuola per un paio di giorni, ed avere la mamma e gli altri parenti a disposizione per raccontare storie e cambiare pigiamini. Degli anni ottanta poi ricordo anche l’altra mia nonna, sempre seduta nel soggiorno a guardare la TV, un po’ come fa ora la mia nonna materna, ancora in vita che Dio la benedica. L’altra nonna era diversa: prima di tutto era vedova, mentre la nonna materna ha avuto per fortuna o per grazia ricevuta, mio nonno a fianco a lei fino a dieci anni or sono. L’altra nonna invece aveva perso il marito molto prima che io nascessi, nel ’60. Viveva perciò in solitudine, ma circondandosi di gente smorzava il dolore e la paura. Non ho mai capito come ha fatto ad essergli sopravvissuta di trent’anni. Forse per i figli, sicuramente per i nipoti. La mia famiglia paterna è molto numerosa, e così ci trovavamo alle volte in dieci o venti a casa sua, una casa piccola, un po’ buia, disordinata ma pulita. Lei si lamentava molto quando arrivava qualcuno che secondo lei peccava in pulizia, come alcune sue lontane parenti o amiche, che a suo dire ‘puzzavano’. Dopo che l’avevano visitata spruzzava sempre il deodorante sulla poltrona dove si erano sedute e diceva ‘leh, leh, che puccia’. Noi bambini, ovviamente, ci scompisciavamo dalle risate. C’erano poi sempre biscottini e dolci, cioccolate e altre cose buone dall’altra mia nonna, e mi ricordo che associavo la sua casetta a quella di Hansel e Gretel. Invece a casa della mia nonna materna non c’erano quasi mai dolci, tranne la domenica perché li portavano i miei zii come ancora oggi quando ci riuniamo. Ma mentre mia nonna materna ha sempre cucinato secondo le migliori ricette della nostra zona, gnocchi di patate, ravioli alla ricotta e tortellini di carne, mia nonna l’altra cucinava giusto per sopravvivere: carne in padella, pesce bollito, pasta fatta in casa, le famose lagane, e sugo col peperoncino verde, appena scottato e girato. A noi cugine mia nonna diceva di non toccare in cucina, che ci pensava lei. Poi chiamava don Elio per la spesa, donna Giovannina per le pulizie, mio zio per l’acqua minerale e l’altro mio zio per regolare l’orologio; mio padre, che era stato l’ultimo a lasciare casa, continuava a lavorare nell’ultima stanza anche quando ormai non dormiva più la, e tornava a casa alle volte anche alle tre di notte. La cugina di mio padre le faceva compagnia, e anche mia cugina grande, che allora abitava da lei. Le altre cugine erano a casa da mio zio e come me ogni tanto andavano a trovarla. Quando mi trovavo con loro mi divertivo perché erano già donne fatte, e mi facevano vedere tutti i trucchi e i vestiti che avrebbero indossato per le feste a cui erano invitate. Perciò un po’ della mia femminilità la devo a loro. Di quella casa poi mi ricordo i calzini sporchi dei miei cugini che tornavano dalle partite di pallone, e i pomeriggi passati a guardare Corrado, la Orsomandi e Mike Bongiorno. Negli anni ottanta, tra scuola media e primi anni del liceo ogni tanto aprivo anche i libri. Ma mi scocciavo molto di fare i compiti. Specie di imparare la storia. Però poi li facevo. A scuola andavo bene, il che indispettiva un po’ i compagni, specie perché dato che entrambi i genitori insegnavano, leggevo e scrivevo con parole più grandi di me. Degli anni ottanta ricordo mia zia prima che avesse i suoi due figli, miei cugini, uno dell ’82 e l’altra dell’85. E mi ricordo il mondo prima di mia cugina, del ’87, che ora ne ha venti o giù di li. Si gli anni ottanta sono sicuramente stati per me ‘il mondo prima di’..il mondo della mia infanzia e pre-adolescenza, quando pensavo che sarei rimasta piccola per sempre.