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IL CALCESTRUZZO DEGLI ANTICHI ROMANI.....


DA INTERNETAl contatto con l'acqua marina, il calcestruzzo usato dagli antichi Romani per le strutture portuali diventava via via più robusto invece di indebolirsi. Merito delle reazioni chimiche che dissolvevano le ceneri vulcaniche presenti nella malta e formavano due minerali stratificati, aumentando la forza di adesione del materiale(red)Qual è il segreto del calcestruzzo romano che pur a contatto con l'acqua del mare è arrivato fino a noi, mentre strutture moderne dello stesso materiale durano solo alcuni decenni? Se lo sono chiesti alcuni geologi dell'Università dello Utah guidati da Marie Jackson, che hanno effettuato un approfondito studio dei minerali e della struttura a microscala di questo materiale da costruzione, usato anche in molti edifici di Roma, come il Pantheon e i Mercati di Traiano. Il risultato, pubblicato sulla rivista "American Mineralogist", indica che la risposta è in una reazione chimica che coinvolge i minerali contenuti nel calcestruzzo: la loro formazione a contatto con l'acqua marina determinava un aumento delle forze di adesione del materiale.A quanto pare dunque Plinio il Vecchio aveva ragione, quando nella sua Naturalis Historia del 77 d.C. scriveva che le strutture in calcestruzzodei porti romani, continuamente esposte alle onde del mare, diventavano ogni giorno sempre più robuste, come se fossero una singola massa di roccia.
Una fase dei carotaggi delle strutture in calcestruzzo sopravvissute fino a oggi a Portus Cosanus, un antico porto romano, in provincia di Grosseto Gli antichi Romani producevano la malta mescolando cenere vulcanica con calce viva e poi incorporavano a questa miscela delle rocce, producendo la cosiddetta reazione pozzolanica, che prende il nome dalla città di Pozzuoli, nei pressi di Napoli. L'idea di produrre il calcestruzzo in questo modo probabilmente venne dall'osservazione del tufo, comune in quest'area, che deriva da ceneri vulcaniche cementate naturalmente.Un analogo moderno del calcestruzzo romano è il cosiddetto calcestruzzo di Portland, in cui al cemento sono mescolati sabbia e ghiaia. Questi aggregati devono però essere di materiale inerte: in caso contrario, si verifica la cosiddetta reazione alcali-silice, che nel lungo termine frattura il calcestruzzo.Resta dunque da capire come possa il calcestruzzo di epoca romana essere così resistente, un problema che Jackson e colleghi studiano da molti anni. Un primo dato importante è stato ricavato grazie a carotaggi del calcestruzzo dei porti romani effettuati tra il 2002 e il 2009 nell'ambito del progetto ROMACONS. Le analisi infatti hanno rivelato la presenza di tobermorite alluminosa, o Al-tobermorite. I cristalli di questo raro minerale si formano nelle particelle di calce per effetto della reazione pozzolanica in condizioni di alte temperature: in laboratorio Jackson e colleghi sono riusciti a ottenerlo solo in quantità limitate.Ora i ricercatori sono tornati ad analizzare i campioni del progetto ROMACONS con diversi metodi, scoprendo che la Al-tobermorite e un minerale simile, la phillipsite, si formarono nelle particelle di pomice e nei pori della matrice cementizia romana. Il problema è che il processo pozzolanico degli antichi Romani era rapido. Qualche fattore deve quindi aver causato la crescita di questi minerali a bassa temperatura e molto tempo dopo che il calcestruzzo si era ormai solidificato.Secondo le conclusioni degli autori, l'acqua marina penetrava nei pontili e nei frangiflutti in calcestruzzo, dissolvendo gli elementi costitutivi della cenere vulcanica, permettendo la crescita di nuovi minerali, tra cui la tobermorite alluminosa e la phillipsite. In particolare, la Al-tobermorite ha una composizione ricca di silice, e forma cristalli simili a quelli delle rocce vulcaniche, la cui forma stratificata rinforza la matrice del cemento. L'interconnessione di questi diversi strati ha come esito finale l'aumento della resistenza del calcestruzzo alla frattura.