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Le grandi estinzioni di massa.


Fonte: InternetUn nuovo studio evidenzia una carenzadi comunicazione fra le scienze che sioccupano delle estinzioni avvenute nell'eraglaciale, spesso attribuite alla nostra specienonostante non ci sia un numero sufficientedi prove per poter affermare che la scomparsadi mastodonti, tigri dai denti a sciabola e altrigrandi animali sia una responsabilità esclusiva-mente umana di Brian Switek/Scientific American.È la domanda che mi sto facendo da quando hosaputo che quelle bestie sono esistite e sonomorte non molto tempo fa. Il motivo esatto dellaloro scomparsa dipende dalla persona a cui lochiedete. Alcuni esperti indicano drammaticicambiamenti climatici alla fine del Pleistocene chehanno rimpicciolito l'habitat preferito di quell'elefante.Un'opinione dissenziente condanna la predazioneumana, invocando orde di persone voraci che hannomangiato la megafauna del pianeta, quando Homosapiens si è diffuso dall'Africa al resto del mondo.E se a volte si trova un compromesso tra questipunti di vista - il cambiamento climatico chedestabilizza gli ecosistemi, per esempio, può averreso più drammatici gli effetti delle attività umane -il fatto che stiamo accelerando la sesta estinzionedi massa è stato spesso inserito in una narrazionedi morale ecologica secondo cui dalla fine dell'eraglaciale a oggi l'umanità è stata una piaga per labiodiversità mondiale.Il problema dell'overkill nell'era glacialeRicostruzione di un gruppo di bradipi terricoli giganti(Megatherium americanum) e del loro ambiente.Non si tratta di un dibattito accademico isolatood oscuro. Le nostre opinioni su quello che haucciso la megafauna dell'era glaciale hannoavuto un ruolo chiave nelle discussioni sulripristino naturale del Pleistocene - portando,per esempio, gli elefanti asiatici in Nord Americaa sostituire i mammut - e le false notizie sullaclonazione o altre forme di "de-estinzione".Se gli esseri umani sono stati responsabilidella scomparsa di questi animali e delleconnessioni ecologiche che queste specie hannofavorito, allora abbiamo la responsabilità di riportarliindietro. E forse è così. Ma vale anche la penaindagare come l'idea di overkill [ossia di un tassodi uccisioni superiore alle capacità riproduttivedella specie predata. NdT] - che si adatti o menoal modello - abbia influenzatogli ambienti scientifici che a loro volta suggerisconoobblighi politici ed etici nei confronti dell'ecologiaglobale. Proprio quello che esaminano gli archeologiLisa Nagaoka, Torben Rick e Steve Wolverton inun'analisi dal titolo The overkill model and its impacton environmental research (Il modello dell'overkill eil suo impatto sulla ricerca ambientale).La questione di ciò che è successo alla nostra mega -fauna dell'era glaciale non ricade nell'ambito diun'unica disciplina. È un mistero all'incrocio di scienzevarie a differenti, come archeologia, antropologia,ecologia, zoologia, paleontologia, climatologia,botanica e altro ancora. E dato che i fatti non sonoqualcosa di autosufficiente ma sono interpretatiattraverso la teoria, non c'è da meravigliarsi cheprofessionisti di scienze diverse abbiano punti divista differenti. Così, per tenere traccia di come levarie scienze hanno risposto all'idea di overkill delPleistocene, Nagaoka e colleghi hanno analizzatole citazioni nella letteratura scientifica del paleontologoPaul Martin - il principale promotore dell'idea che gliesseri umani hanno portato all'estinzione la mega-fauna del Pleistocene - fino alla sua morte nel 2010.Nagaoka e coautori si sono focalizzati principalmentesu due campi di studio che, nonostante la loroconnessione, spesso comunicano e collaborano pocotra loro: archeologia ed ecologia. I ricercatori hannoscoperto che le due discipline hanno punti di vistamolto differenti su quello che è accaduto al terminedell'era glaciale, e questo a sua volta influisce sulmodo in cui l'estinzione del mammut e del mastodonteè usata come strumento retorico nelle moderneargomentazioni sull'estinzione. Questo è importanteperché, nonostante la sua accettazione apparentementediffusa, i dati a conferma dell'idea di esseri umaniaffamatissimi che sterminano i grandi animali delPleistocene non solo sono controversi, ma spessosono addirittura carenti. "La realtà - scrivonoNagaoka e i coautori - è che l'argomento usa unaserie di affermazioni non testate sulle interazioniuomo-ambiente" e le prove dirette di una cacciadefinitiva da parte degli esseri umani del Pleistocenesono assai rare nonostante la ricca documentazionefossile dell'era glaciale.Quindi, che cosa mostra il confronto tra le scienze?In archeologia, il ruolo svolto dall'essere umanonell'estinzione del Pleistocene è una questione aperta.Facendo riferimento a un sondaggio su 91 archeologie alla ricerca di citazioni, Nagaoka e colleghi hannoscoperto che la maggior parte degli archeologi delcampione non riteneva che l'essere umano fossel'unica, o addirittura la causa principale, delle estinzioni.Il cambiamento climatico è stato menzionato più spesso,con l'essere umano che avrebbe esercitato una pressioneaggiuntiva o secondaria sotto forma di caccia o dialterazione del paesaggio. Secondo la maggior partedegli archeologi, che si concentra sulle abitudini dellepersone nel tempo, la colpa dell'estinzione di Megatheriume Smilodon non è solo dell'essere umano.E anche se ci sono problemi con il cambiamento climaticoe altre ipotesi, le ricerche scritte e citate dagli archeologihanno molte più probabilità di riconoscere che c'è undibattito in corso e che servono altre indagini.Nell'ecologia il quadro è molto diverso, e ha ottenutouna risonanza mediatica molto più grande grazie a libricome La sesta estinzione [di Elizabeth Kolbert, BEAT, 2016]ed eventi altamente pubblicizzati riguardanti la de-estinzione.A questo proposito il catalogo delle citazioni è di aiuto.Mentre gli archeologi sono più propensi a citare i primilavori di Paul Martin sull'overkill - che si concentravanoprincipalmente sul Nord America e sui movimenti umaniattraverso il continente - gli ecologi sono più propensia citare i suoi lavori successivi in cui il modello è globale.Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che gli articoli diecologia avevano più probabilità di usare l'ipoteticoscenario di Martin come prova dell'argomento che gliesseri umani avrebbero eliminato la megafauna inveceche come semplice riferimento a quell'idea.Il problema dell'overkill nell'era glacialeIl limite di questa pista basata sulle citazioni è chemolti dei presupposti non testati di Martin - cioèche la megafauna fosse "impreparata" agli invasoriumani, e che la dispersione umana nel mondo spieghila distribuzione della megafauna moderna -sono spesso affermati come fatti. A questa situazionenon giova la carenza di comunicazione interdisciplinare,come la chiamano Nagaoka e colleghi, come apparechiaro dall'esame delle pubblicazioni degli esperti.I critici dell'ipotesi dell'overkill, o coloro che vedono l'uomo come una delle varie pressioni che hannoportano all'estinzione del Pleistocene, spessoscrivono su riviste di archeologia o che hanno comespecifico oggetto l'ultima parte del Cenozoico.Gli articoli a sostegno dell'ipotesi dell'overkill, invece,sono spesso pubblicati su riviste scientifiche direspiro più ampio e hanno ricevuto molta più pubblicità,sotto forma di citazioni, nei dibattiti sul ripristinonaturale del Pleistocene e sulla de-estinzione;proprio per questo è più probabile che siano presicome indice di un consenso tra gli ecologi anchequando tale consenso non esiste.Si può sperare che il processo scientifico possaaiutare a correggere questa situazione.Archeologi o paleobiologi potrebbero pubblicarele loro indagini e critiche su riviste di ecologia,come suggeriscono Nagaoka e colleghi, ma il processodi peer-review non è omogeneo e gli ecologi sonopiù propensi ad ascoltare altri ecologi - che sonogià propensi ad accettare l'idea di overkill - che espertidi altri campi. Questo è strano, scrivono Nagaoka e icoautori, dato che l'archeologia è la scienza che sioccupa delle persone e del loro comportamento nelorso del tempo. Per determinare se gli esseri umanisono stati responsabili o meno dell'estinzione di tigridai denti a sciabola e bradipi giganti non sarebbeutile conoscere idee e informazioni in loro possesso?A partire, per esempio, dal fatto che nonostante unaricchissima documentazione fossile del Pleistocenedisponiamo solo di una manciata di associazioni traesseri umani e megafauna che possono essereconsiderate una prova della caccia? Di fatto, alcunidei più strenui sostenitori dell'overkill non leggononé citano la letteratura che riguarda direttamentel'argomento.Questa situazione è difficile da cambiare, soprattuttoperché vediamo la terribile influenza dell'attivitàumana sulla biodiversità di oggi. Così, il fatto chegli esseri umani abbiano iniziato questo comportamentogià nell'era glaciale diventa una presa di posizionepolitica, e metterla in discussione è talvolta consideratoalla stregua della negazione della moderna crisi diestinzione. Il fatto è che l'overkill è un'ipotesi nontestata e non verificata che ha comunque preso ilsopravvento, con tanto di senso di colpa per la tendenzadistruttiva dell'umanità, che è alla base di un'idea diespiazione ecologica. Il fatto che gli esseri umani abbianoscatenato o meno una crisi globale di estinzione nelPleistocene è diventato quasi irrilevante nellacomunicazione sulla conservazione in virtù del valoreretorico dell'argomento. "Quando l'overkill è usato comeun racconto ammonitore e un mezzo per mobilitare ilsostegno all'ambientalismo, l'essere umano è descrittocome una specie distruttiva", scrivono Nagaoka e colleghi,a quanto pare non a causa di quello che scegliamo di fare,ma perché la distruttività sarebbe intrinseca alla nostranatura. È una visione fosca e deterministica della nostraspecie. Inoltre, questa visione ignora le diversità culturalinel tempo e nello spazio, trattando l'essere umanocome uniformemente vorace e distruttivo, una concezioneoffensiva giustificata da una fragile correlazione.Anche se alla fine si scoprisse che l'overkill è statoun fenomeno reale e sostanzialmente globaledurante il Pleistocene, scrivono Nagaoka e colleghi, lastoria non è solo un racconto ammonitore o un viaggionella colpa nei confronti degli ecosistemi.Una prospettiva alternativa, scrivono, è quella secondocui l'overkill offre informazioni sui diversi modi in cui leculture umane hanno interagito con l'ambiente - in qualitempi e luoghi ci sono state più persone distruttive rispettoa quelle più interessate alla sostenibilità? - aiutandocicosì ad apprezzare meglio il modo in cui siamo intrecciaticon la natura invece di separarcene come forzadistruttiva a sé stante. Non si tratta semplicementedella mancanza di dati a sostegno dell'overkill:quell'idea ci separa dalla natura e ci rende cattivi,in modo forse irrimediabile. Possiamo fare di meglio.----------------Brian Switek è un giornalista scientifico freelance eautore di libri di paleontologia come Il mio amatobrontosauro (Codice, Torino 2014).(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American" il 5 ottobre 2018.Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)