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L'antico DNA delle genti americane...


 Fonte: Le Scienze09 novembre 2018Una nuove versione del popolamento delle AmericheL'analisi del DNA ottenuto dai resti di antichiabitanti del Nord e del Sud America ha mostratoche il popolamento del continente americano haseguito modelli di dispersione complessi, rivelandoanche l'enigmatica presenza di antichi gruppiumani imparentati con popolazioni dell'Australasia.Il popolamento delle Americhe è stato molto piùcomplesso di quanto ipotizzato, e in alcune regionivi hanno contribuito gruppi ancestrali finorasconosciuti, come dimostra una "firma" geneticache li apparenta alle popolazioni australasiatiche,in particolare agli indigeni del Papua, dell'Australiae delle isole Andamane.A scoprirlo è stato un gruppo internazionale diricercatori diretti da Eske Willerslev e J. VíctorMoreno-Mayar dell'Università di Copenaghen,in Danimarca, che firmano un articolo pubblicato su "Science".Molti studi si sono concentrati sulle prime migrazioniumane in Nord e Sud America, arrivando allaconclusione - basata prevalentemente sul confrontodel genoma di persone viventi e un numero limitatodi DNA antichi, provenienti per lo più dal NordAmerica - che le prime popolazioni americaneavrebbero iniziato a differenziarsi dai loro antenatisiberiani ed estremo-orientali poco meno di 25.000anni fa; in seguito, circa 15.000 anni fa, questeprime popolazioni si sarebbero diversificate ulteriormentein nordamericane e sudamericane.Tuttavia ben poco si sapeva sulla dinamica deisuccessivi spostamenti di queste genti.
Una delle sepolture in cui sono stati rinvenutii resti analizzati. (Cortesia Mark Aldenderfer)Ora Moreno-Mayar e colleghi hanno sequenziatoil genoma di 15 antichi americani, sei dei qualivissuti oltre 10.000 anni, provenienti da localitàdi tutto il continente: dall'Alaska fino alla Patagonia.La scoperta più sorprendente è stata la presenzadi un chiaro segnale genetico australasiatico inpopolazioni del Sud America, del tutto assentein quelle del Nord America."Il fatto che questo segnale non sia statodocumentato in Nord America - osserva Moreno-Mayar - implica che un gruppo precedente[a quelli considerati i primi americani] che lopossedeva era già scomparso, oppure che ungruppo giunto più tardi ha attraversato il NordAmerica senza lasciare alcuna traccia genetica."
Il sito di Trail Creek, in Alaska, dove sono statiscoperti resti umani risalenti a circa 9000 anni fa.(Cortesia NPS photo by Jeff Rasic)Inoltre, le analisihanno mostrato che le ondate migratorie da norda sud sono state molteplici, portando a popolazionichiaramente diversificate, ma secondo un modellotutt'altro che lineare. Le popolazioni insediatesi perprime in America centrale, per esempio, sono risultategeneticamente più differenziate sia dalle popolazionidel nord sia da quelle del sud.A mostrare la complessità del quadro è stata anchela scoperta che il genoma estratto dai resti umaniscoperti nella Spirit Cave, in Nevada, quindi StatiUniti, è sorprendentemente simile a quello dei restitrovati a Lagoa Santa, nello Stato brasiliano delMinas Gerais, a testimonianza di un rapidissimospostamento nel continente del loro gruppo diappartenenza.Singolarmente, inoltre, i genomi della Spirit Cavee di Lagoa Santa sono molto più vicini ai nativiamericani contemporanei rispetto a qualsiasi altrogruppo antico o contemporaneo sequenziato finoa oggi nel continente. Una scoperta, questa, cheha anche permesso di porre fine a una ventennalecontesa giuridica fra le autorità statunitensi e lanazione dei Paiute-scioscioni - la principale popolazionedi nativi americani che vivono in Nevada - chedopo la scoperta dei resti ne aveva rivendicato larestituzione in base al Native American GravesProtection and Repatriation Act.Proprio grazie alle analisi effettuate da EskeWillerslev e colleghi, nel 2016 lo scheletro di SpiritCave è stata restituito alla tribù e all'inizio diquest'anno si è svolta una cerimonia di sepolturaprivata a cui ha partecipato anche Willeslev.
 Resti umani rinvenuti a Lagoa Santa, in Brasile. (Cortesia Natural History Museum of Denmark)Un altro studio specificamente dedicato alla geneticadelle popolazioni andine degli altopiani e al loroadattamento a quel difficile ambiente - effettuatoda un gruppo internazionale di ricercatori direttoda John Lindo della Emory University di Atlanta e pubblicato su "Science Advances" - ha mostratoche i primi insediamenti stabili sull'altopiano risalgonoa un periodo compreso fra i 9200 e gli 8200 anni fa.Le analisi effettuate su una serie di DNA antichi -di età compresa fra i 6800 e i 1400 anni fa - hannorivelato che i primi adattamenti all'altitudine sonoinsorti piuttosto rapidamente; tuttavia - abbastanzasorprendentemente, come osservano i ricercatori -non hanno interessato geni legati all'adattamentoall'ipossia (carenza di ossigeno). (Le popolazioniandine attuali sono geneticamente predisposte auna più elevata produzione di emoglobina nel sangue.)Le prime mutazioni hanno invece interessatoil sistema cardiovascolare.Ma la modifica genetica più incisiva ha riguardatola capacità di digestione dell'amido. Verosimilmenteè stata una risposta adattiva alla dipendenza da unadieta che per millenni ha visto la patata, ricca di amido,come fonte alimentare assolutamente primaria.