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La ricetta Telethon per l'editing genetico


Fonte: Le Scienze 27 marzo 2019
Saranno le immunodeficienze il banco di prova prescelto dai ricercatori dell'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica per effettuare la loro prima sperimentazione clinica con le nuove biotecnologie di precisionegeneticaimmunologiaI dati sono rassicuranti. Le tecniche sono mature. E l'istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) è quasi pronto per il debutto. "Non abbiamo ancora una data. Ma nel breve periodo il nostro istituto conta di avviare la prima sperimentazione clinica con l'editing del DNA". Ce lo rivela Raffaella Di Micco, group leader all'SR-Tiget e coautrice di uno studio uscito recentemente su "Cell Stem Cell" in collaborazione con il team di Luigi Naldini."Il nostro modello cellulare sono le staminali del sangue. Con il protocollo che abbiamo ottimizzato non riscontriamo instabilità genomica né mutazioni indesiderate. Il cocktail che abbiamo messo a punto dovrebbe già garantire un beneficio terapeutico nel campo delle malattie rare. Perciò il prossimo passo sarà vedere la risposta nell'uomo", ci ha detto la ricercatrice commentando con noi gli ultimi dati.Il banco di prova saranno le immunodeficienze su cui l'SR-Tiget non ha rivali al mondo, essendo già riuscito nell'impresa di portare in commercio la prima terapia genica classica: il trattamento Strimvelis, sviluppato nell'era pre-CRISPR per i pazienti affetti da ADA-SCID. Nel frattempo altri gruppi hanno incontrato difficoltà a replicare quel successo di terapia genica "tradizionale" su un altro tipo di immunodeficienza severa combinata, trasmissibile con il cromosoma X e detta SCID-X1.Rispetto all'approccio precedente, l'editing ha il grosso vantaggio di garantire un'espressione più controllata del gene terapeutico. La migliore precisione dovrebbe consentire di correggere il difetto genetico con maggiore efficacia e sicurezza", sostiene Di Micco. In cima alla lista delle malattie candidate, dunque, c'è la SCID-X1, in compagnia di un'altra immunodeficienza: la sindrome da iper-IgM. "Comunque il lavoro che abbiamo pubblicato è una dimostrazione di fattibilità, lo stesso approccio può trovare altre applicazioni".Di Micco, classe 1980, si è laureata in biotecnologie mediche a Napoli, per poi specializzarsi tra Milano e New York, e da tre anni è stata chiamata all'istituto diretto dalpioniere della terapia genica Naldini, con la missione di studiare come le cellule rispondono al danno del DNA e contribuire allo sviluppo di nuove terapie avanzate. Lavorando insieme, hanno dimostrato di poter inserire in modo affidabile una sequenza correttiva nelle cellule staminali ematopoietiche.La  ricetta di San Raffaele e Telethon prevede l'utilizzo di una scarica elettrica per far entrare nelle cellule treingredienti terapeutici: la piattaforma per l'editing genomico (costituita dall'enzima che taglia il DNA, opportunamente programmato per trovare il giusto bersaglio), un vettore virale detto AAV6 che trasporta la sequenza da introdurre in corrispondenza del taglio e, a parte, un terzo elemento opzionale.Si tratta di un trascritto con le istruzioni per sintetizzare una molecola che destabilizza la proteina p53, nota anche come "il guardiano del genoma".In questo modo Di Micco e colleghi hanno aggirato un ostacolo emerso lo scorso anno in popolazioni cellulari diverse e descritto da due gruppi indipendenti su "Nature Medicine". Quando l'editing produce la rottura del DNA, le cellule attivano un kit di pronto intervento che vede come protagonista il p53 e può avviare le cellule editate alla distruzione. Per fortuna i ricercatori dell'SR-Tiget hanno appurato che, almeno per le staminali ematopoietiche, il problema è limitato e risolvibile.
"Anche nel nostro modello basta un singolo taglio per far scattare l'allarme, ma la risposta si risolve nel giro di poche ore quando la lesione viene riparata e alla fine le cellule conservano la piena funzionalità", assicura la ricercatrice. Se oltre a tagliare il DNA si fornisce una sequenza correttiva, utilizzando un vettore virale, la reazione difensiva è più forte, ma l'SR-Tiget ha dimostrato di poterla controllare inibendo il p53. Nel giro di un giorno o due l'arresto proliferativo si sblocca e, trapiantando le cellule editate nel topo, si osserva che un maggior numero di cellule corrette si localizza nel midollo, per la ricostituzione del sistema ematopoietico."Il sistema CRISPR è più facile da programmare rispetto alla tecnica di editing genomico precedente, ma nel nostro modello funziona bene anche la piattaforma zinc finger, che ha il vantaggio di essere stata studiata più a lungo", spiega Di Micco. Da quando CRISPR è arrivata sulla scena ha conquistato tutti i riflettori per la sua versatilità, mentre il metodo delle "dita di zinco" è rimasto nell'ombra pur non essendo obsoleto."Con questo lavoro abbiamo dimostrato che i risultati delle due tecnologie sono paragonabili, ciò che conta è la specificità dell'enzima che effettua il taglio, indipendentemente da quale piattaforma viene utilizzata", sostiene la ricercatrice. Scegliere l'una o l'altra sarà una decisione strategica, da prendere insieme agli sponsor dei trial clinici futuri, valutando anche gli aspetti di natura brevettuale. Intanto ci sono altre sperimentazioni di editing in cellule staminali ematopoietiche che stanno già reclutando i primi pazienti in diversi paesi del mondo: il database clinicaltrials.gov ne conta già tre con zinc finger e due basate su CRISPR.(L'originale di questo articolo è stato pubblicato nel blog CRISPerMANIA il 27 marzo 2019. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)