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Quando Pisa aveva un porto sul fium


 Fonte: le ScienzeMolti secoli prima di essere una repubblicamarinara, Pisa manteneva fiorenti commercivia mare grazie al suo porto fluviale: numerosirelitti, oggi restaurati, sono esposti al Museodelle Navi Antiche di Pisa.
Una ricostruzione ipotetica della Pisa del V secolo.|LONEWOLF1976 / VIA WIKIMEDIA
Trenta navi, e uno spaccato di vita cheattraversa otto secoli: dal terzo avantiCristo al settimo dopo Cristo.È quello che raccontano le imbarcazionioggi finalmente esposte, dopo un lavorodi scavo e di restauro durato vent'anni,al Museo delle Navi Antiche di Pisa,inaugurato con un allestimento che illustra,insieme ai preziosi reperti, la storia delterritorio, della vita, dei commerci che visi sono svolti nell'arco di quasi un millennio,ma almeno quattro secoli prima che sicominciasse a parlare di Pisa come di unarepubblica marinara. SEPOLTE PER SECOLI. La vicenda della scoperta di queste navi,letteralmente sepolte nella terraferma,comincia nel 1988. Durante gli scavi nelcantiere di quello che avrebbe dovuto essereil nuovo centro direzionale delle Ferrovie, neipressi dell'attuale stazione di San Rossorevennero alla luce i resti di alcune imbarcazioniantiche.Lo scavo ne rivelò poi, uno strato dopo l'altro,molte altre, alcune intere, quasi intatte,perfino con il loro carico, gli alberi e le vele.E insieme alle barche sono venuti alla lucecentinaia di oggetti: anfore, monete, vestiti,oggetti personali dei viaggiatori e dei marinai.ALLUVIONI DISASTROSE. «Il porto di Pisa era in realtà un approdo fluviale»,racconta Domenico Barreca, archeologo eresponsabile tecnico degli scavi.A quei tempi - si parla di alcuni secoli avanti Cristo- i fiumi Arno e Serchio, il fiume di Lucca, che allorasi chiamava Auser, scorrevano lungo un corso diversodall'attuale ed erano collegati da una fitta retedi canali navigabili. «In questi otto secoli gliaffondamenti sono stati causati da una serie dialluvioni che si verificavano ciclicamente, ogni 50-60 anni.L'Arno esondava, e il Serchio creava una speciedi tsunami che travolgeva e affondava tutte lebarche presenti nel piccolo porto.Ma la posizione era talmente favorevole che invecedi cercare un altro luogo si rimetteva tutto a posto,e si rimaneva lì.» 
Sotto a un relitto denominato "nave B" sonostati rinvenuti gli scheletri di un uomo e di uncane.La "storia" costruita attorno a questi resti èquella di un marinaio travolto dall'onda di pienadi un'alluvione nel tentativo di salvare il suo cane... | COOPERATIVA ARCHEOLOGIAUNA FLOTTA DIVERSIFICATA. Tra le imbarcazioni integre recuperate edesposte c'è un pattugliatore militare da 12rematori, di cui sappiamo anche il nome,Alkedo, ovvero "gabbiano", inciso su unatavoletta inchiodata su uno dei banchi deirematori.Poi un grande traghetto fluviale con il fondopiatto, che veniva manovrato tra le due rivecon un sistema di funi e un argano (ritrovatoe anch'esso esposto al museo); agili pirogheper il trasporto di merci; una grande nave peril dragaggio e il trasporto della sabbia lungo ilcorso dell'Arno: questa imbarcazione, che haancora l'albero originale, oltre alla navigazionea vela era trainata dalla riva da cavalli o buoi- sotto al relitto sono stati trovati parti di unoscheletro di cavallo e un giogo. 
Il relitto dell'Alkedo, un pattugliatore militareda 12 rematori. |COOPERATIVA ARCHEOLOGIAMERCI E BAGAGLI. Poi ci sono gli oggetti, che descrivono la vita ei commerci dell'epoca.Tra le anfore del carico di una nave del II secoloavanti Cristo che faceva la rotta tra la Campaniae la Spagna sono state ritrovate spalle di maialein salamoia; in un'altra, del secondo secolodopo Cristo, conserve di frutta.A bordo di quest'ultima è stato trovato anchequello che doveva essere il tipico bagaglio di unmarinaio del tempo: una cassetta di legno conun piccolo gruzzolo di monete e pochi oggettipersonali.INGEGNERI NAVALI. Delle navi è stata studiata la tecnica costruttiva,che si è dimostrata più avanzata di quel che sipensava fossero le conoscenze dell'epoca.Gli scavi hanno raccontato molto anche delletecniche di navigazione: il cantiere ha restituitomolte parti delle tipiche vele quadrate dei romani,che permettono di ricostruire con notevoleaffidabilità il complesso sistema alla base dellastruttura delle vele. 
L'ancora in legno di un'imbarcazione denominata"nave A". |COOPERATIVA ARCHEOLOGIAIL RESTAURO. A permettere che a distanza di secoli le navisi siano conservate così bene è stato il fattoche, dopo ogni alluvione, le imbarcazionivenivano seppellite dal fango, in una sorta disottovuoto privo di ossigeno che ha impedito afunghi e batteri di proliferare e di decomporreil legno. Nel caso di materiali così facilmente deperibili,il restauro e la conservazione consisteessenzialmente nel sostituire l'acqua, presentein percentuali altissime nel legno rimastoimmerso, con altre sostanze, senza far collassarela struttura.Una volta si utilizzavano materiali come il glicolepolietilenico, che però con il tempo rendono illegno fragile - una "lezione" appresa con il restaurodel famoso vascello Vasa, affondato nel 1628nel porto di Stoccolma, appena dopo il varo,recuperato nel 1961 e conservato oggi in un museodedicato.Per le navi romane sono state invece utilizzateresine speciali, come la kauramina, innovativa(e irreversibile).Dopo anni di lavori, ora finalmente tutti possonoammirarle.