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Una nuova speranza...


fonte: InternetAlzheimer: una rara variante genetica apre nuove speranze di ricercaUna donna colombiana geneticamentepredisposta a sviluppare una forma precocedella demenza è risultata per lungo tempoprotetta dal declino cognitivo, nonostante ilsuo cervello fosse invaso di placche amiloidi.La chiave del meccanismo preventivo èracchiusa nel suo DNA.
Alzheimer: un caso singolo porta a ripensarealcune convinzioni sulla malattia, e apre interes-santi possibilità di studio. | SHUTTERSTOCK
Una speranza dopo 15 anni di stallo nelle ricerche sulla malattia diAlzheimer - la più comune formadi demenza, che interessa quasi 30 milioni dipersone nel mondo - arriva dalla Colombia: unadonna geneticamente predisposta a mostrarei primi sintomi clinici di questa condizione pocodopo i 40 anni (come centinaia di suoi familiariin vita o delle passate generazioni) è rimastaprotetta per trent'anni dal declino cognitivo, graziea una doppia - e rarissima - variante genetica.Il suo caso, che apre nuove prospettive nellacomprensione di questa malattia, è descrittosu Nature Medicine.UNA SCOMODA EREDITÀ. La paziente, che vive a Medellín, fa parte di unafamiglia estesa di 6.000 persone nate nella cittàe in alcuni remoti villaggi andini, da secoli perse-guitate da quella che i locali chiamano"La Bobera" (la follia): una forma di Alzheimer precoce riconducibile a una variante geneticaormai nota, sul gene Presenilin 1, e legata a unandamento piuttosto prevedibile del declinocognitivo, con i primi sintomi attorno ai 44 annie la morte entro i 60.Anche se la versione colombiana della malattia interessa una minuscola frazione dei pazienticon Alzheimer, questa famiglia è studiata dadecenni: conoscendo origine e progressionedella malattia si cercano risposte per questa ealtre popolazioni di pazienti e per le loro famiglie.Così, quando un gruppo di ricercatori guidatoda Eric Reiman, direttore generale del BannerAlzheimer's Institute di Phoenix (Arizona), si èaccorto che una 70enne con la mutazione"incriminata" non mostrava ancora neanchele prime avvisaglie di demenza, è rimastospiazzato.CONTRO OGNI PREVISIONE. Gli esami di neuroimaging eseguiti alMassachusetts General Hospital di Boston hannorivelato che il cervello della paziente eradisseminato di placche amiloidi, i depositi di proteina beta-amiloide caratteristici della malattia.Eppure, la donna, madre di quattro figli e con unanno appena di istruzione alle spalle, esibivaunaforma cognitiva degna di una 45enne: la prote-zione di cui sembrava beneficiare non potevaderivarle da un'elevata scolarità, e doveva invecedipendere da un fattore biologico. Inoltre, nelcervello della paziente non c'era praticamentetraccia dei grovigli di proteina tau che di solito contaminano le cellule cerebrali di chi è affettodalla malattia; e anche neurodegenerazione eatrofia cerebrale risultavano ridotte al minimo.ISTRUZIONI PROTETTIVE. Le analisi genetiche della paziente hannorivelato una mutazione estremamente rara acarico di un gene comune e importante nellostudio dell'Alzheimer, l'APOE, che si presentain tre varianti.Una di queste, l'APOE4, aumenta di molto ilrischio di sviluppare la malattia ed è presentenel 40% dei pazienti con Alzheimer.La donna presentava due copie della varianteAPOE3, la più comune, ma entrambe con unamutazione nota come Christchurch (dal nomedella città neozelandese in cui è stata scoperta.Già possedere una sola mutazione Christchurchè un evento molto raro, osservato in alcunimembri della famiglia colombiana interessatada Alzheimer precoce: queste persone svilup-pavano comunque la malattia alla stessa etàdei loro parenti.La fortuna della paziente è nella doppia mutazione,che si trova in un'area del gene che si lega a uncomposto che favorisce la diffusione dellaproteina tau nei cervelli con Alzheimer.La doppia mutazione ha avuto un effetto talmentepotente da impedire quasi del tutto che questolegame si formasse. In laboratorio gli scienziatisono riusciti a ricreare un composto che riuscissea imitare questo effetto, ma siamo ben lontani daun farmaco che possa replicare l'azione protettivaosservata: occorrerebbe prima testarne l'azionesu colture di cellule animali e umane. 
PER TUTTI GLI ALTRI PAZIENTI. Dallo studio emergono almeno due elementi importanti. Il primo, è che i prossimi trattamentipotrebbero concentrarsi sulla riduzione, o ilsilenziamento, del gene APOE, anziché sullalotta agli accumuli proteici, che negli ultimi anni ha condotto a più buchi nell'acqua.Il secondo, riguarda il ruolo della proteina beta-amiloide.Poiché il cervello della paziente ne ospitava ingrandi quantità, senza accusarne però i danni,«questo indica, per quanto ne sappia per laprima volta in assoluto, una chiara dissociazionetra accumulo di amiloide e patologia da tau,neurodegenerazione e declino cognitivo» haspiegato Yadong Huang, non coinvolto nello studio,ma autore di un articolo a commento della scoperta.Gli occhi sono puntati ora su alcuni più giovaniparenti della donna, che pur non avendo lamutazione Christchurch sembrano per ora tutelatidalla malattia a cui l'altra mutazione li condurrà.Potrebbero esserci, insomma, altri meccanismiprotettivi ancora da scoprire.