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Ecco un famoso bel film.


Fontamara (film)Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.FontamaraTitolo originaleFontamaraPaese di produzioneItaliaAnno1980Durata139 min 205 min (versione estesa RAI)GeneredrammaticoRegiaCarlo LizzaniSoggettoIgnazio SiloneSceneggiaturaCarlo LizzaniLucio De CaroCasa di produzioneRAI Radio televisione italianaFotografiaMario VulpianiMontaggioFranco FraticelliMusicheRoberto De SimoneScenografiaLuigi ScaccianoceCostumiLuciano CalossoInterpreti e personaggiMichele Placido: Berardo ViolaIda Di Benedetto: Maria RosaAntonella Murgia: ElviraImma Piro: Maria GraziaLiliana GeraceDino SartiCiccio BusaccaFranco Javarone: Don CircostanzaFontamara è un film del 1980 diretto dal regista Carlo Lizzani, basato sull'omonimo romanzo di Ignazio Silone, ed interpretato da Michele Placido nel ruolo di Berardo Viola e da Ida Di Benedetto che per questa interpretazione ricevette il nastro d'argento nel 1981 come migliore attrice non protagonista.Per i dialoghi, che si svolgono in gran parte in dialetto marsicano, Lizzani si è avvalso della collaborazione di Guido Celano e di Luigi Silori.Produzione
Area di via Vallone ad Aielli dove furono girate alcune scene del filmIl film è stato interamente girato nella Marsica e in parte nella Valle Peligna e aRoma. Le riprese sono state girate a Pescina, patria di Silone, ad Avezzano(presso la Chiesa di San Giovanni e il Castello Orsini-Colonna) e nei borghi diAielli Alto e Gioia Vecchio (in evidenza la chiesa di San Vincenzo). Alcune scene dei campi, oltre che nel Fucino, sono state girate nei pressi diRoccacasale.Il regista preparò per la TV una versione estesa del film che dura 205 minuti.TramaNel paese di Pescina, nell'Abruzzo marsicano, i cafoni senza un soldo sono vittime dei soprusi del governo fascista. Tutto inizia con la deviazione del fiume cosicché i contadini non possono più irrigare i campi, perché non hanno giurato fedeltà al nuovo governo di Avezzano. Il giovane Berardo appoggia gli ideali comunisti, ma è anche un anarchico e dunque deve fuggire da Pescina, scappando a Roma; lì Berardo si forma culturalmente e conosce un coetaneo della Marsica che gli comunica che la vita al paese è insostenibile. Berardo tuttavia intende combattere ma i fascisti recano violenza alla sua famiglia, alla sua amata e alla fine lo torturano a morte.Puntata 1Fontamara è un piccolo paese della Valle del Giovenco, nella Marsica orientale, oltre il Fucino.La vita scorre sempre uguale, oltretutto ci sono stati gravi danni a causa del terremoto del 1915, e molti giovani non sono più tornati, in quanto arruolati nel regio esercito per combattere la prima guerra mondiale. Berardo Viola è uno dei giovanotti proletari di Fontamara, che subisce le vessazioni del podestà di Avezzano, incominciando dall'episodio in cui i paesani chiedono alla città un parroco per la chiesa, e la Curia risponde inviando un asino, che Berardo fa sfilare in trionfo per Fontamara, volendosi burlare e sfidare il podestà. Maria Rosa, una ragazza del paese segretamente innamorata di Berardo, cerca di dissuaderlo da questa fida che è più grande delle suo possibilità di semplice "cafone", ma Berardo non demorderà. La madre anche vorrebbe che Berardo la smettesse con gli slanci dell'ideale comunitario, per sposarsi e mettere su famiglia, dato che il padre è morto ladrone e brigante in Brasile.Il padre di Maria Rosa è in fin di vita per la vecchiaia, e la ragazza viene avvicinata dalla madre di Berardo, che le propone di sposarsi il figlio per garantire la stabilità economica. Infatti la famiglia Viola non ha un pezzetto di terra, rubatogli con l'inganno dal parroco don Circostanza di Avezzano, ma la sua qualità è una grande forza fisica, oltre che all'intelligenza, mal vista in paese, dove arriva un nuovo ordine dal Prefetto di Avezzano, nell'osteria principale di Fontamara diventa proibito per i "cafoni" parlare di politica. L'incaricato dal prefetto don Innocenzo viene con astuzia deriso da Berardo, che rievoca anche il prosciugamento del Fucino da parte del Principe Torlonia, ricordano come i paesani di Fontamara non abbiano tratto alcun beneficio nel coltivare le terre. Insieme ad altre velate minacce, il vice prefetto se ne va ad Avezzano, dopo che è stato sottoposto a una questione di "ragionamento" da parte dello stesso Berardo, che in poche parola ha smascherato l'inutilità di quel decreto, mostrando come sia soltanto velleitario, offensivo e proibitivo da parte dei potenti, verso i poveri ignoranti.A Berardo la gente propone di sposare Elvira, la proprietaria dell'osteria, rimasta vedova col marito caduto sotto le armi, e beneficiaria di una pensione statale, ma Berardo rifiuta. Nel frattempo un imprenditore don Carlo "Magna" di Avezzano, compie l'ennesimo sgarro a Fontamara, ossia drena la sorgente del fiume Giovenco per costringere i paesani a comprarla in città. Le donne fontamaresi si infuriano e decidono di recarsi al Municipio di Avezzano, dove vengono insultate e derise, mentre vengono a sapere che don Circostanza non è più il sindaco della città, che tra l'altro non rendeva migliore la situazione al paese, ma è il podestà, un forestiero di Roma, soprannominato "L'Impresario". Nel frattempo Berardo ha provato a trasferirsi in un'altra provincia per lavorare come bracciante, ma alla stazione siccome non è iscritto al partito fascista, viene rimandato a casa. Le fontamaresi si recano nella lussuosa villa di don Carlo Magna, lo storico feudatario di Fontamara, per avere spiegazioni, ma non può fare niente, in quanto le terre del paese sono state vendute proprio a codesto ImpresarioPuntata 2Viene presenta ala figura dell'Impresario, un cafone vero romano, rozzo e volgare, che sta pranzando nella villa di don Carlo Magna. Le donne di Fontamara lo incontrano, esponendogli il loro problema. Don Circostanza ne approfitta, con iperboli equivoche del vocabolario italiano, per tranquillizzare la folla inferocita e promettere il ripristino della sorgente del paese, e prepara le carte dal notaio. Sopraggiunge anche Berardo che minaccia don Circostanza per una vecchia cambiale firmata per avere una terra in cambio della sua, una terra però infruttuosa. Don Circostanza promette di aiutarlo scrivendo a colleghi di Roma, e infatti pare che la promessa si risolva, perché quella sera all'osteria, si parla del fatto che lo Stato ha espropriato le terre del Fucino al vecchio Principe Torlonia, per ridistribuirle alle varie municipalità locale. Fontamara si prepara a festa, e scende al Fucino, portando anche il gonfalone civico. Arrivati ad Avezzano però (Largo Castello), vengono tenuti bloccati, e non possono recarsi in piazza per la distribuzione ufficiale. Li raggiunse don Circostanza, mentre ormai i poveracci capiscono di essere stati ingannati, il quale però li tranquillizza, dicendo di aver parlato per loro tramite.Don Circostanza, ancora con le su iperboli dell'italiano, spiega che secondo la legge ministeriale il Fucino andrà "a chi lo coltiva", ossia a chi ha capitali, parlando immediatamente dopo che "per il Fucino ci sarà lavoro per tutti per chi ha forza", ossia per i Fontamaresi, relegati al misero ruolo di braccianti per coloro che coltivano il Fucino, essendoselo spartito in lotti. Tornando verso il paese, Berardo viene avvicinato da un sovversivo, che gli propone di accordarsi con lui per compiere un attentato contro don Circostanza, ma lui rifiuta, anche se la notte stessa, all'osteria, progetta di fare delle ritorsioni pesanti contro l'ex sindaco di Avezzano, nonché contro l'Impresario. Tuttavia il tempo passa, la vita pare tornare normale in paese, normale nel senso di un'atavica rassegnazione e adattamento ai fatti che accadono, e l'Impresario ne approfitta per completare l'opera di drenaggio delle acque. Berardo allora con un gruppidi forti contadini attacca l'opera, e distrugge i macchinari. Il parroco di Avezzano giunge a Fontamara per placare gli animi, invitando i popolani a rassegnarsi alle loro condizioni in quanto cafoni, ma Berardo non si lascia convincere dalle lusinghe del prete, soprattutto quanto l'uomo sciorina le massime di saggezza dai Vangeli, cui Berardo contrappone le verità della dura realtà terrena.Il giorno dopo le donne fontamaresi si si incontrano con la milizia di Avezzano presso il fiume, e si teme uno scontro, cominciano a fare il malocchio contro don Circostanza, l'unica cosa che possono fare, in quanto vengono disperse dalla cavalleria. Berardo intanto prova a trovare il metodo di ripartire per Roma, e prima di farlo quella notte stessa, con un prestito di un amico, si reca ad incendiare la stalla dell'Impresario.