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Dalla Nuova Zelanda.


 03 maggio 2021Comunicato stampaDai mari della Nuova Zelanda una importantescoperta sul rapporto tra materiali argillosi eterremotiFonte: Ingv Baia dell'abbondanza, Nuova Zelanda del nord (© mountlynx/iStock) Analizzati con un nuovo metodopresso i laboratori INGV i sedimenti argillosiprovenienti dal margine di subduzione neozelandesedi Hikurangi, zona in passato luogo di tsunami eterremotiDISASTRI NATURALI SCIENZE DELLA TERRAI materiali argillosi delle faglie presenti nelle zonedi subduzione, cioè dove una placca tettonicascivola al di sotto di un'altra placca, trattengonoal loro interno un "cuscinetto d'acqua" e ciò fa sìche essi favoriscano terremoti potenzialmentecapaci a provocare tsunami. Questo è il risultato dello studio "Fluid pressurisationand earthquake propagation in the Hikurangi subductionzone", condotto grazie alla collaborazione tra l'IstitutoNazionale di Geofisica e Vulcanologia, le Università diPisa e Padova, e la University College London, sualcuni campioni provenienti dalla zona di Hikurangi inNuova Zelanda.Il lavoro è stato pubblicato di 'Nature Communications'. "Nelle zone di subduzione" spiega Stefano Aretusini,ricercatore dell'INGV e primo autore dello studio,"lo scivolamento sismico che avviene a profonditàcrostali ridotte può portare alla generazione disunami e terremoti.A causa delle difficoltà sperimentali nel deformare imateriali presenti in queste aree, i processi fisici cheriducono la resistenza della spinta cui è sottopostala faglia sono poco conosciuti.Analizzando in laboratorio il comportamento deicampioni prelevati nella zona di subduzione diHikurangi", prosegue il ricercatore, "abbiamo scopertoche le argille presenti tendono ad avere una bassaresistenza alle spinte sismiche a causa dell'acqua inpressione che trattengono al loro interno". Per studiare il comportamento di queste argilleprovenienti dalla faglia i ricercatori hanno condottodegli esperimenti sui numerosi campioni raccoltidurante la campagna internazionale di perforazione"Integrated Ocean Drilling Program 375" effettuatanel 2018 a largo dell'Isola Nord della NuovaZelanda, a cui ha partecipato la professoressaFrancesca Meneghini dell'Università di Pisa, secondaautrice del lavoro pubblicato. Fig. a)  Schema della zona di subduzione di Hikurangi(la linea rossa indica il profilo nel pannello b) Fig.b) Posizione della perforazione oceanica IODP(linea verde) e della faglia di subduzione (linea rossa)Fig. c) Come appare il materiale di faglia ricco in argilla©IngvIn dettaglio, sono stati polverizzati i campionidelle rocce presenti all'interno della faglia.Le polveri sono state testate nel Laboratorio AltaPressione e Alte Temperature (HP-HT) dell'INGV attraversoun sofisticato apparato, SHIVA (Slow to High VelocityApparatus) finanziato dall'European ResearchCouncil su un progetto di Giulio Di Toro, dell'Universitàdi Padova e co-autore di questo studio, e riproduceil "motore" dei terremoti (la faglia) permettendo diosservare quello che accade all'interno della crostaterrestre e le deformazioni subite dalla roccia sottofortissime pressioni.All'interno di SHIVA, le polverisono state analizzateattraverso un nuovo metodo che ha consentito di trattenere al loro interno l'acqua mentre erano deformatealle velocità tipiche dei terremoti.  Attraverso i test di controllo condotti su un materiale lecui caratteristiche sono note, una polvere di marmo diCarrara, i ricercatori sono arrivati alla conclusione chequeste argille favoriscono lo scorrimento sismico dellafaglia proprio a causa della loro capacità di trattenereacqua, caratteristica che le rende più 'deboli'. "Quando ho deciso di partecipare alla spedizione oceano-grafica", racconta Francesca Meneghini, "ho subitocontattato i colleghi dell'INGV e dell'Università di Padova,coi quali collaboro da anni, certa che fosse un'opportunitàunica per testare la nuova tecnica sperimentalesviluppata all'Istituto e dare un ulteriore contributo allanostra conoscenza dei fenomeni sismici". "I successivi sviluppi di questa ricerca", conclude StefanoAretusini, "saranno quelli di analizzare con lo stessometodo anche altri tipi di materiali campionati durantela missione per cercare di comprendere quali tra essipossono favorire il processo di scuotimento sismicouna volta arrivati alla zona di subduzione". Dove: Lo studio "Fluid pressurisation and earthquakepropagation in the Hikurangi subduction zone" è statopubblicato sulla rivista internazionale NatureCommunications.https://www.nature.com/articles/s41467-021-22805-w(La redazione di Le Scienze non è responsabile deltesto di questo comunicato stampa, che è statopubblicato integralmente e senza variazioni