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I mici sulla Via della Seta....

Post n°3182 pubblicato il 15 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

10 luglio 2020

In compagnia dei gatti sulla Via della Seta di mille anni fa

 

©Maike Glöckner/MLU L'analisi dei resti di un gatto scoperti in

Kazakhstan e datati tra il 775 e il 940 d.C. rivela che era stato un

animale di compagnia, nutrito e curato con affetto dai suoi proprietari,

che facevano parte degli Oghuz, una tribù di pastori nomadi che

vivevano nella zona.

La scoperta testimonia un cambiamento culturale notevole, che si

riteneva avvenuto in Asia centrale molto più di tardi

Mille anni fa, sulla Via della Seta, i gatti facevano compagnia ai

pastori, che già all'epoca dedicavano loro cure e affetto.

È quanto ha concluso un gruppo internazionale di ricercatori della

Martin Luther University Halle-Wittenberg (MLU), della Korkyt-Ata

Kyzylorda State University in Kazakhstan, dell'Università di Tubinga

e della Scuola di studi economici superiori in Russia, che

 presenta su "Scientific Reports" una dettagliata ricostruzione del

rapporto tra esseri umani e gatti sulla base degli scavi condotti a

Dzhankent, un insediamento altomedievale nel sud dell'attuale

Kazakhstan.

Situato nella parte settentrionale della Via della Seta, che collegava

l'Asia centrale e orientale con i paesi del Mediterraneo, l'insediamento

è considerato la capitale degli Oghuz, una tribù di pastori nomadi.

Nel sito, gli autori hanno scoperto lo scheletro di un gatto molto ben

conservato, datato tra il 775 e il 940 d.C.

Si tratta di un ritrovamento piuttosto raro, perché l'animale aveva avuto

una sepoltura vera e propria, cosa non frequente nella documentazione

archeologica relativamente ai gatti (a differenza dei cani).

Di conseguenza, l'intero cranio, compresa la mascella inferiore, parti

della parte superiore del corpo, le gambe e quattro vertebre si sono

conservate molto bene, e hanno potuto essere esaminate approfondita-

mente, permettendo di trarre conclusioni sistematiche sulla vita

dell'animale.

Gli autori hanno acquisito  immagini tridimensionali e a raggi X delle

ossa, per poi procedere a un'analisi degli isotopi dei diversi elementi

contenuti, raccogliendo indicazioni importanti sulla dieta.

I dati hanno mostrato che il gatto non aveva avuto una vita facile.

"Aveva subìto molte fratture nel corso della vita" ha spiegato Ashleigh

Haruda, della MLU, e tuttavia è sopravvissuto oltre il primo anno, segno

che qualcuno si era preso cura di lui.

Gli isotopi hanno mostrato inoltre che aveva avuto un'alimentazione

molto ricca di proteine rispetto ad altri gatti dell'epoca e ai cani ritrovati

nello scavo.

"Deve essere stato nutrito dagli esseri umani perché nella parte finale

della sua esistenza aveva perso tutti i denti", ha aggiunto Haruda.

Importanti anche le indicazioni emerse dalle analisi genetiche:

il DNA dell'animale ha dimostrato che si trattava di un gatto domestico

della specie Felis catus L. e non di un gatto selvatico della steppa,

una specie strettamente imparentata. 

Secondo gli autori, i dati raccolti suggeriscono che già all'epoca ci

fossero gatti da compagnia, un fatto indicativo di un profondo mutamento

sociale.

"Gli Oghuz tenevano gli animali con sé solo quando erano essenziali

per la loro vita: cani, per esempio, possono vegliare sul gregge, ma

per i gatti è difficile immaginare un ruolo pratico a quell'epoca",

ha concluso Haruda.

"Il fatto che all'epoca le persone tenessero e curassero animali così

'esotici' indica un cambiamento culturale che si pensava fosse

avvenuto molto più tardi in Asia centrale", una regione ritenuta più

lenta rispetto all'introduzione di innovazioni nell'agricoltura e

nell'allevamento del bestiame. (red)

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