blogtecaolivelli
blog informazione e cultura della biblioteca Olivelli
TAG
TAG
Messaggi del 22/12/2018
Post n°1812 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
|
Post n°1811 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Una genesi africana recente. L'alimentazione dei Neanderthal variava molto da regione a regione: alcuni erano vegetariani, altri prediligevano la carne. L'ha dimostrato l'analisi del tartaro sui denti fossili, che ha rivelato anche un probabile uso delle piante a scopi terapeutici. La somiglianza della flora batterica orale con quella degli esseri umani moderni suggerisce inoltre che lo s cambio di baci con i nostri antenati non fosse così raro. Variava molto da regione a regione la dieta dei Neanderthal, che non solo sapevano adattarsi alle risorse disponibili nei diversi ambienti, ma sapevano anche usare le piante per curarsi. A dimostralo sono le indagini condotte da un gruppo internazionale di ricercatori che ha analizzato il DNA trovato nella placca dentale di quattro soggetti rinvenuti nei siti rupestri di Spy in Belgio e di El Sidrón i n Spagna. I reperti - che risalgono a un periodo compreso fra i 42.000 e i 50.000 anni fa - costituiscono i più antichi campioni di placca dentale che siano mai stati sottoposti ad analisi genetica. La placca dentale è stata una trappola per i microrganismi che vivevano nella bocca, per gli agenti patogeni presenti nel tratto respiratorio e gastrointestinale e per piccoli frammenti di cibo bloccato fra i denti. In questo modo il DNA di questi elementi si è potuto conservare per migliaia di anni", ha detto Laura S. Weyrich, prima firmataria dell'articolo pubblicato su "Nature" in cui è descritto lo studio. I ricercatori hanno scoperto che i Neanderthal della grotta di Spy consumavano carne di rinoceronti lanosi e mufloni, integrando la dieta con funghi porcini. Gli abitanti di El Sidrón sembra che seguissero invece una dieta in gran parte vegetariana, che comprendeva pinoli, muschi, funghi e corteccia d'albero. Uno dei Neandertal di El Sidrón, inoltre, doveva essere molto malato: soffriva non solo di un ascesso dentale (i cui segni sono ben visibili sulla mandibola), ma anche di una parassitosi intestinale che provoca una diarrea acuta. Ma la scoperta che più ha sorpreso è che quel Neanderthal stava cercando di curarsi: nella sua placca - ma non in quella degli altri - sono state trovate tracce di corteccia di pioppo, che contiene acido salicilico, un antidolorifico e antipiretico, e di una muffa: Penicillinum rubens, che produce naturalmente un antibiotico. "A quanto pare, i Neanderthal avevano una buona conoscenza delle piante medicinali e delle loro proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche", ha detto la Weyrich. Regione che vai, dieta Neanderthal che troviLa grotta di El Sidron, dove sono stati rinvenuti reperti neandethaliani. Neanderthal ed esseri umani, antichi e moderni, hanno anche condiviso molti patogeni, tra i quali i batteri che causano la carie e malattie gengivali, la cui somiglianza suggerisce che l'intimità tra le due specie, in particolare lo scambio di baci, non fosse così rara. uno di questi microrganismi, Methanobrevibacter oralis, che è a oggi il genoma batterico patogeno più antico che sia stato sequenziato. I ricercatori hanno anche notato la rapidità con cui la comunità microbica orale è cambiata nella storia recente, la cui composizione è apparsa strettamente correlata - proprio come negli esseri umani di oggi - alla quantità di carne consumata nella dieta. La flora batterica dei Neandertal spagnoli era affine a quella degli scimpanzé e dei nostri più antichi antenati prevalentemente raccoglitori, mentre i Neandrthal belgi ne avevano una simile a quella dei primi cacciatori-raccoglitori e degli esseri umani moderni. Considerato che le linee evolutive di Neanderthal e umani moderni si sono separate in tempi molto remoti, questa affinità nella flora batterica orale, e ancor più dei patogeni che vi si possono insediare, induce il forte sospetto che essa sia una conseguenza di contatti molto stretti fra membri delle due specie; in altri termini che ci sia stato uno scambio della flora batterica attraverso i baci. |
Post n°1810 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Una migrazione dall'Africa all'Europa di ominini stretti parenti della nostra specie avvenuta quasi 300.000 anni fa portò a un mescolamento con i Neanderthal di cui è stata trovata traccia nel DNA mitocondriale estratto dal femore di un neanderthaliano. antropologiagenetica strettamente imparentati con l'essere umano moderno, giunse in Europa dove si mescolò con i Neanderthal che vi abitavano. La scoperta è stata possibile grazie all'analisi del DNA mitocondriale estratto da un femore neanderthaliano venuto alla luce nella grotta di Hohlenstein- Stadel, nella Germania sud-occidentale, e datato a circa 124.000 anni fa, ben prima dell'arrivo sul continente - circa 45.000 anni fa - dei primi Homo sapiens. Un incrocio dei Neanderthal con nostri antenati africani mitocondriale. La ricerca che ha portato a questa conclusione è stata effettuata da ricercatori del Max-Planck-Institut per la storia dell'umanità a Jena e dell'Università di Tübingen, che firmano un articolo pubblicato su "Nature Communications". Precedenti ricerche basate sull'analisi del DNA nucleare dei Neanderthal e sul suo confronto con quello degli esseri umani moderni hanno stimato che la separazione dei due gruppi sia avvenuta fra i 765.000 i 550.000 anni fa circa; inoltre le stesse analisi hanno rilevato uno stretto apparentamento fra Neanderthal e l'uomo di Denisova, l'altro nostro "cugino" umano estinto, per molti versi ancora misterioso, i cui resti furono scoperti per la prima volta nel 2008 nella Siberia meridionale. Il patrimonio genetico non è tuttavia formato dal solo DNA nucleare, che si trova cioè nel nucleo delle cellule, ma anche da quello presente nei mitocondri (gli organelli cellulari che producono l'energia necessaria alle cellule), che derivano solo dalle cellule uovo della madre. Il DNA mitocondriale permette quindi di ricostruire l'ascendenza materna. Ebbene, gli studi sul DNA mitocondriale hanno indicato una data molto più recente per la separazione fra Neanderthal ed essere umano moderno: meno di 400.000 anni fa. Le analisi di DNA nucleare e mitocondriale indicano quindi due date notevolmente differenti per la separazione del lignaggio dell'essere umano moderno e neanderthaliano, suggerendo che in qualche momento della storia dei Neanderthal ci sia stato un parziale mescolamento dei due lignaggi. Questa ipotesi è stata ora confermata dall'analisi del DNA mitocondriale del femore di Hohlenstein-Stadel: quel DNA è infatti risultato differente da quello dei neanderthaliani più antichi e più simile a quelli dell'essere umano moderno. Un incrocio dei Neanderthal con nostri antenati africani La grotta di Hohlenstein-Stadel, nella Germania sud-occidentale Prendendo in esame il cosiddetto orologio molecolare - ossia il tasso medio di mutazioni che intervengono nel DNA nel corso del tempo - Johannes Krause e colleghi sono riusciti a definire una linea temporale di questi eventi. La migrazione dall'Africa all'Europa degli antenati diretti dell'uomo moderno sarebbe avvenuta fra 470.000 e 220.000 anni fa, con il picco di probabilità intorno ai 270.000 anni fa. Il gruppo dei nuovi migranti - osservano i ricercatori - deve essere stato abbastanza piccolo da non avere un grande impatto sul DNA nucleare dei Neanderthal, ma abbastanza grande da sostituire la linea mitocondriale dei Neanderthal dell'epoca, più simile a quella dei denisovani, con un tipo più simile a quella degli umani moderni. Questo scenario, concludono i ricercatori, implica inoltre che la popolazione dei Neanderthal europei doveva essere più consistente di quella finora stimata. |
Post n°1809 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE:INTERNET Un osso di corvo ritrovato in un sito neanderthaliano presenta una serie di tacche incise in modo da creare un motivo regolare. Le analisi del reperto - fra cui uno studio di archeologia sperimentale - indicano che le tacche sono state realizzate intenzionalmente, forse per creare un ornamento: un oggetto privo di un'utilità pratica, ma indice della capacità di pensiero simbolico E' un frammento osseo ricavato dal radio di un corvo il primo reperto archeologico che mostra direttamente le elevate capacità simboliche dei Neanderthal. Il frammento è stato infatti inciso i ntenzionalmente, creando una serie di tacche uniformi e regolarmente spaziate, probabilmente per farne un ornamento. A sostenerlo è un gruppo internazionale di ricercatori che in un articolo pubblicato su "PLoS ONE" descrive come è arrivato a questa conclusione. Il livello delle capacità cognitive dei Neanderthal continua a essere materia di discussione fra paleoantropologi e archeologi, soprattutto negli ultimi tempi, in seguito a una serie di ritrovamenti che suggeriscono una buona capacità simbolica, legata alla creazione di ornamenti, cioè oggetti privi di una finalità pratica immediata. L'osso decorato e le capacità cognitive dei Neanderthal Parte del frammento di osso inciso dai Neanderthal. Un certo numero di questi oggetti è costituito da ossa di uccelli con incisioni o fori, che però secondo una parte degli studiosi potrebbero essere il frutto casuale di operazioni di spolpamento. Questa ipotesi è difficile da smentire, dato che nei siti di ritrovamento non c'è traccia, per esempio, delle penne che potevano impreziosire il presunto monile, trattandosi di materiali facilmente degradabili. Francesco d'Errico, dell'Università di Bordeaux, e collaboratori hanno condotto uno studio che ha sfruttato una varietà di metodologie per analizzare le tacche presenti su un frammento osseo di corvo scoperto, insieme a altri reperti, nel sito neanderthaliano di Zaskalnaya VI, in Crimea. In particolare, i ricercatori hanno condotto anche uno studio di archeologia sperimentale: hanno invitato un gruppo di volontari a incidere delle tacche spaziate in modo regolare su alcune ossa di tacchino domestico (che hanno dimensioni simili a quelle dell'osso di corvo trovato a Zaskalnaya). Le incisioni sono state eseguite con schegge di pietra simili a quelle trovate nel sito preistorico. L'osso decorato e le capacità cognitive dei Neanderthal Ricostruzione sperimentale dell'incisione delle tacche. L'analisi morfometrica ha mostrato che la spaziatura degli intagli sperimentali era paragonabile alla distanza degli intagli nell'osso di corvo. Anche le imprecisioni nella valutazione dell'equidistanza fra le tacche erano simili e corrispondevano a quelle connesse ai limiti delle capacità percettive umane. Secondo i ricercatori, il complesso di prove raccolte suggerisce con forza che le tacche siano state realizzate intenzionalmente al preciso scopo di creare un motivo regolare sull'osso. |
Post n°1808 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Una genesi africana recente L'alimentazione dei Neanderthal variava molto da regione a regione: alcuni erano vegetariani, altri prediligevano la carne. L'ha dimostrato l'analisi del tartaro sui denti fossili, che ha rivelato anche un probabile uso delle piante a scopi terapeutici. La somiglianza della flora batterica orale con quella degli esseri umani moderni suggerisce inoltre che lo scambio di baci con i nostri antenati non fosse così raro. Variava molto da regione a regione la dieta dei Neanderthal, che non solo sapevano adattarsi alle risorse disponibili nei diversi ambienti, ma sapevano anche usare le piante per curarsi. A dimostralo sono le indagini condotte da un gruppo internazionale di ricercatori che ha analizzato il DNA trovato nella placca dentale di quattro soggetti rinvenuti nei siti rupestri di Spy in Belgio e di El Sidrón in Spagna. I reperti - che risalgono a un periodo compreso fra i 42.000 e i 50.000 anni fa - costituiscono i più antichi campioni di placca dentale che siano mai stati sottoposti ad analisi genetica. Regione che vai, dieta Neanderthal che trovi Mascella superiore di uno dei Neanderthal di El Sidron. "La placca dentale è stata una trappola per i microrganismi che vivevano nella bocca, per gli agenti patogeni presenti nel tratto respiratorio e gastrointestinale e per piccoli frammenti di cibo bloccato fra i denti. In questo modo il DNA di questi elementi si è potuto conservare per migliaia di anni", ha detto Laura S. Weyrich, prima firmataria dell'articolo pubblicato su "Nature" in cui è descritto lo studio. I ricercatori hanno scoperto che i Neanderthal della grotta di Spy consumavano carne di rinoceronti lanosi e mufloni, integrando la dieta con funghi porcini. Gli abitanti di El Sidrón sembra che seguissero invece una dieta in gran parte vegetariana, che comprendeva pinoli, muschi, funghi e corteccia d'albero. Uno dei Neandertal di El Sidrón, inoltre, doveva essere molto malato: soffriva non solo di un ascesso dentale (i cui segni sono ben visibili sulla mandibola), ma anche di una parassitosi intestinale che provoca una diarrea acuta. Ma la scoperta che più ha sorpreso è che quel Neanderthal stava cercando di curarsi: nella sua placca - ma non in quella degli altri - sono state trovate tracce di corteccia di pioppo, che contiene acido salicilico, un antidolorifico e antipiretico, e di una muffa: Penicillinum rubens, che produce naturalmente un antibiotico. "A quanto pare, i Neanderthal avevano una buona conoscenza delle piante medicinali e delle loro proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche", ha detto la Weyrich. Regione che vai, dieta Neanderthal che trovi La grotta di El Sidron, dove sono stati rinvenuti reperti neandethaliani. Neanderthal ed esseri umani, antichi e moderni, hanno anche condiviso molti patogeni, tra i quali i batteri che causano la carie e malattie gengivali, la cui somiglianza suggerisce che l'intimità tra le due specie, in particolare lo scambio di baci, non fosse così rara. Weyrich e colleghi sono riusciti a identificare uno di questi microrganismi, Methanobrevibacter oralis, che è a oggi il genoma batterico patogeno più antico che sia stato sequenziato. I ricercatori hanno anche notato la rapidità con cui la comunità microbica orale è cambiata nella storia recente, la cui composizione è apparsa strettamente correlata - proprio come negli esseri umani di oggi - alla quantità di carne consumata nella dieta. La flora batterica dei Neandertal spagnoli era affine a quella degli scimpanzé e dei nostri più antichi antenati prevalentemente raccoglitori, mentre i Neandrthal belgi ne avevano una simile a quella dei primi cacciatori-raccoglitori e degli esseri umani moderni. Considerato che le linee evolutive di Neanderthal e umani moderni si sono separate in tempi molto remoti, questa affinità nella flora batterica orale, e ancor più dei patogeni che vi si possono insediare, induce il forte sospetto che essa sia una conseguenza di contatti molto stretti fra membri delle due specie; in altri termini che ci sia stato uno scambio della flora batterica attraverso i baci. |
Post n°1807 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: iNTERNET Le sequenze di DNA ereditate dai Neanderthal - che sono presenti, sia pure in numero ridotto, nella maggior parte delle persone - influenzano il livello di attivazione dei nostri geni contribuendo così a diversi tratti: dall'altezza all'efficienza del sistema immunitario, fino alla suscettibilità a varie malattie. Le sequenze di DNA che abbiamo ereditato dai Neanderthal non sono relitti silenziosi di un lontano passato, ma influenzano numerosi tratti negli esseri umani moderni che ne sono portatori, dal metabolismo dei grassi all'altezza fino alla suscettibilità a svariate malattie, come la depressione o il lupus. A scoprirlo sono stati tre ricercatori dell'University of Washington a Seattle, che illustrano in loro studio in un articolo pubblicato su "Cell". L'effetto dei geni dei Neanderthal sulla nostra salute moderne sono conservati frammenti del genoma neanderthaliano: dall'1 al 4 per cento dei geni di ogni persona ha questa origine, vale a dire che alcuni geni sono presenti nella loro versione neanderthaliana e non in quella tipica dell'uomo moderno. Tuttavia, poiché, a differenza di quanto accade per il DNA, non è possibile estrarre dai fossili l'RNA, finora non era stato possibile stabilire se la versione (allele) moderna e quella neanderthaliana dello stesso gene sono funzionalmente equivalenti o se ci sono delle differenze. Rajiv C. McCoy, Jon Wakefield e Joshua M. Akey hanno usato il database del progetto Genotype-Tissue Expression (GTEx), che ha individuato una platea di persone che hanno sia una versione Neanderthal sia una versione umana moderna di un certo gene, una ereditata dalla madre e l'altra dal padre. Per ognuno di questi geni, i ricercatori hanno poi confrontato l'espressione dei due alleli in 52 diversi tessuti. Nel 25 per cento dei casi testati, è stato possibile rilevare una differenza di espressione tra l'allele Neanderthal e quello moderno. L'espressione degli alleli neanderthaliani tendeva a essere particolarmente bassa nel cervello e nei testicoli, suggerendo che questi tessuti abbiano sperimentato una più rapida evoluzione da quando, circa 700.000 anni fa, Neanderthal e umani moderni hanno iniziato a differenziarsi. Di conseguenza, ha detto Akey, "possiamo ipotizzare che le differenze di regolazione genica più marcate tra noi e i Neanderthal siano nel cervello e nei testicoli". L'effetto dei geni dei Neanderthal sulla nostra salute Le varianti neanderthaliane dei geni presenti nel nostro genoma hanno livelli di espressione diversi delle varianti umane moderne dei geni corrispondenti, e questo si ripercuote nei tratti L'espressione dell'allele neandethaliano a livello cerebrale è comunque apparsa correlata a un aumento del rischio di alcuni disturbi psichiatrici, in particolare depressione, disturbo ossessivo compulsivo, autismo e dipendenza da nicotina. (A causa del limitato gruppo di soggetti testati, non è stato invece possibile controllare a questo livello bio molecolare la correlazione con un aumento dell rischio di schizofrenia, suggerita da precedenti ricerche.) La ricerca ha inoltre confermato che gli alleli dei nostri antichi "cugini" aumentano il rischio di varie altre malattie, dalla fibrosi cistica alle patologie autoimmuni e in particolare al lupus. Va però ricordato che l'eredità neanderthaliana non è tutta negativa: alcuni suoi alleli permettono per esempio una migliore sintesi della vitamina D o lo sviluppo di un sistema immunitario più efficiente, soprattutto grazie a una maggior produzione di interleuchine. I ricercatori intendono proseguire in questo tipo di ricerca, approfondendo lo studio degli effetti degli alleli neanderthaliani e ampliandolo a quello dei possibili effetti degli alleli provenienti da un'altra specie cugina estinta: l'uomo di Denisova. |
Post n°1806 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE:INTERNET Una nuova analisi su genomi di popolazioni di diversa provenienza geografica ha dimostrato che gli esseri umani moderni possiedono 126 regioni del DNA in cui la frequenza di geni ereditati da ominidi arcaici come l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Denisova è particolarmente elevata. Ciò indica probabilmente che quei geni conferirono ai nostri antenati un vantaggio adattativo, che sfruttarono per colonizzare ambienti molto diversi tra loro dopo l'emigrazione dall'Africa. Sono 126 le regioni del genoma umano in cui sono presenti geni ereditati da umani arcaici come l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Denisova. Ciò rappresenta una prova evidente che gli esseri umani moderni, nella lunga emigrazione che dall'Africa li ha portati in tutti i continenti, si sono incrociati con quelle specie arcaiche. Ora un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Current Biology" da Joshua Akey e colleghi dell'Università di Washington a Seattle, dimostra che questo incrocio ci ha favoriti, dotandoci di alcuni tratti fondamentali per la sopravvivenza. "Il nostro lavoro mostra che l'incrocio genetico tra Homo sapiens e altre specie arcaiche non è una semplice curiosità della nostra storia evolutiva, ma ha avuto importanti conseguenze, contribuendo alla capacità di adattamento ai diversi ambienti dei nostri antenati, che così hanno potuto colonizzare tutto il mondo emerso", ha spiegato Joshua Akey of University of Washington School of Medicine in Seattle. Le analisi genetiche avevano già mostrano che gli individui non africani hanno ereditato circa il 2 per cento dei geni dai neanderthaliani, e le popolazioni della Melanesia il 2-4 per cento dai denisovani, ma non era chiaro quale conseguenza avesse avuto questa mescolanza per la nostra evoluzione. Akey e colleghi hanno utilizzato alcune mappe genomiche di recente acquisizione costruite a partire da sequenze di DNA di Neanderthal e Denisova relative a più di 1500 individui di aree geografiche diverse, e precisamente: 504 provenienti dal Sud Est Asiatico, 503 Europei, 489 dell'Asia meridionale, e 27 dalle isole della Melanesia (Indonesia, Nuova Guinea, Fiji e Vanuatu). Il vantaggio adattativo dei geni Neanderthal e Denisova Ricostruzione museale dell'aspetto dell'Uomo di Neanderthal.
denisovane sopravvissute rappresentano, in media, meno del 5 per cento del genoma, grazie alle nuove analisi sono stati scoperti 126 loci in cui la frequenza di sequenze arcaiche nella popolazione studiata è decisamente più elevata, fino al 65 per cento. Sette di questi loci sono compresi in regioni note per il loro coinvolgimento nella determinazione delle caratteristiche della pelle, mentre altre 31 codificano per elementi importanti del nostro sistema immunitario. "Il fatto che questi geni arcaici abbiano raggiunto una frequenza così alta nella popolazione indica molto probabilmente che si trattava di geni vantaggiosi", ha aggiunto Akey. "Inoltre, molte delle sequenze di elevata frequenza comprendono geni legati al sistema immunitario, che è spesso un target dell'adattamento evolutivo". In termini generali, i geni ereditati da Neanderthaliani e Denisovani sono importanti per le nostre interazioni con l'ambiente: le prove indicano che l'incrocio con gli esseri umani arcaici consentì ai nostri antenati di adattarsi rapidamente ai nuovi ambienti che via via incontravano. Ora i ricercatori vorrebbero sapere di più su come i geni influenzarono la capacità degli esseri umani di sopravvivere, e quali implicazioni ebbero sulle malattie umane. Per capirlo, il prossimo passo sarà probabilmente quello di includere popolazioni geograficamente differenti di altre parti del mondo, inclusa l'Africa. |
Post n°1805 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE:INTERNET Una nuova analisi su genomi di popolazioni di diversa provenienza geografica ha dimostrato che gli esseri umani moderni possiedono 126 regioni del DNA in cui la frequenza di geni ereditati da ominidi arcaici come l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Denisova è particolarmente elevata. Ciò indica probabilmente che quei geni conferirono ai nostri antenati un vantaggio adattativo, che sfruttarono per colonizzare ambienti molto diversi tra loro dopo l'emigrazione dall'Africa. Sono 126 le regioni del genoma umano in cui sono presenti geni ereditati da umani arcaici come l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Denisova. Ciò rappresenta una prova evidente che gli esseri umani moderni, nella lunga emigrazione che dall'Africa li ha portati in tutti i continenti, si sono incrociati con quelle specie arcaiche. Ora un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Current Biology" da Joshua Akey e colleghi dell'Università di Washington a Seattle, dimostra che questo incrocio ci ha favoriti, dotandoci di alcuni tratti fondamentali per la sopravvivenza. "Il nostro lavoro mostra che l'incrocio genetico tra Homo sapiens e altre specie arcaiche non è una semplice curiosità della nostra storia evolutiva, ma ha avuto importanti conseguenze, contribuendo alla capacità di adattamento ai diversi ambienti dei nostri antenati, che così hanno potuto colonizzare tutto il mondo emerso", ha spiegato Joshua Akey of University of Washington School of Medicine in Seattle. Le analisi genetiche avevano già mostrano che gli individui non africani hanno ereditato circa il 2 per cento dei geni dai neanderthaliani, e le popolazioni della Melanesia il 2-4 per cento dai denisovani, ma non era chiaro quale conseguenza avesse avuto questa mescolanza per la nostra evoluzione. Akey e colleghi hanno utilizzato alcune mappe genomiche di recente acquisizione costruite a partire da sequenze di DNA di Neanderthal e Denisova relative a più di 1500 individui di aree geografiche diverse, e precisamente: 504 provenienti dal Sud Est Asiatico, 503 Europei, 489 dell'Asia meridionale, e 27 dalle isole della Melanesia (Indonesia, Nuova Guinea, Fiji e Vanuatu). Il vantaggio adattativo dei geni Neanderthal e Denisova Ricostruzione museale dell'aspetto dell'Uomo di Neanderthal. Mentre le sequenze neanderthaliane e denisovane sopravvissute rappresentano, in media, meno del 5 per cento del genoma, grazie alle nuove analisi sono stati scoperti 126 loci in cui la frequenza di sequenze arcaiche nella popolazione studiata è decisamente più elevata, fino al 65 per cento. Sette di questi loci sono compresi in regioni note per il loro coinvolgimento nella determinazione delle caratteristiche della pelle, mentre altre 31 codificano per elementi importanti del nostro sistema immunitario. "Il fatto che questi geni arcaici abbiano raggiunto una frequenza così alta nella popolazione indica molto probabilmente che si trattava di geni vantaggiosi", ha aggiunto Akey. "Inoltre, molte delle sequenze di elevata frequenza comprendono geni legati al sistema immunitario, che è spesso un target dell'adattamento evolutivo". In termini generali, i geni ereditati da Neanderthaliani e Denisovani sono importanti per le nostre interazioni con l'ambiente: le prove indicano che l'incrocio con gli esseri umani arcaici consentì ai nostri antenati di adattarsi rapidamente ai nuovi ambienti che via via incontravano. Ora i ricercatori vorrebbero sapere di più su come i geni influenzarono la capacità degli esseri umani di sopravvivere, e quali implicazioni ebbero sulle malattie umane. Per capirlo, il prossimo passo sarà probabilmente quello di includere popolazioni geograficamente differenti di altre parti del mondo, inclusa l'Africa. |
Post n°1804 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Il crepuscolo dei Neanderthal Segni inequivocabili della pratica del cannibalismo sono stati scoperti sui fossili di Neanderthal vissuti oltre 40.000 anni fa nel sito belga di Goyet. La scoperta dimostra che questi nostri antichi "cugini" avevano una grande variabilità di comportamenti nei confronti dei defunti, altri gruppi geograficamente vicini erano soliti seppellirli. Quando eravamo cannibali antropologiapaleontologiacomportamento Alcuni gruppi di Neanderthal praticavano il cannibalismo. A dimostrarlo sono segni inequivocabili lasciati su ossa fossili venute alla luce in una caverna del complesso di grotte di Goyet, in Belgio,più precisamente nella "Troisième caverne". La scoperta, opera di paleoantropologi diretti da Hélène Rougier della California State University e descritta in "Scientific Reports", mostra che il repertorio di comportamenti dei Neanderthal era vario. In altri siti, come quelli di Chapelle-aux-Saints, in Francia, e di Sima de las Palomas in Spagna, sono state trovate prove dl fatto che i nostri cugini neanderthaliani seppellivano i defunti. Il cannibalismo dei Neanderthal Il complesso di ossa fossili appartenute ad almeno cinque individui e scoperte nella grotta di Goyet. Tornando ai fossili di Goyet, un'analisi multidisciplinare di 99 resti ossei ha stabilito che appartenevano ad almeno cinque individui, quattro adolescenti o adulti e un bambino, vissuti fra 45.500 e 40.500 anni fa. Diverse di queste ossa mostrano i caratteristici segni di percussione che si formano quando le ossa sono schiacciate per estrarre il midollo. Questi segni, inoltre, sono uguali a quelli trovati su fossili di cavalli e renne scoperti nello stesso sito, suggerendo che siano stati tutti consumati nello stesso modo. Il cannibalismo dei Neanderthal Alcuni dei segni che hanno permesso di risalire alla pratica del cannibalismo fra i Neanderthal. Non solo, alcune ossa umane mostrano anche altri segni che ne indicano un uso come percussori "delicati" per rifinire strumenti litici. La pratica di sfruttare le ossa per affilare i bordi degli strumenti in pietra era già stata osservata in altri siti. Di solito erano usate ossa di cervo, ma nel sito di Krapina, in Croazia, e di Les Pradelles, in Francia, era stato usato un femore umano, mentre a La Quina, sempre in Francia, era stato usato un cranio. L'ottimo stato di conservazione della ossa di Goyet ha permesso inoltre di estrarne e analizarne il DNA mitocondriale. Il confronto di questo DNA con quello di altri neanderthaliani, ha rivelato che l'uomo di Neanderthal di Goyet aveva una stretta somiglianza genetica con i suoi simili dei siti di Feldhofer, in Germania, di Vindija, in Croazia, e di El Sidrón in Spagna. Questo notevole uniformità genetica fra gli abitanti di siti così distanti indica che la popolazione di Neanderthal che all'epoca viveva in Europa era di piccole dimensioni. Purtroppo, osservano i ricercatori, l'impossibilità di associare questi resti ai complessi neanderthaliani della zona, perché non coevi, impedisce di capire se la pratica del cannibalismo fosse da inserire in un contesto rituale o meno. Tuttavia, il confronto con le pratiche funerarie di cui si ha testimonianza da siti relativamente vicini, nel raggio di 250 chilometri, indica che, a dispetto della stretta parentela genetica, i diversi gruppi di Neanderthal avevano comportamenti molto differenziati fra loro. |
Post n°1803 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Nella grotta francese di Bruniquel sono state scoperte strutture artificiali ad anello costruite con pezzi di stalagmiti tutti uguali. La loro datazione indica che risalgono a circa 175.000 anni fa, un'epoca in cui gli unici abitanti umani dell'Europa erano i Neanderthal, che avevano dunque comportamenti e capacità sociali decisamente evolute. La funzione di queste strutture è però ancora oscura(red) Risale a 176.000 anni fa e fu opera dei Neanderthal la prima costruzione realizzata da un essere umano tra quelle note finora. Si tratta di una serie di strutture complessivamente formate da 400 pezzi di stalagmite disposti ad anello situate a 336 metri dall'ingresso della grotta di Bruniquel, nel sud-ovest della Francia. Queste strutture - che furono scoperte nel 1992, ma che solo ora sono state studiate e datate - provano che i Neanderthal avevano comportamenti e abilità sociali ben più complessi di quanto generalmente ritenuto. Finora le poche strutture artificiali neanderthaliane note erano molto più recenti e costituite da elementi isolati di muretti a secco; per di più anche la loro attribuzione a questi nostri cugini era stata contestata da diversi studiosi. Le enigmatiche costruzioni sotterranee dei Neanderthal. La zona della grotta di Bruniquel in cui sono state trovate le strutture. Lo studio che ha portato a questa conclusione è stato realizzato da ricercatori dell'Università di Bordeaux, che lo descrivono in un articolo pubblicato su "Nature". Il complesso è costituito da sei strutture - due più grandi (rispettivamente di 6,7 per 4,5 metri di diametro e di 2,2 per 2,1 metri) e quattro di dimensioni minori - formate da pezzi di stalagmite di dimensioni simili (circa 30 centimetri), una circostanza che dimostra come la loro costruzione sia stata accuratamente progettata. All'interno di una delle strutture più piccole i ricercatori hanno anche recuperato un frammento di osso di circa sette centimetri che mostrava segni di contatto con una fonte di calore. La funzione di queste strutture, al cui interno sono state trovate tracce dell'accensione di fuochi, sono ancora oscure, potendo far parte di un rifugio o avere un significato simbolico. Le enigmatiche costruzioni sotterranee dei Neanderthal. Ricostruzione in 3D delle strutture della grotta. La datazione del complesso indica che le strutture risalgono a circa 176.000 anni fa, un'epoca in cui gli uomini di Neanderthal erano già presenti in quella parte d'Europa, ma non così gli esseri umani moderni, Homo sapiens, che arrivarono nel continente europeo solo fra 35-40.000 anni fa. Per confronto, la più antica documentazione archeologica di strutture costruite da esseri umani anatomicamente moderni risalgono a circa 20.000 anni fa, e sono le costruzioni in ossa di mammut realizzate dai cacciatori- raccoglitori delle pianure russe. La scoperta, che testimonia anche come i Neanderthal avessero già allora l'idea di organizzazione dello spazio, di controllo del fuoco e le capacità di sfruttare ambienti ipogei, rappresenta un'ulteriore conferma delle capacità dei neanderthaliani. Queste capacità, osservano i ricercatori sono state a lungo sottovalutate proprio a causa dell'assenza di reperti archeologici, un'assenza che tuttavia a questo punto si può attribuire innanzitutto alla loro distruzione. Le strutture di Bruniquel sono ben conservate probabilmente perché sono rimaste sigillate da ostruzioni di calcite molto presto dopo la loro costruzione. |
Post n°1802 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Risale a 176.000 anni fa e fu opera dei Neanderthal la prima costruzione realizzata da un essere umano tra quelle note finora. Si tratta di una serie di strutture complessivamente formate da 400 pezzi di stalagmite disposti ad anello situate a 336 metri dall'ingresso della grotta di Bruniquel, nel sud-ovest della Francia. Queste strutture - che furono scoperte nel 1992, ma che solo ora sono state studiate e datate - provano che i Neanderthal avevano comportamenti e abilità sociali ben più complessi di quanto generalmente ritenuto. Finora le poche strutture artificiali neanderthaliane note erano molto più recenti e costituite da elementi isolati di muretti a secco; per di più anche la loro attribuzione a questi nostri cugini era stata contestata da diversi studiosi. Le enigmatiche costruzioni sotterranee dei Neanderthal. La zona della grotta di Bruniquel in cui sono state trovate le strutture. Lo studio che ha portato a questa conclusione è stato realizzato da ricercatori dell'Università di Bordeaux, che lo descrivono in un articolo pubblicato su "Nature". Il complesso è costituito da sei strutture - due più grandi (rispettivamente di 6,7 per 4,5 metri di diametro e di 2,2 per 2,1 metri) e quattro di dimensioni minori - formate da pezzi di stalagmite di dimensioni simili (circa 30 centimetri), una circostanza che dimostra come la loro costruzione sia stata accuratamente progettata. All'interno di una delle strutture più piccole i ricercatori hanno anche recuperato un frammento di osso di circa sette centimetri che mostrava segni di contatto con una fonte di calore. La funzione di queste strutture, al cui interno sono state trovate tracce dell'accensione di fuochi, sono ancora oscure, potendo far parte di un rifugio o avere un significato simbolico. Le enigmatiche costruzioni sotterranee dei Neanderthal
grotta.
strutture risalgono a circa 176.000 anni fa, un'epoca in cui gli uomini di Neanderthal erano già presenti in quella parte d'Europa, ma non così gli esseri umani moderni, Homo sapiens, che arrivarono nel continente europeo solo fra 35-40.000 anni fa. Per confronto, la più antica documentazione archeologica di strutture costruite da esseri umani anatomicamente moderni risalgono a circa 20.000 anni fa, e sono le costruzioni in ossa di mammut realizzate dai cacciatori-raccoglitori delle pianure russe. La scoperta, che testimonia anche come i Neanderthal avessero già allora l'idea di organizzazione dello spazio, di controllo del fuoco e le capacità di sfruttare ambienti ipogei, rappresenta un'ulteriore conferma delle capacità dei neanderthaliani. Queste capacità, osservano i ricercatori sono state a lungo sottovalutate proprio a causa dell'assenza di reperti archeologici, un'assenza che tuttavia a questo punto si può attribuire innanzitutto alla loro distruzione. Le strutture di Bruniquel sono ben conservate probabilmente perché sono rimaste sigillate da ostruzioni di calcite molto presto dopo la loro costruzione. |
Post n°1801 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET L'analisi del cromosoma Y dei Neanderthal ha permesso di fissare a 550.000 anni fa la separazione fra la loro specie e la nostra, mostrando che nessuno dei geni che si trovavano su di esso è passato all'uomo moderno, che pure ha ereditato fino al 4 per cento del patrimonio genetico di questi nostri antichi cugini(red) Nel genoma degli esseri umani moderni vi sono parti di DNA che risalgono all'uomo di Neanderthal, ma non c'è traccia dei geni che si trovavano sul suo cromosoma Y, che quindi è andato perso. La scoperta - fatta da un gruppo di ricercatori della Stanford University e del Max Planck Institut per la biologia evoluzionistica diretti da Carlos Bustamante e pubblicata sul "The American Journal of Human Genetics" - permette inoltre di definire con maggiore precisione il momento in cui è iniziata la divergenza genetica fra noi e i Neanderthal: se finora si poteva solo indicare un arco di tempo compreso fra gli 800.000 e i 400.000 anni fa, l'analisi del cromosoma Y neandethaliano permette ora di fissare la data a circa 550.000 anni fa. Diverse ricerche hanno dimostrato che il DNA degli esseri umani moderni non africani contiene dal 2,5 al 4 per cento di DNA ereditato dai Neanderthal in seguito all'incrocio delle due specie avvenuto circa 50.000 anni fa. Gli studi che hanno condotto a questa conclusione erano stati condotti sul DNA mitocondriale, che viene passato alle generazioni successive solo per via materna, o su materiale genetico ricavato da ossa fossili di donne. La scomparsa del cromosoma Y neanderthaliano Microfotografia di un cromosoma X (a sinistra) e un cromosoma Y. ( Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Licence.) L'analisi del DNA del cromosoma Y di un neanderthaliano ha invece mostrato che "ha delle caratteristiche che non sono mai state rilevate in qualsiasi campione umano mai testato", ha detto Bustamante. "Questo non prova che sia totalmente estinto, ma è probabile che sia così." Le ragioni di questa scomparsa non sono certe, ed è possibile che nel corso dei millenni sia avvenuta per puro caso, ma i ricercatori propendono per un'altra spiegazione: i geni dei cromosomi Y neanderthaliani probabilmente erano incompatibili con altri geni dell'essere umano moderno. A sostegno di questa ipotesi c'è il fatto che uno dei geni del cromosoma Y dei Neanderthal era identico alla mutazione di un gene è coinvolto in casi di rigetto di un trapianto in cui l'organo donato a una donna proviene da un maschio. "Ciò ci suggerisce che le sequenze di DNA del cromosoma Y dei Neanderthal possano aver creato una barriera al flusso genico", ha detto Bustamante. Vari geni del cromosoma Y dei Neanderthal che differiscono dai nostri sono infatti coinvolti nel funzionamento del sistema immunitario e tre di essi riguardano i cosiddetti "antigeni di istocompatibilità minori", o geni H-Y, affini ai geni del complesso maggiore di istocompatibilità (HLA) che in caso di trapianto vengono controllati proprio per assicurarsi che donatore e ricevente abbiano profili immunitari sufficientemente simili. Un feto di sesso maschile con i geni H-Y dei Neanderthal potrebbe quindi essere attaccato dal sistema immunitario della madre. Il sistematico aborto spontaneo dei neonati di sesso maschile con cromosomi Y neanderthaliani spiegherebbe così la sua assenza negli esseri umani moderni. |
Post n°1800 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Straniero in una nuova terra Dall'analisi delle microabrasioni sui denti fossili di Neanderthal e dei primi uomini moderni giunti in Europa si è scoperto che la strategia alimentare dei primi era più flessibile di quella dei nostri antenati diretti. Paradossalmente, però, questa maggiore flessibilità si è tradotta in uno svantaggio che può aver contribuito alla loro Le diverse strategie alimentari di Neanderthal e umani moderni potrebbero aver contribuito all'estinzione degli uni e alla sopravvivenza degli altri. E' questa l'ipotesi avanzata da un gruppo di ricercatori del Max Planck Institut per l'antropologia evolutiva a Lipsia, d ella Stony Brook University e dell'University of Arkansas a Fayetteville, che in un articolo pubblicato su "PLoS One" illustrano i risultati di uno studio sui comportamenti alimentari delle due specie umane. Nel corso di centinaia di migliaia di anni, i Neanderthal sono riusciti a prosperare sopravvivendo alle forti fluttuazioni climatiche dell'Eurasia occidentale, con l'alternarsi di periodi molto freddi e più miti. La loro estinzione si verificò all'apice dell'ultimo periodo glaciale, circa 40.000 anni fa, relativamente poco tempo dopo l'arrivo in Europa degli esseri umani moderni. "Ci si aspetterebbe che i Neanderthal fossero meglio adattati alle condizioni climatiche a volte molto dure dell'era glaciale in Europa", afferma Sireen El Zaatari, coautore dello studio. "Si sono sviluppati lì, mentre gli esseri umani anatomicamente moderni si sono evoluti in Africa e sono migrati verso l'Europa molto più tardi." Le differenze di dieta tra Neanderthal e primi umani moderni Microabrasioni su un dente fossile. Dall'analisi delle microabrasioni sui molari fossili di Neanderthal ed esseri umani moderni del Paleolitico superiore è emerso che i Neanderthal avevano sempre adattato la loro dieta alle risorse più facili da trovare nelle diverse condizioni climatiche. Quando prevaleva un habitat a steppa, i Neanderthal mangiavano soprattutto carne. Nei periodi in cui il continente era prevalentemente a foresta, la loro dieta privilegiava semi e noci dure, che lasciano sui denti segni di microusura più complessi. Gli esseri umani moderni hanno invece cercato di attenersi il più possibile alla loro strategia alimentare di base, a prescindere dai cambiamenti ambientali. In particolare hanno mantenuto una dieta con una percentuale piuttosto alta di alimenti di origine vegetale anche in habitat prevalentemente a steppa. "Per essere in grado di farlo, hanno sviluppato strumenti, per esempio per estrarre le radici nel terreno", dice El Zaatari. La strategia alimentare flessibile che aveva assicurato la sopravvivenza dei Neanderthal per centinaia di migliaia di anni, da vantaggio si è trasformata in uno svantaggio quando è stata applicata a un contesto in cui alle difficili condizioni climatiche si è aggiunta la concorrenza degli umani moderni. La maggiore rigidità della dieta di questi ultimi si è invece rivelata per una volta un fattore positivo. |
Post n°1799 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Il simbolismo dei Neanderthal I primi gruppi di esseri umani moderni che arrivarono in Europa erano molto più esigui di quelli dei Neanderthal, ma la cultura più evoluta consentì ai nostri antenati diretti di superare lo svantaggio numerico, segnando il destino delle popolazioni autoctone. Fu la competizione con gli esseri umani moderni, in particolare quella culturale, a determinare l'estinzione dei Neanderthal, mentre altri fattori ipotizzati, come i cambiamenti climatici o la diffusione di malattie, avrebbero avuto un ruolo secondario. Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori della Stanford University e della Meiji University a Tokyo in un articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences". L'ipotesi "culturale" dell'estinzione neanderthaliana finora è stata trascurata perché al loro arrivo in Europa gli uomini moderni erano molto meno numerosi dei Neanderthal che abitavano la regione già da molto tempo. Per approfondire la questione, William Gilpin e colleghi hanno adattato al caso in esame un classico modello ecologico che definisce l'andamento demografico di due specie in competizione sullo stesso territorio, il modello di Lotka-Volterra detto anche modello preda-predatore, nel quale hanno incluso le differenze tra i livelli di sviluppo culturale delle due specie, derivate da elementi come la forma degli strumenti di cui disponevano e la loro sofisticazione tecnologica. Lo svantaggio culturale che segnò il destino dei Neanderthal (a sinistra) e di un uomo moderno. Il modello Lotka-Volterra, così esteso, ha indicato che il livello culturale che caratterizzava gli uomini moderni al Loro arrivo sarebbe stato già sufficiente per far sì che sostituissero i più numerosi Neanderthal in un tempo medio-lungo. A rendere ancora più veloce il processo fu però una sorta di circolo virtuoso a favore dell'uomo moderno. Il vantaggio competitivo di avere manufatti di qualità superiore avrebbe infatti garantito una maggiore sopravvivenza, e quindi una crescita della popolazione più elevata rispetto ai concorrenti. A sua volta, l'incremento della popolazione avrebbe facilitato l'introduzione di nuovi perfezionamenti tecnologici, aumentando quindi il divario culturale fra i due gruppi, fino a portare alla scomparsa della popolazione autoctona.
|
Post n°1798 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Nel genoma dell'uomo di Neanderthal vissuto 50.000 anni fa sulle montagne dell'Altai, in Siberia, vi erano geni di esseri umani moderni: la sco Sulle montagne dell'Altai, in Siberia, l'uomo di Neanderthal viveva già 100.000 anni fa. E nel suo genoma erano presenti geni di Homo sapiens: ciò significa che uno degli eventi fondamentali della nostra evoluzione, l'incontro tra esseri umani moderni e neanderthaliani, sarebbe avvenuto molto prima di quanto ritenuto finora. È questa la tesi di un gruppo di ricercatori del Max-Planck-Institut per l'Antropologia evoluzionistica a Lipsia guidati da Sergi Castellano che firmano un articolo sulla rivista "Nature". I rami filogenetici di esseri umani moderni e neanderthaliani si sono separati molto anticamente: circa 430.000 anni fa secondo i reperti fossili del sito di Sima de Los Huesos, in Spagna, e tra 550.000 e 765.000 anni fa secondo i resti scoperti sulle montagne dell'Altai. Più di recente è invece avvenuta la divergenza tra l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Denisovan, un'altra specie umana estinta, e cioè tra 381.000 e 473.000 anni fa, secondo le stime basate sui reperti siberiani. Più di 100.000 anni fa l'incrocio tra sapiens e Neanderthal. Rappresentazione artistica del DNA: le analisi geniche hanno permesso di scoprire antichi flussi genici tra esseri umani moderni e neandertahaliani (Wikimedia Commons) sapiens e l'uomo di Neanderthal hanno però avuto un contatto, datato a 47.000- 65.000 anni fa, che ha avuto come conseguenza un incrocio che ha lasciato una traccia evidente fino ai nostri giorni: l'1-4 per cento del genoma degli europei moderni è infatti di origine neanderthaliana. Sergi Castellano e colleghi hanno analizzato i genomi dell'uomo di Neanderthal e dell'uomo di Denisovan, vissuti entrambi sui Monti Altai, confrontandoli con due genomi di esseri umani attuali. Oltre a ciò, hanno analizzato le sequenze geniche del cromosoma 21 di due individui neanderthaliani, uno originario della Spagna e uno della Croazia. In questo caso, sono i geni degli esseri umani moderni a essere stati inglobati nel genoma neanderthaliano: una percentuale variabile tra l'1 e il 7,1 per cento del DNA di un individuo di sesso femminile appartenente ai neanderthaliani siberiani, vissuto 50.000 anni fa, contiene infatti geni sapiens. Ciò indica che in un'epoca precedente, databile secondo i calcoli a più di 100.000 anni fa, avvenne un incrocio tra le due specie, in particolare con una popolazione di sapiens che lasciò l'Africa in un'epoca molto remota. Invece, non c'è traccia di un contributo genetico dello stesso tipo nei genomi dei Denisovani e dei neanderthaliani occidentali. Secondo gli autori, questa popolazione umana moderna potrebbe aver incontrato i neanderthaliani in Medio Oriente, dove si pensa che sapiens e neanderthaliani fossero presenti fin da 120.000 anni fa. Un'alternativa è che il contatto sia avvenuto nel sud della penisola arabica e nell'area del Golfo Persico, dove probabilmente gli esseri umani moderni si erano già stabiliti a quei tempi. La scoperta costringe anche a rivedere le tappe della migrazione di Homo sapiens dall'Africa. "La cronologia degli incroci con i neanderthaliani è difficile da riconciliare con il modello dominante dell'evoluzione umana che prevede una singola, grande migrazione dall'Africa tra 50.000 e 60.000 anni fa", ha spiegato Adam Siepel, coautore dello studio. "I dati supportano fortemente l'idea di una migrazione molto precedente". |
Post n°1797 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET La piccola percentuale di geni che le popolazioni euroasiatiche hanno ereditato dai Neanderthal influenza il rischio di diversi disturbi fisici, come la cheratosi, e mentali, come la dipendenza da nicotina o la depressione. Lo ha scoperto il primo confronto diretto tra dati genomici e cartelle cliniche di 28.000 adulti europeI. Il rischio di sviluppare alcuni disturbi fisici, come la cheratosi, o mentali, come la dipendenza dalla nicotina e la depressione, è in parte determinato geneticamente: responsabili di questo rischio sono in particolare alcuni geni che abbiamo ereditato dai Neanderthal. È quanto è emerso dal primo studio, apparso sulla rivista "Science" a firma di John Capra, della Vanderbilt University a Nashville, in Tennessee, che ha confrontato genomi e cartelle cliniche di adulti europei, alla ricerca di correlazioni tra le patologie dei soggetti e la piccola porzione di corredo ereditario di origine neanderthaliana. Fin dal 2010 è infatti noto che nel genoma delle popolazioni euroasiatiche è presente un "contributo" dell'uomo di Neanderthal variabile tra l'1 e il 4 per cento, dovuto ai contatti e gli incroci avvenuti circa 40.000 anni fa con Homo sapiens. A partire da questo risultato, sono nate alcune ipotesi su quali tratti degli esseri umani moderni possano essere ereditati dai Neanderthal: si è parlato del colore della pelle, ma anche della suscettibilità alle allergie o del metabolismo dei grassi. Capra e colleghi hanno analizzato i dati clinici di 28.000 pazienti contenuti nel database Electronic Medical Records and Genomics Network (eMERGE), alla ricerca di disturbi e malattie, confrontandoli poi con i profili genomici degli stessi soggetti. I risultati confermano studi precedenti e dimostrano nuove correlazioni. "Il DNA neanderthaliano influenza i tratti clinici degli esseri umani moderni: abbiamo scoperto un'associazione con un'ampia gamma di tratti, tra cui la suscettibilità ad alcune malattie immunologiche, dermatologiche, neurologiche, psichiatriche e riproduttive", ha spiegato Capra, autore senior dell'articolo. Dipendenze e depressione? Colpa dei geni Neanderthal esempio è l'influenza del DNA neanderthaliano sui cheratinociti, cellule che proteggono la pelle dal danno della radiazione ultravioletta e degli agenti patogeni. Dalla nuova analisi è emerso che le varianti derivate dai Neanderthal aumentano il rischio di sviluppare cheratosi, una lesione cutanea caratterizzata dalla presenza di cheratinociti anomali. Più sorprendenti sono forse altre influenze su tratti psicologici. È emerso infatti che un breve tratto di DNA di origine neanderthaliana aumenta in modo significativo il rischio di dipendenza dalla nicotina, mentre esiste una serie di varianti geniche che influenza il rischio di depressione: alcune in senso positivo e altre in senso negativo. Secondo i ricercatori, i risultati indicano che il DNA neanderthaliano rimasto nei genomi delle popolazioni attuali probabilmente garantì alcuni vantaggi adattativi decine di migliaia di anni fa, quando Homo sapiens, proveniente dall'Africa, migrò in Eurasia, dove trovo un ambiente molto diverso, per il tipo di patogeni presenti e per la quantità dell'esposizione solare. Tuttavia molti di questi tratti non sono più vantaggiosi nell'ambiente attuale. Una variante genica neanderthaliana, per esempio, aumenta l'efficienza della coagulazione del sangue. In un ambiente preistorico, il tratto consentiva una rapida cicatrizzazione delle ferite, impedendo le infezioni. In un ambiente moderno, invece, l'ipercoagulazione aumenta il rischio di ictus, di embolia polmonare e di complicazioni durante la gravidanza. |
Post n°1796 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Tre geni fondamentali per l'immunità innata, la prima linea di difesa del nostro organismo contro i patogeni, hanno una chiara derivazione dal genoma di specie umane arcaiche come l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Denisova. Gli stessi geni, scoperti da due studi indipendenti, sono responsabili della reattività del sistema immunitario e quindi anche dei fenomeni d'ipersensibilità che sono alla base delle allergie. I geni che consentono al nostro organismo di difendersi da microbi e patogeni con cui entriamo in contatto sono stati ereditati da specie umane arcaiche, come l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Denisova. Questi stessi geni sono però gli stessi all'origine dei fenomeni di ipersensibilità immunitaria che sono alla base delle comuni allergie. Il risultato, emerso da due studi indipendenti apparsi sulla rivista '"American Journal of Human Genetics", sottolinea l'importanza dei contatti e degli incroci tra le specie nel plasmare L'evoluzione umana e in particolare in quella dell'immunità innata. L'eredità dei Neanderthal nel nostro sistema immunitario. Rappresentazione grafica della distribuzione mondiale dei geni Toll-like di derivazione neanderthaliana emersa dagli studi (Dannemann et al./American Journal of Human Genetics 2016) Quest'ultima rappresenta la prima risposta immunitaria dell'organismo nei confronti dell'invasione di microbi potenzialmente patogeni. A differenza dell'immunità adattativa, l'immunità innata ha una specificità limitata, dal momento che è strutturata per riconoscere solo alcune delle molecole espresse dagli agenti patogeni. Elementi fondamentali di questo meccanismo sono i recettori che riconoscono profili molecolari (Pattern Recognition Receptor, PRR) e tra questi, in particolare, i recettori di tipo Toll (Toll-like Receptor, TLR). Quintana-Murci e colleghi, autori del primo articolo, studiano da anni l'evoluzione del sistema innato, basandosi sulla grande quantità di dati genetici resi disponibili dal 1000 Genomes Project e sul confronto con le sequenze genomiche ricavate dai resti di ominidi. Il gruppo si è concentrato in particolare su un insieme di 1500 geni che rivestono un ruolo fondamentale nel sistema immunitario innato, esaminando gli schemi di variabilità genica di questi geni e la loro evoluzione nel tempo, in confronto con il resto del genoma, a partire dagli incroci di Homo sapiens con l'uomo di Neanderthal. studio ha rivelato che nel corso del tempo i cambiamenti a carico dei geni coinvolti nell'immunità innata sono stati limitati. Alcuni geni tuttavia hanno subito una notevole pressione selettiva, probabilmente per effetto di un cambiamento ambientale o di una epidemia: la maggior parte delle modificazioni nei geni codificanti per proteine è avvenuta negli ultimi 6000-13.000 anni, cioè nel periodo in cui le popolazioni umane sono passate dall'economia di caccia e raccolta all'agricoltura. Questa pressione selettiva ha favorito alcune varianti, diventate a un certo punto molto più frequenti. Con grande sorpresa, Quintana-Murci e colleghi hanno scoperto che tre specifici geni che codificano per i recettori di tipo Toll, denominati TLR1, TLR6 e TLR10, sono tra quelli che presentano le maggiori influenze neanderthaliane, sia nei genomi europei sia in quelli asiatici. Nel secondo studio, Kelso e colleghi sono arrivati alla stessa conclusione nell'ambito di una ricerca sull'importanza funzionale dei geni ereditati da specie umane arcaiche. Sono partiti da uno screening del genoma umano attuale cercando estese regioni con un'elevata somiglianza con i genomi dell'uomo di Nenaderhal e dell'uomo di Denisova, e hanno poi esaminato la prevalenza di queste regioni in soggetti di tutto il mondo, scoprendo gli stessi geni TLR individuati da Quintana-Murci e colleghi. Due di queste varianti geniche sono di chiara derivazione neanderthaliana, mentre la terza è riconducibile al genoma di Denisovan. Dallo studio sono emerse prove del fatto che questi geni offrono un vantaggio selettivo: le varianti arcaiche sono associate a un incremento dell'attività dei geni TLR e a una maggiore reattività nei confronti dei patogeni. Questa maggiore sensibilità può offrire una maggiore protezione dalle infezioni, ma espone al un maggior rischio di allergie. |
Post n°1795 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Uno dei più antichi esseri umani anatomicamente moderni trovati finora in Europa, vissuto tra 37.000 e 42.000 anni fa, aveva antenati neanderthaliani appena quattro-sei generazioni prima. Lo rivela l'analisi genetica della sua mandibola, scoperta in Romania nel 2002, dimostrando che gli incroci tra Homo sapiens e Neanderthal sarebbero più recenti di quanto si credeva Il mescolamento tra Homo sapiens e Neanderthal è più recente di quanto stimato finora: lo rivela l'analisi genetica di una mandibola appartenente a uno dei più antichi esseri umani moderni scoperti in Europa. L'individuo, vissuto tra 37.000 e 42.000 anni fa, aveva infatti antenati neanderthaliani non più remoti di quattro-sei generazioni, secondo l'articolo pubblicato su "Nature" da Svante Pääbo del Max-Planck-Institut per l'Antropologia evoluzionistica a Lipsia e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale. anatomicamente moderni si diffusero in tutta Europa, mentre i neanderthaliani, che si trovavano nel continente già da 250.000 anni, scomparivano gradualmente. In questo quadro generale, definito grazie agli studi degli ultimi decenni sul materiale genetico di antichi reperti fossili, mancano però i dettagli, riguardanti soprattutto i contatti e l'ibridazione tra le due specie. La mandibola, molto ben conservata, di Oase 1 (Credit: Svante Pääbo, Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology) Un primo dato certo riguarda la cronologia di questo mescolamento, che avvenne tra 37.000 e 86.000 anni fa, probabilmente in varie fasi. Un secondo dato è che i neanderthaliani hanno contribuito al genoma dell'essere umano moderno per una percentuale compresa tra l'1 e il 3 per cento, ma solo per quel che riguarda le popolazioni che vivono attualmente al di fuori dell'Africa sub-sahariana, il che depone a favore dell'ipotesi il mescolamento con i Neanderthal avvenne lontano dal continente africano. umani attuali, non finora erano emerse prove dirette che questo mescolamento fosse avvenuto in Europa, benché i neanderthaliani fossero molto diffusi nel continente e le occasioni di contatto fossero quindi numerose. Indicazioni più precise sarebbero invece potute venire dai genomi di esseri umani antichi, ed è per questo che Pääbo e colleghi hanno analizzato l'intero genoma della mandibola di un individuo, Oase 1, risalente a un'epoca compresa tra 37.000 e 42.000 anni fa, trovato nel 2002 in Romania, nel sito di Pestera cu Oase. Si tratta di uno dei più antichi Homo sapiens vissuti in Europa: la sua morfologia è generalmente moderna, ma conserva ancora alcuni tratti della sua ascendenza neanderthaliana. Le analisi mostrano che una percentuale variabile tra il 6,0 per cento e il 9,4 per cento del genoma di Oase 1 deriva dai Neanderthal: si tratta di una percentuale più alta di quella trovata da qualunque altro studio su genomi di esseri umani moderni. 1 era geneticamente più simile alle popolazioni del sud-est asiatico e ai nativi americani che agli europei attuali. Ciò indica che faceva parte di una popolazione che si incrociò coi Neanderthal ma non contribuì alle popolazioni europee successive. |
Post n°1794 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET Il simbolismo dei Neanderthal La cultura proto-aurignaziana, diffusa nell'Europa del sud circa 40.000 anni fa, è da attribuire all'essere umano anatomicamente moderno, e non all'uomo di Neanderthal. È quanto emerge dall'analisi di due denti incisivi fossili ritrovati nelle grotte di Fumane, in provincia di Verona, e di Riparo Bombrini, nel sito dei Balzi Rossi, in provincia di Imperia. Secondo gli autori, questa cultura potrebbe aver innescato la scomparsa dei neanderthaliani circa 39.000 anni fa(red) paleontologiaantropologia I denti fossili ritrovati in due importanti siti italiani della cultura proto-aurignaziana, apparsa nell'Europa meridionale, centrale e occidentale circa 42.000 anni fa, in coincidenza con la scomparsa dei Neanderthal, appartenevano a esseri umani anatomicamente moderni. E' questo il risultato di uno studio pubblicato su "Science" da Stefano Benazzi dell'Università di Bologna e colleghi di diversi Istituti paleontologici italiani e stranieri, che mette fine, forse in modo definitivo, a un lungo dibattito su quale fosse la specie umana responsabile di questa cultura. La cultura aurignaziana, che prende il nome dal sito di Aurignac, nel sud della Francia, è la cultura meglio conosciuta tra quelle associate alla diffusione degli esseri umani anatomicamente moderni, ed è datata tra 45.000 e 35.000 anni fa. La cultura proto-aurignaziana, non sempre precedente l'aurignaziana nonostante il nome, è ben rappresentata nell'Europa meridionale in siti in cui sono state ritrovate lame in pietra e semplici ornamenti personali. L'alba dell'uomo moderno e il declino dei Neanderthal Modelli digitali tridimensionali degli incisivi analizzati nello studio, ottenuti con una tecnica di microtomografia computerizzata (Cortesia Daniele Panetta, Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa) culture fu definita dal paleontologo Georges Laplace nel 1966, e si basa sulle tecniche di produzione di utensili litici. Nella cultura aurignaziana, esistevano infatti due tecniche distinte per produrre lame di grandi dimensioni e lamelle. Gli artefatti proto-aurignaziani, spesso trovati nell'area mediterranea, sono invece caratterizzati da una singola sequenza di scheggiatura della pietra per produrre sia lame sia lamelle. Inoltre, la cultura aurignaziana ha prodotto grandi quantità di ornamenti personali, rappresentazioni figurative e immagini mitiche, oltre a strumenti musicali, mentre la proto- aurignaziana è caratterizzata da una produzione di utensili molto più limitata. Tuttavia, malgrado la ricchezza di reperti fossili attribuiti alla cultura proto- aurignaziana, finora le prove non avevano permesso di stabilire se questa cultura fosse da attribuire all'uomo di Neanderthal oppure all'Homo sapiens anatomicamente moderno. Benazzi e colleghi hanno analizzato i resti fossili di due denti incisivi, risalenti a 41.000 anni fa, ritrovati in due differenti siti archeologici: la Grotta di Fumane, in provincia di Verona, e quella di Riparo Bombrini, nel sito dei Balzi Rossi, in provincia di Imperia. Grazie a una tecnica di microtomografia computerizzata che ha permesso di ottenere un modello digitale tridimensionale dei denti, hanno v alutato in primo luogo lo spessore dello smalto, considerato un parametro discriminante tra neanderthaliani ed esseri umani anatomicamente moderni. I risultati depongono a favore di questi ultimi. Inoltre, uno dei due reperti ha permesso di recuperare DNA mitocondriale, materiale genetico che si trasmette per via matrilineare. Questo DNA è stato confrontato con quello di esseri umani moderni attuali, di esseri umani antichi, dell'uomo di Neanderthal, dell'uomo di Denisova e infine dello scimpanzé. l confronto ha confermato che gli incisivi appartenevano a esseri umani moderni, che quindi sono da considerare i responsabili della cultura proto-aurignaziana. Poiché i neanderthaliani scomparvero dall'Europa occidentale circa 39.000 anni fa, ipotizzano Benazzi e colleghi, la cultura proto-aurignaziana potrebbe aver innescato il loro declino. |
Post n°1793 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Fonte: Internet I 15 romanzi italiani più belli del secolo Titolo impegnativo. In realtà è una selezione molto personale. Una pesca a setaccio nel cassetto dei ricordi. Da prendere con un po' di ironia - 25 maggio 2018 Questo è un articolo-selezione che si arricchisce di altri cinque titoli. Michele Lauro li ha aggiunti a quelli che avevamo marchiato, con un po' di ironia arricchita però da scelte rigorose, come "i più belli di questo secolo" (peraltro incominciato da poco, quindi lo sviluppo e le aggiunte sono inevitabili). Ora dunque ne abbiamo 15. I primi che trovate qui sotto sono le nuove aggiunte, precedute da una piccola introduzione. Poi ci sono gli altri dieci, scelti nel 2016. POST-ILLA 2018 Il gioco prosegue in un mercato editoriale che sembra confermare l'evoluzione di una Editoria senza editori, come intitolò il suo saggio di inizio millennio André Schiffrin. Oltre 60.000 titoli l'anno pubblicati in Italia: l'omologazione dell'industria culturale coincidente con la rarefazione dei lettori e con un bisogno crescente di scelte, suggerimenti, selezioni, suggestioni. Per chi volesse allargare il raggio delle scintille provenienti dalla rete, segnalo tre opere critiche brillanti e illuminate che indagano il panorama della narrativa contemporanea spingendosi con coraggio fino alle soglie del presente: La terra della prosa di Andrea Cortellessa (2014), dedicato ai narratori italiani degli anni zero (1999-2014), Il romanzo italiano contemporaneo di Carlo Tirinanzi De Medici (2018), ricognizione critica dagli anni Settanta a oggi, e La letteratura circostante di Gianluigi Simonetti (2018), che abbraccia in un'unica, ampia visione narrativa e poesia dell'Italia contemporanea. La vita in tempo di pace, di Francesco Pecoraro (2013) Storia, natura, filosofia, scienza e fantascienza partecipano all'architettura di un romanzo-saggio poderoso, ambizioso, disturbante, manifesto del decadentismo europeo di fine Novecento ed esegesi degli ultimi sessant'anni di storia italiana: il tempo di pace, appunto. Attraversa questo tempo un antieroe dai tratti vagamente sveviani, il settantenne Ivo Brandani, "vecchio maschio silente" che in un futuro prossimo si trova imprigionato per caso nell'aeroporto egiziano di Sharm el Sheik. La condizione di attesa nel non-luogo per antonomasia diventa lo spazio ideale per una riflessione: cosa nell'arco della mia esistenza ha resistito alla cancellazione del tempo? Il tedium vitae di Ivo, ingegnere appassionato di aerodinamica dei velivoli da guerra, nevrotico, insicuro, ossessivo, abbandonato alla panacea chimica del Tavor, si manifesta nell'incontro- scontro fra l'armonia della matematica e il caos del mondo reale, e nello scacco affettivo dovuto alla generale ostilità del genere umano. I quadri esistenziali scorrono sullo sfondo di una società - l'Italia del dopo- guerra - fondata prima sul miracolo economico e poi sulla finzione del cambiamento, con la massa dei piccolo-borghesi che avevano creduto nella rivoluzione soggiogati dal potere e dall'eros tanto quanto i potenti che aveva creduto di combattere. È una visione mostruosa, orwelliana e insieme iperrealistica: lo scannarsi di tutti contro tutti, schiavi del desiderio, assuefatti alle leggi del consumo. Ma nella notte di Roma, antica culla di civiltà preda del darwinismo sociale, abbagliano qua e là paesaggi e atmosfere purissime. Memoria di una bellezza e di una giovinezza estinte, rimembrate in pagine commosse. Francesco Pecoraro PUBBLICITÀ Le otto montagne, di Paolo Cognetti (2016) Raro caso in cui la buona letteratura diventa quasi subito un successo decretato anche da tanti giovani lettori, sfatando perfino il tipo di diffidenza con cui Giorgio Manganelli era solito accogliere l'imprevisto bestseller ("mi insospettisce... ci dev'essere qualcosa che non va"), è un romanzo molto fisico che poggia su un substrato spirituale profondo, nel solco delle grandi storie di formazione, virato sul doppio registro ambientale ed esistenziale. Città e montagna - e il viaggio di andata e ritorno dall'una all'altra - sono come in tutte le storie di Cognetti la metafora dell'uomo che fatica a venire a patti col suo stare al mondo: le crepe nei legami familiari, i figli che si ritrovano sulle tracce dei padri proprio mentre pensavano di averla scampata, il desiderio di fuga dalla civiltà urbana che è poi fuga da sé stessi, da quell'io che non ci appartiene più. E come l'intenso diario che l'ha preceduto, Il ragazzo selvatico, Le otto montagne si pone agli antipodi della bucolica lucreziana. È popolato da stambecchi e volpi, mucche cani pastori in antica simbiosi. Ci sono tronchi, scarpate, baite e ruscelli. Si prova la libertà di andare dove non c'è il sentiero e la commozione per le "cose fondate sulla propria forma e basta", come diceva in un verso Seamus Heaney. Ma è un attimo scivolare sul ghiaccio come dentro il disagio e la fatica, cedere alla spossatezza per l'interminabile inverno, per le relazioni inevitabilmente spezzate. Nel finale, lo scrittore apre lo sguardo a Oriente - l e valli del Nepal - dove la montagna non è matrigna né madre né un'icona da conquistare o riconquistare, ma semplicemente la giostra del tempo in cui un'umanità senz'ansia di futuro ruota da sempre. Lo spunto perfetto per un nuovo racconto. Paolo Cognetti Neve, cane, piede, di Claudio Morandini (2016) Romanzo breve sospinto a una breve notorietà dalla brezza del passaparola, narra una storia di eremitaggio e poi di convivenza forzata fra uomo e cane, in una valle aspra di montagna preclusa ai camminatori della domenica. È il cane che ha scelto l'uomo, Adelmo Farandola, un vecchio scontroso che si è ritirato in baita, insensibile alla dignità alla memoria e agli odori che fanno di un uomo un uomo. Il cane invece ricorda tutto e annusa tutto. Con pazienza la coppia aspetta la fine dell'inverno raschiando il sudiciume dalle stoviglie e ingaggiando una sfida quotidiana contro i nemici dell'alta montagna: Freddo Fame Sonno. Dialoghi plausibilissimi tra bestie (tra uomo e bestia) violano il silenzio delle pietraie, scompigliando i contorni tra sogno e realtà in una zona franca appena sfiorata dai borborigmi del ghiaccio. Finché il rito del disgelo tinge la fiaba prima del bianco - una slavina arriva ad annunciare l'ubriacatura del rinnovamento - e poi del nero, e una misteriosa sagoma pian piano prende forma là dove sembrava esserci soltanto neve. Sospesa tra immanenza e metafisica, claustrofobia e vertigine, inquietudine e rassegnazione, questa fiaba ha generato nel 2017 un aguzzo spin off intitolato Le pietre, sempre ambientato in montagna e ugualmente chirurgico nello smascherare l'idealità compromessa della wilderness al tempo del global warming e del turismo di massa. Claudio Morandini Kobane Calling, di Zerocalcare (2016) Romanzo grafico dallo straordinario spessore umano e artistico, racconta i due viaggi nel Kurdistan siriano-iracheno del fumettista di Rebibbia (novembre 2014 e luglio 2015): facce, scarabocchi e parole dedicate a un popolo che ormai da tempo lotta per la liberazione dagli oppressori turchi e contro l'avanzata del Califfato. Un nonreportage, così l'ha chiamato l'autore, che sarebbe piaciuto a Tiziano Terzani, maestro di giornalismo sul campo la cui militanza contro le ingiustizie si è sposata con la ricerca di sé. Questo doppio registro, consueto nelle opere di Zerocalcare, in Kobane Calling raggiunge forse l'acme della poesia, rimanendo fedele a un linguaggio punk fatto di dialoghi ficcanti, immagini nette, similitudini abrasive ("sei mai stato a Mediaworld la mattina del 24 dicembre? ecco, la porta di Semelka, al confine con la Siria, è così. Moltiplicato per mille") con cui l'autore introduce alla cultura sociale curda: un confederalismo democratico radicale basato sul diritto alla vita, sulla convivenza pacifica di etnie diverse, s ull'uguaglianza di donne e uomini. L'attraversamento del Tigri per entrare in Rojava su una piccola barca a motore è fra i momenti più emozionanti. Di là ci sono lo stesso fiume, gli stessi 50 gradi, lo stesso niente intorno. Eppure qualcosa è diverso. Saranno gli occhi di Ezel che brillano come quelli di una che sta tornando a casa, o forse "sarà il fatto che abbiamo attraversato mezzo mondo, preso aerei, pullman, barche... contro i pareri di quasi tutti quelli che conoscevamo... " In una tavola emblematica Kobane è ritratta dal tetto di un palazzo, con un cuore- cattedrale che pulsa in mezzo alle case scalcinate e alle macerie. Un cuore pieno di toppe, di cicatrici. Un cuore enorme. Come se in quella tragedia che non raccontano più nemmeno i telegiornali, come se nell'altrove più altrove vedessi improvvisamente anche te stesso, rannicchiato insieme agli altri esseri umani sulla faccia della terra. Se c'è un messaggio celato in questo libro d'avventure anche interiori, un messaggio completamente antiretorico, è che per trasformare la nostra mentalità, cioè liberarsi dai clichè, dai condizionamenti, è meglio non accontentarsi di idealismi prefabbricati ma uscire dal recinto, andare a vedere di persona la vergogna dell'umanità in uno dei tanti musei a cielo aperto. Per tornare col dubbio che forse, di quello che è stato lasciato accadere, siamo un po' tutti responsabili. Zerocalcare Bella mia, di Donatella Di Pietrantonio (2013-2018) Ripubblicato nel 2018 con una post- fazione dell'autrice che nel frattempo ha (meritatamente) vinto il Campiello 2017 con L'arminuta, è ambientato a L'Aquila, città sfasciata da quella "epilessia della terra insorta" che nel 2009 lasciò molti sopravvissuti - come la protagonista di questa storia - in balia di una vita provvisoria fatta di acronimi, nevrosi, rimpianti. Fra le crepe dei palazzi, un ragazzo riccioluto con la maglietta dei Nirvana si presenta a Caterina, chiamata dal destino a elaborare il lutto per la perdita della gemella e insieme a sostituirla nel ruolo più insostituibile: la madre di un adolescente. In un climax ad alta tensione emotiva, prende forma un malessere ben più antico della sciagura sismica, legato all'archetipico scontro tra femminilità e sorellanza. Un malessere arcaico che si accompagna alla vergogna, al senso di colpa per l'ingiustizia della sopravvivenza, come accade quando il disegno del caso appare così insensato e crudele. Ispirato da una canzone popolare abruzzese, Bella mia riesce nel piccolo miracolo di tramutare l'angoscia in consapevolezza ("ho amato mia sorella come la parte di me che non sono riuscita a essere") e la solitudine in una alleanza di esseri viventi (esseri umani, animali) dentro lo stesso paesaggio ferito. Anime rattrappite, traumatizzate, con la naturale propensione alla socievolezza ridotta a un lumicino sottile, da tenere acceso a ogni costo. Così la mitopoiesi del sisma si trasforma in un grido collettivo d'amore. Donatella Di Pietrantonio |
Post n°1792 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
FONTE: INTERNET È un gioco con le pedine di Alta fedeltà e una pesca a setaccio nel cassetto dei ricordi: ciascuno di questi romanzi possiede quella misteriosa scintilla che è rimasta accesa nella memoria di un lettore, la mia. Insieme a molti altri, testimoniando forse la salute della narrativa italiana contemporanea. Prendetelo con l'ironia che Luciano Bianciardi profuse nelle sue lezioni per diventare un intellettuale, "dedicate in particolare ai giovani privi di talento". Pubblicate a puntate nel 1967 sulla rivista ABC, qualche anno fa sono state raccolte da Stampa alternativa in una deliziosa antologia dal titolo che mi sento di condividere: Non leggete i libri, fateveli raccontare. Io non ho paura, di Niccolò Ammaniti (2002) Non è strano digitare oggi su Google il nome di questo libro e trovare ai primi posti i siti di riassunti scolastici? Il secondo romanzo di Niccolò Ammaniti ebbe un fulmineo passaggio al rango di classico: alle medie gli insegnanti lo consigliano fra i libri per l'estate, accanto ai vari Tom Sawyer e Barone rampante. E allora leggiamolo oppure rileggiamolo, da genitori, che a raccontarlo per immagini ci ha già pensato il bel film di Gabriele Salvatores a cui lo stesso autore ha contribuito per la sceneggiatura. L'estate infuocata di un borgo del sud Italia sorprende nel 1978 Michele, nove anni, con un segreto terribile che segnerà per sempre la sua infanzia. Al ritmo serrato di una pedalata col cuore in gola su un dirupo, l'autore esplora i meccanismi psicologici della pubertà e le dinamiche di gruppo, costantemente in bilico fra voglia di trasgressione e un disperato bisogno di normalità, fino alla drammatica scoperta che il mondo degli adulti non ha proprio le sembianze del paradiso. Un romanzo di contrasti accecanti - le paure immaginarie dell'infanzia e la crudeltà reale del mondo, la forza dell'amicizia e la miseria del tradimento, la luce del giorno e il buio della notte, il dramma sociale e quello quotidiano - dove pensiero e azione si danno il cambio in un serratissimo continuum narrativo. Memorabile l'incipit con la sequenza cinematografica delle biciclette che sfrecciano fra i campi di grano, i ragazzi che il protagonista vede salire sulla cima la collina "lasciandosi dietro una coda di steli abbattuti". E il finale che rimanda al misterioso, inscindibile legame tra padre e figlio. Niccolò Ammaniti Viaggio nel cratere, di Franco Arminio (2003) Certi paesi sono letteratura e come tali non interessano più a nessuno. Nessuno tranne Franco Arminio da Bisaccia, poeta e scrittore ribattezzatosi paesologo che con questo viaggio - incollocabile fra i generi letterari - introduce a una scienza nuova che forse è sempre esistita, sul confine tra geografia e metafisica. Una scienza difettosa, confessa il suo artefice, "che consente di perdere tempo senza sentirsi fuori dalla corsa". I paesi dell'Irpinia terremotata vi appaiono nelle sembianze di grumi di case in bilico, frammenti di un catalogo in estinzione. Nelle vie e nelle piazze, nei bar e nei circoli, nelle stanze diroccate dei borghi, nella compostezza introversa dei volti chi non si aspetta niente c'è la fotografia di quella stagione dell'esistenza in cui capiamo che non saremo più felici. Ma nella prosa di Arminio i paesi sono come fiocchi di neve: improvvisamente prendono vita in un dettaglio qualunque (il mio preferito: l'uomo di Montaguto che di mattina fa il postino e di pomeriggio il barbiere a domicilio) finché l'infinito disfarsi delle cose e del mondo acquista una dimensione onirica, rarefatta, universale. È un romanzo capace di descrivere il sisma della modernità omologatrice con antenne di rara percezione. L'impegno civile, ibridato con la poesia, stempera nella luce e nel silenzio ogni equivoco di nostalgia, lasciando il lettore in balia di un vaga urgenza di partire. Franco Arminio Un altro giro di giostra, di Tiziano Terzani (2004) Il lascito di Tiziano Terzani, morto poco dopo la sua pubblicazione, è uno dei libri a cui mi capita di tornare più spesso. Mi fa l'effetto, aprendolo a caso, di staccarmi da terra e per un attimo alzarmi in volo, improvvisamente percepire il mondo da una prospettiva. E ritrovare serenità. Gli ultimi sette anni di vita del giornalista- scrittore fiorentino, palpitanti di passioni, impegno civile e spirituale, ironia e amore, rappresentano la summa delle grandi domande sull'identità del genere umano e contengono i semi di una rivoluzione "dal piccolo al grande". "Un libro su quel che non va nelle nostre vite di uomini e donne moderni e su quel che è ancora splendido nell'universo fuori e dentro di noi": scritto nell'istante che precede il distacco. Malato di cancro, Terzani si mette in cammino alla ricerca di una cura per il corpo e per la mente. In una serie di memorabili incontri passa in rassegna il campionario sterminato di rimedi messi a punto nel tempo dalle culture d'Occidente e d'Oriente. Poi la svolta, la presa di coscienza che "la vita e la morte sono due aspetti della stessa cosa". Terzani si prepara a lasciare il corpo vecchio indossando i panni di Anam il senzanome, in compagnia di un vecchio sadhu. Pare ancora di sentirla, la sua risata contagiosa. La morte? Eccomi qui, senza paura, senza rancore. Nel libro è contenuto anche il senso profondo dell'idea di non violenza alla base delle Lettere contro la guerra, pubblicate nel 2002 come risposta alla deriva occidentale dopo l'11 settembre: un'idea che nel pensiero orientale non significa soltanto "non uccidere", ma concepire gli altri come parte di un tutto di cui noi stessi facciamo parte. L'idea di quel cambiamento radicale delle coscienze che Terzani ha consegnato ai posteri insieme alla favola della propria vita. Tiziano Terzani Gomorra, di Roberto Saviano (2006) Quattro citazioni emblematiche introducono il romanzo d'inchiesta che ha squassato la moderna narrativa italiana, best seller internazionale, e ne anticipano l'ambizione etica, storico-politica, sociale e sociologica, economica e antropologica: Hannah Arendt, Macchiavelli, l'Al Pacino di Scarface e una i ntercettazione telefonica ("La gente sono vermi e devono rimanere vermi"). Al decadimento morale e umano della città biblica cui allude il titolo si aggiunge la spettacolarizzazione mediatica della rete criminale protagonista del romanzo, la camorra divenuta impero e sistema alternativo allo Stato nel quale si è insinuato come un cancro profittando del liberismo senza regole che governa l'economia di mercato. Ma si può leggere Gomorra come un "semplice" romanzo d'avventure? Sì, anche se non ci sono dialoghi né una vera e propria trama, né personaggi-eroi né tutto sommato quasi mai suspence. Raccontato per sequenze, come un film a episodi (seguiranno appunto uno spettacolo teatrale, il crudo lungometraggio di Matteo Garrone e una popolare serie televisiva), Gomorra coinvolge e disturba, emoziona e inquieta, eccita e sconcerta - diversamente per esempio da un vecchio capolavoro di mafia come Il padrino di Mario Puzo (1969) - soprattutto per il profilo underground e per l'ossessiva tensione mimetica, quasi messianica della voce narrante nella terra del peccato. "Maledetti bastardi, sono ancora vivo!" Dopo dieci anni di minacce reali da parte della camorra, l'urlo liberatorio con cui si chiudeva il romanzo è l'espressione di un tragico cortocircuito in seno alla nostra società. Dal reale alla fiction, e ritorno. Roberto Saviano Il tempo materiale, di Giorgio Vasta (2008) Nel paesaggio geroglifico di una Palermo scostumata e scrostata, fradicia di conformismo e ataviche assuefazioni, tre ragazzini undicenni si costruiscono un'iniziazione privata replicando nel microcosmo di provincia la deriva violenta dell'utopia nel terribile 1978, l'anno dell'assassinio di Moro da parte delle Br. La "costruzione dell'odio geometrico" procede verso la disfatta in una foresta di allegorie che usano l'immaginario collettivo di fine Settanta - televisione, fumetti, politica, perfino i mondiali di calcio con l'indio Passarella nei panni di eroe - come una trappola antinostalgica, un frullato al veleno. Quello che cerco, scriverà poi Vasta in un passo del successivo romanzo Spaesamento, è la "metamorfosi della malinconia in una rabbia adulta che sia coraggiosa e corra il rischio del dolore": nel Tempo materiale il lettore la trova a patto che accetti la pugnalata senza filtro di un linguaggio abrasivo come una rasoiata punk. Un linguaggio divenuto polimorfo evocatore di sensi (con alcune vette espressive come la genia di neologismi, da alfamuto a pornonido) e metafora di quello "spaventoso esercizio di controllo sulle cose" che la fissazione prepuberale del protagonista Nimbo aveva confuso con l'ingresso nel mondo adulto. Avevo voglia di essere colpevole, dice nel punto chiave: colpevole di linguaggio. Giorgio Vasta Accabadora, di Michela Murgia (2009) Le prime sette pagine di questo romanzo, il capitolo primo, sono la folgorante introduzione a una storia misteriosa e bella, bella "come lo sono a volte le cose cattive". Maria e Tzia Bonaria. Fill'e anima la prima, una figlia acquisita strappata alla miseria della famiglia naturale; madre acquisita la seconda, una madre nuova ma vecchia, portatrice di un sapere sciamanico che l'ha eletta ad accabadora dell'immaginario paese di Soreni: colei che aiuta nel trapasso. Sullo sfondo polveroso della Sardegna, isola -archetipo di simbologie, allusioni, patti taciti e trame millenarie, Murgia ricama "pensieri che non sopportano la luce piena", mescolando poesia e coraggio nel frantumare tabù sul senso della vita, dell'amore e della morte. Un romanzo di sensazioni fisiche che odora di gueffus, pietra a secco e terra impastata col fango, anticipatore di questioni divenute oggi finalmente cruciali non solo per le coscienze ma anche per i legislatori: quelle legate alla supremazia (biologica o culturale?) dei codici che regolano i rapporti affettivi della nostra specie, come il diritto di amare ed essere amati senza essere discriminati. Michela Murgia Il signore delle lacrime, di Antonio Franchini (2010) È un romanzo che si confronta - in realtà sottraendosi al confronto, l'autore dichiara fin da subito il suo status di "turista" - con i reportage dall'India dei grandi narratori- viaggiatori novecenteschi: Pasolini, Moravia, Manganelli, Tabucchi. Rimane nel cuore come una promessa e come una spina: oh l'India che attrae e repelle, cassaforte di umanità e fabbrica di mitologie, sterco di vacca e braci di scheletri, tigre del progresso e avvoltoio corrotto, potenza nucleare e baluardo della mitezza universale. Franchini cede a questa antica mitopoiesi e parte per Delhi con due amici francesi appassionati di fotografia, affetti dalla classica ipercinesi da pillola esotica. Da Varanasi a Rishikesh lo sguardo del viaggiatore riluttante a poco a poco diventa memoria, meditazione, racconto. Un libro il cui fascino proviene anche dal substrato teoretico insieme aperto e apodittico, con il controcanto affidato, come fosse un sitar, a brevi citazioni delle Upanishad e altre sacre scritture dell'induismo, "musica di fondo" a spezzare splendori e miserie del passaggio in India di un occidentale qualunque. Priva di una morale e di un senso definitivo, la narrazione segue un ritmo ipnotico e circolare, come inscritta nell'incessante scorrere della vita nella quale frullano altrettanto incessantemente i ricordi e i pensieri sulla vita e la morte, la paternità, l'eros, il destino, il tempo. Che è poi l'eredità forse più autentica e sincera dell'India, per chi l'ha saputa viaggiare: lasciar fluire il dolore cioè accettare la sfida di Siva, l'asceta erotico, "colui che fa piangere ma anche colui che piange". Assistere per un istante alla corazza dell'io che si sfalda, e stare a vedere cosa succede. Antonio Franchini Mandami tanta vita, di Paolo Di Paolo (2013) Una carica d'innocenza, un intimo idealismo, un indomito sussulto vitale pervadono questo romanzo ispirato dalla figura storica di Piero Gobetti, icona antifascista della cui dimensione privata è in atto una riscoperta culminata nell'antologia Avanti nella lotta, amore mio!, curata dallo stesso Di Paolo. Nella Torino degli anni Venti le esistenze di Piero e Moraldo, due ragazzi dall'approccio alla vita diametralmente opposto, sembrano legate da un filo invisibile e misterioso. Ne seguiamo gli andirivieni da Torino a Parigi, mentre i fascisti al potere imbrigliano le coscienze dando il la alla grande allucinazione collettiva. Storia e finzione si compenetrano con leggiadria a disegnare l'arco della giovinezza come l'età magica - dolorosamente magica - della vita, quella in cui il potere della creazione è puro come la luce del primo mattino ma anche quella che getta le basi per il male di vivere. Quand'è che, senza farci caso, diventiamo la maschera di noi stessi? si domanda Moraldo e intanto proietta l'immagine di sé in quella di Piero, l'uomo prigioniero della sua giovinezza, l'inscalfibile combattente che stipò "dentro ventiquattro anni ciò che altri non riescono a compiere in una vita lunga il triplo". Paolo Di Paolo La gemella H, di Giorgio Falco (2014) È un romanzo generazionale pieno di malinconia euforica, simile al pensiero del mare nell'estate che deve ancora venire. Un giovane giornalista bavarese mette su famiglia in una cittadina di provincia poco prima dello schianto del Reich, cui aveva aderito per conformismo borghese o forse solo per ambizione economica. L'azione si sposta poi vorticosamente nella Milano livida del dopoguerra e infine sulla riviera romagnola, dove il capostipite Hans dopo la morte della moglie ricostruisce una vita per sé e per le figlie Helga e Hilde. Un nuovo mondo sotto la cappa oscura della dimenticanza, accordato al ritmo della ricostruzione che addomestica la natura col cemento, la televisione, i rituali del consumo. La storia è ricostruita in un lungo stream of consciousness dalla più fragile e sensibile delle gemelle, Hilde, per il cui destino inquieto si parteggia con passione. Replicare nella sfera economica e finanziaria le dinamiche totalitarie applicate ai rapporti lavorativi e familiari: ricominciare a vivere significa, purtroppo, anche questo. Mentre la sua morale non lascia scampo, La gemella H è in realtà un romanzo eccezionalmente denso di rimandi, luoghi, immagini, visioni, digressioni e trasgressioni: da togliere il fiato. Giorgio Falco La ferocia, di Nicola Lagioia (2014) Capitolo finale di una trilogia iniziata con i precedenti Occidente per principianti (2004) e Riportando tutto a casa (2009), trasfigura in termini narrativi gli ultimi trent'anni di storia italiana, applicando a tutto campo il concetto di ferocia: dal particolare all'universale e viceversa, squadernandoci così davanti agli occhi, con un pizzico di ferocia, com'è che va il nostro mondo. La dinastia dei Salvemini, potenti costruttori baresi, viene sconvolta dalla morte della trentenne primogenita, Clara. Sul canovaccio noir lo scavo nella psicologia delle persone - su tutti quella della sfuggente protagonista ricostruita in flashback ("un imprendibile composto di pensieri altrui") - si estende agli oscuri meandri di una famiglia potente avviata verso la rovina, poi alla residualità corrotta della borghesia imprenditoriale italiana di questo scorcio di millennio, per arrivare a sfiorare le radici più profonde dell'angoscia e del male. La prosa di Nicola Lagioia è prensile, coinvolgente, tensiva. Possiede il dono o meglio la tecnica straniante, come è stato detto, di "far vedere tutto come per la prima (o l'ultima) volta". Privo dei guizzi virtuosistici dei precedenti romanzi, più strutturato senza perdere in empatia e immediatezza, La ferocia ha una densità e un respiro da romanzo internazionale, pur raccontando una storia molto italiana. Nicola Lagioia [La lista è stata pubblicata la prima volta nel marzo del 2016; è stata aggiornata nel maggio del 2018 con altri cinque titoli] © Riproduzione Riservata |
Post n°1791 pubblicato il 22 Dicembre 2018 da blogtecaolivelli
Cinque libri per le prossime quattro settimane: anche il mese diottobre 2018 ha la sua lista di consigli di lettura da noi selezionati fra le più recenti e interessanti proposte. Partiamo da Stefano Corbetta, con il suo toccante romanzo che parla di fatalità e speranze, e dall'autrice norvegese Maja Lunde, con la sua seconda opera dedicata ai cambiamenti climatici. L'Italia degli anni Settanta è la protagonista di un bel giallo di Mirco Giulietti, mentre Michele Vaccari è qui con un romanzo sulla paura di cambiare. Infine, Alfredo Carosella ci dona una curiosa storia di un uomo il cui padre assente diventa motivo di trasformazione. Sonno bianco, di Stefano Corbetta In questo libro sono i silenzi a parlare, più di tante parole, per quanto ben scelte e intrecciate con grazia. Stefano Corbetta ci racconta di Emma e Bianca, due sorelle identiche. Una vulcanica ed espansiva, l'altra invece più timida e introversa, ma comunque inseparabili. Un incidente però le divide irreparabilmente: Bianca è in un letto di ospedale, spenta, in silenzio. Emma cresce così da sola, messa all'angolo dal destino della sorella, per il quale prova un senso di colpa che taglia le ali ai sogni e alle speranze. I genitori non aiutano: la madre, distrutta dal dolore, si isola, mentre il padre è troppo preso dal mantenere fermi gli equilibri della vita. Ogni personaggio di questa storia affronta lo stordente silenzio dellafatalità, guardandosi dentro, cercando di capire, provando a sperare. Sonno bianco
'La storia dell'acqua', di Maja Lunde - Credits: Marsilio
di una tetralogia dedicata ai cambiamenti climatici e alla sensibilizzazione nei confronti dell'ambiente, iniziata dalla scrittrice norvegese Maja Lunde conLa storia delle api. Lo scopo di questo libro è farci riflettere sulle possibili conseguenze di una mala gestione delle riserve d'acqua. La Lunde ci prova raccontando due storie lontane fra loro nel tempo, ma che si incrociano in un pregevole gioco narrativo. Da una parte c'è l'anziana norvegese Signe, l'anno è il 2017, che fa ritorno ai luoghi d'infanzia a bordo della sua barca a vela. I fiordi che vede sono sempre lì, ma il paesaggio sta cambiando. I fiumi e i ghiacci si stanno ritirando: colpa dell'uomo e del progresso a tutti i costi. Nel 2041 seguiamo invece le vicende di David e di sua figlia Lou, i quali, in fuga verso nord in una Francia flagellata dalla siccità, trovano un giorno una vecchia barca abbandonata, che custodisce un prezioso tesoro.
'Si moriva dal caldo', di Mirco Giulietti - Credits: Intrecci
nella torrida estate italiana del 1974. Il protagonista è un bambino di 10 anni, fan sfegatato dell'Olanda di Cruijff ( finalista ai Mondiali di quell'anno) e grande appassionato di Tex Willer. La sua quotidianità è scossa dall'omicidio della signorina Marella, una ricca vicina di casa. Il bambino inizia così, un po' per gioco, una sua personale indagine dai risvolti inaspettati. In questo libro di Giulietti non si legge solo la storia di un bambino come tanti, che vive nel suo mondo di passioni e che si scontra con la realtà dei grandi, ma si può anche rivivere uno spaccato dell'Italia degli anni Settanta, con la sua musica, la sua politica, la brezza di cambiamento, lo sport, i fumetti e molto altro. Si moriva dal caldo
'Un marito', di Michele Vaccari - Credits: Rizzoli
Marito e moglie da oltre vent'anni, gestiscono assieme una rosticceria, in una accogliente routine che sembra immutabile. Ferdinando un giorno decide di provare qualcosa di nuovo. Per i suoi 50 anni vuole fare un viaggio, un breve soggiorno di tre giorni a Milano. Ferdinando e Patrizia partono, ma arrivati alla facciata del Duomo ecco che la loro vita viene sconvolta irrimediabilmente: un attentato semina paura e caos nella piazza milanese, lasciando un segno indelebile nei destini dei due protagonisti. Vaccari prova a esplorare quel luogo oscuro nel quale, in ognuno di noi, si annidano le angosce più limitanti: la paura di cambiare quando si ha invece il bisogno di andare avanti. Un marito
'Sulla schiena del cielo', di Alfredo Carosella - Credits: Edizioni della Sera
moglie e ha perso il lavoro. La sua vita procede alla giornata, con lavori temporanei, musica alternativa e bevute. Durante un matrimonio, alla cui cerimonia sembra succedere di tutto, Mizio incontra Dorothy, la compagna di suo padre e scopre così che il proprio genitore non è morto come invece pensava in un incidente, ma che anzi è ora in Florida a rifarsi una vita con grande fortuna. Dorothy confida al nostro protagonista che suo padre vorrebbe rivederlo, per riabbracciarlo un'ultima volta prima di morire. Mizio accetta, non senza subire un turbine di sentimenti contrastanti: l'assenza del padre è stata comunque una grande ferita. Un romanzo sulle difficoltà di essere individui, ma anche figli e genitori. Sulla schiena del cielo © Riproduzione Ris |
AREA PERSONALE
MENU
CHI PUņ SCRIVERE SUL BLOG
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.