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Messaggi del 26/02/2019

Struttura

Post n°1958 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

 

La struttura del Piacere risente della lezione di 

naturalismo e verismo, oltre che del simbolismo.

Tuttavia, allo stesso tempo, se ne distacca, introducendo

elementi di novità, e andando nella direzione della

letteratura decadente antinaturalista.

Il lessico utilizzato è conforme al comportamento e

all'educazione da esteta di Andrea Sperelli: pregiato,

quasi artefatto, aulico e molto elaborato, in particolar

modo nella descrizione degli ambienti e nell'analisi degli

stati d'animo. Si prendano ad esempio l'uso di troncamenti,

o le forme arcaiche e letterarie, come nel caso di articoli

e preposizioni articolate. Anche se l'eloquenza e la

ricercatezza tendono ad appiattire il registro verbale,

come succede per l'uso di metafore e comparazioni che

talvolta complicano ed intensificano momenti carichi di tensione.

La sintassi è prettamente paratattica, in grado di rafforzare

la tendenza all'elencazione, alla comparazione, all'anafora,

e la prosa è ricca, allusiva e musicale, tanto da assumere

una funzione espressiva più che comunicativa.

 Inoltre, l'autore usa fare riferimenti a opere letterarie e a

rtistiche per conferire un tono più elevato al romanzo,

senza prescindere da vocaboli in inglesegrecotedesco

francese elatino.

D'Annunzio affida la narrazione delle vicende a un narratore

 onnisciente in terza persona, alternando due punti di vista:

quello critico del narratore e quello interno del protagonista.

Altro elemento di novità è l'attenzione per emozioni e sentimenti e

la semplificazione della trama, che è giocata più sull'interiorità

dei personaggi che su meri fatti, concentrandosi in particolare

sulle sensazioni che vengono generate dai luoghi e dagli oggetti.

Da qui deriva anche l'uso del flashback, che rompe lo schema

lineare della narrazione, seguendo piuttosto le vicende interiori

dei personaggi.

PersonaggiAndrea Sperelli

«Egli era per così dire tutto impregnato d'arte [...].

Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d'arte, il culto

spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de'

pregiudizi, l'avidità del piacere. [...] fin dal principio egli

fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond'egli

era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità.

Ma l'espansione di quella forza era in la distruzione di

un'altra forza, della forza morale che il padre stesso non

aveva ritegno a reprimere. [...] Il padre gli aveva dato,

tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare

la propria vita come un'opera d'arte.

Bisogna che la vita d'un uomo d'intelletto sia opera di lui.

La superiorità vera è tutta qui.»

(G. D'Annunzio, Il piacere, libro I, cap. II)

Il protagonista del romanzo è un esteta - come il barone

Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray

di Oscar Wilde - che, seguendo la tradizione di famiglia,

ricerca il bello e disprezza ilmondo borghese, conduce

una vita eccezionale, «costruisce» la sua vita come un'opera

d'arte e rifiuta le regole basilari del vivere morale e sociale.

La sua sensibilità straordinaria implica, però, una certa

corruzione, che fa parte della ideologia e psicologia del 

dandy, e che in parte è dovuta allo stile di vita dell'alta

società del tempo. Andrea Sperelli vive tutto ciò con

intima sofferenza, a causa della degradazione di quella

forza morale che, secondo gli insegnamenti del padre,

è necessaria a uno spirito forte per dominare le proprie                                                                                              

 
 
 

la struttura dell'opera

Post n°1957 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

 

Questo suo atteggiamento ha, dunque,

una ragione più profonda.

Sperelli ha vissuto la separazione dei genitori,

la madre ha anteposto l'amante al figlio e il

padre lo ha spinto verso l'arte, l'estetica e gli

amori e le avventure facili. È forse per questa

 infanzia che Andrea passa da una storia

all'altra, senza nessun rimpianto o amarezza,

che studia cinicamente e accuratamente ciò

che dovrà dire ad una donna per sedurla ed

ottenere da lei quello che lui vuole.

Andrea è, d'altronde, segnato nel suo intimo

da una duplicità, che è il cuore stesso del

romanzo: di fronte alla precarietà e instabilità

del reale, anche il carattere del protagonista

risulterà mutevole e cangiante.

Egli è abituato a scindersi tra ciò che è e ciò

che deve apparire, pensa che la vita sia artificio,

e per questo motivo fonda la sua esistenza

sulla doppiezza e sulla menzogna.

Ma proprio questo atteggiamento sarà la causa

della sua sconfitta intellettuale, morale e

sentimentale. Abituato a considerare solo il

valore simbolico e non quello fattuale delle

cose, a «metaforizzare il reale», Andrea

finisce per essere travolto dalla sovrapposizione

di realtà e finzione, rappresentata dalla

sovrapposizione delle due donne, Elena e Maria.

Questo personaggio, che è tipico della letteratura

decadente e simbolista, segue l'ideologia

ùdannunziana, non solo per quello che concerneù

l'estetismo, ma soprattutto perché denuncia la

ùcrisi dei valori e degli ideali aristocratici di fronte

ùalla meschinità del mondo borghese.

Il protagonista e il narratore

Una certa ambiguità è ravvisabile anche

nell'atteggiamento che l'autore-narratore

D'Annunzio ha nei confronti del suo

personaggio. Se non è possibile dire,

semplicisticamente, che Andrea Sperelli

sia l'alter ego del poeta, è però senz'altro

vero che l'autore si immedesima nel

protagonista: Andrea è ciò che D'Annunzio

è e che vorrebbe essere, impersona le sue

esperienze effettive e quelle aspirate, è

nobile e ricco, intellettuale e seduttore,

timido come Cherubino e cinico come Don

Giovanni, accede facilmente ai ritrovi mondani

e ai salotti della nobiltà.In più, quasi a saldare

questo legame, D'Annunzio pone se stesso

tra gli artisti prediletti dal giovane dandy.

Da un lato, quindi, Andrea Sperelli è un ritratto

del D'Annunzio-autore, ma dall'altro egli è oggetto

di critiche da parte del narratore, che ne condanna

il cinismo e la perversione.

La sua debolezza morale e la grandiosità delle

sue opere, unite insieme, conferiscono fascino

al personaggio e rimarcano, ancora una volta,

la duplicità e l'ambiguità insite in lui: cinico e

sensibile, falso eppure sentimentale, egoista

ma anche amorevole, Andrea Sperelli si erge

per le sue doti di esteta e artista, e allo stesso

tempo decade, si decompone, rivelandosi insieme

un inetto e un superuomo ante tempus.

Andrea Sperelli in quanto esteta non condivide

la cultura di massa che considera causa

dell'imbarbarimento delle raffinate tradizioni

artistico - culturali:" Sotto il grigio diluvio democratico

odierno, che molte belle cose e rare sommerge

miseramente, va anche a poco a poco scomparendo

quella special classe di antica nobiltà italica, in cui

era tenuta viva di generazione in generazione

una certa tradizion familiare d'eletta cultura,

d'eleganza e di arte." (Cap. II).

Elena Muti e Maria Ferres

La duplicità già descritta si incontra anche nei

personaggi femminili, che non a caso sono due.

L'immaginario della donna nel Piacere si lega a

quello del Decadentismo: oscilla tra la sensualità

sottile, metamorfica e finemente viziosa, e

l'immagine, descritta in maniera vellutata e

prettamentepreraffaelita, della donna delicata

ed eterea, anche se entrambe estremizzate e

molte volte mescolate.

Tale immaginario si sdoppia tra la seduzione

sessuale e passionale di Elena Muti, esponente

di una cultura mediocre, dell'eros, dell'istinto

carnale, espressione di piacere e lascivia, che

ricorre spesso ai versi di Goethe (poeta sensuale),

e la sanità spirituale e quasi mistica di Maria Ferres,

colta, intelligente e sensibile all'arte e alla musica,

legata alla famiglia e in particolare alla figlia Delfina,

molto religiosa, che nel corso del romanzo

assume una natura quasi misteriosa, passionale,

inafferrabile, ricorrendo ai versi di un poeta

 malinconico quale Shelley 

La contrapposizione tra le due si fa emblematica

anche nel nome: la prima ricorda colei che fece

scoppiare la guerra di Troia, la seconda la 

madre di Cristo.

Tuttavia, anche le due donne sono sottoposte

alla legge dello scambio che caratterizza il Piacere.

Ciò diventa evidente nella mistione cerebrale

che Andrea fa delle due: è un processo di identificazione,

che conduce dapprima a una sovrapposizione

sentimentale, e poi allo scambio dell'una con l'altra.

 
 
 

Il contesto storico

Post n°1956 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Wikipedia

Il piacere è ambientato a Roma e dintorni, tra gli anni 1885 e

 1887, nello stesso contesto storico in cui fu scritto.

E proprio le vicende storiche e politiche dell'epoca, che fanno

da sfondo al romanzo, sono importanti per poter comprendere

lo stile di vita e la psicologia dei personaggi.

Caduta nel 1876 la Destra storica che aveva governato l'Italia 

dalla formazione del Regno nel 1861, il re chiama al governo 

Agostino Depretis, un ex mazziniano che forma un ministero

con uomini della Sinistra parlamentare, tenendo il potere fino

al 1887. A Depretis succede il siciliano Francesco Crispi,

che governa, a fasi alterne, fino al 1896.

La politica economica della Sinistra storica fu caratterizzata

dal protezionismo nei confronti di industrie e grandi aziende

agrarie nazionali, fino alla guerra doganale con la Francia.

In politica estera, invece, fu centrale l'ingresso nel 1882 nella

Triplice Alleanza, a carattere difensivo, con Austria e Germania.

Viene inoltre inaugurata la politica coloniale, con l'occupazione

dell'Eritrea e la sconfitta di Dogali del 1887, che portarono nel1889

 alla firma Trattato di Uccialli, e alla costituzione della prima

colonia italiana in Africa. Crispi in particolare fu protagonista

di importanti mutamenti, come la riforma del codice penale

(Codice Zanardelli) e l'abolizione della pena di morte, ma anche

di repressioni ai danni delle associazioni cattoliche e del 

movimento operaio.

Tutto ciò si colloca nella "grande depressione" economica che colpì

l'Europa alla fine del secolo. Il periodo fu caratterizzato da alcuni

mutamenti nella struttura socio-economica delle grandi nazioni occidentali:

concentrazioni industriali e finanziarie (trust, monopoli) sostenute

dallo Stato (protezionismo), conseguente crisi del liberalismo e

nascita di nuove tendenze autoritarie.

Queste tendenze si scontrano con le conquiste sociali precedentemente

ottenute dalle classi lavoratrici e con la formazione di grandi partiti

di massa (socialisti e socialdemocratici), che diventano la struttura

portante della società industriale. In questa situazione, artisti e

intellettuali scelgono spesso una collocazione divergente o di

autoemarginazione dalle masse, dalla vita "ordinaria" promossa dal

nuovo modello produttivo capitalistico, e dalla mercificazione

dell'opera d'arte, assumendo atteggiamenti eccentrici ed elitari, o

provocatori e demistificanti.

Elementi biografici

D'Annunzio compose Il piacere tra il luglio 1888 e il gennaio 1889,

Francavilla al Mare, dove era ospite del pittore Francesco Paolo Michetti.

 Il poeta era stato fino ad allora collaboratore fisso del giornale

 La Tribuna di Roma, da cui dipendeva sul piano economico dalla

fine del 1884, dopo la fuga d'amore e il matrimonio riparatore

con la duchessina Maria Hardouin di Gallese. Nel luglio 1888

D'Annunzio abbandona l'attività giornalistica per concentrarsi

esclusivamente alla stesura del suo primo romanzo,vertice della

prima fase della sua produzione letteraria, nel quale riverserà il

frutto di anni di preparazione e studio,e in cui ritorneranno vari

elementi biografici, prima fra tutti la sua travagliata vita sentimentale,

divisa tra l'amore per la moglie legittima e madre di suo figlio,

Maria Hardouin e la passione per l'amante di alloraBarbara Leoni.

Uno dei risultati più impressionanti della sua apparizione nel mondo

letterario fu la creazione di un vero e proprio "pubblico dannunziano",

condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica che

lo scrittore costruì attorno alla propria immagine.

D'Annunzio creò attorno a sé un'aura di fascino, sia con la sua

condotta scandalosa, sia con il suo culto della bellezza e

il disprezzo per i valori borghesi.

Il poeta conduceva una vita principesca, tra residenze di lusso

e oggetti d'arte - uno stile di vita che però richiedeva fiumi di denaro,

ricadendo quindi nelle dinamiche borghesi da lui tanto deprecate.

Cosciente di questo paradosso, lo scrittore si rende conto della

debolezza dell'estetismo: da ciò l'immagine fallimentare che ne

viene data nel Piacere, la denuncia dell'incoerenza, la mancanza

di autenticità e spontaneità di Andrea Sperelli.

I modelli letterari di riferimento

Ne Il Piacere è ravvisabile una fitta rete di rimandi a vari modelli

letterari e artistici, legati sia all'ambiente romano in cui il poeta era

inserito, sia alla lettura di autori a lui contemporanei, per lo più francesi.

Parigi fu, negli anni della Terza Repubblica e fino allo scoppio della 

prima guerra mondiale, la capitale culturale d'Europa, la città in cui

vennero elaborati i modelli, gli atteggiamenti, i programmi dei

principali movimenti culturali, il luogo di attrazione di tutti gli

artisti e scrittori europei.

D'Annunzio utilizzò il suo impiego giornalistico alla "Tribuna" di 

Roma per esplorare e assimilare i nuovi modelli letterari francesi ed

europei in generale, attraverso il continuo rapporto con altri intellettuali

e scrittori. Alle sue influenze precedenti, che comprendevano 

Charles Baudelaire,Théophile Gautier, l'estetica preraffaellita 

elaborata dai critici del giornale Cronaca bizantina, eGoethe, si aggiunsero

dunque quelle provenienti dalla nuova fonte di ispirazione francese,

comeGustave FlaubertGuy de MaupassantÉmile Zola, ma anche

 Percy Bysshe ShelleyOscar Wildee forse la lettura di 

À rebours di Joris Karl Huysmans.

Di grande importanza sono poi gli influssi dell'ambiente romano.

D'Annunzio giunse nella capitale nel 1881, e i dieci anni che vi

trascorse furono decisivi per la formazione del suo stile:

nel rapporto con l'ambiente culturale e mondano della città si

formò il nucleo della sua visione del mondo.

Centrale fu in particolare la sua collaborazione alla rivista 

Cronaca Bizantina, di proprietà dello spregiudicato editore 

Angelo Sommaruga, il primo a pubblicare libri del giovane

poeta.La rivista, che aveva una linea editoriale orientata alle

concezioni letterarie moderne in voga allora (tanto da parlare

di una «Roma bizantina») e di cui lo stesso D'Annunzio fu

direttore per breve tempo nel 1885, ospitava rubriche di letteratura

firmate da importanti artisti e scrittori inseriti nell'ambiente

giornalistico, tra cui spiccano Edoardo ScarfoglioUgo Fleres

Giulio Salvadori e altri. Sempre a questi anni risale l'amicizia

con il musicista Francesco Paolo Tosti e il pittore Francesco Paolo Michetti.

Inoltre, D'Annunzio fu collaboratore di molte altre testate romane,

e dal 1884 al 1888 scrisse di arte e di cronaca mondana per il

quotidiano La Tribuna, firmando con vari pseudonimi e

occupandosi di mostre d'arte, ricevimenti aristocratici e aste

d'antiquariato. Attraverso questa intensissima attività D'Annunzio

si costruì un personale e inesauribile archivio di stili e registri di

scrittura, da cui attinse poi per le sue opere di narrativa.

In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente "a fuoco"

il proprio mondo di riferimento culturale, nel quale si immedesimò

fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive,

condannandosi così per molti anni ad accumulare debiti e a fuggire

dai creditori.

Si può quindi parlare, tanto nelle opere quanto nella vita di D'Annunzio,

di una idealizzazione del mondo, che viene ad essere circoscritto

nella dimensione del mito. La sua fantasia lottò prepotentemente

per imporre sulla realtà del presente, vissuto con disprezzo, i valori

alti ed eterni di un passato visto come modello di vita e di bellezza.

Il ruolo dell'arte

Valore assoluto del Piacere è l'arte, la quale rappresenta per Andrea

Sperelli un programma estetico e un modello di vita, a cui subordina

tutto il resto, giungendo alla corruzione fisica e morale

(è il tipico dandy, formatosi nell'alta cultura e votato all'edonismo).

È, insomma, la realizzazione di un'elevazione sociale e di quel

processo psicologico che affina i sensi e le sensazioni:

«bisogna fare la propria vita come si fa un'opera d'arte [...].

La superiorità vera è tutta qui. [...]. La volontà aveva ceduto

lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva sostituito il senso morale.

Codesto senso estetico [...] gli manteneva nello spirito un certo equilibrio.

[...] Gli uomini che vivono nella Bellezza, [...] che conservano sempre,

anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine.

La concezione della Bellezza è l'asse del loro essere interiore, intorno

a cui tutte le loro passioni ruotano.»

(G. D'Annunzio, Il piacere, libro I, cap. II)

Dopo la convalescenza, successiva alla ferita procuratasi a causa del duello

con Giannetto Rutolo, Andrea scopre che l'unico amore possibile è quello dell'arte,

«l'Amante fedele, sempre giovine mortale; eccola Fonte della gioia pura,

vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; ecco il prezioso Alimento

che fa l'uomo simile a un dio.»

(G. D'Annunzio, Il piacere, libro II, cap. I)

Questa attrazione per l'arte viene rappresentata dall'inclinazione

di Andrea verso la poesia, che

«può rendere i minimi moti del sentimento [...] può definire

l'indefinibile e dire l'ineffabile; può abbracciare l'illimitato e penetrare

l'abisso; [...] può inebriare come un vino, rapire come un'estasi; [...]

può raggiungere infine l'Assoluto.»

(G. D'Annunzio, Il piacere, libro II, cap. I)

Il culto «profondo e appassionato dell'arte» diventa per Andrea

l'unica ragione di vita, tirato in gioco anche nei rapporti con Elena

Muti e Donna Maria Ferres, perché egli è convinto che la

sensibilità artistica illumini i sensi e colga nelle apparenze le

linee invisibili, percepisca l'impercettibile, indovini i pensieri

nascosti della natura.

Senza dubbio, «i miraggi erotici, tutte le insane orge dei sensi

si fondano su una profonda corruzione del sentimento. [...]

L'arte si dissolve nella minuziosità di un estetismo individualmente

raffinato, si limita alla forma e non penetra la sostanza»

 (appunto di lettura del Michelstaedter sul Piacere).

Tuttavia, messe da parte l'autosuggestione decadente e la

tendenza alla spettacolarizzazione di D'Annunzio,

l'accostamento tra arte e bellezza, arte e vita è una risposta,

energica ed eloquente, verso la massificazione dell'arte e

la mercificazione del letterato e della letteratura.

Il Piacere è l'agonia dell'ideale aristocratico di bellezza.

Racconta la vacuità e la decadenza della società aristocratica,

infettata dall'edonismo, vicina al proprio annichilimento morale,

poiché il valore del profitto ha sostituito quella della bellezza.

Emblematica è la fine del romanzo: Andrea, vinto, disfatte le

proprie avventure amorose, vaga per le antiche stanze del

palazzo del ministro del Guatemala, disabitato, in rovina,

il cui arredamento è stato venduto all'asta.

 
 
 

La figlia di Iorio

Post n°1955 pubblicato il 26 Febbraio 2019 da blogtecaolivelli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La figlia di Iorio è una tragedia in tre atti

del 1903 di Gabriele D'Annunzio.

Origine

L'autore, che proprio l'anno precedente aveva

realizzato alcuni dei suoi capolavori lirici come

Alcione, si distaccò da Eleonora Duse e piombò

in una spirale di lussi e di debiti. Affrontò, dopo

il successo della Figlia di Iorio, un breve periodo

di difficoltà creativa ed artistica.

Lo stesso d'Annunzio scrisse in una lettera al

pittore Michetti, amico e corealizzatore della

trama"Tutto è nuovo in questa tragedia e tutto

è semplice. Tutto è violento e tutto è pacato nello

stesso tempo. L'uomo primitivo, nella natura

immutabile, parla il linguaggio delle passioni elementari...

E qualcosa di omerico si diffonde su certe scene di dolore.

Per rappresentare una tale tragedia son necessari attori

vergini, pieni di vita raccolta. Perché qui tutto è canto

e mimica...

Bisogna assolutamente rifiutare ogni falsità teatrale."

La prima rappresentazione avvenne al Teatro Lirico di

Milano il 2 marzo 1904 con la compagnia teatrale di 

Virgilio Talli ed ebbe enorme successo.

La protagonista avrebbe dovuto essere Eleonora Duse,

la cui relazione sentimentale con D'Annunzio era già in

crisi, ma l'attrice si ammalò e il poeta non volle attendere

il tempo necessario alla guarigione, così affidò la parte

di Mila ad Irma Gramatica.

Da alcune testimonianze risulta che la Duse non abbia

mai dimenticato il dolore per quel torto subito.

Gli altri interpreti erano Ruggero Ruggeri (Aligi), 

Teresa Franchini (Candia della Leonessa),

Oreste Calabresi (Lazaro) e Lyda Borelli.

Le scene e i costumi vennero affidate all'artista

Francesco Paolo Michetti.La prima rappresentazione

in Abruzzo, e fu un vero trionfo: si tenne il giorno 23

giugno dello stesso anno al Teatro Marrucino di Chieti,

città alla quale l'autore donò il manoscritto originale

della tragedia.

Trama

La vicenda è ambientata in Abruzzo, nel giorno di 

San Giovanni, nel borgo montano di Taranta Peligna.

La famiglia di Lazaro di Roio del Sangro sta preparando

le nozze del figlio Aligi; l'atmosfera è gaia grazie ai

canti e ai dialoghi allusivi ed effervescenti delle tre

sorelle. Aligi pare comunque turbato da strane sensazioni

e da presagi e si esprime in un linguaggio onirico.

Mentre la cerimonia nuziale sta procedendo con un

frammisto di riti rurali, ancestrali, pagani precristiani,

irrompe nella casa Mila di Codro (la figlia di Iorio, un

mago) per cercarvi rifugio; lei è una donna dalla

cattiva fama, ma è costretta a fuggire per evitare le

molestie di un gruppo di mietitori ubriachi.

Quando Aligi, incitato dalle donne presenti al matrimonio,

sta per colpirla, viene fermato dalla visione dell'angelo 

custode e dai pianti delle sorelle.

Aligi riesce persino a convincere i mietitori a

rinunciare alla loro preda.

Mila e Aligi finiscono per convivere assieme in una

caverna pastorale in montagna (la Grotta del Cavallone);

la loro unione non è peccaminosa e anzi sperano

ardentemente di recarsi a Roma per ottenere la

dispensa papalee poi sposarsi felici e contenti.

Ma non è una favola, né tanto meno una storia a

lieto fine, anzi la situazione precipita rapidamente:

Ornella, una sorella di Aligi, addolora profondamente

Mila con il racconto sullo stato di disperazione in cui

è caduta la sua famiglia, dopo la partenza di Aligi.

Mila decide allora di fuggire, ma viene fermata da

Lazaro che cerca di sedurla con la forza;

Aligi interviene a difendere la donna e nasce così

una colluttazione tra padre e figlio che terminerà

con la morte del primo. Aligi evita la condanna solo

per l'autoconfessione di Mila, che si addebita ogni

colpa, autoproclamandosi strega.

La giovane verrà condotta alla catasta per morire s

ulle fiamme.

Commento e critiche

L'autore stesso, nella lettera a Michetti, descrisse

perfettamente le motivazioni e gli intenti dell'opera.

Rivivere le sue radici della terra natale, nell'intento

di eternare le figure pastorali antiche, grazie alla

scoperta dell'immutata sostanza della natura umana.

L'autore ricerca oggetti come utensili, suppellettili

che abbiano l'impronta della vita vera, e nel tempo

medesimo vuole diffondere sulla realtà dei quadri

un velo di sogno antico.

Perciò è proprio un sogno antico che riconduce

il poeta alla sua terra d'origine, che nell'opera

viene riportata ad uno stadio primitivo ed innocente,

caratterizzato da usi e costumi arcaici.

È infatti alla natura aspra della sua gente che il

poeta salda la tragedia del destino.

È un'opera variegata pervasa dal filo conduttore

della musicalità dannunziana.

Ecco perché sembra quasi rientrare nella normalità

delle cose, la vicinanza della frase ricercata e colta

con la filastrocca invece basata su temi popolari;

oppure il tono realistico alternato a quello

trasognato, indefinito e misterioso.

Lo stesso poeta definirà il suo verso come: "intero,

senza spezzamenti, semplice e diritto, entra

nell'anima e vi resta".

Le critiche, sia quelle contemporanee alla

realizzazione dell'opera sia quelle successive,

sono state, generalmente, positive.

Scrisse il Paratore: «È l'unica opera del poeta,

che pur concedendo il debito posto al furore

dei sensi, si solleva in un clima in cui i palpiti

dell'umana passionalità vibrano di una

risonanza universale».
Rileva invece Umberto Artioli: «Nei paesaggi-stati

d'animo, negli oggetti-emblemi, nei personaggi

che solidarizzano o si contrappongono come

frammenti di un'unica individualità scissa in se

stessa ed affiorante sulla scena in una pletora

di sembianti diversi, circola quel che gli

espressionisti definiranno Ich-Drama: un'opzione

drammaturgica a fondamento allegorico in cui

l'eredità romantica, prende quota su un impianto

di sapore medievale».

La Figlia di Iorio è stata portata sullo schermo,

all'epoca del muto, due volte. In occasione del

centenario, il Comune di Pescara e Il Vittoriale

hanno sostenuto la produzione della versione

cinematografica della tragedia. L'ha diretta e

prodotta il regista Mario A. Di Iorio, girandola i

n digitale. Elena De Ritis è Mila di Codra;

Corrado Proia è Aligi.

Curiosità

L'opera di D'Annunzio divenne oggetto di una

 parodia teatrale, rappresentata il 3 dicembre

del 1904 al Teatro Mercadante di Napoli, ideata

da Eduardo Scarpettae intitolata Il figlio di Iorio.

Scarpetta fu querelato dalla Società Italiana

degli Autori ed Editori per plagio e contraffazione 

per la messa in scena senza autorizzazione scritta,

ma in sede processuale l'autore napoletano sarebbe

stato assolto.

 
 
 

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