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Messaggi del 06/03/2019

La genesi di Frankenstein, tra scienza e dilemmi etici

Post n°2015 pubblicato il 06 Marzo 2019 da blogtecaolivelli

20 agosto 2016

In un'estate di duecento anni fa,

una giovanissima Mary Shelley concepì 

Frankenstein, considerato il primo vero

romanzo di fantascienza. Ispirata dalle

più recenti ricerche scientifiche dell'epoca,

l'opera ha uno spessore letterario, etico e

scientifico che va al di là della popolare immagine

della Creaturadi Richard Holmes/Nature

arteeticacomunicazione della scienza

Nel 1816, una giovanissima donna iniziò a comporre

quella che molti considerano la prima vera opera

di fantascienza, che avrebbe lanciato uno degli

attacchi più duri alla scienza moderna che siano

mai stati scritti.

Nell'estate di quell'anno, la diciannovenne Mary

Godwin (il nome da ragazza) ebbe l'idea di 

Frankenstein, o il moderno Prometeo mentre si

trovava a Villa Diodati, sul lago di Ginevra in

Svizzera, con il suo amante e futuro marito

Percy Bysshe Shelley, e l'amico e collega Lord Byron

. Costretto a stare in casa dal maltempo,

il gruppo trascorreva le serate raccontando

storie di fantasmi, mentre il medico personale

di Byron, il brillante ventenne John William

Polidori, li intratteneva illustrando gli ultimi

sviluppi della scienza medica.

La genesi di Frankenstein, tra scienza e dilemmi etici

La statua dedicata a Frankenstein a Ginevra,

nei cui dintorni Mary Shelley ebbe l'ispirazione

per il suo romanzo (FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)

L'immaginosa mente di Mary fu particolarmente

stimolata a cimentarsi con la polemica letteraria

e scientifica.

Sua madre era la scrittrice femminista Mary Wollstonecraft,

morta per complicazioni del parto subito dopo la nascita di Mary.

Il padre era il filosofo anarchico e romanziere William

Godwin, la cui cerchia di amici includeva chimici e

pionieri dello studio dell'energia elettrica come

Humphry Davy e William Nicholson, e il poeta

oppiomane Samuel Taylor Coleridge.

Queste personalità influenzarono la giovane mente

di Mary, anche per l'incoraggiamento di Shelley,

che da ragazzo si era interessato di scienza

all'Università di Oxford, prima di essere espulso

per ateismo.

Un dramma gotico
Il mito di Victor Frankenstein, il giovane scienziato,

pazzo ma idealista, che libera involontariamente la

sua creatura mostruosa e si sforza di accettarne la

responsabilità, è un inebriante cocktail di melodramma

gotico e inquietante speculazione.

Che si è dimostrato sorprendentemente adattabile.

La prima versione teatrale, Presunzione: o il destino

di Frankenstein, fu rappresentata all'English Opera

House di Londra nel 1823, di fronte a un pubblico

enorme e accompagnata da una pubblicità scandalistica

( "Non portate le mogli, non portate le vostre figlie,

non portate le vostre famiglie"). Mary Shelley, che

era presente, sottolineò che "nei primi spettacoli le

signore svenivano, con tutta la confusione che ne segue!"

Da allora ci sono state più di 90 diverse trasposizioni

dell'opera, tra cui quella del 2011 al National Theatre

di Londra diretta da Danny Boyle, che si apre con la

creatura che cade nuda da un enorme, utero artificia

le pulsante. La storia è stata adattata anche per oltre

70 film, tra cui l'iconico Frankenstein di James Whale

del 1931, interpretato da Boris Karloff. Nel maggio di

quest'anno, alla Royal Opera House di Londra è stato

messo in scena un balletto ispirato a Frankenstein.

Il coreografo Liam Scarlett lo ha sagacemente analizzato

come una storia d'amore: "La creatura è come un bambino.

E' alla disperata ricerca di un genitore o di una persona

cara che lo guidi nel mondo ".

La genesi di Frankenstein, tra scienza e dilemmi etici

Boris Karloff nel ruolo della Creatura in La moglie

di Frankenstein, 1935. Diretto anch'esso da Whale,

il film fu girato in seguito allo straordinario successo

della pellicola del 1931. (Creative Commons)Anche

se il mito è ben noto, il romanzo originale non lo è.

Ci sono tre versioni. Mary Shelley ha cominciato a

scrivere la prima a Villa Diodati, probabilmente

come racconto, in due blocchi d'appunti, per poi

espanderlo nel corso dell'inverno 1816-1817 con una

prosa semplice e diretta di grande intensità (i blocchi

d'appunti sono rimasti inediti fino al 2008).

La seconda, con piccoli interventi del marito e di stile

più letterario, è stata pubblicata nel 1818.

La terza, radicalmente rivista dalla sola Mary, è stata

pubblicata nel 1831, con una nuova affascinante

introduzione dell'autrice.

In tutte le versioni la trama di base rimane la stessa,

ma il tono appare via via più cupo. Frankenstein

diventa più appassionato e ambizioso, la sua scienza

più sinistra e mal diretta ( "Ho sentito come se la

mia anima stesse lottando con un nemico palpabile"),

mentre la sua creatura diventa più alienata e angosciosa.

L'introduzione del 1831 contiene anche un immaginifico

resoconto retrospettivo della gara di narrazione nella villa.

Mary ora chiama il libro la sua "orribile progenie", e

afferma che l'idea le venne subito, come un lampo

emotivo al risveglio da un incubo terribile.

"Vedevo - a occhi chiusi ma con la mente ben desta

- lo studioso di una scienza sacrilega, pallido, inginocchiato

accanto alla cosa che aveva messo insieme.

Vedevo l'orrida forma di un uomo disteso, poi una

macchina potente entrava in azione, il cadavere mostrava

segni di vita e si sollevava con movimento difficoltoso,

solo parzialmente vitale "

La genesi di Frankenstein, tra scienza e dilemmi etici

Il manoscritto originale di Frankenstein.

(Matt Cardy/Getty Images)Il libro, tuttavia, può aver

avuto una genesi più intellettuale.

Il miglior resoconto contemporaneo della gara di

storie di fantasmi è quello di Polidori.

Laureato in medicina all'Università di Edimburgo,

aveva scritto la sua tesi di dottorato sul sonnambulismo.

Prima del viaggio, era stato incaricato dalla casa editrice

John Murray di tenere un diario segreto delle avventure

di Byron, e per questo aveva annotato le speculazioni

e la lettura dei "racconti dell'orrore" tedeschi fatta

alla villa. Soprattutto, aveva registrato le discussioni

sui principi scientifici fondamentali, e sul quesito

se il corpo umano "è stato pensato per essere solo

uno strumento". Come dice Polidori, i loro cervelli

"ronzavano".

Fatti scientifici
Polidori doveva essere al corrente dei recenti

esperimenti sulle tecniche di resuscitazione elettrica

del fisico italiano Giovanni Aldini (nipote del bio-

elettricista Luigi Galvani), e delle nuove teorie

anatomiche dei fisiologi tedeschi, come Johann

Friedrich Blumenbach. Senza contare il polverone

sul "vitalismo" sollevato dai feroci dibattiti tra John

Abernethy e William Lawrence al Royal College of

Surgeons circa la possibile esistenza di una "forza

vitale" elettrica e la natura unica della coscienza

umana.

Frankenstein si è nutrito di queste idee controverse

- allora vivaci nelle grandi università e nei centri di

ricerca d'Europa - e in particolare dei problemi morali

relativi ai pericoli dell'ingerenza della scienza nella

natura.

Dunque, il processo di scrittura coinvolse un'attenta

ricerca durata molti mesi.

Mary Shelley ne fa cenno nel suo diario per la

prima volta il 24 luglio 1816. Era in Svizzera,

sopra Chamonix, e camminava verso il Monte

Bianco, assorbendo il paesaggio brullo del ghiacciaio

Mer de Glace, che avrebbe poi usato come sfondo

dello scontro centrale del libro tra lo scienziato

e la creatura.

"Nulla può essere più desolato della salita di

questa montagna... siamo arrivati fradici fino

alle ossa... lo scrivo per la mia storia".

La sua trionfale annotazione del completamento

della prima bozza, "trascrivere e correggere

F[rankenstein]... Fine trascrizione",  non appare

che fra l'aprile e il maggio 1817, solo quattro

mesi prima della nascita di Clara, la sua terza figlia.

Non è un caso che le metafore della gravidanza,

del parto e della genitorialità pervadano questo

romanzo sulla creazione della vita.

Influenze variegate

Un ritratto di Mary Shelley mentre viene allestita

la mostra "Shelley's Ghost" alla Bodleian Library

di Londra. Durante il periodo di composizione

dell'opera, in Inghilerra, il diario di Mary Shelley

rivela un'impressionante lista di letture.

Assorbe il drammatico resoconto dell'esplorazione

polare fatto nel Viaggio intorno al mondo (1748) di

George Anson; la distinzione tra alchimia e chimica

degli Elementi di filosofia chimica (1812) di Davy

(basati sulle sue famose lezioni di Londra); e i nuovi

concetti sullo sviluppo del cervello illustrati nelle

conferenze di fisiologia di Lawrence, tenute nel

1816-1817.

Nella Ballata del vecchio marinaio(1798) di Coleridge

incontra la psicologia del senso di colpa e del senso

di abbandono, e nel Paradiso Perduto (1667) di John

Milton, il tema del reietto demoniaco.

Nella prefazione non firmata all'edizione del 1818, suo

marito ha anche chiarito che avevano discusso il poema

scientifico di Erasmus Darwin The Temple of Nature, or

The Origin of Society  (1803). Tutto quello che Mary

divorava fu brillantemente amalgamanto in un nuovo

genere: la fantascienza.

Così, le lezioni di Davy alla Royal Institution di Londra

sono state sottilmente trasposte, a volte quasi frase

per frase, in quelle dell'immaginario dottor Waldman,

lodando il lavoro degli scienziati contemporanei del

giovane Frankenstein. "Questi filosofi... penetrano nei

recessi della natura e mostrano come questa lavori

nei suoi luoghi nascosti. Essi ascendono al cielo, hanno

scoperto come circola il sangue, e la natura dell'aria

che respiriamo.

Hanno acquisito nuovi poteri, quasi illimitati; possono

comandare i fulmini del cielo, imitare il terremoto, e

persino ridere del mondo invisibile con le sue ombre."

 osserva la sua creatura in un'incisione del 1831

)Fin dalla prima stesura, Mary aveva messo a punto

una struttura complessa in cui si intrecciano tre

narrazioni autobiografiche, una dentro l'altra come

bambole russe, ciascuna delle quali dà una diversa

interpretazione del mito di Frankenstein.

La prima, spesso trascurata negli adattamenti,

è dell'esploratore polare Robert Walton.

Raccontata in forma di lettere alla sorella, si svolge

nel Mar Glaciale Artico, e presenta un enigma morale.

Il giovane Frankenstein è un idealista con intenti

filantropici, è spinto dalla cieca ambizione o

è semplicemente folle? E la sua creatura è

malvagia o innocente?

È un violento emarginato o una vittima perseguitata

che desidera solo amore?

Il secondo racconto è dello stesso Frankenstein,

e si concentra sulla sua esaltante scoperta e sulle

"lusinghe della scienza". I primi capitoli costituiscono

una delle prime rappresentazioni di fantasia della

formazione di un giovane scienziato, ed evocano i

misteri della sperimentazione, l'entusiasmo ingenuo

per gli aquiloni elettrici e il fascino delle pompe ad aria.

Abilmente modificati nell'edizione del 1831, i capitoli

rimandano in modo più sofisticato al galvanismo,

alla necessità della matematica, al genio di Isaac

Newton e all'inebriante piacere, e ai pericoli, di un

carismatico insegnamento della scienza.

Il terzo racconto, drammaticamente tenuto in

sospeso fino a metà del libro, è della Creatura.

Scritto in un registro stilistico completamente

diverso, oscilla violentemente tra esclamazioni

disperate, appelli struggenti e minacce furiose.

Nella grande resa dei conti con Frankenstein sul

Mer de Glace, la creatura implora lo scienziato

di approfondire la sperimentazione per creare

una compagna che egli possa amare.

Di fronte a questo terribile dilemma etico,

Frankenstein è d'accordo con la creatura: questa

seconda scena di creazione, in un laboratorio

segreto sulle isole Orcadi, al largo della Scozia,

è spesso trascurato. All'ultimo momento, temendo

le conseguenze, Frankenstein distrugge la sua creazione

femminile, trasformando la creatura, delusa, in un

demone vendicativo.

Emerge così il dramma centrale del romanzo.

Non è solo la creazione della vita stessa, l'ambizione

tecnica della scienza a essere messa in discussione.

Sono le scelte morali e le responsabilità etiche

impreviste che possono essere legate ai progressi

scientifici: l'intelligenza artificiale o la vita artificiale,

le armi nucleari, il sequenziamento del genoma o le

modificazioni genetiche.

Una certa dose di ironia rende il romanzo di Shelley

molto più grande di qualsiasi film, più grande

soprattutto della sua interpretazione popolare come

mito antiscientifico. Con tutte le sue oscillazioni, la

Creatura diventa, paradossalmente, ancora più

espressiva e umana di Frankenstein.

Con parole appassionate chiede giustizia, comprensione,

compassione, e diritti umani.

Nell'incontro sulle Alpi, la Creatura dichiara la

responsabilità esclusiva di Frankenstein

: "dovrei essere il tuo Adamo, ma sono piuttosto

l'angelo caduto che tu allontani dalla gioia, senza

alcun crimine.

Ovunque vedo felicità, dalla quale io solo sono

irrimediabilmente escluso... la sventura mi ha

reso un demonio. Fammi felice, e io sarò di nuovo

virtuoso".

E' qui che stanno il duraturo genio giovanile e la

generosa immaginazione del Frankenstein di Mary

Shelley, che proclama come lo straniero, l'emarginato,

il reietto abbiano il diritto di rivendicare la nostra

stessa umanità. E anche la nostra scienza.

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato

su Nature il 28 luglio 2016. Traduzione ed editing

a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata,

tutti i diritti riservati.)

 
 
 

Un robot che uccide č ancora un semplice strumento?

Post n°2014 pubblicato il 06 Marzo 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

16 luglio 2016

Un robot che uccide è ancora un

 

semplice strumento?

Un robot che uccide è ancora un semplice strumento?

Ksp0704/Wikimedia Commons,

CC BY-SA 3.0

La notizia che lo scorso 7 luglio la polizia

di Dallas si è servita di un robot per

eliminare un cecchino ha fatto molto discutere.

Secondo gli esperti, tuttavia, questo uso degli

automi non è una novità e non prefigura scenari

fantascientifici di poliziotti-robot che agiscono

in modo indipendentedi Karl J. P. Smit

eticaroboticasocietàarmament

iE' stato un robot che trasportava un ordigno

esplosivo a uccidere il cecchino responsabile

della orribile notte di violenza dello scorso 7

luglio a Dallas, in Texas.

Secondo molti esponenti delle forze dell'ordine

e altri esperti si è trattato della prima volta

che la polizia degli Stati Uniti ha fatto un uso

simile della tecnologia robotica.

Durante una manifestazione di protesta per le

uccisioni per mano della polizia di due afroamericani

in altre città, cinque poliziotti sono stati uccisi e

altri sette sono rimasti feriti, così come due civili.

Micah Johnson, l'uomo sospettato di aver sparato,

è stato ucciso dall'esplosivo trasportato dal robot

e fatto brillare a distanza dopo il fallimento delle

trattative con la polizia.

Ma Toby Walsh, docente di intelligenza artificiale

all'University of the New South Wales, mette in

guardia dal considerare questo uso di un robot

come la scena di un incubo fantascientifico,

perché il robot è stato azionato con un telecomando

da un essere umano.

"Sotto questo aspetto, non ci avvicina ai robot

killer più dei droni Predator telecomandati che

volano nei cieli dell'Iraq, del Pakistan e altrove",

ha dichiarato Walsh. "Nell'azione è ancora molto

coinvolto un essere umano, e questo è positivo."

Un robot che uccide è ancora un semplice strumento?

Un robot simile a quello usato per uccidere

il cecchino a Dallas (Ksp0704/Wikimedia Commons,

CC BY-SA 3.0)Anche altri sono d'accordo.

"Il punto è che [il robot] è uno strumento.

Strumenti con queste funzionalità esistono

da molti anni", dice Red Whittaker, docente

di robotica alla Carnegie Mellon University.

"E' controllato a distanza; non c'è nulla di

diverso dal premere un grilletto, lanciare una

granata o qualsiasi altra azione del genere.

Il telecomando è un oggetto che si può

acquistare in qualsiasi negozio di hobbistica."

"Le forze dell'ordine usano robot di questo

genere per la bonifica dagliordigni esplosivi.

E' un tipo di intervento che esiste da decenni",

dice David Klinger, criminologo all'Università

del Missouri a St. Louis. Klinger dice che i

robot sono strumenti versatili, utili non solo

se c'è di mezzo una bomba, ma anche in

diverse situazioni in cui è in gioco la vita di un agente.

Automi come quello di Dallas - che sembra fosse

 un Northrop Grumman Andros F6A o F6B -

somigliano a piccoli carrarmati e sono dotati

di armi intercambiabili, e questo permette

funzionalità diverse, fra cui per esempio l'uso

di fucili.

Klinger dice che, per quanto ne sa, questo è

il primo caso in cui la polizia degli Stati Uniti

usa un robot dotato di una carica esplosiva,

ma aggiunge di non ritenerlo un problema.

"La legge non discrimina tra i tipi di sistemi

usati per esercitare una forza letale", dice.

"Se un agente di polizia avesse potuto colpire

quell'individuo, avrebbe potuto usare qualsias

i altro strumento letale.

Negli Stati Uniti abbiamo avuto situazioni in

cui gli agenti di polizia hanno investito delle persone.

Se potete sparare a qualcuno, potete investirlo;

sono a conoscenza di casi in cui gli agenti di

polizia hanno introdotto dispositivi incendiari,...

allora perché non dovremmo poter ricorrere

legalmente a un ordigno esplosivo?"

Un robot che uccide è ancora un semplice strumento?

Un'immagine dei funerali degli agenti uccisi a

Dallas (Stewart F. House / Stringer/Getty Images)

Ron McCarthy, un poliziotto in pensione che ha

lavorato per 13 anni nel comando della squadra

S.W.A.T. (Special Weapons And Tactics) della polizia

di Los Angeles, è d'accordo.

"Sono molto utili e molto pratici, e ce ne sono tantissimi.

Usarli in questo caso? Perfetto.

Quando c'è qualcuno che minaccia di uccidere cittadini o

agenti, non dobbiamo giocare con la loro vita."

Walsh è però più cauto a proposito della velocità con

cui si stanno sviluppando tecnologie come questa, e

teme che un giorno questi robot possano essere

automatizzati, una probabilità eticamente molto più inquietante

. "E' solo un piccolo passo nella direzione dell'eliminazione

dell'uomo per sostituirlo con un computer", ha commentato.

"Negli ultimi mesi, abbiamo visto il primo test della

marina americana con la sua prima nave completamente

autonoma. Abbiamo assistito alla prima morte causata

da un veicolo completamente autonomo.

Si tratta di tecnologie che sono ormai molto vicine."

(La versione originale di questo articolo è apparsa

 su www.scientificamerican.com l'8 luglio 2016.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

 
 
 

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