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Messaggi del 04/04/2019
Post n°2085 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 29 dicembre 2017 Alcuni neuroscienziati stanno sfruttando tecniche usate nella crittografia per decodificare i segnali che permettono al cervello di muovere gli arti. Il loro obiettivo è arrivare a protesi neurali sempre più efficientidi Helen Shen/Scientific American I dispositivi protesici controllati dal cervello potrebbero potenzialmente migliorare la vita delle persone con mobilità limitata a causa di lesioni o malattie. Per guidare queste interfacce cervello- computer, i neuroscienziati hanno sviluppato una varietà di algoritmi che decodificano i pensieri relativi al movimento in modo sempre più accurato e preciso. Ora i ricercatori stanno ampliando la loro cassetta degli attrezzi prendendo in prestito tecniche dal mondo della crittografia per decodificare i segnali neurali e tradurli in movimenti. gli addetti alla decodifica dei codici hanno decifrato il codice tedesco Enigma sfruttando la conoscenza di schemi presenti nei messaggi crittografati. Questi schemi includevano le tipiche frequenze e distribuzioni di certe lettere e parole nel testo. Sapendo qualcosa su quello che ci si aspettava di leggere, l'informatico britannico Alan Turing e i suoi colleghi erano riusciti a trovare la chiave per tradurre il codice in un linguaggio comprensibile. o stendere un braccio per afferrare qualcosa, seguono schemi prevedibili. La posizione dell'arto, la velocità e molte altre caratteristiche del movimento tendono a combinarsi in modo ordinato. Pensando a questa regolarità, Eva Dyer, neuroscienziata del Georgia Institute of Technology, ha deciso di testare nell'ambito della decodifica neurale una strategia ispirata alla crittografia. Con i suoi colleghi, ha pubblicato i risultati di un recente studio su "Nature Biomedical Engineering". approccio, ma questo è uno dei primi studi a essere pubblicato", dice Nicholas Hatsopoulos, neuroscienziato dell'Università di Chicago, che non è stato coinvolto nel lavoro. "È piuttosto insolito". usano i cosiddetti "decodificatori supervisionati" (supervised decoders). Questi algoritmi si basano su un'informazione dettagliata che è ottenuta momento per momento e che riguarda il movimento, per esempio posizione e velocità degli arti; questa informazione è registrata mentre si registra l'attività neurale. Raccogliere questi dati può essere un processo laborioso e dispendioso in termini di tempo. In seguito, l'informazione è usata per addestrare il decodificatore a tradurre gli schemi neurali nei movimenti corrispondenti. In termini di crittografia, sarebbe come confrontare un certo numero di messaggi già decrittati con le loro versioni criptate per decodificare la chiave. Blend Images / AGAl contrario, il gruppo di Dyer ha cercato di prevedere i movimenti usando solo i messaggi criptati (l'attività neurale) e una comprensione generale dei modelli che emergono in determinati movimenti. Il gruppo ha addestrato tre macachi a stendere il braccio o piegare il polso per guidare un cursore su bersagli disposti attorno a un punto centrale. Allo stesso tempo, i ricercatori hanno usato schiere di elettrodi per registrare l'attività di circa 100 neuroni nella corteccia motoria, una regione del cervello cruciale per il controllo del movimento, di ogni scimmia. ricercatori hanno ottenuto statistiche sui movimenti di ciascun animale, come la velocità orizzontale e verticale. Un buon decodificatore, dice Dyer, dovrebbe trovare schemi sepolti nell'attività neurale che, come in una mappa, corrispondono a schemi visti nei movimenti. Per trovare il loro algoritmo di decodifica, i ricercatori hanno effettuato un'analisi sull'attività neurale per estrarre e snellire la sua struttura matematica principale. Poi hanno testato un gran numero di modelli computazionali per trovare quello che allineava maggiormente gli schemi neurali agli schemi di movimento. modello migliore per decodificare l'attività neurale da prove individuali, sono stati in grado di prevedere i movimenti reali degli animali come nel caso di alcuni decodificatori supervisionati di base. "È un risultato molto interessante", afferma Jonathan Kao, neuroscienziato computazionale dell'Università della California a Los Angeles, che non è stato coinvolto nello studio. "In passato avrei pensato che avere l'informazione momento per momento della precisa estensione del braccio, conoscendo la velocità in ogni momento, avrebbe permesso di costruire un decodificatore migliore di quello ricavato dalle statistiche complessive del movimento". solo statistiche generali sui movimenti, che tendono a essere simili tra gli animali o tra l e persone, i ricercatori hanno anche potuto usare schemi di movimento di una scimmia per decifrare i dati neurali di un'altra scimmia, cosa che non è possibile fare con decodificatori supervisionati tradizionali. In linea di principio, vuol dire che gli scienziati potrebbero ridurre tempo e sforzi necessari per raccogliere dati di movimento dettagliati. Invece, potrebbero acquisire le informazioni una sola volta e usarle di nuovo oppure distribuirle per addestrare le interfacce cervello-computer in molti animali o persone. "Potrebbe essere molto utile sia per la comunità scientifica che per quella medica", dice Hatsopoulos. di fattibilità per l'impiego di strategie crittografiche nella decodifica dell'attività neurale, inoltre la neuroscienziata osserva che c'è ancora molto lavoro da fare prima di poter usare questo metodo in modo esteso. "Rispetto ai decodificatori di ultima generazione, questo non è ancora un metodo competitivo", afferma. L'algoritmo potrebbe essere migliorato inviando segnali da un numero ancora più grande di neuroni, oppure fornendo ulteriori caratteristiche note dei movimenti, come la tendenza degli animali a fare movimenti fluidi. Per essere utile a guidare i dispositivi protesici, l'approccio dovrebbe anche essere adattato a decodificare i movimenti più complessi e naturali, un compito non banale. "Abbiamo solo scalfito la superficie", dice Dyer. su Scientific American il 27 dicembre 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2084 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Risorse della Biblioteca Scolastica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Herzog è un romanzo di Saul Bellow, pubblicato nel 1964. È un romanzo astruttura epistolare, dove le lettere scritte dal protagonista costituiscono gran parte del testo. Il romanzo ha vinto il National Book Award nel 1965. La rivista TIME ha incluso il romanzo nella lista dei 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 al 2005 Trama Ambientato negli Stati Uniti del secondo dopoguerra, Herzog è un romanzo sulla crisi di mezza età di un intellettuale ebreo, Moses E. Herzog, che ha appena divorziato per la seconda volta (un divorzio particolarmente difficile). Ha due figli, uno con la prima moglie e uno con la seconda, che stanno crescendo senza la sua presenza. La sua carriera di scrittore e di accademico è in una fase di stallo. Herzog ha una relazione con Ramona, una donna molto sensuale con cui, però, non vuole impegnarsi. Il secondo matrimonio di Herzog, quello con l'esigente e manipolatrice Madeleine, si è appena concluso in modo umiliante. Madeleine ha convinto Moses a far trasferire lei e la loro figlia Junie a Chicago, e a fare in modo che anche i loro migliori amici, Valentine e Phoebe Gersbach, si trasferissero là, dopo aver procurato un buon lavoro a Valentine. Ma era tutta un'astuta manovra, perché Madeleine e Valentine hanno una tresca e, subito dopo il trasferimento a Chicago, Madeleine lascia Herzog, ottiene un ordine restrittivo contro di lui e cerca di farlo internare in un ospedale psichiatrico. Herzog passa il tempo scrivendo lettere che poi non invia. Le lettere sono indirizzate ad amici, familiari e personaggi famosi. I destinatari possono essere persone non più in vita, e spesso sono persone che Herzog non ha mai incontrato. L'unico elemento comune delle lettere è che Herzog esprime costantemente la sua delusione, o per i suoi fallimenti o per i fallimenti degli altri o per le parole dette dagli altri; altre volte Herzog chiede scusa per il modo in cui egli stesso ha deluso gli altri. All'inizio del romanzo, Herzog si trova nella sua casa di Ludeyville, una città nelle Berkshires, nel Massachusetts occidentale. Sta pensando di tornare a New York per vedere Ramona, ma poi invece si reca a Martha's Vineyard, per visitare degli amici. Arriva alla loro casa, ma là scrive un biglietto - un biglietto reale, stavolta - dove dice che deve partire: Va a New York per tentare di fare quelle cose, tra cui riottenere la custodia della figlia, Junie. Dopo aver trascorso la notte con Ramona, va in tribunale per incontrare il suo avvocato e discutere i suoi piani, e finisce con l'assistere a una serie di tragicomiche udienze, come quella in cui una donna è accusata di aver ucciso il suo bambino di tre anni scaraventandolo contro il muro. Moses, già sconvolto per aver ricevuto una lettera dalla baby-sitter di Junie che parla di un incidente in cui Valentine ha chiuso a chiave Junie nella macchina mentre lui e Madeleine litigavano in casa, va a Chicago. Va a casa della sua matrigna e prende una pistola antica, caricata con due proiettili, e progetta confusamente di uccidere Madeleine e Valentine, e poi fuggire con Junie. Il piano va in fumo perché Herzog vede Valentine che fa il bagno a Junie e si rende conto che Junie non è in pericolo. Il giorno seguente, dopo aver portato la figlia all'acquario, Herzog rimane coinvolto in un incidente stradale e alla fine è accusato di possesso di arma carica. Suo fratello, il freddo e razionale Will, cerca di farlo tornare alla realtà. Herzog va a Ludeyville, incontra suo fratello, il quale cerca di convincerlo a farsi ricoverare in una clinica. Ma Herzog, che in precedenza aveva preso in considerazione questa possibilità, sta riconciliandosi con la vita. Ramona lo raggiunge per passare la notte insieme - con grande sorpresa di Will - e Herzog comincia a fare progetti per restaurare la casa che, come la sua vita, pur bisognosa di essere riparata, ha una struttura solida. Herzog conclude dicendo che non ha più bisogno di scrivere lettere. Numerosi flashback nel corso del romanzo rivelano dettagli cruciali della vita di Herzog, tra cui il matrimonio con la solida Daisy e l'esistenza del loro figlio, Marco, la vita del padre di Herzog, un fallito in ogni lavoro che cominciava, e le molestie sessuali subite da Herzog su una strada di Chicago da parte di uno sconosciuto. Stile La bellezza del romanzo sta nell'analisi profonda della mente di Herzog. Nello stile tipico di Bellow, la descrizione delle emozioni dei personaggi e delle caratteristiche fisiche sono ricche di spirito e di energia. Le relazioni di Herzog sono il tema centrale del romanzo: non solo le donne e gli amici, ma anche la società e lui stesso. I pensieri di Herzog e i suoi processi mentali vengono messe a nudo nelle lettere che scrive. Via via che il romanzo si svolge, le lettere (scritte in corsivo nel libro) diventano sempre meno frequenti. Questo sembra rispecchiare la guarigione della mente del narratore, mentre la sua mente si distoglie dalla sua lotta interiore e si volge alle opzioni offerte dalla sua situazione attuale - non dover essere uno studioso, la possibilità di un nuovo inizio con Ramona, e così via. In altre parole, il chiarimento psicologico che sta verificandosi a livello di contenuto si riflette stilisticamente nello spostamento da una struttura prevalentemente epistolare a una struttura narrativa organizzata in modo più lineare. TemiLa ricerca dell'identità Herzog passa la maggior parte del tempo ad angosciarsi per quello che lui non è - un buon marito, un buon padre, un accademico di successo. Herzog definisce se stesso in questi termini, piuttosto che accettarsi e definire se stesso in termini positivi. Alla fine del romanzo Herzog comincia a mostrare i segni di questa trasformazione: È importante anche notare che il nome del personaggio, Moses E. Herzog, è tratto da un personaggio minore dell'Ulisse di Joyce. Il fallimento della filosofia Herzog pensa che la vita, con la sua accettazione del materialismo e delle sue vittime, sia umiliante. Lui ha rinunciato a un matrimonio stabile con la sua prima moglie (Daisy) perché era monotono e alienante, ma alla fine del secondo matrimonio si era trovato isolato e ingannato. Le lettere e i pensieri di Herzog rivelano che ha letto i più grandi filosofi, ma li trova tutti inutili, compresi Freud e Nietzsche, e nelle lettere spiega in che cosa le loro idee lo hanno deluso. La visione del mondo di Herzog è più ottimistica: Elementi autobiografici Il personaggio di Herzog rispecchia in molti aspetti un Saul Bellow romanzato. Alcune similitudini tra Herzog e Bellow: Entrambi sono cresciuti in Canada. Entrambi sono ebrei. Entrambi hanno genitori emigrati dalla Entrambi hanno vissuto a lungo a Entrambi hanno divorziato due volte (all'epoca della scrittura del romanzo; Bellow, in seguito, avrebbe collezionato divorzi da quattro delle sue cinque mogli). Entrambi avevano il padre contrabbandiere di alcolici. Il personaggio di Valentine Gersbach è ispirato a Jack Ludwig, un vecchio amico di Bellow che aveva una relazione con la seconda moglie di Bellow, Sondra |
Post n°2083 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze Dal 9 al 12 aprile si tiene a Foligno la nuova edizione della Festa di Scienza e di Filosofia, i l cui filo conduttore di quest'anno è la scienza come strumento per capire come sta cambiando il mondo. Oltre 70 i relatori i relatori previsti per quattro giornate di incontri destinati a "studiare il presente e guardare al futuro con l'ottimismo del sapere"di Marco Boscolo "Mi interessa molto il futuro: è lì che passerò il resto della mia vita": è una citazione che viene attribuita a vari personaggi, dal comico Groucho Marx all'inventore Charles Kettering, direttore della ricerca di General Motors tra il 1920 e il 1947. coglie un aspetto ineluttabile del futuro: è determinato dal presente. E in questo presente gli strumenti in mano alla scienza sono i più potenti che abbiamo a disposizione per capire come sta cambiando e cambierà il mondo in cui viviamo, dagli aspetti della produzione industriale a come ci spostiamo, da come e cosa mangiamo ai mezzi per comunicare, dalle cure che la medicina ci mette a disposizione alle cose che possiamo e potremo comperare. edizione della Festa di Scienza e di Filosofia organizzata da Laboratorio di scienze sperimentali e comune di Foligno. La città umbra ospita oltre 70 relatori che nell'arco di quattro giornate esploreranno altrettanti aspetti del futuro: il vero e il falso nella comunicazione della scienza, il rapporto tra cervello e mente, la "divisione" tra le due culture (umanistica e scientifica) e il ruolo della scienza nella costruzione di un futuro pacifico. Cortesia: Festa di Scienza e Filosofia Dal programma si segnalano gli interventi di Lucia Votano sulla ricerca dei neutrini, di Roberto Battiston sull'esplorazione spaziale e di Guido Barbujani sulle radici di Homo sapiens. Ancora, l'esplorazione delle componenti del rischio spiegata da Simona Morini, il contributo pacifista di Albert Einstein raccontato da Pietro Greco e il "dialogo tra un umanista e uno scienziato" con Tullio De Mauro e Carlo Bernardini. Che cos'è la verità è il titolo della conferenza di Piergiorgio Odifreddi, mentre Giulio Giorello parlerà della scienza come modello di cultura democratica e Maria Chiara Carrozza dei rapporti tra scienza e politica in Italia. ai grandi nomi e agli intellettuali più famosi, in programma ci sono anche ricercatori, insegnanti e giornalisti che questi futuri stanno contribuendo a costruirli e raccontarli. Accanto al programma principale, non mancano laboratori e attività per i giovani, come il progetto degli Ambasciatori della Festa, che coinvolge nella gestione dell'evento ragazzi delle scuole secondarie e studenti universitari. |
Post n°2082 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
04 gennaio 2014 Dieci errori concettuali in materia di libero arbitrio Lo abbiamo o non lo abbiamo? Il post di John Horgan sul libero arbitrio - un concetto da sempre al centro di polemiche - ha riaperto la discussione. La risposta positiva e ottimistica di Horgan, per esempio, non ha convinto la fisica teorica Sabine Hossenfelder. Che spiega perché l'esistenza del libero arbitrio è incompatibile con le nostre attuali conoscenze della natura. E perché il timore che la sua assenza apra le porte a una deresponsabilizzazione morale delle persone è infondato, e si basa su una serie di errori concettualidi Sabine Hossenfelder Quando qualcuno parla di una "domanda a cui la scienza non può rispondere", ciò che intende realmente è una domanda per cui non vuole una risposta. E' vero, la scienza può essere molto irriverente verso le convinzioni delle persone. Ma mentre sono disposta ad accettare il desiderio di credere anziché di sapere, mi arrabbio se qualcuno spaccia i propri desideri per un argomento reale. è una domanda che mi interessa profondamente. E' al centro del nostro modo di comprendere noi stessi e di organizzare il nostro vivere insieme. E ha anche un ruolo centrale per i fondamenti della meccanica quantistica. Nei più reconditi recessi del mio animo, sono convinta che non stiamo facendo alcun progresso nella gravità quantistica perché i fisici non sono capaci di abbandonare la loro fede nel libero arbitrio. E dai fondamenti della meccanica quantistica questo freno si ripercuote fino alle neuroscienze e alla politica. di una discussione razionale sul libero arbitrio della maggior parte dei problemi dell'umanità, gravità quantistica inclusa. arbitrio non esiste è in grado di sconvolgere anche nel XXI secolo. Non bisogna farlo, perché si presuppone che dirlo basti a rendere immorali gli altri. Già la percepite? L'immoralità che dal mio blog penetra nelle vostre vene? Avete paura di continuare a leggere? Questi timori nascono da un fraintendimento su ciò che vuol dire non avere il libero arbitrio. In questo post affronto gli errori concettuali più comuni, ma prima lasciatemi spiegare perché, stando alle migliori conoscenze attuali delle leggi della natura, non abbiamo il libero arbitrio. e il nostro cervello, è costituito da particelle elementari. Quello che fanno queste particelle è descritto dalle leggi fondamentali della fisica. Tutto il resto, in linea di principio, deriva da questo. in linea di principio si può descrivere, per esempio, l'anatomia umana in termini di quark ed elettroni. Gli scienziati delle altre discipline usano però componenti più grandi e cercano di descriverne il comportamento. L'utilità pratica del ricorso a scale, variabili e componenti sempre più grandi - e la precisione approssimativa di tale procedura - si chiama "emergenza" In linea di principio, però, tutte queste proprietà derivano dalla descrizione fondamentale. Questo è ciò che viene definitoriduzionismo. sistemi non derivino dalla descrizione fondamentale si chiama "emergenza forte". Ad alcuni piace affermare che, solo perché un sistema (per esempio il cervello) è costituito da molte componenti, è in qualche modo esente dal riduzionismo e che qualcosa (il libero arbitrio) "emerge in modo forte". Ma il fatto è che non esiste un solo esempio noto di un simile evento, né esiste alcuna teoria - neppure una non sperimentata - su come può funzionare una simile "emergenza forte". E' del tutto irrilevante che il sistema sia caratterizzato da aggettivi come aperto, caotico, complesso o consapevole. Si tratta sempre solo di un numero molto grande di particelle che obbediscono alle leggi fondamentali della natura. Allo stato attuale, credere nell'emergenza forte si colloca sullo stesso livello intellettuale del credere in un'anima immortale o nella percezione extrasensoriale. e le leggi fondamentali conosciute della natura sono o deterministiche o casuali. Per quanto ne sappiamo attualmente, l'universo si evolve grazie a una miscela di entrambe, ma quali siano le esatte proporzioni della miscela non sembra rilevante per quanto segue. esattamente per assenza del libero arbitrio: a) Se le tue decisioni future sono determinate dal passato, non hai il libero arbitrio. b) Se le tue decisioni future sono casuali, significa che nulla le può influenzare, e quindi non hai il libero arbitrio. c) Se le tue decisioni sono una qualsiasi combinazione di a) e b), non hai il libero arbitrio. come "qualsiasi sottosistema dell'universo", i dettagli non contano. Dal Fatto 1 e dal Fatto 2 segue direttamente che - secondo la definizione di mancanza di libero arbitrio in a), b), c) - il libero arbitrio è incompatibile con ciò che conosciamo attualmente della natura. il libero arbitrio. Alcuni, per esempio, vogliono chiamare "libera" una scelta se nessun altro avrebbe potuto prevederla, ma per quello che mi riguarda questo è solo pseudo-libero arbitrio. coscienza, di subconscio o di persone che premono pulsanti. Non mi serve. Perché il libero arbitrio esista, è necessario che sia consentito dalle leggi fondamentali della fisica. E' necessario, ma non sufficiente: se si potesse rendere il libero arbitrio compatibile con le leggi della fisica, sarebbe ancora possibile che la neurobiologia trovi che il nostro cervello non è in grado di usare quell'opzione. La fisica non può dire che il libero arbitrio esiste, ma può dire che non esiste. Ed è quello che ho appena detto. l'emergenza forte, né che una legge fondamentale deve essere una combinazione di determinismo e casualità. Quello che sto dicendo è che se si vuole sostenere che il libero arbitrio esiste (o che si può sfuggire a determinismo e casualità) perché l'emergenza forte funziona, allora voglio vedere un esempio di come dovrebbe funzionare. libero arbitrio. non devi prendere decisioni. Indipendentemente dal fatto che tu abbia o meno il libero arbitrio, il tuo cervello esegue valutazioni e produce risultati, e questo è ciò che significa "prendere una decisione". Non si può non prendere decisioni. Il fatto che i tuoi processi mentali siano deterministici non comporta che non debbano essere eseguiti in tempo reale. Lo stesso vale anche se hanno una componente casuale. "divisa" della personalità: le persone immaginano se stesse come se, nel cercare di prendere una decisione, fossero ostacolate di qualche malvagia legge di natura che sfida il libero arbitrio. Questo naturalmente non ha senso. Tu sei qualsivoglia processo cerebrale che funzioni con qualsivoglia input che riceve. Se non hai libero arbitrio, non l'hai mai avuto, e finora te la sei cavata bene. Puoi continuare a pensare nello stesso modo in cui hai sempre pensato. Lo faresti comunque. |
Post n°2081 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Risorse della biblioteca scolastica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il gabbiano Jonathan Livingston (Jonathan Livingston Seagull, 1970) è un celebre romanzo breve di Richard Bach. Best seller in molti paesi del mondo negli anni settanta, diventato per molti un vero e proprio cult, Jonathan Livingston è essenzialmente una fiaba a contenuto morale e spirituale. Lametafora principale del libro, ovvero il percorso di autoperfezionamento delgabbiano che impara a volare/vivere attraverso l'abnegazione, il sacrificio e la gioia di farlo è stata letta da diverse generazioni secondo diverse prospettiveideologiche, dal cattolicesimo al pensiero positivo, l'anarchismo cristiano e laNew Age. Bach dichiarò che la storia era ispirata a un pilota acrobatico di nome John H. "Johnny" Livingston (Cedar Falls, Iowa, 30 novembre 1897 - 30 giugno 1974), particolarmente attivo nel periodo fra gli La dedica originale è: To the real Jonathan Seagull who lives within us all[1]. La dedica italiana è: "Al vero gabbiano Jonathan, che vive nel profondo di noi" Trama Per il giovane gabbiano Jonathan Livingston, i l volo è l'unica ragione d'essere. Questo lo condurrà a trasgredire tutte le regole stabilite, e di conseguenza all'esilio, ma in fine all'amore ossia alla saggezza. Parte prima Jonathan è un gabbiano diverso dagli altri: mentre tutti gli altri gabbiani si affannano per trovare il cibo e sopravvivere, senza badare ad altro, lui adora volare e si allena per diventare perfetto nel volo. Per questo è rimproverato dagli altri componenti del suo stormo, lo Stormo Buonappetito, che non comprendono la sua passione per il volo, ritenendolo soltanto come una comodità per procurarsi il cibo. Nonostante la buona volontà di Jonathan per cercare di essere un gabbiano come tutti gli altri, che lo porta a smettere di dedicarsi alla sua passione, il suo desiderio di volare è più forte di lui, così ricomincia ad allenarsi, arrivando in poco tempo a saper compiere acrobazie incredibili, mai compiute da nessun altro volatile. Fiero dei suoi risultati, Jonathan decide di mostrare allo Stormo quanto ha imparato sul volo, ma riceve solo biasimo dai compagni, che lo considerano un folle. Alla fine il Consiglio degli Anziani decide di esiliarlo, deplorando la sua condotta temeraria e spericolata, inappropriata per un gabbiano. Abbandonato e solo, da quel momento Jonathan conduce la sua vita presso delle scogliere solitarie, perfezionandosi sempre di più nel volo, fino al giorno in cui, dopo una lunga vita, giunta l'ora della sua morte, viene raggiunto da due gabbiani dal candido piumaggio, più aggraziati persino di lui nel volo, che, dopo aver messo alla prova la sua abilità, lo convincono a seguirli, verso un luogo dove potrà volare molto meglio. Jonathan accetta e, diventato anche lui bianco e splendente come i suoi nuovi compagni, va via con i loro amici. Parte seconda Arrivato nel posto di cui parlavano i due gabbiani, che inizialmente crede essere il paradiso, Jonathan vi trova altri gabbiani per i quali, come per lui, la cosa più importante è volare e scopre di poter volare molto più veloce di prima, ma comunque con dei limiti, così, sotto la guida di un gabbiano di nome Sullivan, comincia ad allenarsi per migliorare, proprio come faceva sulla Terra. È lo stesso Sullivan, insieme ad altri gabbiani, a spiegargli che quello non è il vero Paradiso, ma solo un livello di esistenza superiore a quello terrestre, ma transitorio, dopo il quale si passa più in alto ancora, e che tutti, prima o poi, migliorando nel volo, salgono verso un livello superiore, in un'ascesa che ha come livello ultimo la perfezione. Pur avendo ormai raggiunto il livello di Sullivan nel volo, Jonathan comprende che volare normalmente, per quanto si vada veloci, costituisce comunque un limite, perché non permette di trovarsi in un posto nel momento esatto in cui lo si desidera, così chiede al gabbiano più anziano ed esperto del gruppo, Ciang, di insegnargli a volare alla velocità del pensiero, superando il limite del "qui ed ora", ovvero spostarsi liberamente nel tempo e nello spazio semplicemente pensandolo, cosa che soltanto il vecchio gabbiano sa fare. Dopo molti tentativi, Jonathan riesce nel suo impegno e padroneggia il volo col pensiero, ma Ciang gli spiega che il suo cammino verso la perfezione non è finito, infatti questa consiste nell'arrivare a comprendere il segreto della bontà e dell'amore. Pochi giorni dopo, il vecchio mentore, diventato improvvisamente splendente, svanisce per ascendere ad un livello di esistenza superiore, lasciando così il posto di mentore a Jonathan. Jonathan comincia così ad aiutare Sullivan nell'istruire i gabbiani, ma, dopo poco tempo, tormentato dal desiderio di insegnare al resto dei gabbiani terrestri tutto ciò che ha appreso, gli confessa i suoi pensieri; viene però dissuaso dall'istruttore, che lo convince che c'è maggior bisogno di lui lì, per istruire i nuovi arrivati, piuttosto che sulla Terra, dove sarebbe ignorato e mal visto. Parte terza Jonathan prosegue allora nel suo ruolo di maestro, ma il desiderio di condividere la bellezza del volo con il suo vecchio stormo diventa sempre più forte, finché un giorno egli saluta Sullivan e ritorna sulla Terra. Qui, trova un giovane gabbiano reietto appassionato di volo, come lo era stato lui: il gabbiano Fletcher Lynd, che diventa suo allievo. Le lezioni di volo di Jonathan a Fletcher non passano inosservate allo Stormo e pian piano altri gabbiani reietti si uniscono ai due per imparare, formando in poco tempo un gruppo ben nutrito. Con il tempo, sempre più gabbiani iniziano ad avvicinarsi a Jonathan, interessati a saperne di più sul volo, e si uniscono al gruppo degli allievi, sfidando la Legge dello Stormo e divenendo così reietti. Agli allievi, Jonathan non dà solo semplici lezioni di volo, ma anche insegnamenti morali: egli spiega loro che il volo è l'espressione della libertà di ogni gabbiano e serve a diventare sempre migliori, per aspirare alla perfezione, che consiste nel comprendere il segreto dell'amore. I giovani allievi comprendono poco le parole di Jonathan, ma migliorano costantemente sotto la sua guida. Un giorno, durante una lezione di volo, Fletcher Lynd, per evitare un giovane gabbiano che ha perso il controllo durante un'acrobazia, va a sbattere contro una roccia con tanta violenza da rimanerne tramortito. Per Fletcher, che ormai aveva imparato molto sul volo, quella è la soglia di passaggio alla dimensione superiore, dove incontra Jonathan, che gli spiega dove si trova e cos'è quel luogo, e gli pone una scelta da compiere: rimanere nella dimensione superiore ed imparare nuove tecniche di volo, continuando la sua ascesa, o tornare, per il momento, a prestare la propria opera presso lo stormo. Fletcher sceglie di tornare indietro, e così rinviene, ritrovandosi nel punto dove era svenuto. Dalla sua scelta, Jonathan capisce che il suo compagno ormai è pronto per prendere il suo posto di maestro e che la propria missione presso quel luogo è compiuta, così saluta l'amico, affidandogli la guida degli allievi e spiegandogli che da qualche altra parte ci sono altri gabbiani che hanno bisogno della sua guida, quindi sparisce nel nulla. Il gabbiano Fletcher, inizialmente dubbioso e smarrito per la partenza del suo mentore, realizza infine di essere pronto e continua ad istruire gli altri gabbiani. Conscio che un giorno, non lontano, rincontrerà Jonathan e che potrà mostrargli una o due cose riguardante il volo. |
Post n°2080 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Risorse della biblioteca scolastica Per contribuire a un momento d'incontro, approfondimento e scambio come Tempo di Libri, la fiera del libro che si terrà a Milano dall'8 al 12 marzo, abbiamo creato uno speciale doppiozero | Tempo di Libri dove raccogliere materiale e contenuti in dialogo con quanto avverrà nei cinque giorni della fiera. Riprenderemo i temi delle giornate - dalle donne al digitale -, daremo voce a maestri che parlano di maestri, i nostri autori scriveranno sugli incipit dei romanzi più amati, racconteremo gli chef prima degli chef, rileggeremo l' "Infinito" di Leopardi e rivisiteremo la Milano di Hemingway, rileggeremo insieme testi e articoli del nostro archivio, che continuano a essere attuali e interessanti. "Ero una volta giovane e aggiornato e lucido e sapevo parlare di tutto con nervosa intelligenza e con chiarezza e senza far tanti retorici preamboli come faccio ora; in altre parole questa è la storia di uno sfiduciato che non è più padrone di sé e insieme la storia di un egomaniaco, per costituzione e non per facezia, - questo tanto per cominciare dal principio con ordine ed enucleare la verità, perché è proprio questo che voglio fare. Cominciò con una calda notte d'estate, sì, con lei seduta su un parafango quando Julian Alexander che sarebbe... Ma cominciamo dalla storia dei sotterranei di San Francisco". Intorno ai vent'anni mi innamorai di questo incipit letterario del quale mi sono disinnamorato solo oggi, 24 gennaio 2018, per le ragioni che spiegherò di seguito. Il libro in questione è I sotterranei di Jack Kerouac (nella mia edizione - Feltrinelli, 1994 - alla voce "traduzione dall'americano" è scritto "di ANONIMO"). A dirla tutta, il mio amore, o dovrei dire la mia ossessione, riguardava più in generale l'opera complessiva di Jack Kerouac, ossia colui che - citando Henry Miller - "ha violentato a tal punto la nostra immacolata prosa, che essa non potrà più rifarsi una verginità". Ma questo incipit, questo particolare incipit, negli anni a seguire ha martellato più di tutti nella mia testa, e così a lungo da avermi condizionato ogni volta che mi sono seduto al computer anche solo per stilare un protocollo d'intesa, o per scrivere una lettera velenosa alla mia compagnia assicurativa. I sotterranei è ambientato nelle caves di San Francisco, popolate di droga, jazz, puttane e messicani "che fanno yayà nei locali", e narra l'amore turbolento tra un bianco e una nera. Inizia con una frase piena zeppa di "e": E, e, e, e, e... una congiunzione via l'altra, come un'ouverture suonata col charleston della batteria che mette subito in chiaro quale sarà il ritmo portante della serata. "Questa è la storia", dice Kerouac. Va bene, ma quale storia? Qui si dà avvio ad almeno TRE storie, con TRE personaggi diversi (tre sé di un unico io schizofrenico): lo sfiduciato, quello che non è più padrone di sé e l'egomaniaco. Per poi, subito dopo, far entrare in scena altri due personaggi che non sono né lo sfiduciato, né quello che non è più padrone di sé, né l'egomaniaco, bensì una donna seduta sul parafango e un tale di nome Julian Alexander, che sarebbe... no, Kerouac non ce lo dice (a onor del vero lo svelerà nel paragrafo successivo). Perché l'autore sembra riconoscere di aver messo troppa carne al fuoco, perché ci ha già detto tutto e non ci ha detto niente, e perché prima d'ogni altra cosa deve trovare la chiusa del paragrafo, ed è una cosa che occorre fare nella dovuta maniera. E quanta umana, vezzosa debolezza in quel sì che l'anonimo traduttore ha messo tra le virgole: "Cominciò con una calda notte d'estate, sì, con lei seduta su un parafango" (nel testo originale c'è un ancor più vezzoso "ah": "It began on a warm summer night - ah, she was sitting on a fender..."). Ora, intorno ai vent'anni sentivo nell'incipit di I sotterranei, e in tutta l'opera di Kerouac, una sincerità dolorosa e commovente. Mentre oggi, da lettore scafato quale sono, oggi avverto la catena dello stile. Lo stile è il giogo che impediva a Kerouac di giungere alla verità; la completa, nitida, luccicante verità di qualsiasi cosa egli volesse raccontare. Lo stile è la sua prigione, la gabbia dalla quale non è mai evaso. Va bene, ma perché me ne sono accorto solo adesso? Forse una risposta ce l'ho: perché nel frattempo ho smesso di avere vent' anni. |
Post n°2079 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
La Terra Rossa è uno dei pochissimi libri felici che ci siano al mondo» ha scritto Jorge Luis Borges. Di fatto, questo romanzo possiede la felicità, nell'unico modo, quasi inconsapevole, con cui si può possedere la più volatile dea: una felicità contagiosa, anche per il lettore, che incontra questo libro come uno di quegli amori immediati, rapidissimi e crudeli che balenano nelle sue pagine. A Montevideo, verso il 1870, in un periodo di aspre contese civili, il giovane inglese Stephen Lamb abbandona la sua sposa -bambina, Paquita, per trovare lavoro all'interno del Paese. Quando egli parte con questo proposito, e una certa boria britannica, non sa che la sua mente segue un pretesto labilissimo, che servirà solo ad adescarlo all'avventura, nella incantata esplorazione della immensa Terra Rossa, illusoriamente monotona come il mare, punteggiata dalle isole delle estancias, che celano vicende imprevedibili. Stephen Lamb, come ogni ulisside, ha quell'accortezza che gli permette di indovinare sempre i gesti giusti - o per lo meno i gesti che salvano la vita - in un mondo dove vigono regole tutte da scoprire; per il resto è un giovane «oppresso dalle armi e dalla corazza della civiltà», ma che non osa confessare a se stesso la noia che quest'ultima gli ispira: carico di vitalità, è pronto a trovare qualsiasi scusa per rimandare il ritorno a quella sua 'adorata moglie'. E ogni scusa è un incontro, ogni incontro la scoperta di un intreccio sorprendente di vite, e ogni scoperta porta presto le sue conseguenze, che talora si dissolvono nel fumo di una pistola o nella luce dei coltelli. E ogni luogo lascia nella memoria del lettore un grappolo di immagini animate da quella portentosa vividezza nel particolare che è il segreto dell'arte di Hudson - un vero insolubile segreto, come sentì Conrad: «Non è possibile dire come quest'uomo raggiunga i suoi effetti. Scrive come l'erba cresce». Molte e disparate cose incontriamo insieme a Stephen Lamb: gauchos taciturni e temibili, inglesi eccentrici e miserabili che affogano nel rum le loro nostalgie, un enigmatico capo rivoluzionario, bestie, piante e paesi che vivono come personaggi, donne dal fascino più diverso, fra le quali una splendida pasionaria che l'ulisside non potrà fare a meno di trattare meschinamente, un vecchio di diabolica prolissità, un guerriero cieco e pazzo, assassini e giudici - e tutti gli oscuri destini, le battaglie e i fantasmi della Terra Rossa. Alla fine, come vuole la regola del genere letterario nomade e rischioso cui appartiene il libro, il protagonista torna al suo punto di partenza. Ma ormai del tutto acriollado, beatamente corrotto dalla semibarbara Terra Rossa, alla quale non augura più, come all'inizio delle sue avventure, i benefici civilizzatori del dominio inglese: anzi, egli ora vede che qualsiasi intervento europeo in quel meraviglioso e precario equilibrio non potrebbe che essere distruttivo, e le sue riflessioni anticipano ciò che poi è successo, sicché giustamente Martínez Estrada ha scritto che «nelle ultime pagine della Terra Rossa è contenuta la massima filosofia e la suprema giustificazione dell'America di fronte alla civiltà occidentale e ai valori della cultura cattedratica». Con questi lucidi pensieri, che potrebbero spingersi molto lontano, Hudson ci abbandona, eppure il suo gesto di congedo non è più nella riflessione ma ancora una volta nella vita, poiché, come egli ci dice, adattando una frase famosa, «ogni volta che tentavo di essere un filosofo ne ero impedito perché irrompeva sempre la felicità». La Terra Rossa fu pubblicato per la prima volta nel 1885. |
Post n°2078 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
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Pericolo imminente è il quarto romanzo in ordine di uscita della serie dispionaggio- tecnopolitica di Tom Clancy, in cui si narra la vita di Jack Ryan. Trama Il presidente degli Stati Uniti, per contrastare l'afflusso di droga nel paese, decide di dare il via ad una operazione antidroga coperta, nella quale aerei con carichi di droga vengono costretti ad atterrare o abbattuti. I trafficanti colombiani reagiscono effettuando a Bogotà un attentato che costa la vita al direttore dell'FBI. La reazione americana è improntata alla massima durezza e portata attraverso il dispiegamento di squadre speciali che attaccano gli aeroporti e le centrali di raffinazione della droga sul territorio colombiano con l'appoggio di un MH53 Pave Low del 160° SOAR. Inoltre alcuni capi vengono uccisi attraverso l'uso di bombe a guida laser sganciate da un aereo della US Navy durante una esercitazione di un gruppo da battaglia al largo della costa del Pacifico, dove la bomba viene diretta da un puntatore laser gestito da Clark, un uomo della CIA infiltrato nel paese. La cosa dura fin quando il cartello di Medellín non scopre la trama e un suo infiltrato, i l colonnello Cortez, ex spia cubana della DGI (Dirección General de Inteligencia, il servizio segreto cubano), ricatta il consigliere della sicurezza nazionale, ammiraglio Cutter, facendogli interrompere l'operazione e lasciando indifese le squadre sul campo. Ma non tutti gli uomini della CIA, a partire da Ryan che era stato tenuto all'oscuro di tutto, e dell'Aeronautica accettano l'imposizione e Clark torna in Colombia insieme a Ryan con l'elicottero e riesce a recuperare due delle squadre mentre le altre vengono sopraffatte dagli uomini del Cartello che davano loro la caccia; nell'azione un sergente dell'aeronautica, Buck Zimmer, viene colpito a morte e Ryan promette di avere cura dei suoi figli, rischiando egli stesso la morte per un colpo di fucile mitragliatore che si infrange sul suo casco. Con una imboscata Clark, aiutato dalle squadre recuperate, riesce anche ad impadronirsi del colonnello Cortez e a portarlo alla base americana di Guantanamo. Durante l'evacuazione, l'MH53 è costretto ad uno spettacolare e problematico atterraggio su un cutter della Guardia Costiera statunitense, il Panache, mentre è in corso un uragano nel Golfo del Messico. Scoperta la trama complessiva, lo stesso Clark invita Cutter a suicidarsi per evitare imbarazzanti inchieste, cosa che avviene, e il presidente americano deve presentare delle imbarazzate scuse al governo colombiano per l'accaduto. Adattamenti Il romanzo ha ispirato la sceneggiatura del film Sotto il segno del pericolo diretto da Phillip Noyce, con protagonista Harrison Ford nel ruolo di Jack Ryan. |
Post n°2077 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Risorse della Biblioteca scolastica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il dono di Humboldt è un romanzo di Saul Bellow, pubblicato nel 1975 da Secker & Warburg (Londra) e Viking Press (New York). Il libro ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 1976 contribuendo, lo stesso anno, a far vincere anche il Premio Nobel per la letteratura al suo autore. In italiano è stato tradotto, nell'anno del Nobel, presso Rizzoli. Trama Il romanzo, in qualche modo da considerare roman à clef, indaga l'amicizia di Bellow con il poeta Delmore Schwartz, esplorando il rapporto tra arte e potere negli Stati Uniti materialistici degli anni 1970. Due scrittori, Von Humboldt Fleisher (appunto un'incarnazione di Schwartz, geniale, impacciato, ingenuo) e il suo pupillo Charlie Citrine (che è stato visto come lo stesso Bellow, abile, noto, ricco) a confronto: uno persegue l'arte pura e l'altro si arricchisce ulteriormente con una commedia a Broadway, Von Trenck (basata su un personaggio alla Humboldt); uno vive a New York e l'altro a Chicago, quando la rivista Life chiede al secondo di fare un viaggio. Gli incontri e le riflessioni, narrate in prima persona da Citrine, toccano gli argomenti freudiani della psicopatologia e della frustrazione rispetto agli obiettivi dell'arte e della vita intera. Un altro personaggio, Rinaldo Cantabile, una specie di gangster fallito, spinge Citrine via dal suo maestro, da quel dono che non possono avere nessuno dei due, Humboldt perché lo spreca e Citrine perché solo lo imita da fuori, con spiritualità (allaRudolf Steiner che Bellow stava leggendo in quei giornie successo economico in contrasto irrimarginabile, tra cambiamenti d'umore continui e un finale da commedia "carnevalesca" che sembra portare tutto solamente alla ricerca di un egoismo più radicato. |
Post n°2076 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Risorse della Biblioteca scolastica Underworld (DeLillo) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Underworld è un romanzo dello scrittore statunitense Don DeLillo, pubblicato nel 1997, edito in Italia da Einaudi nel 1999 con la traduzione di Delfina Vezzoli. È considerato da vari critici uno dei lavori migliori dello scrittore, nonché uno dei romanzi più importanti degli ultimi decenni, vincitore di numerosi premi. Underworld è un esempio significativo della letteratura postmoderna americana. Trama
La vicenda inizia il 3 ottobre 1951, quando un ragazzino di colore riesce ad entrare di soppiatto nello stadio (il Polo Grounds di New York) in cui si sta giocando la storica partita di baseball tra i New York Giants (oggi San Francisco Giants) e i Brooklyn Dodgers (gli attuali Nel nono inning della partita, il famoso battitore Bobby Thomsoneffettua un memorabile fuoricampo, dando la vittoria ai Giants (5-4 il punteggio), che conquistano così il campionato. Nella realtà non si sa che fine abbia fatto la pallina colpita da Thomson, ma nel romanzo il ragazzino riesce a impadronirsi di questo cimelio, che gli verrà però sottratto dal padre, il quale venderà la palla per 32 dollari e 45 cents. La palla da baseball inizia così a passare di mano in mano, e viene usata come un filo rosso per la costruzione di un gigantesco affresco dell'America dall'inizio della Guerra Fredda fino agli anni novanta. Tematiche e stile Molti elementi di Underworld sono tipici della letteratura postmoderna, di cui DeLillo è uno degli esponenti più noti. In particolare citiamo il tema del "complotto" (le dietrologie tipiche del clima da guerra fredda), dell'ossessione mediatica (lesoap opera, il ciberspazio post mortem, il videotape del killer trasmesso ossessivamente) e dei prodotti della società dei consumi. Non da ultimo le numerose incursioni nel mondo della cultura popolare (tra cui la pop art dell'artista Klara Sax, lo sport, l'agenzia pubblicitaria, i graffiti sulla metropolitana e le riprese del backstage del concerto dei Rolling Stones), in particolar modo nella cultura cinematografica. Durante la narrazione viene fatta un'allusione che spiegherebbe il titolo del romanzo. Si riferisce ad un immaginario film diEjzenštejn degli anni trenta, ritrovato dopo decenni e proiettato per la prima volta nel 1974 dalla cerchia di artisti di New York amici di Klara Sax. Il film si chiama Unterwelt, traduzione tedesca di Underworld. Più avanti, dalla stessa Klara, viene fatto un secondo rinvio citando l'omonimo film muto del 1927 di Un tema chiave del libro è quello della spazzatura, rappresentato dal protagonista Nick Shay, operatore del settore di smaltimento rifiuti. Questo personaggio, per via delle sue origini italoamericane nel Bronx e di alcuni ragionamenti che esprime, forse può essere considerato un alter ego di DeLillo. Infatti nel testo originale talvolta compaiono alcune parole italiane (anche dialettali) in corsivo. Le scorie nucleari, le indagini dell'FBI sui sacchetti di immondizia, le opere d'arte fatte con i rifiuti e i vecchi cimeli sportivi simboleggiano, insieme ad altre immagini, i residui del mondo dei consumi postmoderno. Un altro tema è quello dell'incombenza della bomba atomica, presente non a caso sia nel prologo (il giorno della partita è contemporaneo ad un test atomico dell'URSS) che nell'epilogo (lo smaltimento delle scorie nucleari post sovietiche).
Lo stile è frammentato, come un montaggio cinematografico, in cui si intersecano spesso dialoghi diversi tra loro e pensieri dei vari personaggi. Poiché l'ambientazione è dilatata nel tempo e nello spazio, vengono rappresentate molte situazioni e epoche differenti, piccole vicende personali e la grande storia mondiale, classi sociali alte e basse, quartieri malfamati e salotti intellettuali, in un impasto multirazziale reso in modo crudo, ironico e dinamico. Struttura del libro Il romanzo ha due narratori: l'extra- autodiegetico Nick Shay (Parte I, Parte III capp. 1 e 3, frammenti «privati» della Parte V, Epilogo) e il suo alter ego extra- eterodiegetico (Prologo, Parte II, Parte III cap. 2, Parte IV, frammenti «pubblici» della Parte V, Parte VI, oltre che «Manx Martin» 1, 2 e 3). «Maneggiando una trama che si dipana entro un arco temporale di quasi mezzo secolo e coinvolge un gran numero di personaggi, dopo avere tratteggiato nel Prologo con evidenza visionaria balzachiana il punto di inizio della sua cronologia (3 ottobre 1951), con un salto vertiginoso il romanzo si sposta in prossimità della fine (Parte I: primavera - estate 1992) e lungo il tronco centrale gradualmente retrocede verso l'inizio (Parte II: metà anni Ottanta - primi anni Novanta; Parte III: primavera 1978; Parte IV: estate 1974; Parte V: anni Cinquanta e Sessanta; Parte VI: autunno 1951 - estate 1952), per conquistare finalmente nell'Epilogo il presente della scrittura (1997)». Gli otto blocchi principali sono intervallati da tre capitolati che raccontano la storia di Manx Martin, il padre di Cotter (il primo possessore della palla da baseball), durante i giorni che seguono la celebre partita. In quest'occasione, nel libro compare una pagina in nero come segno divisorio. Ogni parte del libro è divisa in vari capitoli e presenta una struttura propria: il prologo narra un evento unico e circoscritto (la partita di baseball), le prime quattro parti e l'epilogo raccontano le vicende dei vari personaggi nel determinato periodo storico (di solito uno per capitolo), la quinta presenta brevi frammenti all'interno di ogni capitolo con la storia di personaggi anche secondari, la sesta ha solo pochi personaggi ed è ambientata tutta nel quartiere italiano del Bronx. Il libro è così strutturato: Prologo: Il trionfo della morte- (3 ottobre 1951) Parte prima: Long Tall Sally- primavera / estate 1992 Manx Martin 1 - (1951) Parte seconda: Elegia per sola mano sinistra - metà anni ottanta / primi anni novanta Parte terza: La nube della non-conoscenza- primavera 1978 Manx Martin 2 - (1951) Parte quarta: Cocksucker Blues[ - estate 1974 Parte quinta: Cose migliori per una vita migliore grazie alla chimica - frammenti scelti pubblici e privati degli anni cinquanta e sessanta Manx Martin 3 - (1951) Parte sesta: Composizione in grigio e nero - autunno 1951 / estate 1952 Epilogo: Das Kapital- (anni novanta) I personaggi
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Post n°2075 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Risorse della biblioteca scolastica La Sindrome Di Cenerentola: Quando Si Ha Paura Della Propria Indipendenza di Colette Dowling Diventare indipendenti e trovare in modo autonomo la propria strada non è così scontato. cercano in continuazione sostegno dagli altri, desiderano essere curate e accudite perchè hanno paura di raggiungere la loro indipendenza. Rientrano nella casistica descritta dalla scrittrice e ricercatrice Colette Dowling nel libro intitolato "Il Complesso di Cenerentola": vittime del loro stesso timore di diventare indipendenti, queste donne come la protagonista della fiaba sono giovani, belle, istruite, educate, lavoratrici che però hanno bisogno di una "forza esterna" che le aiutino e le portino in salvo da una condizione in qualche modo triste. Anche se all'apparenza dimostrano di avere tutte le carte in regola per diventare donne adulte e indipendenti, segretamente aspettano con ansia l'arrivo del "principe azzurro", o meglio un uomo che acquisisce tratti fortemente idealizzati, che le salvi e si prenda cura di loro. è la vittima ideale di un partner dalla forte autostima. Infatti, la sua controparte è generalmente un uomo con la "sindrome del cavaliere bianco" o un narcisista: entrambi approfittano delle insicurezze della compagna per manipolarla e portarla a fare ciò che lui desidera. cavallerescamente salvata, curata e coccolata da qualcuno e questo atteggiamento la mette in una posizione rischiosa in quanto facile bersaglio di persone che alimentano la propria autostima soccorrendo chi è in difficoltà o manipolando le persone a conferma del proprio valore, la propria onnipotenza e di un ego smisurato. sul disagio della donna a stare da sola, sebbene sia perfettamente abile a gestire autonomamente la sua vita. Il "principe salvatore" dà il via alla dinamica psicologica con l'intento di tutelare la sua partner indifesa e affermando "Sto solo cercando di aiutarti"; il passo successivo è trasformarsi nel suo "persecutore": cominciano le critiche, le frasi e i gesti che tendono a svalutare e sminuire le capacità di Cenerentola con l'obiettivo di relegarla in un angolo ed evitare che acquisisca sicurezza e autonomia. Lei conferma a lui la sua incapacità a stare da sola e lui dà respiro al suo senso d'essere indispensabile. tipo di legame, visto che è diffuso sia il concetto di sottomissione della donna all'uomo, sia l'idea che al donna sia meno valevole dell'uomo. Anche in ambito professionale è palese la maggiore difficoltà della donna a realizzarsi in termini di carriera e a ricoprire cariche importanti con retribuzioni paritarie. Le limitazioni all'autonomia femminile sono anche il risultato di una società maschio-centrata o maschilista. In ogni caso, il complesso di Cenerentola non è esclusivo delle donne, dato che ci sono molti casi di uomini spesso intimoriti da una società altamente competitiva. favola e non esistono uomini o donne perfetti a cui appoggiarsi per evitare di prendersi l aresponsabilità di crescere. Bisogna imparare a fidarsi e nello stesso tempo impegnarsi a diventare autonomi: ciò richiede sicuramente uno sforzo che deve essere affrontato con consapevolezza perchè non si nasce indipendenti, lo si diventa crescendo e con l'acquisizione di competenze. Raggiungere l'indipendenza significa affrontare rischi e superare le proprie paure, ma anche acquisire la capacità di prendere delle decisioni e conquistare degli obiettivi. una relazione affettiva se quest'ultima è basate sull'inter-dipendenza ossia sul reciproco sostegno, sul rispetto e sulla valorizzazione delle risorse individuali. Il partner deve essere un punto di riferimento per un sano confronto finalizzato alla crescita personale di entrambi. All'interno di una relazione sana si creano dinamiche di scambio che aiutano ad apprendere modalità nuove che il partner possiede ed ama mettere a disposizione della persona a cui vuole più bene. |
Post n°2074 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus Cani su Marte: sopravvivrebbero? Potremmo portarli con noi?Ci hanno seguito nelle grandi migrazioni, e hanno già affrontato alcuni viaggi spaziali (non sempre finiti bene). Sono ritratti anche negli ultimi poster della NASA, ma ci sono ottime ragioni per credere che i nostri amici a quattro zampe non apprezzerebbero il Pianeta Rosso. Cacciatori di dune? Sulla Terra, forse. Ma su Marte, la capacità esplorativa dei cani finirebbe fuori uso.| Di recente la NASA ha pubblicato alcuni poster tematici sul futuro delle missioni umane su Marte e sulla Luna: mostrano un'astronauta che fluttua nel Deep Space Gateway, l'avamposto in zona cislunare che dovrebbe fare da base per le missioni nello Spazio profondo; un futuro colono lunare che fotografa la Terra, e un uomo che porta il suocane a spasso su Marte (entrambi con tuta spaziale). Un cane su Marte? Avete capito bene: anche se nei piani di colonizzazione marziana della NASA Fido non compare affatto - salvo che in questa licenza artistica - l'occasione è ghiotta per parlare di come se la caverebbero i nostri amici a quattro zampe nello Spazio (spoiler:male). I PRECEDENTI. L'idea sarà anche peregrina, eppure i cani nello Spazio ci sono andati: negli anni '50 e '60, l'Unione Sovietica ne spedì almeno 57 in voli orbitali e suborbitali. La maggior parte superò incolume la missione, alcuni perirono per guasti tecnici, altri - come Laika - perché non era previsto che tornassero in vita. Erano per lo più randagi, spesso femmine (perché considerate più docili), addestrati per sopravvivere in spazi angusti e dotati di tute spaziali apposite. Con i gatti ci si provò una volta soltanto: hanno il brutto vizio di rifarsi le unghie... La cagnolina Laika fu la prima ad affrontare una vera missione nello Spazio: rimase in orbita terrestre per cinque mesi, in una capsula progettata per rimanere a corto di ossigeno dopo una settimana. I sensori posizionati sul suo corpo registrarono un battito cardiaco tre volte più alto del normale durante il lancio, e un respiro affannoso. La poverina morì disidratata e per il surriscaldamento, dopo la decima rivoluzione intorno alla Terra. Laika, sacrificata nella Corsa allo Spazio RISCHI IMPOSTI. Quando nello Spazio iniziò ad andarci l'uomo, i cani furono lasciati in santa pace. Portarli in futuro su Marte, loro malgrado, sarebbe innanzi tutto una tortura imposta: ci seguirebbero anche sulla Luna, ma non possono prendere decisioni informate. Chi decide, per un loro eventuale sacrificio? La presenza di un cane sarebbe problematica a partire dal viaggio: l'esperienza del lancio, con pressioni quattro volte superiori alla gravità terrestre, i fluidi corporei confinati nella testa e negli occhi, le radiazioni, i problemi ai muscoli e alle ossa... NIENTE DA ANNUSARE. Anche se i cani-astronauti superassero un'esperienza del genere, arrivati su Marte passerebbero dallo spazio angusto di una capsula a quello di un habitat artificiale. Sul Pianeta Rosso, o sulla Luna, sarebbero privati del loro senso fondamentale:l'olfatto. Senza tuta non si può stare: l'aria è irrespirabile, il suolo tossico. Ma all'interno del casco, i 300 milioni di recettori olfattivi di Fido sarebbero costretti a respirare sempre lo stesso odore: il proprio. Senza questo essenziale strumento, il cane non riuscirebbe mai a conoscere la nuova casa e le sue caratteristiche, non avvertirebbe la nostra presenza o quella di un altro cane, e non saprebbe dove fare pipì: in viaggio dovrebbe imparare a liberarsi nei pannolini, e una volta a destinazione, a farlo al chiuso. All'aperto, dovrebbe poi vedersela con la ridotta gravità. EXTRATERRESTRI NATI. Se mai si arrivasse a una seconda generazione di cani, forse non sentirebbe nostalgia delle pozzanghere, del terriccio e dei cespugli terrestri: non li avrebbe mai conosciuti. Ma difficilmente la prima classe di cani astronauti sopravvivrebbe: sarebbe già un miracolo tecnologico se ce la facessero gli uomini.Per alcuni antropologi la presenza al nostro fianco dei cani e di altre creature utili come i polli sarebbe un fatto naturale: gli animali domestici ci hanno storicamente sempre seguito. Ma porrebbe grossi problemi etici: se su Marte volessimo compagnia, sarebbe certamente più semplice cercare l'affetto di un robot. In quella situazione, riusciremmo a trovare empatici anche loro |
Post n°2073 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
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L'ultimo dei Mohicani è un romanzo d'avventura scritto da James Fenimore Cooper (1789-1851) e pubblicato per la prima volta nel 1826. Fu il romanzo più letto al suo tempo ed è oggi considerato il suo romanzo migliore. Trama Il romanzo è ambientato durante la guerra franco -indiana, teatro nordamericano della Guerra dei sette anni, alla metà del XVIII secolo. La storia ha come sfondo sia le frequenti battaglie tra Francesi e Inglesi sia tra Uroni (mercenari alleati con i francesi) e Mohicani (mercenari alleati con gli inglesi). Narra le diverse vicende di Natty Bumppo, un cacciatore bianco soprannominato Occhio di Falco (in seguito chiamato La Longue Carabine, lungo fucile, dal sachem Urone), Uncas e suo padre Chingachgook. I tre si troveranno a dover aiutare le due figlie del colonnello inglese Munro, Alice e Cora, rapite dal nemico comune Magua, capo di un gruppo urone e alleato con i francesi. Cora e Alice in realtà sono sorellastre poiché Cora è il frutto del primo matrimonio di Munro con una donna caraibica di origine mulatta. Fiera e determinata, è lei ad incoraggiare spesso la sorella, più delicata e inesperta. Nella vicenda interviene anche il giovane Duncan, ufficiale inglese innamorato di Alice. Magua un tempo combatteva per gli inglesi, ma un giorno, ubriaco, straparlò, e il colonnello lo fece frustare; Magua si offese a morte per l'oltraggio e per le cicatrici rimastegli, e alleatosi ai francesi nemici degli inglesi, organizza la vendetta. Magua vuole Cora in moglie e più volte le offre la scelta fra il "matrimonio" e la morte, ma ella rifiuterà sempre sdegnata. Il lungo inseguimento di Magua si concluderà con la morte di Cora, Uncas e dello stesso Magua, ucciso da Occhio di Falco. Il romanzo si conclude con una dettagliata descrizione dei funerali secondo il rito indiano di Cora e Uncas. Personaggi I personaggi principali del racconto sono: Natty Bumppo, detto Occhio-di-falco e la Longue Carabine vero protagonista del ciclo dei "Racconti di Calza-di-cuoio", è figlio di coloni bianchi, educato dai Fratelli Moravi e cresciuto fra i Mohicani. Amico di lunga data del capo indiano Chingachgook. Maggiore Duncan Heyward ufficiale dell'esercito britannico originario della Virginia, innamorato di Alice, sembra un personaggio marginale, ma il suo ruolo non è di secondo piano, poiché interviene in momenti difficili e la sua azione è determinante. Colonnello Munro, Cora e Alice una famiglia scozzese composta da padre e due sorelle. Munro comanda le truppe inglesi di stanza a Forte William-Henry. In seguito, insieme ad Occhio-di-falco, Chingachgook ed Uncas dovranno salvare le sorelle rapite da Magua. Chingachgook, soprannominato grosso serpente è un Mohicano, il cui unico figlio è Uncas che per lui rappresenta la continuazione della sua gente, in quanto ultimo mohicano puro (cioè discendente sia per linea paterna sia per linea materna da soli Mohicani). Uncas, soprannominato Cervo Agile è figlio di Chingachgook. È il penultimo dei Mohicani dopo suo padre. Anche se non risulta essere molto chiaro nel testo, sembra essere innamorato di Cora. Magua, soprannominato Volpe astuta (Le Renard Subtil) è un Urone (e quindi nemico dei Mohicani), alleato dei francesi. Catturato dai Mohawk (nazione indiana alleata degli inglesi), gli fu risparmiata la vita e venne adottato nella nuova tribù. Fatto fustigare da Munro per essere stato sorpreso a bere whiskey, ritornò presso la sua tribù dove scoprì che la moglie aveva sposato un altro uomo. Decide così di tramare vendetta contro il colonnello, cercando di rapire la figlia Cora, della quale vorrebbe farne la propria nuova moglie. È il nemico comune di tutti i personaggi elencati. La vicenda è ambientata nello stato di New York nel 1757, durante La focalizzazione nel romanzo è zero, quindi il punto di vista del narratore è onnisciente: conosce tutto e sa spiegare tutto. Molto spesso utilizza il discorso diretto cedendo la parola direttamente ad essi; così facendo si esprime senza alcuna mediazione. Una scena del romanzo è ambientata sulle cascate di Glens Falls. Analisi di momenti importanti Nel romanzo è sottolineato il rispetto che gli Irochesi provano per i luoghi di sepoltura, anche dei nemici, al punto di sospendere la guerriglia in quei luoghi.Opere derivate Numerosi film, basati sulla trama del libro, furono girati nel 1911, 1920, 1932, 1936 e 1992. La versione del 1920, diretta daClarence Brown e Maurice Tourneur, e quella di George Brackett Seitz del 1936, sono considerate particolarmente importanti. Il film del 1920 è stato classificato come "culturalmente significativo" dalla Biblioteca del Congresso (Library of Congress) e selezionato per la conservazione nel registro dei film americani (United States National Film Registry). Il film diMichael Mann del 1992 è basato più sulla versione del 1936 che sul libro di Cooper Numerose serie TV sono state fatte, inclusa quella del 1957 della ITC Entertainment serie Hawkeye and the Last of the Mohicans. |
Post n°2072 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Risorse della Biblioteca scolastica Classificazione Autore EDITORE Casa editrice Romanzo largamente autobiografico, Martin Eden riflette l'inquietudine di London, la sua vita stravagante, la tensione autodistruttiva che lo porterà al suicidio. Il protagonista è un marinaio americano che finisce casualmente per frequentare il mondo borghese. Tra l'iniziale timidezza e un'irresistibile attrazione per il nuovo ambiente, Martin Eden dovrà misurarsi con due impreviste passioni: la giovane Ruth Morse e la letteratura. Attraverso sogni delusi e speranze che sfumano, la strada verso la conquista di una fama che si rivelerà effimera sarà costellato dal conflitto tra le sue origini modeste e una cultura che comunque gli è estranea. Non è mai semplice leggere Jack London perché i suoi scritti sono tutti intrisi di un mix di emozioni crude e situazioni ai limiti che non possono lasciare indifferenti. "Martin Eden" è tra tutti i suoi lavori il più celebre e emblematico in quanto fortemente impregnato della sua esperienza autobiografica. Sin dalle prime battute dove il protagonista, un marinaio rozzo e con una istruzione e modi mediocri viene invitato a un pranzo di famiglia dell'alta borghesia, il componimento è caratterizzato da dolore, rabbia, tenerezza, senso di inferiorità e malinconia. Immediata è la percezione di confusione e di inadeguatezza da questo provate, una inadeguatezza che lo rende autore di piccole ma inevitabili gaffe, che lo rendono impacciato, che lo fanno sentire un pesce fuor d'acqua, che lo rendono inetto a quelle circostanze che gli si presentano innanzi. Tutto è altresì accentuato dall'incontro con Ruth, la bella figlia del padrone di casa e chiaramente oggetto inarrivabile del desiderio che però a causa di un chiaro turbamento fa all'eroe presupporre di avere qualche possibilità. I libri che da sempre lo incuriosiscono seppur mai abbia avuto la possibilità di approfondire il loro senso, sono adesso lo strumento con cui arrivare al cuore di lei ed anche con cui raggiungere una nuova dimensione personale. Questi sono inoltre ricchi di un significato che nella sua verità gli è sempre stato oscuro e che piano piano si dipanerà ai suoi occhi. Più passerà il tempo e più i libri da leggere diventeranno complessi e più il marinaio muterà nei modi e nella mente. Amore, illusione, desiderio di riscatto, disfatta, impossibilità di cambiare il proprio status sociale, emarginazione, abbandono sono soltanto alcuni degli elementi che caratterizzano l'opera. Martin, che diventerà uno scrittore e che farà dell'istruzione la sua arma per raggiungere il riscatto, si allontanerà da quel che è stata la sua formazione e da quel che era il suo mondo finendo con il non appartenere più né a questo né a quello borghese in cui ha faticosamente cercato di entrare. Gli stessi valori che gli erano propri risulteranno a lui estranei e incomprensibili come quella ipocrisia insita alla classe sociale più elevata per la quale, nonostante i suoi sforzi, resta un emarginato, un non degno, un non voluto. Ecco perché egli riuscirà ma al contempo fallirà nella sua impresa. Ciò mediante una penna precisa, pignola, attenta e minuziosa nelle descrizioni a cui si sommano una serie di riferimenti alle teorie darwiniane nonché alle teorie filosofiche del Superuomo che conducono, ancora, ad una profonda autoanalisi sul senso della vita, dell'essere, della sconfitta, del desiderio di annullamento e di quella voglia di scomparire senza lasciare alcuna traccia. Un libro in cui è impossibile non rispecchiarsi per la miriade di situazioni e circostanze presenti, un libro complesso che va letto e gustato poco alla volta e che induce il lettore a guardarsi dentro e a interrogare il suo animo più intimo su quel profondo senso di solitudine che inesorabilmente ci portiamo appresso. avuto paura della vita, tanto che non mi sarei mai nemmeno sognato che avrei potuto esserne sazio. La vita mi ha talmente saziato, che mi ha svuotato di ogni desiderio per qualsiasi cosa.» |
Post n°2071 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
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Lo zoo di vetro (The Glass Menagerie) è un'opera teatrale La prima avvenne a Chicago nel 1944. La trama della drammatizzazione espande quella di un racconto del 1934 dello stesso Williams, dal titolo Ritratto di una ragazza di vetro (Portrait of a young girl in glass). Trama All'inizio del dramma Tom, che è sia il protagonista che il narratore della storia, si rivolge direttamente al pubblico (cosa che farà spesso nel corso della recita) spiegando che si tratta di un suo ricordo della madre Amanda e la sorella Laura. Siamo alla fine degli anni '30 del XX secolo. Amanda ha cresciuto i suoi due figli da sola, dopo che suo marito li ha abbandonati. La donna, volitiva ed energica, viene dagli Stati del Sud, dove era ammirata per la sua bellezza, e prova ancora rimorso per aver lasciato tutto e aver seguito suo marito. Il suo rapporto con Tom e Laura oscilla tra il tenero e l'eccessivo; in particolare la donna si preoccupa del futuro di Laura, resa zoppa da una malattia e pertanto introversa e chiusa: ella si è chiusa in un suo mondo di illusioni, e passa tutto il suo tempo ad ascoltare vecchi dischi, leggere romanzi e soprattutto accudire una collezione di animaletti di vetro. Tom lavora in una fabbrica di scarpe per mantenere Laura e Amanda, ma la vita noiosa e banale che conduce (nonché la morbosa presenza della madre) lo rende irascibile. Il ragazzo tenta senza successo di diventare un poeta, e cerca conforto recandosi al cinema a tutte le ore della notte per vivere delle avventure almeno con la fantasia. Questo scatena l'ansia di Amanda, che teme suo figlio sia un alcolizzato come il padre. Un giorno Amanda scopre che Laura, a causa della sua timidezza, ha lasciato il corso da segretaria che stava seguendo. In passato era accaduta la stessa cosa per il liceo. La donna diventa allora ossessionata dall'idea di trovarle un marito che le garantisca un futuro sereno; la ragazza non ha però alcun interesse nel trovare eventuali corteggiatori, così sua madre prega Tom di trovarle un pretendente. Per liberarsi dalle pressioni di sua madre, Tom invita così Jim, un amico di vecchia data che ora lavora con lui alla fabbrica. Amanda si dedica completamente all'allestimento della cena; quella sera però Laura comprende che Jim altri non è che un ragazzo che ai tempi del liceo le piaceva moltissimo, così all'arrivo del ragazzo viene soggiogata dalla sua timidezza e non riesce nemmeno a sedersi con gli altri a cena. Durante la cena, improvvisamente la luce va via (Tom si è così disinteressato alla famiglia che aveva scordato di pagare la bolletta). Con uno stratagemma Amanda riesce a fare in modo che Laura e Jim rimangano da soli perché parlino e si conoscano. I due ragazzi si trovano così a parlare a lume di candela, e pian piano Jim riesce a vincere la ritrosia di Laura, che gli confessa quanto lui le piacesse in passato. Jim, con molta tenerezza, dice che i suoi problemi sono causati esclusivamente dalla sua insicurezza, e che lei dovrebbe prendersi maggior cura di sé perché la trova una splendida ragazza. I due si trovano così a danzare insieme, ma con un brusco movimento Jim fa cadere un unicorno di vetro che fa parte della collezione di Laura, spezzandogli il corno. Subito dopo lui la bacia, ma quasi immediatamente dopo le confessa di essere già promesso sposo a un'altra donna. Laura gli dona l'unicorno spezzato come regalo di nozze prima di chiudersi in un ostinato e doloroso silenzio; al ritorno di Amanda e Tom, Jim se ne va. Quando Amanda viene a sapere del fidanzamento di Jim, si infuria con Tom perché ritiene che lui ne fosse fin dall'inizio a conoscenza, e lo caccia di casa. Nel soliloquio finale Tom spiega che dopo quella sera lui abbandonò Amanda e Laura e non tornò mai più da loro, anche se il loro ricordo lo aveva tormentato per tutta la vita; chiede così a Laura di "spegnere le candele", ossia di lasciare che lui la possa dimenticare. Mentre lui esce, Laura spegne effettivamente le candele che hanno illuminato la scena. AnalisiAutobiografia e memoria La prima idea per Lo Zoo di Vetro fu un racconto che Williams scrisse nel 1934, dal titolo Ritratto di una Ragazza di Vetro; esso conteneva a sua volta dei forti riferimenti autobiografici riferibili all'autore stesso. Il protagonista reca addirittura il suo stesso nome (il vero nome di Tennessee Williams era Thomas), mentre il personaggio di Laura si basa sulla vita di sua sorella Rose: a causa di alcuni problemi psichici la ragazza fu sottoposta a un intervento di lobotomia, causando immenso dolore per Williams che le era molto affezionato. Addirittura nella rappresentazione viene spesso detto che il soprannome della ragazza è Blue Rose. In Laura si cristallizzano anche elementi dello stesso autore: l'introversione e la timidezza erano propri di Tennessee Williams negli anni della sua giovinezza, e l'ossessione per lo zoo di vetro di Laura riflette i sogni e le fantasie dell'autore da giovane. Gli elementi autobiografici del dramma convergono in un unico tema, quello della memoria, che persiste nel corso di tutta la rappresentazione: la storia viene vista attraverso gli occhi di Tom, filtrata dai suoi sentimenti e dai suoi ricordi; i caratteri dei personaggi che gli girano intorno risultano discontinui e grotteschi, come "deformati" dal tempo passato e dalle sensazioni contrastanti nei riguardi di madre e sorella. Il rapporto col proprio io Un altro grande tema del dramma è il rapporto col proprio ego: tre dei quattro personaggi agiscono esclusivamente per il proprio tornaconto personale, travestendolo da azioni altruiste. Tom invita Jim a cena apparentemente per accontentare sua madre e aiutare sua sorella, ma in realtà è un piano orchestrato ad hoc per fuggire da una realtà che gli sta stretta; Amanda sembra voler trovare un marito a Laura e si adopera per riuscirci, ma vuole solo riscattarsi da un matrimonio fallito e da una giovinezza perduta; Jim in un primo momento aiuta Laura e pare addirittura apprezzarla nonostante il suo handicap, invece è già fidanzato e vuole solo approfittare della sua bellezza. Tom, Amanda e Jim finiscono però per soccombere alle loro stesse mancanze, rimanendo confinati nel loro egoismo e causando danni piuttosto che risolverne. Laura, che è al centro delle finte attenzioni degli altri tre, è l'unica che non mostra atteggiamenti egoistici, anzi più di una volta nel corso del dramma si fa riferimento al suo altruismo e alla sua bontà; in definitiva, quella che sembra essere chiusa in se stessa è quella che invece ha un migliore rapporto col proprio io, ma finisce per venire sottomessa dall'egocentrismo degli altri tre. Lo zoo di vetro Non è un caso che lo zoo di vetro di Laura dia il titolo all'intera opera, poiché esso simboleggia l'intera chiave di lettura del dramma. Esso è l'immagine del mondo interiore di Laura, fatto di fragili illusioni. Non solo: gli animali di vetro sono fragili e apparentemente pacchiani, ma se illuminati dalla giusta luce rivelano tutti i colori dell'arcobaleno: diventano, in pratica, un'immagine di Laura stessa, psicologicamente debole e di aspetto scialbo, ma in realtà più umana e virtuosa degli altri personaggi. Anche in questo caso, in effetti, si verifica una dicotomia tra Laura e gli altri personaggi, che specularmente alla ragazza vivono delle vite banali cercando disperatamente l'apparenza: Tom si rifugia nel mondo del cinema, Amanda sogna il riscatto sociale e Jim si fregia dei suoi successi sportivi e professionali; in realtà sono tutti espedienti per sfuggire alla scontentezza della propria vita. La lunga scena del dialogo tra Laura è Jim è caricata di un forte simbolismo: Jim rompe il corno dell'unicorno di vetro, la statuetta preferita di Laura, che così diventa un "semplice cavallo" come tutti gli altri; lo stesso oggetto gli sarà poi regalato dalla ragazza. Tutto questo allude alla storia stessa della ragazza: le premure che Jim le usa sembrano trasformarla per un attimo in una ragazza "normale", a scapito della sua unicità, fatta di bellezza e fragilità; ma la "violenza" che si nasconde in queste premure fa sì che la ragazza si rompa come la statuina. Il fatto che lei gliela regali, infine, rappresenta ciò che lei ha perso in tutta la faccenda e ciò che lui le ha tolto con la sua falsità. |
Post n°2070 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte:Focus I primi dati della sonda Hayabusa-2 confermano che sul masso spaziale c'è meno acqua del previsto, e riaprono così un dibattito fondamentale: come ci è arrivata, l'acqua, sulla Terra? La superficie rocciosa dell'asteroide Ryugu: una foto scattata dal rover della Jaxa MINERVA I primi dati arrivati dalla sonda giapponese Hayabusa 2 svelano particolari interessanti sulla composizione dell'asteroide Ryugu, su come si è formato e - indirettamente - sulle caratteristiche del Sistema Solare delle origini e sul trasporto delle prime molecole d'acqua sulla Terra. I risultati sono illustrati in tre diversi articoli pubblicati suScience. La sonda della JAXA ha raggiunto la roccia spaziale di 900 metri di diametro a 300 milioni di km dalla Terra il 27 giugno 2018, e da allora si è messa a collezionare dati e immagini, sfruttando una telecamera nella luce visibile e uno spettrometro che lavora nel vicino infrarosso. Ha tentato un atterraggio morbido in preparazione di un altro, rischioso atterraggio in programma per il 5 aprile, in cui sparerà un proiettile di 2 kg sulla superficie di Ryugu alla velocità di 2 km al secondo, per ricavare un cratere ampio 10 metri e profondo un metro dal quale estrarre regolite. I campioni di roccia saranno riportati a Terra per le analisi nel 2020. Non è chiaro che cosa abbia reso il corpo celeste da cui Ryugu ha avuto origine così disidratato: forse la presenza di materiali radioattivi al suo interno, o il bombardamento di altri corpi rocciosi. | 2019 SEIJI SUGITA ET AL., SCIENCE Una delle prime scoperte degli scienziati del Dipartimento di Scienze della Terra e Planetarie dell'Università di Tokyo riguarda la presenza di acqua - o meglio, la sua assenza: Ryugu è molto più arido del previsto, e data la sua "giovane" età (100 milioni di anni) si presume che anche l'asteroide da cui ha avuto origine ne fosse in gran parte privo. Il dato è importante perché si colloca nell'annoso dibattito sull'origine dell'acqua sulla Terra: viene dalle distanti comete, o dai più vicini asteroidi della Fascia principale (cui appartiene anche Ryugu)? L'asteroide Ryugu ha una albedo, o potere riflettente, eccezionalmente bassa (del 2%): ai nostri occhi apparirebbe più nero del carbone, ma le telecamere di Hayabusa 2 sono studiate per visualizzarne i più fini dettagli. | 2019 SEIJI SUGITA ET AL., SCIENCE ASTEROIDI A CONFRONTO. I dati potrebbero inoltre essere utili agli esobiologi, per capire in quali sistemi planetari sia utile indagare l'eventuale presenza di acqua. Ryugu sembra avere molta meno acqua di Bennu, l'asteroide che la sonda della NASA OSIRIS REx studia dal dicembre 2018, e che pure con Ryugu ha diversi punti di contatto (la rapida rotazione, la presenza di grossi massi superficiali, l'aspetto estremamente scuro). Un altro studio guidato dagli scienziati dell'Università di Nagoya (Giappone) descrive la composizione di Ryugu, un "cumulo di macerie" dall'interno poroso, formato da rocce disgregate che hanno assunto la forma di trottola a causa della rapida rotazione. L'analisi dei dati spettrografici ha permesso di confermare il tipo di rocce superficiali di Ryugu, che sembrerebbero molto simili alle condriti carbonacee dei meteoriti arrivati sulla Terra. UN MUCCHIO DI DETRITI. Queste rocce sono di estremo interesse, dal punto di vista scientifico, perché la loro composizione rispecchia quella della nube di gas da cui ha avuto origine il Sistema Solare. Un terzo e ultimo studio prova a ricostruire l'origine di Ryugu: si pensa che i piccoli asteroidi come questo siano nati da corpi celesti più grandi, in questo caso da un masso largo diverse decine di chilometri. La roccia spaziale sarebbe il risultato di un catastrofico impatto sull'asteroide "padre", e di un successivo riaccumulo di frammenti. |
Post n°2069 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus Da dove arriva l'acqua presente sulla Terra? Da lungo tempo ormai è aperto il dibattito tra gli scienziati planetari sull'origine dell'acqua presente sul nostro pianeta, grazie alla quale è stata... Da lungo tempo ormai è aperto il dibattito tra gli scienziati planetari sull'origine dell'acqua presente sul nostro pianeta, grazie alla quale è stata possibile la comparsa della vita. Le scuole di pensiero sono due. L'acqua potrebbe essere stata portata sulla Terra dalle comete, e provenire dai margini esterni del Sistema Solare dove la maggior parte di queste hanno avuto origine; oppure potrebbe essersi formata più vicino a noi, nelle parti più interne del Sistema Solare, e la "fonte" di quella presente sulla Terra sarebbero soprattutto gli asteroidi, che, specialmente nelle fasi evolutive iniziali della sua formazione, l'hanno bombardata incessantemente. Secondo i risultati di un recente studio l'acqua sulla Terra sarebbe stata portata dall'impatto di una grande quantità di asteroidi e meteoriti di natura carbonacea. Ma i dubbi al riguardo sono ancora tanti. Adesso, i risultati di uno studio pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista Science da Conel Alexander e colleghi della Carnegie Institution for Science (Washington, DC) fanno propendere decisamente per la prima ipotesi, quella degli asteroidi. Gli autori hanno analizzato campioni provenienti da 85 meteoriti appartenenti alla classe delle condriti carbonacee, quelle più primitive e che spesso contengono composti organici complessi. In particolare, hanno studiato la percentuale di deuterio - un isotopo dell'idrogeno il cui nucleo è formato da un protone e da due neutroni - presente in queste rocce cosmiche. La percentuale di deuterio nell'acqua presente su un corpo del Sistema Solare è considerata, infatti, un buon indicatore della distanza dal Sole a cui questo si è formato; più questa è grande, più alto è il contenuto di deuterio. I ricercatori hanno quindi confrontato le concentrazioni misurate con quelle relative ad alcune comete (in questo caso, l'abbondanza di deuterio viene determinata per mezzo della spettroscopia, cioè l'analisi della luce emessa dalle comete). Alexander e colleghi hanno così mostrato che le condriti carbonacee contengono una percentuale di deuterio molto più bassa rispetto alle comete e quindi simile a quella presente sulla Terra. Le due popolazioni di oggetti si sarebbero quindi formate in regioni diverse: gli asteroidi nella zona più interna del nostro sistema planetario, tra le orbite di Giove e di Marte, le comete molto più lontano. Una conclusione che sarebbe in contrasto con la teoria prevalente, secondo la quale ambedue questi tipi di corpi planetari si sarebbero formati assieme ben oltre l'orbita di Giove, per poi avvicinarsi al Sole, portando il loro contenuto di ghiaccio d'acqua sui pianeti più interni, compresa la Terra. E a questo punto, proprio in base al contenuto di deuterio, la fonte più probabile di composti volatili (e quindi di acqua) sul nostro pianeta sarebbero le condriti carbonacee. Le conclusioni sono però ben lontane dal chiudere il dibattito. Tutto si basa infatti sulla misura del rapporto deuterio/idrogeno, che per le comete è molto difficile da determinare. Talmente difficile che questo dato è stato ottenuto soltanto per 4 o 5 comete. Fare considerazioni statistiche sulla base di così pochi dati è molto pericoloso, poiché si corre il rischio di scambiare un oggetto eccezionale per uno rappresentativo. Servirà ancora molto tempo prima di avere abbastanza dati per una statistica solida. Quanto all'idea che l'acqua terrestre venga soprattutto dalle condriti carbonacee, quest'idea fu già proposta all'inizio dello scorso decennio da un gruppo di ricercatori, compresi alcuni italiani, ma da allora il quadro è molto cambiato, è un mosaico a cui mancano ancora molti tasselli e non si può dire che ci sia un'ipotesi prevalente. Il motivo per cui i risultati di studi come questo, interessante ma che non aggiunge moltissimo, vengono pubblicati su un giornale scientifico come Scienceè proprio dovuto al fatto che il campo è così ancora aperto e incerto. |
Post n°2068 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus Il sito neolitico fu al centro di alcune delle prime cerimonie rituali su larga scala di cui si abbia traccia in Gran Bretagna: ne sono prova i resti di maiali da sacrificare, anticamente condotti fin qui per centinaia di chilometri. Una festa degna di questo nome lascia sempre dietro di sé una scia di disordine. Dai resti di grandi e affollati banchetti tenuti nel tardo Neolitico in quattro siti attorno ai monumenti di Stonehenge e Avebury, nell'Inghilterra sudoccidentale, sono emerse le prove di alcune delle celebrazioni rituali di massa più importanti della Gran Bretagna antica. I risultati delle scoperte sono descritti su Science Advances. Un gruppo di archeologi dell'Università di Cardiff ha analizzato le ossa di 131 maiali vissuti tra il 2800 e il 2400 a.C. e sacrificati in quattro località - Durrington Walls, Marden, Mount Pleasant e West Kennet Palisade Enclosures - che un tempo servivano la contea di Wiltshire, dove si trovano Stonehenge e Avebury, un altro sito neolitico molto ben conservato.
DA LONTANO. Attraverso analisi isotopiche, capaci di rintracciare nelle ossa i residui chimici dell'acqua e del cibo consumati dagli animali, gli scienziati sono riusciti a stabilirne l'origine geografica. I maiali, animali tenuti in serbo per i sacrifici rituali delle grandi occasioni, provenivano da Scozia, Inghilterra nord orientale, Galles occidentale: in altre parole furono portati fino a lì per centinaia di chilometri, una prova piuttosto dettagliata del grado di mobilità possibile nella Gran Bretagna del Neolitico. PRELIBATEZZE DI CASA. Procurarsi animali da immolare nelle vicinanze dei siti sarebbe stato più facile, tuttavia si pensa che i partecipanti ai banchetti ci tenessero a portare come contributo capi allevati nelle zone di provenienza. Può darsi che questi eventi prevedessero, come regola, di dover arrivare alle feste accompagnati dagli animali da sacrificare. I maiali non sono facili da spostare come altri animali allevati: trasportarli per chilometri, vivi o macellati, doveva richiedere uno sforzo non da poco. Per i ricercatori, la prova di un livello di organizzazione e complessità sociale finora inimmaginabile. A lungo si è ipotizzato che i complessi megalitici del Neolitico potessero avere, in Inghilterra e non solo, il ruolo di centri cerimoniali, ma iniziano ora a emergere i particolari di queste feste, senza paragoni come scala e partecipazione. |
Post n°2067 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus Alla ricerca delle specie perdute: l'ape gigante è (ancora) viva Mandibole gigantesche, 6 centimetri di apertura alare, 4 di lunghezza: l'ape più grande del mondo, scoperta nel 1858, non è estinta. |UNIVERSITY OF GEORGIA, CLAY BOLT Non è una chimera e non è estinta (come si pensava) l'ape gigante di Wallace (Megachile pluto), l'insetto che prende il nome dall'esploratore britannico Alfred Russel Wallace, che la descrisse nel 1858: nonostante le dimensioni impressionanti, con le femmine che raggiungono i 4 centimetri con un'apertura alare di 6 cm, quest'ape indonesiana è una vera rarità, sempre molto elusiva. Solo sporadicamente, dopo la scoperta, sono giunte notizie di avvistamenti - peraltro mai confermati. Finché, nel 1981, l'entomologo americano Adam Messer non ne confermò l'esistenza in vita su tre delle isole delle Molucche (Indonesia). Dopo di ciò, però, nessun altro avvistamento ufficiale fino al 2018, quando un esemplare morto da poco e in buono stato di conservazione fu battuto all'asta su eBay alla considerevole cifra di 9.100 dollari. Quell'ape doveva pur essere vissuta da qualche parte! Così, a gennaio, un team di ricercatori finanziato dal Global Wildlife Conservation, sulle tracce di Wallace (anche) alla ricerca dell'ape gigante e ha infine trovato una femmina viva sull'Isola delle Molucche del Nord. IL NIDO CON LE TERMITI. Clay Bolt, fotografo naturalista al seguito della spedizione, racconta così la riscoperta: «È stata un'emozione incredibile trovarci quasi all'improvviso davanti a questo bulldog volante che pensavamo estinto, vederlo volare proprio sopra le nostre teste». La spedizione ha potuto documentare anche che la femmina aveva costruito il nido proprio in prossimità di un nido di termiti, isolandolo da quest'ultimo (per evitare intrusioni) con la resina raccolta dagli alberi con le sue gigantesche mascelle. L'ape gigante è dunque sopravvissuta a un'estinzione ormai data per certa, in un habitat molto limitato ma, evidentemente, adeguato al mantenimento della specie: si tratta adesso di studiarla, oltre che di cercare di mantenerla in vita. |
Post n°2066 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus L'uomo sta erodendo la diversità culturale degli scimpanzé Tradizioni e ricchezza di comportamenti diminuiscono drasticamente, negli habitat contaminati dalla nostra presenza. Così il cugino più prossimo dei sapiens sta perdendo abilità cruciali per la sua sopravvivenza, tramandate da una generazione all'altra. Un momento di pace e connessione sociale: il grooming tra maschi di scimpanzé nella comunità di Rekambo, all'interno del Loango National Park (Gabon).| TOBIAS DESCHNER/LOANGO CHIMPANZEE PROJECT Diversamente da altre specie animali, gli scimpanzé (Pan troglodytes) mostrano un'incredibile varietà di tradizioni e comportamenti appresi, che si distinguono tra un gruppo e l'altro. L'uso di strumenti, le strategie per procurarsi cibo, le preferenze alimentari e i gesti scambiati per comunicare si basano in gran parte su informazioni mutuate da altri membri del clan, tanto che ogni popolazione sviluppa un proprio, specifico "patrimonio culturale" per certi versi simile a quello delle comunità umane. Ora uno studio pubblicato su Science e basato su dati raccolti in quasi 150 gruppi di scimpanzé dimostra che la vicinanza dell'uomo minaccia questa ricchezza di sfumature culturali, perché riduce in modo drastico la trasmissione di abilità e sapere tra questi primati. La scoperta suggerisce quanto in là possa spingersi l'influenza dell'uomo sulla biodiversità animale, che non include soltanto la ricchezza genetica o di servizi dell'ecosistema, ma anche patrimoni "immateriali" come quello culturale. Scimpanzé della foresta di Taï (Costa d'Avorio) usano un "martello" di pietra per rompere le noci. | LIRAN SAMUNI/TAÏ CHIMPANZEE PROJECT VICINI SCOMODI. Così come altri primati, gli scimpanzé risentono della pressione umana sui loro habitat principali. Le foreste tropicali e le aree boscose della savana sono sempre più spesso occupate da terreni agricoli, piantagioni e insediamenti abitati, degradati per la costruzione di infrastrutture o per l'estrazione di risorse naturali. Un team internazionale di ricercatori guidato da Hjalmar Kühl e Ammie Kalan del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology e del German Centre for Integrative Biodiversity Research, ha raccolto una mole di dati senza precedenti su 31 comportamenti osservati tra scimpanzé in 144 gruppi o comunità disseminati nell'intero areale geografico di questi primati. DIFFERENZE REGIONALI. Oltre a considerare gli studi scientifici già presenti sul tema, i primatologi hanno anche effettuato, negli ultimi nove anni, osservazioni sul campo in 46 diverse località di 15 Paesi in cui gli scimpanzé vivono. Tra i comportamenti valutati ci sono le tecniche di estrazione e consumo di termiti, formiche, alghe, noci e miele; l'uso di strumenti per cacciare o per scavare in cerca di tuberi, el'utilizzo di pietre, grotte o pozze d'acqua. DIVENTARE INVISIBILI. La diversità specifica di comportamenti per ogni area è stata confrontata con la capillarità della presenza umana in quei luoghi (popolazione, strade, riduzione di riserve idriche e copertura forestale, uso del suolo). Nelle aree più toccate dalla vicinanza umana, la diversità culturale nelle comunità di scimpanzé risultava ridotta dell'88%, rispetto alle comunità più isolate. La prossimità dell'uomo può influire negativamente sulla ricchezza culturale di questi primati in vari modi: perché ne assottiglia la popolazione, perché gli scimpanzé temono di rendersi più visibili a eventuali cacciatori manifestando alcuni comportamenti (come la rottura delle noci), o ancora perché la diminuzione di risorse e la degradazione dell'habitat riducono le occasioni di trasmissione di informazioni da una generazione all'altra. NUOVE FORME DI TUTELA. Per i ricercatori, le località in cui gli scimpanzé manifestano tratti culturali eccezionali andrebbero tutelate con una protezione ad hoc, e altrettanto andrebbe fatto con le aree occupate da altri animali in cui la trasmissione di comportamenti rivesta un ruolo importante: per esempio per gli oranghi, o le balene. |
Post n°2065 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus Il relitto di un'imbarcazione dell'antico Egitto dimostra che uno dei racconti del greco Erodoto, finora messo in dubbio, era vero e molto preciso. |CHRISTOPH GERIGK / FRANCK GODDIO / HILTI FOUNDATION Un'imbarcazione utilizzata oltre 2.500 anni fa dagli Egizi per i commerci lungo il Nilo è venuta alla luce grazie a una ricerca archeologica condotta da Damian Robinson, direttore del Centro di Archeologia Marittima dell'Università di Oxford. La nave, lunga circa 28 metri, è stata rinvenuta, in ottimo stato di conservazione, nell'area archeologica dell'antica città portuale (oggi sommersa) di Thonis-Heracleion. Una scoperta importante per l'archeologia, ma ancora più importante per gli storici perché mette fine a una discussione che si è protratta a lungo su uno dei racconti di Erodoto (V secolo a.C.), considerati il "padre della Storia". Erodoto scrisse con grande dovizia di particolari, durante i suoi viaggi in Egitto, anche dell'esistenza di una particolare imbarcazione chiamata baris - e questa parte delle sue Storie era stata messa in dubbio, anche perché non erano mai stati rinvenuti reperti dell'imbarcazione. | CHRISTOPH GERIGK / FRANCK GODDIO / HILTI FOUNDATION «Quando abbiamo scoperto il relitto ci siamo resi conto non solo che Erodoto non aveva inventato nulla, ma che è stato molto preciso nel descrivere l'imbarcazione», afferma Damian Robinson. Lo storico greco affermava di essere stato testimone della costruzione di una baris e di aver notato come gli operai tagliassero innanzi tutto tavole di due cubiti di lunghezza (un po' meno di 1 metro) che venivano sistemate come mattoni nella costruzione di un muro, poi a queste sovrapponevano tavole via via più lunghe. Il tutto veniva poi rivestito da papiri e il timone - dettaglio importante - passava attraverso un foro nella chiglia. La descrizione di Erodoto è ampia e ricca di dettagli, ma in generale storici e archeologi l'hanno sempre considerata imprecisa «perché», afferma Robinson, «mancavano reperti con i quali confrontarsi per interpretare correttamente lo scritto dello storico greco». Grazie allo scavo che ha portato alla luce quella che è stata chiamata "nave 17" si è appurato che quella descrizione era invece particolarmente precisa anche dal punto di vista "ingegneristico". |
Post n°2064 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus Un virus che sembra infrangere tutte le regole Un patogeno delle piante suddivide i suoi geni in diversi segmenti, che si riproducono infettando cellule diverse: conduce insomma un'esistenza sparpagliata, che comporta un vantaggio evolutivo. Le cellule della pianta (in blu) infettate da diversi segmenti virali (verde e rosso).|STEPHANE BLANC Un virus non è che una collezione di geni impacchettata in un involucro proteico: per funzionare e infettare l'ospite, ha bisogno di occupare una cellula, prenderne il controllo e usarla per creare nuove copie di se stesso. Usciti da questa "fabbrica", i patogeni di seconda generazione cercano nuove cellule da hackerare, e il meccanismo si ripete. Funziona così per tutti i virus, da Ebola a quello dell'influenza. Ma ora gli scienziati dell'Università di Montpellier (Francia) ne hanno scoperto uno che fa eccezione. Un virus che infetta gli ortaggi e che si diffonde attraverso i morsi degli afidi, il Faba beannecrotic stunt virus (FBNSV), suddivide i suoi geni in otto segmenti, ognuno dei quali protetto da un capside (l'involucro proteico). Una cellula infettata dal virus Ebola vista al microscopio elettronico a scansione. | NIAID, FLICKR SPARPAGLIATI. I biologi sono ora giunti alla conclusione che questi pezzi separati si riproducono pur infettando cellule diverse. Anche se il virus ha bisogno di tutte le sue componenti per funzionare, non gli serve che si trovino nello stesso posto: vive un'esistenza distribuita, con frammenti di materiale genetico divisi tra diverse cellule ospiti, che non si riuniscono mai. Questa strategia riproduttiva era totalmente sconosciuta ai virologi. FBNSV fa parte dei cosiddetti virus multipartiti, i più complessi e difficili da realizzare, perché disseminano i propri geni in capsule diverse. Finora si pensava che, per replicarsi, questi patogeni dovessero fare in modo che tutti i segmenti si trovassero nella stessa cellula, ma nel 2012, uno studio dimostrò che le probabilità che questo accada sono troppo basse, per un virus che abbia più di tre o quattro frammenti. Con queste premesse, FBNSV non avrebbe mai dovuto evolversi. E se fossimo noi, che ci stiamo perdendo qualcosa? Forse - ha ipotizzato Stéphane Blanc, a capo del team di ricerca - questo virus non ha affatto bisogno di riunire tutti i segmenti. I ricercatori hanno contrassegnato ciascun frammento genetico con una molecola di diverso colore, e poi hanno osservato le cellule delle piante infettate al microscopio, per vedere se in ciascuna di esse vi si trovassero più colori: non succedeva quasi mai. SCAMBIO PROFICUO. Non solo: nelle diverse specie di piante, i livelli di riproduzione dei vari segmenti non erano bilanciati, ma proseguivano a ritmi diversi. A questo punto è sorto un altro problema: se ogni segmento genetico codifica per una diversa funzione (la formazione del capside, la copia del DNA...), come può una cellula infettata svolgere il suo compito, se le mancano dei pezzi di istruzioni? Il team ha scoperto che se i geni che codificano restano confinati in cellule diverse, le proteine prodotte con le loro istruzioni possono migrare da una cellula all'altra, e tappare i buchi nella catena di replicazione. Illustrazione: influenza, il virus H1N1. Perché l'influenza ci mette a tappeto? | SHUTTERSTOCK FLESSIBILITÀ. Un'ipotesi è che questa migrazione sia particolarmente facile solo fra le cellule delle piante, e che sia anche per questo che i virus multipartiti praticamente non si osservano, tra gli animali. Questa bizzarra esistenza deve pur avere un vantaggio evolutivo, e Blanc potrebbe averlo intuito. All'interno delle piante della stessa specie infettate dal virus FBNSV, le proporzioni nelle replicazioni dei diversi segmenti rimangono sempre più o meno costanti. Quando però la specie cambia, cambia anche la "formula genetica": alcuni segmenti favoriti in altre specie vengono replicati di meno, e viceversa. Si pensa che questo sia, per i virus, una tecnica per adattarsi ad ambienti diversi. Anche gli animali lo fanno, moltiplicando le copie dei geni più importanti per una determinata funzione. Poiché i virus sono entità molto piccole, con capsidi che hanno spazio per piccoli segmenti genetici soltanto, questa distribuzione separata è molto più agile. UN NUOVO MODO DI RAGIONARE. La scoperta potrebbe cambiare il modo di studiare virus che ci interessano da vicino, come quello dell'influenza: anche il suo materiale genetico è diviso in otto segmenti, che però sono impacchettati all'interno dello stesso capside. Fino a pochi anni fa si pensava che ogni capsula proteica contenesse l'ottetto completo, ma nel 2013 si è scoperto che non è così. Il 90% dei capsidi è mancante di almeno un segmento. Il confine tra virus normali e multipartiti potrebbe essere più fluido di quanto si credesse. |
Post n°2063 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Focus I cambiamenti nel Grande Nastro Trasportatore oceanico anticipano quelli climatici di quattro secoli Quanto tempo occorre affinché la perturbazione di una fondamentale componente della circolazione oceanica "presenti il conto" sulle temperature globali? In due occasioni del passato, ci sono voluti 400 anni. La Circolazione termoalina.|SHUTTERSTOCK Nell'Oceano Atlantico scorre senza sosta un Grande Nastro Trasportatore che conduce le acque calde dei Tropici fino alle alte latitudini di Islanda e Groenlandia, dove l'acqua si raffredda e sprofonda prima di viaggiare di nuovo verso sud, nelle profondità marine. Questo sistema conosciuto anche come Circolazione termoalina ha un ruolo di regolazione climatica fondamentale, nell'Artico e in Europa: è responsabile, tra le altre cose, della mitigazione delle temperature nella parte occidentale del nostro continente. Da qualche tempo sappiamo che si sta indebolendo, a causa, anche, di alcuni fenomeni legati al riscaldamento globale Maquanto tempo occorre, affinché un rallentamento di questa circolazione abbia effetti concreti sulle temperature? Uno studio della Columbia University e del Norwegian Research Centre pubblicato su Nature Communications prova a elaborare le prime stime precise. QUATTRO SECOLI DI ATTESA. I ricercatori si sono concentrati su una componente chiave di questa circolazione chiamata capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Atlantic meridional overturning circulation, AMOC), in cui l'acqua si raffredda e sprofonda nel Nord Atlantico. I risultati suggeriscono AMOC abbia cominciato a indebolirsi quattro secoli prima un grande periodo di raffreddamento iniziato 13 mila anni fa, e che si sia rafforzata circa quattro secoli prima di un improvviso evento di riscaldamento avvenuto 11 mila anni fa, l'ultima deglaciazione dell'emisfero settentrionale. TRE FONTI DIVERSE. Per arrivare a questa conclusione, il team ha incrociato in modo sapiente i dati di sedimenti estratti dal fondale del Mare Norvegese, dal letto di un lago scandinavo e da alcune carote di ghiaccio prelevate in Groenlandia. Di norma, per determinare l'età dei sedimenti si ricorre al carbonio-14, ma per quelli oceanici il metodo è impreciso: questo isotopo creato in atmosfera può infatti impiegare secoli, per depositarsi sul fondo del mare. Al contrario, i meno profondi sedimenti di lago contengono resti di piante con carbonio -14 direttamente tratto dall'atmosfera, che hanno permesso di risalire all'età dei vari strati di materiale lacustre. Alcuni indicatori, come le ceneri di note eruzioni vulcaniche, hanno permesso di allineare i dati sull'età dei sedimenti di lago a quelli sull'età dei sedimenti marini. A questo punto, i ricercatori conoscevano l'età reale dei vari livelli di sedimenti del Nord Atlantico. Confrontando la loro datazione con quella del carbonio 14, si è capito quanto tempo aveva impiegato l'isotopo a raggiungere il fondo del mare: ossia quanto fosse "veloce" AMOC. Il fondale del Mare di Norvegia (nella foto) accoglie le acque profonde più dense e pesanti del pianeta. Vedi anche: 10 cose+1 sugli oceani che forse non sapevi. | OFFICIAL U.S. NAVY PAGE RIPERCUSSIONI CLIMATICHE. Le carote di ghiaccio in Groenlandia hanno permesso di capire quali effetti avessero avuto queste oscillazioni della corrente sul clima. AMOC iniziò a indebolirsi quattro secoli prima del Dryas recente, l'ultimo grande evento di glaciazione del Pianeta: quando le temperature atmosferiche "registrarono" il cambiamento, in Groenlandia calarono velocemente, diminuendo anche di 6 °C. Lo stesso lasso di tempo si registrò prima che l'atmosfera iniziasse a scaldarsi molto velocemente, 11 mila anni fa: dal r afforzamento di AMOC al riscaldamento (fino a 8 °C) passarono 400 anni circa. I primi segni di indebolimento del Grande Nastro Trasportatore oceanico si sono osservati 150 anni fa: lo studio servirà a migliorare le previsioni climatiche basate sulle avvisaglie che ci mandano gli oceani |
Post n°2062 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 27 marzo 2019 Saranno le immunodeficienze il banco di prova prescelto dai ricercatori dell'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica per effettuare la loro prima sperimentazione clinica con le nuove biotecnologie di precisione I dati sono rassicuranti. Le tecniche sono mature. E l'istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) è quasi pronto per il debutto. "Non abbiamo ancora una data. Ma nel breve periodo il nostro istituto conta di avviare la prima sperimentazione clinica con l'editing del DNA". Ce lo rivela Raffaella Di Micco, group leader all'SR-Tiget e coautrice di uno studio uscito recentemente su "Cell Stem Cell" in collaborazione con il team di Luigi Naldini. "Il nostro modello cellulare sono le staminali del sangue. Con il protocollo che abbiamo ottimizzato non riscontriamo instabilità genomica né mutazioni indesiderate. Il cocktail che abbiamo messo a punto dovrebbe già garantire un beneficio terapeutico nel campo delle malattie rare. Perciò il prossimo passo sarà vedere la risposta nell'uomo", ci ha detto la ricercatrice commentando con noi gli ultimi dati. Tiget non ha rivali al mondo, essendo già riuscito nell'impresa di portare in commercio la prima terapia genica classica: il trattamento Strimvelis, sviluppato nell'era pre-CRISPR per i pazienti affetti da ADA-SCID. Nel frattempo altri gruppi hanno incontrato difficoltà a replicare quel successo di terapia genica "tradizionale" su un altro tipo di immunodeficienza severa combinata, trasmissibile con il cromosoma X e detta SCID-X1. vantaggio di garantire un'espressione più controllata del gene terapeutico. La migliore precisione dovrebbe consentire di correggere il difetto genetico con maggiore efficacia e sicurezza", sostiene Di Micco. In cima alla lista delle malattie candidate, dunque, c'è la SCID-X1, in compagnia di un'altra immunodeficienza: la sindrome da iper-IgM. "Comunque il lavoro che abbiamo pubblicato è una dimostrazione di fattibilità, lo stesso approccio può trovare altre applicazioni". a Napoli, per poi specializzarsi tra Milano e New York, e da tre anni è stata chiamata all'istituto diretto dal pioniere della terapia genica Naldini, con la missione di studiare come le cellule rispondono al danno del DNA e contribuire allo sviluppo di nuove terapie avanzate. Lavorando insieme, hanno dimostrato di poter inserire in modo affidabile una sequenza correttiva nelle cellule staminali ematopoietiche. di una scarica elettrica per far entrare nelle cellule tre ingredienti terapeutici: la piattaforma per l'editing genomico (costituita dall'enzima che taglia il DNA, opportunamente programmato per trovare il giusto bersaglio), un vettore virale detto AAV6 che trasporta la sequenza da introdurre in corrispondenza del taglio e, a parte, un terzo elemento opzionale. Si tratta di un trascritto con le istruzioni per sintetizzare una molecola che destabilizza la proteina p53, nota anche come "il guardiano del genoma". ostacolo emerso lo scorso anno in popolazioni cellulari diverse e descritto da due gruppi indipendenti su "Nature Medicine". Quando l'editing produce la rottura del DNA, le cellule attivano un kit di pronto intervento che vede come protagonista il p53 e può avviare le cellule editate alla distruzione. Per fortuna i ricercatori dell'SR-Tiget hanno appurato che, almeno per le staminali ematopoietiche, il problema è limitato e risolvibile. "Anche nel nostro modello basta un singolo taglio per far scattare l'allarme, ma la risposta si risolve nel giro di poche ore quando la lesione viene riparata e alla fine le cellule conservano la piena funzionalità", assicura la ricercatrice. Se oltre a tagliare il DNA si fornisce una sequenza correttiva, utilizzando un vettore virale, la reazione difensiva è più forte, ma l'SR-Tiget ha dimostrato di poterla controllare inibendo il p53. Nel giro di un giorno o due l'arresto proliferativo si sblocca e, trapiantando le cellule editate nel topo, si osserva che un maggior numero di cellule corrette si localizza nel midollo, per la ricostituzione del sistema ematopoietico. alla tecnica di editing genomico precedente, ma nel nostro modello funziona bene anche la piattaforma zinc finger, che ha il vantaggio di essere stata studiata più a lungo", spiega Di Micco. Da quando CRISPR è arrivata sulla scena ha conquistato tutti i riflettori per la sua versatilità, mentre il metodo delle "dita di zinco" è rimasto nell'ombra pur non essendo obsoleto. due tecnologie sono paragonabili, ciò che conta è la specificità dell'enzima che effettua il taglio, indipendentemente da quale piattaforma viene utilizzata", sostiene la ricercatrice. Scegliere l'una o l'altra sarà una decisione strategica, da prendere insieme agli sponsor dei trial clinici futuri, valutando anche gli aspetti di natura brevettuale. Intanto ci sono altre sperimentazioni di editing in cellule staminali ematopoietiche che stanno già reclutando i primi pazienti in diversi paesi del mondo: il database clinicaltrials.gov ne conta già tre con zinc finger e due basate su CRISPR. nel blog CRISPerMANIA il 27 marzo 2019. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) |
Post n°2061 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte Le Scienze 27 marzo 2019 Le allucinazioni sono legate a una riduzione dell'attività della corteccia visiva, e non a una sua iperattività, come finora pensato. L'allucinazione deriverebbe quindi da un eccesso di tentativi delle aree cerebrali superiori di dare un'interpretazione agli input insufficienti che le raggiungono neruoscienzevisionedisturbi mentali Le allucinazioni visive potrebbero essere innescate da una riduzione dei segnali che i neuroni si scambiano all'interno della corteccia visiva, e non, come si supponeva, da un loro aumento legato a un'attività spontanea dei neuroni senza uno stimolo reale corrispondente. ricercatori dell'Università dell'Oregon a Eugene che firmano un articolo pubblicato su " Cell Reports". Se ulteriori ricerche confermeranno il risultato - ottenuto su topi con tecniche invasive che non possono essere applicate agli esseri umani - sarà un importante progresso nella comprensione delle basi neurologiche di disturbi come la schizofrenia, che sono caratterizzati anche da allucinazioni. i disturbi psichiatrici esordì negli anni quaranta del secolo scorso, ma fu interrotto alla fine degli anni sessanta a causa della diffusione di quelle sostanze a uso ricreativo e alla loro conseguente proibizione. Questo tipo di studi è quindi ripreso, con cautela, solo in anni recenti. a un gruppo di topi un farmaco che interferisce con i recettori della serotonina 2A in modo analogo a quanto fanno LSD e la psilocibina e altri farmaci allucinogeni. Ènoto inoltre, che questi recettori hanno un ruolo nella schizofrenia. icercatori hanno quindi monitorato l'attività dei neuroni della corteccia visiva, osservando che il farmaco provocava una riduzione dello scambio di informazioni fra i neuroni di quell'area, e di conseguenza anche una riduzione delle comunicazioni inviate da quell'area alle regioni cerebrali superiori a cui è collegata.
senso nel contesto dell'elaborazione visiva", ha detto Niel. "Capire ciò che sta accadendo nel mondo è una questione di equilibrio tra l'acquisizione di informazioni e la nostra interpretazione di quelle informazioni. Se diamo troppo poco peso a quello che succede intorno a noi [ossia agli stimoli reali], ma poi ci scateniamo in un eccesso di interpretazione per dargli un senso, questo potrebbe portare ad allucinazioni." Un esempio sono le immagini vivide che spesso si vedono nei sogni anche se al cervello non arriva alcun segnale visivo. probabilmente non spiega del tutto le allucinazioni visive, ma potrebbe rappresentare un tassello significativo per la loro comprensione. (red) |
Post n°2060 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 15 marzo 2019 Due studi di genomica hanno mostrato collegamenti tra geni implicati nell'insonnia e geni relativi a malattie cardiovascolari e psichiatriche. In prospettiva, questa linea di ricerca potrebbe fornire punti di accesso privilegiati alla biologia dell'insonnia grazie a cui migliorare le terapie adattandole ai singoli pazienti Dagli studi su gemelli, i ricercatori sanno che l'incapacità di addormentarsi o di restare addormentati ha una componente genetica, ma i geni responsabili sono per lo più sconosciuti. "Nature Genetics" hanno permesso di dare una prima occhiata alla base biologica dell'insonnia, implicando specifiche regioni cerebrali e processi biologici, e rivelando legami con malattie cardiache e disturbi psichiatrici come la depressione. Entrambi sono studi di associazione sull'intero genoma (indicati anche con la sigla GWAS), che esaminano il DNA di molte migliaia di individui per determinare dove si trovano i marcatori genetici relativi a salute, malattia o a un tratto particolare. Il primo studio, effettuato da un gruppo guidato dalla genetista Danielle Posthuma della Vrije University di Amsterdam, ha analizzato i genomi di oltre 1,3 milioni di persone, creando il più vasto GWAS finora mai realizzato per un tratto complesso. Lo studio ha usato i dati di UK Biobank, un grande progetto di genetica a lungo termine, e di un'azienda che offre servizi di genetica al pubblico, 23andMe, per identificare 202 aree del genoma legate all'insonnia, che coinvolgono 956 geni, ben di più dei sette trovati in precedenza. maggioranza di questi geni sono realmente coinvolti", dice il genetista Stephan Ripke, esperto di GWAS al Berlin Institute of Health, che non è stato coinvolto nei due studi. "Abbiamo però bisogno di conferme su coorti diverse, da paesi e ricercatori differenti." e cellule cerebrali sono attivi più spesso questi geni. L'analisi ha coinvolto gli assoni (le connessioni di uscita) dei neuroni, parti della corteccia e regioni cerebrali "sottocorticali" più profonde, come lo striato, coinvolte nel movimento; inoltre ha esaminato i "neuroni spinosi medi", che occupano la maggior parte dello striato e i neuroni di altre regioni, compreso l'ipotalamo. I risultati concordano con quelli di studi di imaging cerebrale, che suggeriscono una disfunzione di alcune regioni durante l'insonnia, e con quelli di studi sugli animali, che coinvolgono queste cellule nella regolazione del sonno. quali geni, vie e cellule fossero implicati", dice Posthuma. "Ora abbiamo ipotesi concrete che possono essere testate". effettuato da un gruppo guidato dalla genetista Richa Saxena del Massachusetts General Hospital, ha analizzato oltre 450.000 genomi, sempre dalla UK Biobank. I ricercatori hanno identificato 57 regioni, che comprendono 236 geni, e hanno confermato i risultati in analisi di due insiemi di dati distinti. Uno riguardava pazienti con diagnosi clinica, l'altro si basava su sintomi meno affidabili e riferiti dai pazienti. Saxena e colleghi hanno anche analizzato i dati di quasi 84.000 soggetti partecipanti a UK Biobank che per una settimana avevano indossato rilevatori di movimento per registrare come si muovevano e rigiravano nel sonno oppure un eventuale sonnambulismo, permettendo così di collegare i risultati genetici con le misurazioni reali del sonno. per diverse definizioni di sintomi correlati all'insonnia, inclusi alcuni misurati oggettivamente", osserva Mackenzie Lind, esperta di statistica genetica alla Virginia Commonwealth University. sovrapposizione tra i geni implicati nell'insonnia e quelli relativi ai tratti psichiatrici e metabolici. A volte i geni per i tratti, tra cui depressione, ansia, schizofrenia, malattia coronarica e diabete di tipo 2, erano gli stessi. I risultati suggeriscono che l'insonnia sia più fortemente correlata a disturbi neuropsichiatrici che ad altre caratteristiche legate al sonno, per esempio l'essere mattinieri. "È stata una grande sorpresa", dice Saxena. "E implica che si tratta di un disturbo che a livello genetico probabilmente è legato alle malattie psichiatriche e alla regolazione dell'umore, non necessariamente alla sola regolazione del sonno". Entrambi i gruppi di ricerca hanno anche usato una tecnica (randomizzazione mendeliana) che ha permesso di dedurre possibili nessi causali grazie al confronto dei loro risultati con quelli di studi di tipo GWAS per altre condizioni. I due studi indicano che l'insonnia può causare depressione e malattia coronarica, e lo studio più ampio ha anche trovato una connessione causale con il rischio di effetti sull'indice di massa corporea e di diabete di tipo 2. nello studio del sonno era individuare dove c 'è e dove non c'è un nesso causale", dice Saxena. "Così, alla fine gli interventi possono essere mirati dove c'è questo nesso". Non tutti i ricercatori però hanno altrettanta fiducia in questi test. "La sovrapposizione genetica è valida", dice Ripke. "Ma c'è un dibattito su questi test di randomizzazione mendeliana; non darei per scontate le conclusioni." implicato nella sindrome delle gambe senza riposo, e questo, dice Saxena, "ha senso poiché pure questa sindrome è un disturbo del sonno", sebbene se il suo gruppo abbia trovato anche che questo in parte potrebbe essere dovuto a casi non diagnosticati della sindrome nel loro insieme di dati. In realtà, è probabile che l'insonnia non sia una condizione singola, ma un gruppo di sintomi che possono avere una serie di cause sottostanti. In un paziente potrebbe essere conseguenza di un trauma infantile, in un altro potrebbe essere legata a processi circadiani stravolti o semplicemente derivare dalla sindrome delle gambe senza riposo in un altro ancora. di distinguere i casi con la genetica", dice Saxena. "Capire se ci sono diversi tipi di insonnia, come possiamo studiarli e magari curarli separatamente, è la speranza di questo campo di ricerca." accesso privilegiati alla biologia dell'insonnia. "Ora stiamo seguendo due strategie", dice Posthuma. L'implementazione procede "aumentando ulteriormente le dimensioni del campione" e "progettando esperimenti di laboratorio che dimostrino il nesso di causalità e mostrino come i diversi tipi di cellule coinvolte influenzano l'insonnia". Studi come questo possono mettere a fuoco nuovi bersagli terapeutici. Anche se esistono trattamenti, l'accesso a terapie come quella cognitivo-comportamentale non è in grado di soddisfare la domanda esistente. vale la pena seguire questa linea di ricerca. La sovrapposizione genetica tra insonnia e disturbi dell'umore può indicare perché la terapia cognitivo -comportamentale può essere efficace sia per il sonno sia per l'ansia. Dal canto loro, i farmaci attuali hanno un'efficacia limitata, possono creare dipendenza e avere effetti collaterali. "Identificare nuove varianti che contribuiscono al rischio aiuta a individuare nuovi bersagli biologici", dice Lind. Questa ricerca, aggiunge, è "un passo verso l'obiettivo finale di usare le informazioni genetiche per prevedere rischio e risultati della terapia, anche se non siamo ancora a questo punto". |
Post n°2059 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli
Fonte: Le Scienze 20 marzo 2019 La diffusione dell'agricoltura nell'antica Anatolia La diffusione dell'agricoltura in Anatolia non fu la conseguenza di migrazioni di popolazioni provenienti dalla Mezzaluna fertile, ma un fenomeno di contagio culturale in cui i cacciatori-raccoglitori locali adottarono idee, piante e tecnologie antropologiageneticaagricolturaLa diffusione dell'agricoltura in Anatolia centrale a partire dall'8300 a.C. circa avvenne per contagio culturale, e non a causa di una massiccia migrazione di popolazioni provenienti dalla vicina regione della Mezzaluna fertile - la regione che si estendeva sui territori corrispondenti agli attuali stati di Iraq, Siria, Israele, Libano, Egitto e Giordania - dove era nata circa 11.000 anni fa. Lo ha stabilito un gruppo internazionale di scienziati guidato da ricercatori del Max Planck Institut per la scienza della storia umana a Jena, in Germania, che ne riferiscono La sepoltura di un cacciatore-raccoglitore anatolico di 15.000 anni fa. (Cortesia Douglas Baird)Diverse prove archeologiche avevano già suggerito che in Anatolia l'agricoltura fosse stata adottata e sviluppata da gruppi di cacciatori-raccoglitori locali che cambiarono la loro strategia di sussistenza. sequenziamento del genoma di otto antichi abitanti della regione vissuti fra 15.000 e 7000 anni fa, genoma che Johannes Krause e colleghi hanno poi confrontato con il DNA di 587 soggetti antichi e 254 moderni di quelle regioni e delle regioni limitrofe. dell'Anatolia è rimasta geneticamente stabile per oltre 7000 anni e che i primi agricoltori condividevano per il 90 per cento il loro patrimonio genetico con i più antichi cacciatori-raccoglitori del posto, con un contributo genetico non superiore al 10 per cento, attribuibile in parte alle popolazioni legate agli attuali abitanti dell'Iran, in parte a quelle del vicino Caucaso e, in misura minore, dell'Europa meridionale. non anatoliche arrivò al 20 per cento. Nel frattempo, parte delle antiche popolazioni anatoliche avevano iniziato a migrare in Europa, portandovi il nuovo stile di vita e i loro geni. lacune, sia nel tempo che nelle localizzazioni geografiche, nei genomi attualmente disponibili. Questo rende difficile dire come sono avvenute queste i nterazioni genetiche più sottili, se si trattava di grandi movimenti ma per un periodo molto ristretto, o di interazioni più frequenti ma che hanno riguardato di volta in volta poche persone." e in quelle limitrofe possano aiutare a rispondere anche a queste domande. (red) |
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