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Messaggi del 06/05/2019

Un antico flusso genetico da Cipro all'Italia meridionale

Post n°2180 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

25 maggio 2017

Un antico flusso genetico da Cipro all'Italia meridionale

Una ricerca ha tracciato un antichissimo

flusso genetico che in epoca neolitica si

è diffuso da Cipro e dalle isole anatoliche

fino alla Calabria e alla Sicilia e che

sarebbe il risultato di ondate migratorie

iniziate molto prima dell'espansione greca

che portò alla nascita della Magna Grecia(red)

geneticastoriaantropologia

Le popolazioni dell'area che va da Sicilia a

Cipro, passando passando per Creta, le

isole dell'Egeo e l'Anatolia, hanno un substrato

genetico comune, leggermente diverso da

quello della Grecia continentale e dei Balcani

meridionali. Questa origine mediterranea

condivisa sarebbe il risultato di diverse

ondate migratorie iniziate molto prima

dell'espansione greca che portò alla nascita

della Magna Grecia.

Questa scoperta può avere importanti

implicazioni per la storia culturale dell'Europa,

e in particolare per la comprensione della

diffusione di alcune lingue indoeuropee.

La ricerca, pubblicata su "Nature Scientific Reports"

 è stata effettuata da ricercatori dell'Università

di Bologna, in collaborazione con il Max-Planck

-Institut per la scienza della storia umana a

Jena, la National Geographic Society e l'Università

di Tirana.

I bronzi di Riace sono l'emblema dell'antica

presenza greca in Italia.

Le coste mediterranee che si estendono tra

Sicilia, Italia meridionale e Balcani meridionali

sono state teatro di una lunga serie di migrazioni

e scambi culturali che hanno portato numerosi

, differenti apporti genetici alle popolazioni attuali,

rendendo difficile l'individuazione dei diversi

contributi.

Nello studio, Stefania Sarno, Alessio Boattini

e colleghi hanno analizzato il genoma di 511

individui appartenenti a 23 popolazioni di Sicilia,

Italia continentale meridionale, Albania e Grecia,

con particolare attenzione ai gruppi etno-

linguistici italiani che parlano arbereshe

(una variante dell'albanese parlata in Italia) e greco.

Le popolazioni analizzate mostrano una

miscela delle principali componenti genetiche

presenti nel continente europeo, e in particolare

degli antichi cacciatori-raccoglitori europei, dei

cacciatori-raccoglitori del Caucaso e dei primi

agricoltori neolitici provenienti dal Vicino Oriente.

Tutte le popolazioni dell'Italia meridionale, della

Grecia continente e insulare e dei Balcani

meridionali condividono una importante

componente genetica "sarda", risalente al

Neolitico, e caucasica. Ma per la parte restante

i dati raccolti dai ricercatori indicano una chiara

differenziazione.

Un antico flusso genetico da Cipro all'Italia meridionale

Mappa dei campionamenti genetici eseguiti

nello studio. (Cortesia Sarno et al./Nature)

Nell'area costiera che va dalla Sicilia a Cipro si

osserva un background genetico predominante

che ha origine dal Vicino Oriente, risalente

principalmente al Neolitico, con un successivo

importante contributo durante l'età del bronzo.

Questo contributo distingue le popolazioni

costiere da quelle dell'entroterra greco,

Peloponneso incluso, più vicine alle altre

popolazioni dei Balcani meridionali, dell'Albania

e del Kosovo. I gruppi balcanici nord-occidenta

li (slavi meridionali e rumeni) mostrano invece

un'affinità con gli europei orientali.

Infine, mentre le minoranze di lingua greca in

Sicilia e Calabria, mostrano la loro antica affinità

con i greci delle isole, i dati relativi alle minoranze

di lingua arbereshe indicano che il flusso genetico

è giunto in Italia solo in epoca storica.

 
 
 

Le antiche transumanze che plasmarono la Via della seta

Post n°2179 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

09 marzo 2017

Le antiche transumanze che plasmarono la Via della seta

 

Gli schemi dei movimenti delle mandrie

di bestiame alla ricerca di pascoli in un'ampia

regione che va dal Mediterraneo orientale

alla Cina sono correlati alle posizioni dei siti

archeologici della Via della seta, l'antico reticolo

di cammini che collegava l'impero romano e

quello cinese.

E' quanto risulta dall'analisi dei dati raccolti da

satellite con modelli derivati dalla mappatura

dei corsi d'acqua(red)

storiaarcheologiaspazio

La Via della seta anticamente collegava l'impero

romano con l'impero cinese.

Il suo nome è tradizionalmente declinato al

singolare, ma in realtà si tratta di una complessa

serie di cammini che formavano una struttura

reticolare, attraverso la quale si muovevano

beni, persone e idee.

Lo studio dei resti archeologici di questa e di

altre antiche vie di comunicazione ha permesso

di ricostruirne a grandi linee il percorso, ma finora

non si è riusciti a stabilire con certezza i dettagli

di come abbiano avuto origine i contatti commerciali

e quali forze spingessero i primi viaggiatori.

In un nuovo studio pubblicato su "Nature",

Michael Frachetti della Washington University

a St. Louis e colleghi della stessa Università e

dell'University college di Londra hanno analizzato

i movimenti dei mandriani nomadi nelle aree

dedicate alla pastorizia dell'Asia scoprendo che

esiste una significativa correlazione con i siti

archeologici lungo la Via della seta.

Alcune prove archeologiche ed etnografiche

dell'Asia interna mostrano che per circa 4500

anni i mandriani hanno portato il bestiame

verso pascoli in quota d'estate, riportandolo

verso zone più calde e più basse d'inverno.

L'ipotesi è che gli antichi mandriani seguissero

più o meno gli stessi schemi di transumanza

stagionale, seguendo non solo i percorsi più

agevoli e diretti da un punto all'altro, ma andas-

sero anche alla ricerca di pascoli freschi.

Da qui l'idea di verificare se questi schemi di

spostamento delle mandrie potesse avere a che

fare con il reticolo di cammini della Via della seta.

Le antiche transumanze che plasmarono la Via della seta

Modello grafico degli spostamenti di transumanza

lungo la Via della seta ottenuto nel corso dello

studio (Credit: M. Frachetti)Gli autori hanno utiliz-

zato un software chiamato GIS

(geographic information systems)

che in genere serve a mappare e modellizzare i

corsi d'acqua di una regione sulla base dei dati

raccolti dai satellite.

In questo caso, la tecnica è stata adattata per

ottenere una dettagliata mappa della copertura

vegetale in una vasta area compresa tra il

Mediterraneo orientale e la Cina a quote comprese

tra 750 e 4000 metri, sulla base di misurazioni del

grado di riflettività della luce solare.

I dati sono poi stati confrontati con le posizioni

dei principali siti archeologici della Via della seta,

seguendo l'ipotesi che la distribuzione dei pascoli

più redditizi sia rimasta più o meno la stessa per

secoli.

I risultati delll'analisi indicano che i movimenti

delle mandrie sono fortemente correlati alle

posizioni dei siti archeologici della Via della seta:

ciò indica che la distribuzione spaziale delle

praterie e la ricerca di pascoli per il nutrimento

delle mandrie contribuì in modo significativo alla

formazione della rete di cammini di questa

importante e antichissima via di comunicazione

tra est e ovest.

La ricerca rappresenta un significativo progresso

nello studio di un'antica rete di vie commerciali,

uno sviluppo raggiunto attraverso di strumenti

di analisi spaziale che potranno contribuire a una

sempre migliore comprensione delle antiche civiltà.

 
 
 

Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco

Post n°2178 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

21 febbraio 2017

Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco

Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco

Cortesia Roderick Mickens ©American

Museum of Natural History

L'analisi genomica condotta sui resti di membri

dell'élite della cultura Chaco, la più complessa

società sviluppatasi nel Nord America precolombiano,

indica che lo status sociale veniva tramandato

per la linea materna(red)

archeologiastoriagenetica

Nella più complessa società indigena del Nord America,

quella della cultura Chaco, l'appartenenza allo stato sociale

più elevato veniva trasmessa per linea materna.

A stabilirlo è uno studio di genetica condotto da ricercatori

della Pennsylvania State University e della Harvard Medical

School a Boston, che lo illustrano in un articolo su "Nature

Communications".

Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco

Il sito di Pueblo Bonito.

(Cortesia Douglas Kennett, Penn State University)

Fra l'800 e il 1130 della nostra era, la popolazione delle tribù

pueblo che vivevano nella regione del Chaco Canyon - oggi nel

territorio del New Mexico - aumentò in modo significativo,

come accadde anche alle popolazioni pueblo del resto del

continente.

A differenza delle popolazioni più occidentali, tuttavia, il

fenomeno fu accompagnato da un significativo cambiamento

sociale: le comunità sparse si fusero in un'unica società,

caratterizzata da grandi insediamenti, il più importante dei

quali era quello di Pueblo Bonito.

Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco

Resti di una delle grandi case.

(Cortesia George Perry, Penn State University.)

A Pueblo Bonito esiste una dozzina di grandi case in muratura

a più piani, con un numero elevato di stanze, da 50 a 650, e

collegate da strade oltre a una serie di strutture di rilevanza

evidentemente rituale.

I reperti archeologici presenti nel sito indicano che fin dal

IX secolo questa comunità era caratterizzata da un elevato

grado di complessità e differenziazione sociale.

In gran parte delle antiche società complesse l'appartenenza

all'élite sociale era trasmessa in via ereditaria, secondo differenti

modalità: per linea paterna, oppure materna, con le regole del

maggiorascato eccetera, di cui spesso abbiamo testimonianze

scritte. Il ruolo della successione ereditaria nelle società prive

di scrittura - come appunto la cultura Chaco - resta però un

problema generalmente irrisolto.

Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco

Monili e manufatti rinvenuti nella "camera 33".

(Cortesia Roderick Mickens ©American Museum

of Natural History)

All'interno della più grande casa di Pueblo Bonito,

Douglas Kennett e colleghi hanno raccolto DNA da

nove individui sepolti nella "camera 33",  una cripta

funeraria destinata a un membro dell'élite Chaco e ai

suoi discendenti. L'accurata datazione dei reperti ha

mostrato che queste sepolture sono state effettuate

nell'arco di 330 anni, mentre le analisi genetiche condotte

dai ricercatori hanno rivelato che avevano genomi mitocondriali

identici, segno che tutti appartenevano alla stessa linea materna. 

Nobili per linea materna nell'antica cultura Chaco

Altri manufatti rinvenuti nella "camera 33".

(Cortesia Roderick Mickens ©American

Museum of Natural History.)

La successiva analisi del DNA nucleare sui sei campioni meglio

conservati ha quindi mostrato che i rapporti di parentela fra

quei soggetti erano quelli di madre-figlia o nonna-nipote.

Ciò mostra che, fino al collasso di quella cultura, avvenuta 

intorno al 1130 d.C., la leadership sociale veniva tramandata

per linea femminile.

 
 
 

La preistoria europea č scritta nel DNA dei sardi

Post n°2177 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

La preistoria europea è scritta nel DNA dei sardi

La preistoria europea è scritta nel DNA dei sardi

Uno studio di un gruppo internazionale di scienziati

ha messo in luce alcune caratteristiche peculiari del

patrimonio genetico dei sardi. In particolare, l'analisi

del DNA mitocondriale degli attuali abitanti della

Sardegna sembrerebbe indicare che la prima occupazione

dell'isola risale al Mesolitico, mostrando inoltre l'esistenza

di due origini genetiche ben distinte dei primi abitanti 

di Matteo Serra

geneticastoria

Il patrimonio genetico dei sardi è unico nel suo genere, e

contiene informazioni molto preziose sulle origini

dell'occupazione della Sardegna nel contesto della preistoria europea.

Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista 

"Molecular Biology and Evolution" da un gruppo di ricerca

internazionale guidato dalla genetista Anna Olivieri,

dell'Università di Pavia.

Le isole hanno sempre esercitato un fascino particolare su

biologi evoluzionisti, genetisti e archeologi per via

dell'isolamento geografico e delle caratteristiche spesso

uniche delle popolazioni che le abitano. In particolare la

Sardegna, per la sua posizione chiave nel cuore del Mediterraneo,

rappresenta un'arena di studio ideale.

Per comprendere meglio le origini genetiche dei sardi, i

ricercatori hanno analizzato il DNA mitocondriale

(contenuto nei mitocondri, le "centrali energetiche" delle cellule)

di 3491 attuali abitanti della Sardegna, confrontandolo con 21

campioni preistorici, con un ampio database di genomi

mitocondriali non appartenenti a sardi e anche con quello

di Ötzi, la più antica mummia europea (risalente all'età del

rame, attorno al 3300 a.C.), scoperta nel 1991 ai piedi del

ghiacciaio del Similaun, al confine tra Italia e Austria.

I risultati evidenziano che la Sardegna rappresenta

un'anomalia nel panorama genetico europeo, e per più

di un motivo.

Anzitutto, i ricercatori hanno scoperto che quasi l'80

per cento dei genomi mitocondriali dei sardi di oggi

appartiene a rami genetici che non si trovano in nessun

altro luogo al di fuori dell'isola.

La preistoria europea è scritta nel DNA dei sardi

CC0 Public DomainInoltre, gli scienziati hanno classificato

i genomi mitocondriali dei sardi in 89 gruppi genetici, detti aplogruppi.

Quasi tutti gli aplogruppi, che probabilmente comparvero

nell'isola dopo la sua prima occupazione, risalgono a un periodo

compreso tra il Neolitico (tra 4000 e 7800 anni fa), il Nuragico

(tra 2000 e 4000 anni fa) e il post-Nuragico (meno di 2000 anni fa).

Tuttavia, le origini di alcuni rari aplogruppi tra quelli appartenenti

ai sardi moderni sono ancora più antiche, precedenti alla data

di inizio più probabile del Neolitico in Sardegna, ossia circa

7800 anni fa. 

"Le nostre analisi suggeriscono la possibilità che diversi

aplogruppi potessero essere già presenti nell'isola prima del

Neolitico", sottolinea Francesco Cucca, dell'Istituto di ricerca

genetica e biomedica del CNR di Cagliari, co-autore dello studio.

Ma questo scenario, oltre a rappresentare la prova archeologica

di un'occupazione della Sardegna già ai tempi del Mesolitico

(quindi tra il 10.000 e l'8000 a.C.), suggerirebbe anche

l'esistenza di una duplice origine genetica dei suoi abitanti.

Due tra gli aplogruppi più antichi, chiamati K1a2d e U5b1i1

(che rappresentano quasi il tre per cento del totale), hanno

infatti origini geografiche molto diverse: le radici dell'aplogruppo

K1a2d sono collocate nel Vicino Oriente, mentre quelle di

U5b1i1 nell'Europa occidentale.

Lo studio evidenzia insomma che i sardi contemporanei sono

portatori di un'eredità genetica unica, maturata soprattutto

grazie al relativo isolamento dai tanti sconvolgimenti demografici

che hanno caratterizzato il continente europeo.

Un isolamento che ha favorito la conservazione di tracce genetiche

così antiche.
 
 "È ormai evidente - spiega Olivieri - che la mobilità umana,

l'intercomunicazione e il flusso genetico attorno al Mediterraneo

fin dai tempi dell'ultima era glaciale hanno lasciato firme ben precise,

che sono sopravvissute fino ai giorni nostri.

E alcuni di questi segni del passato sono conservati dai sardi".

 
 
 

Una mappa genetica dei flussi migratori negli Stati Uniti

Post n°2176 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

fonte: Le Scienze

Un consorzio tra diversi istituti di ricerca

ha prodotto la prima mappa genetica della

popolazione degli Stati Uniti, che registra le

tracce dei flussi migratori avvenuti dopo la

colonizzazione europea.

Sono evidenti i contributi dei neri africani,

dovuti alla tratta degli schiavi, ma anche

di migrazioni minori, come quella degli

scandinavi, dei portoricani o dei canadesi

francofoni(red)

geneticastoriaepidemiologia

Che la popolazione degli Stati Uniti sia

composta in larghissima misura da discendenti

di emigranti è cosa ben nota. 

Incrociando i dati genetici di 770.000 cittadini

statunitensi con 20 milioni di dati genealogici,

un gruppo di ricercatori guidato da Catherine

Ball della Harvard University è ora riuscito a

ricostruire una mappa della struttura della

popolazione americana così come si è sviluppata

negli ultimi secoli. La ricerca è illustrata in un

articolo apparso online 

su "Nature Communications".

L'obiettivo dello studio era ambizioso.

Dopo l'arrivo di Cristoforo Colombo nel 1492,

infatti, la demografia del continente americano

si è sviluppata a un ritmo eccezionalmente

elevato, e ha subito l'influenza di un gran

numero di eventi storici che hanno coinvolto

ampie popolazioni di diverse etnie: schiavitù

dei neri provenienti dall'Africa, flussi migratori

da tutto il mondo, guerre e cambiamenti climatici.

Gli studi genetici condotti finora hanno fornito

indicazioni sulle migrazioni umane antiche,

permettendo di determinare con notevole

precisione la provenienza degli antenati dei

nativi americani, più che sui cambiamenti

demografici recenti.

La regione di ciò è nel metodo di analisi adottato,

basato sulla determinazione della frequenza

degli alleli, cioè delle diverse varianti di specifici

geni, che divergono molto lentamente e perciò

forniscono indicazioni demografiche su periodi

di tempo molto lunghi.

Ball e colleghi hanno usato un approccio diverso,

più adatto a un arco temporale di alcuni secoli

soltanto, basato su analisi sull'intero genoma,

cioè sulla quasi totalità dei geni del DNA dei

770.000 soggetti coinvolti.

I dati genetici così ricavati sono stati incrociati

con un database di circa 20 milioni di registrazioni

genealogiche, cioè di rapporti di parentela tra

diversi individui.

L'analisi ha prodotto una mappa che evidenzia

i diversicluster, aggregazioni di varianti genetiche

tra loro correlate, associati alle diverse origini etniche.

I risultati sono così accurati da riuscire a mostrare,

oltre ai contributi più importanti come quello dei

neri africani, anche flussi migratori minori, come

quello di popolazioni di origine scandinava, dei

canadesi francofoni, dei portoricani e di altri coloni

storici, come la comunità Amish, che ha subito per

molto tempo un isolamento geografico e culturale.

Complessivamente, lo studio fornisce una mappa

abbastanza completa dei cambiamenti demografici

nelle popolazioni del Nord America dopo la coloniz-

zazione europea, che potrebbe avere anche

un'utilità pratica in campo sanitario, dato che i

vari cluster possono essere associati a specifiche

malattie.

Per esempio, i dati mostrano che la variante

genetica che conferisce un maggior rischio di

tumore ha una frequenza del 5,6 per cento

nel cluster degli afroamericani mentre è molto

rara al di fuori di esso.

Analogamente, un gene protettivo nei confronti

del tumore polmonare squamocellulare è 10

volte più frequente del normale nel cluster

finlandese.

Un'analisi ulteriore dei cluster attualmente

poco definiti, sottolineano gli autori, potrebbe

portare all'identificazione di altri fattori di rischio

sanitario, permettendo così di approntare le

adeguate misure di prevenzione e di cura.

 
 
 

Una mummia riscrive la storia naturale del vaiolo

Post n°2175 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

09 dicembre 2016

Una mummia riscrive la storia naturale del vaiolo

Una mummia riscrive la storia naturale del vaiolo

Kiril Cachovski of the Lithuanian Mummy Project, 2015

    09/12/2016

    Una mummia riscrive la storia naturale del vaiolo

    lo trovato in una mummia del XVII secolo suggerisce

    che la malattia non sia antica quanto si credeva ma sia

    comparsa solo verso la fine del XVI secolo.

    I presunti antichissimi casi risalenti a 3000-4000 anni

    fa sarebbero in realtà casi di morbillo o varicella, che

    lasciano lesioni molto simili(red)

    microbiologiastoriamedicina

    Il sequenziamento del DNA del virus del vaiolo (Variola virus)

    estratto dai resti mummificati di un bambino del XVII secolo

    impone la riscrittura della storia naturale della malattia, che

    forse ha iniziato ad aggredire la nostra specie in un'epoca ben

    successiva a quanto si pensasse.

    Lo studio condotto da ricercatori della McMaster University

    ad Hamilton, in Canada, e dell'Università di Vilnius, in Lituania

    - con la collaborazione di diversi centri di ricerca internazionali

    - data infatti l'origine al periodo compreso fra 1588 e il 1645

    invece che a 3000-4000 anni fa.

    Lo studio è pubblicato su "Current Biology".

    Una mummia riscrive la storia naturale del vaiolo

    La cripta in cui è stata ritrovata la mummia

    (Cortesia Kiril Cachovski of the Lithuanian Mummy Project, 2015)

    Dopo aver ottenuto il permesso dell'Organizzazione mondiale

    della sanità, Hendtik N. Poinar e colleghi hanno prelevato

    campioni della pelle della mummia di un bambino morto di

    vaiolo scoperti nella chiesa del Santo Spirito di Vilnius, per

    cercare di isolare il DNA del virus.

    Grazie al ricorso a particolari sonde a RNA sono riusciti

    nell'impresa, tanto da ricostruire l'intero genoma dell'antico

    ceppo del virus. A questo punto lo hanno confrontato con i

    ceppi del virus del vaiolo risalenti alla metà del XX secolo e

    al periodo immediatamente precedente alla sua eradicazione,

    avvenuta alla fine degli anni settanta.

    Questo ha permesso quindi di risalire al loro antenato comune

    e all'epoca della comparsa del virus, compresa fra il 1588 e il

    1645, ossia al periodo delle grandi esplorazioni e colonizzazioni,

    che ne avrebbero favorito la diffusione in tutto il mondo.

    "Quindi, ora dobbiamo chiederci se le prove storiche che

    suggerivano l'esistenza del vaiolo già all'epoca di Ramses V per

    arrivare a tutto il Cinquecento sono vere", ha detto Poinar.

    "Erano autentici casi di vaiolo o errori di identificazione, molto

    facili dacommettere, data la somiglianza delle lesioni del vaiolo

    con quelle della varicella e del morbillo?"

    La classificazione di quei presunti antichissimi casi di vaiolo era

    infatti avvenuta sulla sola base dell'osservazione delle lesioni

    lasciate dalla malattia, e non di reperti genetici.

    I ricercatori hanno anche individuato alcuni  momenti specificidi

    evoluzione del virus.

    Per esempio, quando  nel XVIII secolo Jenner sviluppò il suo

    vaccino contro il virus, modificò la pressione selettiva sull'agente

    patogeno, che si divise in due ceppi: Variola major, che causava

    il vaiolo propriamente detto, e Variola minor, che provocava la

    forma molto meno aggressiva e letale della malattia nota come alastrim.

    Ma la ricerca sulla storia naturale del vaiolo non è conclusa:

    "Ora conosciamo l'evoluzione dei ceppi dal 1650, ma ancora

    non sappiamo quando il vaiolo fece la sua prima comparsa

    negli esseri umani, né da quale animale proviene.

    E non lo sappiamo perché  non abbiamo campioni storici

    ancora più antichi su cui lavorare."

     
     
     

    Confermata la presenza della malaria nell'Impero Romano

    Post n°2174 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

    fonte: Le Scienze

    Confermata la presenza della malaria nell'Impero Romano

    Confermata la presenza della malaria nell'Impero Romano

    La malaria trasmessa dal plasmodio della specie

     Plasmodium falciparum, responsabile della maggior

    parte delle infezioni e delle morti che avvengono oggi,

    era presente già nell'antica Roma.

    Lo dimostra una nuova analisi genetica dei resti di

    individui sepolti in tre cimiteri diversi, situati nelle

    attuali provincie di Roma, Salerno e Bari, e risalenti

    al I-III secolo d.C, confermando scientificamente le

    testimonianze storiche(red)

    storiaepidemiologiamicrobiologia

    La malaria è una malattia descritta nelle cronache fin

    dai tempi antichi. Le prime testimonianze risalgono

    ad alcuni testi babilonesi, e si fanno molto più precise

    nell'antica Grecia con i testi di Ippocrate (460 a.C.-370 a.C),

    che descrivono gli effetti di febbri intermittenti che si

    manifestavano con una frequenza di tre o quattro giorni,

    chiamate rispettivamente terzana e quartana.

    Per quanto riguarda l'Italia, fu il medico romano Galeno

    (130 d.C.-216 d.C.) a ipotizzare che la malattia venisse

    contratta respirando i miasmi delle zone con acque stagnanti

    e paludose, da cui l'etimo "mal'aria", che si rintraccia in varie

    forme e in varie regioni italiane a partire dal XV e XVI secolo.

    Confermata la presenza della malaria nell'Impero Romano

    Cranio conservato nel cimitero di Velia

    (Credit: Luca Bandioli/Museo Pigorini)

    Dunque, con tutta probabilità la malaria era endemica nella penisola.

    Ora però uno studio pubblicato sulla rivista "Current Biology" 

    da un gruppo di ricercatori della McMaster University in

    collaborazione con Luca Bandioli del Museo nazionale di

    preistoria ed etnografia "Luigi Pigorini" di Roma, ed Edward

    Holmes dell'Università di Sydney, in Australia, ha fornito le

    prove scientifiche della presenza della malattia in Italia durante

    l'Impero Romano, grazie all'analisi del DNA mitocondriale

    estratto da alcuni denti umani risalenti al I-III secolo d.C.

    Gli autori hanno raccolto campioni di denti di 58 adulti e

    10 bambini inumati in tre diversi cimiteri nel periodo imperiale

    : Isola Sacra, in provincia di Roma, Velia, in provincia di Salerno,

    e Vagnari, in provincia di Bari. Velia e Isola Sacra erano importanti

    porti e centri commerciali sulla costa, mentre Vagnari, situata in una

    zona rurale della Puglia, è nota come sito funerario.

    Dalla polpa dentale di due individui di Velia e Vagnari, in

    particolare, i ricercatori sono riusciti a estrarre il genoma 

    mitocondriale del plasmodio.

    I dati genetici confermano che la specie in questione era

    con tutta probabilità Plasmodium falciparum, la stessa

    responsabile ancora oggi della maggior parte delle attuali

    infezioni in tutto il mondo, in particolare nell'Africa

    sub-Sahariana.

    "La malaria è un patogeno che ebbe probabilmente una

    storia significativa nell'antica Roma, causando numerosi

    decessi", ha spiegato il genetista evoluzionista Hendrik

    Poinar, direttore dell'Ancient DNA Centre della McMaster

    University. "Le fonti scritte che descrivono febbri molto

    simili a quelle malariche nell'antica Grecia e nell'antica

    Roma sono numerose, ma finora non si è mai riusciti a

    chiarire quali specie di plasmodio fossero diffuse allora;

    questi risultati aprono nuovi interrogativi a cui occorre

    dare risposta, in particolare su quanto era diffuso il

    parassita e quale impatto ebbe sui popoli italici durante

    l'Impero Romano".

     
     
     

    La storia naturale della malaria nel Vecchio Continente

    Post n°2173 pubblicato il 06 Maggio 2019 da blogtecaolivelli

    fonte: Wikipedia

    27 settembre 2016

    La storia naturale della malaria nel Vecchio Continente

    La storia naturale della malaria nel Vecchio Continente

    L'analisi del DNA mitocondriale estratto

    da vecchi vetrini per microscopia rivela

    le origini dei ceppi europei della malaria,

    dichiarati estinti oltre mezzo secolo fa.

    Il ceppo europeo di P.falciparum proveniva

    dall'India e non dall'Africa, dove questo

    plasmodio è particolarmente diffuso, mentre

     P. vivax europeo è stato trasportato dall'Europa

    in America all'epoca di Colombo(red)

    geneticastoriaepidemiologia

    L'analisi genetica di campioni di sangue risalenti

    a oltre 70 anni fa ha permesso di ricostruire la

    storia naturale dei ceppi di malaria presenti in

    Europa prima della sua eradicazione, avvenuta

    circa mezzo secolo fa. Lo studio, realizzato da

    un gruppo internazionale diretto da Pere Gelabert

    dell'Universitè Pompeu Fabra a Barcellona, è 

    pubblicata sui "Proceedings of the National

    Academy of Sciences ".

    La malaria è provocata da alcune specie di

    protozoi del generePalsmodium, ma due sono

    quelli a cui si deve la stragrande maggioranza

    delle infezioni: P. falciparum, di gran lunga il più

    diffuso nell'Africa subsahariana e responsabile

    del 90 per cento dei decessi per questa patologia,

    P. vivax che predomina invece al di fuori del

    continente africano.

    La storia naturale della malaria nel Vecchio Continente

    In viola plasmodi di P. falciparum,

    (Cortesia Le Roch lab, UC Riverside)

    Finora si sapeva che la malaria un tempo

    presente in Europa era dovuta a queste

    due specie, ma la loro storia naturale - per

    esempio le vie seguite dai plasmodi per rag-

    giungere il nostro continente - non era nota,

    dato che i parassiti erano stati eradicati prima

    dello sviluppo delle tecniche di analisi genetica.

    Ora Gelabert e colleghi sono riusciti a

    estrarre del DNA mitocondriale da piccoli

    campioni di sangue di tre pazienti che

    avevano contratto la malaria lavorando nelle

    risaie del delta dell'Ebro.

    I campioni -  ricavati dai vetrini da microscopia

    conservati in una collezione privata - risalgono

    a un periodo compreso fra il 1942 e il 1944,

    una ventina di anni prima che la malattia fosse

    dichiarata eradicata in tutta la Spagna.

    I ricercatori sono riusciti a ricostruire il 67 per

    cento del genoma mitocondriale di P. vivax e

    l'intero genoma di P. falciparum.

    Dalle analisi condotte è risultato che il P.

    falciparum europeo era affine agli attuali ceppi

    indiani, in accordocon quanto si può desumere

    da resoconti storici secondo cui in India già

    3000 anni fa era diffusa una febbre intermit-

    tente con caratteristiche tipiche di una grave

    forma di malaria.

    Da lì la malattia sarebbe approdata in Grecia

    500 anni dopo, per poi dilagare in tutte le

    regioni costiere del Mediterraneo all'inizio

    dell'era cristiana.

    Il P. vivax europeo sembra invece discendere

    da un ceppo ancestrale eurasiatico, e sarebbe

    stato portato in America dagli europei poco

    dopo la sua scoperta da parte di Colombo.

    I ceppi americani di P. falciparumsarebbero

    invece giunti nel Nuovo Continente diretta-

    mente dall'Africa, molto probabilmente con

    la tratta degli schiavi.

     
     
     

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