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Messaggi di Luglio 2022

Le ultime della scienza

Post n°3489 pubblicato il 30 Luglio 2022 da blogtecaolivelli

Fonte: Home di Libero Scienze/Tecnica, articolo integrale.

Un suono emerge dalle viscere della Terra: si indaga sul "canto" dei vulcaniFonte foto: 123RFSCIENZA

Un suono emerge dalle viscere della Terra: si indaga sul "canto" dei vulcaniGli scienziati hanno analizzato il suono che viene prodotto dai vulcani in condizioni specifiche, e pensano di poterlo usare come campanello d'allarme

17 Luglio 202253 

A volte le scoperte scientifiche ci capitano tra le mani,

inaspettate, e i ricercatori devono mettersi a studiare perché 

quella determinata cosa è successa.

Altre volte invece una scoperta scientifica è frutto dell'analisi

e dello studio di fenomeni che a noi non sarebbe mai venuto

in mente di approdondire: è quello che è successo con il 

canto dei vulcani.

Una strana scoperta

Tutto inizia nelle Hawaii: nel nostro immaginario sono isole

dalla sabbia bianca e circondate da un mare azzurro, simbolo

della pace e della tranquillità.

Ma in realtà nelle Hawaii ci sono sei vulcani, anche se non

tutti sono stati attivi nel recente passato.

Il più giovane e il più attivo è il Kilauea, che nel 2008 ha

iniziato a eruttare. Come spesso succede in questi casi, sulla

cima della montagna si è formato un lago di lava, attivo.

Man mano che questo cratere si riempiva, pezzi di roccia

giganteschi vi cadevano dentro: davvero enormi, delle

dimensioni di un autobus.

A Leif Karlstrom, professore di Vulcanologia all'Università

dell'Oregon, negli Stati Uniti, è venuto in mente di registrare

il suono che facevano queste rocce cadendo nella lava.

Si è fatto aiutare dal suo dottorando Josh Crozier, e insieme

hanno analizzato centinaia di ore di registrato.

Queste rocce gigantesche infatti sono precipitate nel cratere

del vulcano più volte alla settimana per dieci anni.

I ricercatori hanno usato degli strumenti chiamati sismografi,

che sono stati posizionati intorno al cratere per registrare le

vibrazioni a bassa frequenza.

E a questo punto, l'idea geniale: cosa succederebbe se accelerassimo

le registrazioni? A domanda interessante, risposta interessante:

i vulcani emettevano una sorta di musica.

Cosa ci dice la musica dei vulcani

Questa non è una scoperta fine a se stessa: il suono emesso dai

vulcani può dirci molto sul futuro delle eruzioni, e su quali

saranno particolarmente violente. Infatti questa "musica" rivela

dettagli importanti sulla composizione della roccia fusa nelle

profondità del vulcano.

Secondo Karlstrom, il tipo di suono dipende dal numero di bolle

di gas presenti nella lava e nella roccia che si fonde.

È un esperimento che si può replicare a casa, facendo suonare

con un cucchiaino un bicchiere di acqua naturale e uno di acqua

gasata.

E le bolle d'aria sono anche il motore principale di un'eruzione vulcanica.

In base al suono che un vulcano emette possiamo capire quante

bolle contenga, e quindi quanto una sua futura eruzione abbia il

potenziale per diventare molto violenta.

Uno strumento che quindi sarebbe stato utile nel Permiano, quando ci fu

 un'estinzione molto violenta, i cui primi indiziati continuano a essere i

vulcani e le loro eruzioni.

Non succede sempre, e non tutti i vulcani producono la loro musica,

ma si tratta comunque di uno strumento importante.

In questo momento gli esperti, gli scienziati e i vulcanologi stanno

cercando di sviluppare tecniche che permettano loro di dare un'occhiata

al sistema idraulico di un vulcano durante un'eruzione, o nei momenti

prima.

Tutto questo serve per prevedere i rischi. Un altro strumento importante

che i ricercatori stanno testando per prevedere future eruzioni

particolarmente violente è questo supercomputer in grado di anticipare

il futuro.

 
 
 

Notizie dall'antichità.

Post n°3488 pubblicato il 29 Luglio 2022 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo integrale da Si viaggia

Scoperta importante: trovataun'antica città perduta

La fortezza di Rabana-Merquly sui monti Zagros potrebbe far parte dell'antica città reale Natounia, una scoperta eccezionale che riporta in luce epoche passate ma dal fascino ancora vivo

29 Luglio 2022 07:30

  • Scoperta sensazionale: trovati i resti di un'antica città perdutaFonte: 123rfVista dei Monti Zagros

Proprio come nei migliori film di avventura,

ecco che arriva una notizia a dir poco sensazionale.

La fortezza di Rabana-Merquly, risalente a circa 2000

anni fa e situata sui monti Zagros, nell'attuale

territorio del Kurdistan iracheno, potrebbe far parte

di una città a stampo reale fino ad ora perduta,

l'antica Natounia.

Una scoperta nata a seguito di uno studio condotto

da un gruppo di archeologici in un arco di tempo

compreso tra il 2009 e il 2022. E che, grazie agli

scavi compiuti e all'utilizzo delle fotografie scattate

dai droni, ha potuto riportare alla luce nuovi reperti

e catalogare il sito arrivando a questa eccezionale

conclusione.

La città di Natounia infatti, fino ad ora conosciuta

solo per il ritrovamento di alcune monete risalenti

al I secolo a.C., faceva parte dell'Impero dei Parti.

Una vera e propria potenza cultura e politica

insediata tra l'Iran e la Mesopotamia e presente

in questi luoghi circa 2000 anni fa. Ma di cui, fino a

oggi, non si avevano grandi testimonianze e informazioni.

Dai dati raccolti e dagli scavi eseguiti, si è visto

come la fortezza di pietra di Rabana-Merquly

comprenda anche una serie di fortificazioni lunghe

quasi 2,5 miglia (circa 4 chilometri), un complesso

religioso, due insediamenti più piccoli e rilievi

rupestri scolpiti e ritrovati all'ingresso della zona

mappata.

Rilievi che, di fatto, hanno aperto le porte a nuove

ipotesi e scoperte. Proprio questi, infatti, raffigurano

l'immagine di un re, lo stesso rappresentato su una

statua trovata in passato ad Hatra, un sito a circa

230 chilometri da quello di Rabana-Merquly.

Secondo i ricercatori questi rilievi sarebbero la

raffigurazione del fondatore della dinastia reale di

Adiabene.

Un regno molto antico della Mesopotamia settentrionale

e che a sua volta faceva parte dell'Impero dei Parti.

E questo lo si è capito da alcuni particolari delle incisioni,

come l'abito indossato dal re o il suo cappello.

Ma non solo.A rafforzare l'idea della reale importanza

della fortezza di Rabana-Merquly e dell'aderenza del

sito con la città di Natounia, poi, sono state anche le

monete già citate. Unica testimonianza in essere di un

luogo che sembrava scomparso.

Sempre secondo i ricercatori, infatti, le caratteristiche

dell'antica città perduta e tornata alla luce, coincidono

con quelle scoperte analizzando le monete già citate,

ricche di dettagli utili e la cui provenienza è riconducibile

proprio dall'antica Natounia, anche chiamata

Natounissarokerta.

Termine che sta a indicare appunto una fortezza.

Se questo non bastasse, tra gli altri ritrovamenti a cui

hanno preso parte studiosi e archeologi condotti dal

ricercatore dell'Università di Heidelberg, il dott. Michael

Brown, sono venute alla luce anche alcune caserme

militari e templi dedicati con molta probabilità alla

dea persiana "Anahita".

Ritrovamenti che vanno a rafforzare ancora di più la

fondatezza della scoperta.E che dimostrano come la

citta di Natounia e la sua fortezza, fossero tra i luoghi

più importanti dell'Impero, utilizzati con molta

probabilità come snodo di commerci e relazioni

diplomatiche.

E rimarcando, di fatto, la grande importanza avuta in

passato da una terra carica di testimonianze storiche,

civiltà complesse e fiorenti e che ancora oggi aspetta

di essere scoperta. Per riscostruire passo dopo passo

la storia dell'umanità tutta.

 
 
 

Dal Giappone

Post n°3487 pubblicato il 08 Luglio 2022 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

In pellegrinaggio sulle montagne Kii in Giappone

Un osservatore privilegiato scruta il Patrimonio mondiale

Uno scatto delle foreste del Monte OmineUno scatto delle foreste del Monte Omine

FRANCESCO BANDARIN | 25 giugno 2022  | Montagne Kii

Il sito sacro delle montagne Kii si trova nella regione centrale

del Giappone, nelle Prefetture di Nara, Wakayama e Mei, in

una zona che sovrasta l'Oceano Pacifico, caratterizzata da aspri

rilievi alti fino a 2mila metri, coperti da dense foreste pluviali

ricche di torrenti, fiumi e cascate.

Questo sito di grande bellezza, probabilmente venerato come

luogo sacro fin da epoca preistorica, è da oltre mille anni

un'importante meta di pellegrinaggio religioso, che ancora oggi

svolge un ruolo importantissimo nella vita spirituale del Giappone,

attirando non meno di 15 milioni di visitatori ogni anno.

A partire dal II e III secolo d.C., con l'introduzione della

coltivazione del riso in Giappone e lo sviluppo di insediamenti

nelle zone di pianura, la religione tradizionale Shinto, nella quale

gli elementi naturali come le montagne, le foreste e le rocce

erano venerati come divinità, ebbe un forte sviluppo, rafforzando

il legame tra la vita nelle città e la vita tradizionale nelle aree di

montagna.

Secondo la religione Shinto, gli dei delle montagne controllavano

l'acqua, essenziale per la crescita del riso, e l'oro, necessario per

lo sviluppo delle città.

Per questi motivi, si credeva che fosse stato un dio delle montagne

a guidare il primo imperatore nella costruzione della prima capitale,

Nara.

L'importazione del buddhismo dalla Cina e dalla Corea, attorno

alla metà del VI secolo, corrispose in Giappone a un cambiamento

del sistema di potere, che divenne molto più centralizzato e basato

su un sistema di leggi imposte dall'alto.

La religione tradizionale Shinto e il buddhismo si fusero in una

unica religione, il shinbutsu-shugo, promossa dal potere centrale

a partire dall'VIII secolo, che per oltre mille anni fu la religione

ufficiale del Paese.

Nel IX secolo le Montagne Kii divennero la sede di un movimento

religioso buddhista esoterico, la setta Shingon (Shingon-shu).

Nel X e XI secolo sorse un'altra setta buddhista, lo Shugendo,

che combinava elementi prebuddhisti, di buddhismo esoterico

(il Mikkyo) e anche taoisti di provenienza cinese, fondata sulla

ricerca di poteri soprannaturali attraverso pratiche di meditazione

nelle montagne.

A partire da questo periodo le Montagne Kii furono viste come una

«Terra Pura» dove si credeva che abitassero le divinità buddhiste

e dove avveniva la reincarnazione dei defunti.

In questa visione, il vicino Mare meridionale venne identificato

con il paradiso, chiamato Fudaraku-Jodo. Nel XII secolo, le

Montagne Kii furono ufficialmente designate come il principale

sito sacro in Giappone, e divennero meta di un vasto movimento

di pellegrini, che richiese la costruzione di numerosi itinerari,

sentieri, templi, santuari e ospizi.

La chiusura dei rapporti con la Cina avvenuta in quel periodo

permise lo sviluppo di pratiche rituali buddhiste tipicamente

giapponesi, sostenute da tutti i sovrani che si succedettero nel

corso della complessa vicenda storica del Giappone, che vide

il trasferimento della corte imperiale a Kyoto e successivament

e il suo indebolimento per una serie di lotte intestine (dal XIV

al XVI secolo) e infine la nascita del potere militare degli Shogun

con sede a Edo (l'odierna Tokyo).
Il tempio Kongobu con il suo giardino di rocceIl tempio Kongobu con il suo giardino di rocce
Quando, nel 1868, l'imperatore riprese il potere abolendo lo shogunato

e trasferendo la capitale a Tokyo, si decise la separazione delle due

religioni, con la proibizione di rituali comuni e la rimozione delle

statue del Buddha dai santuari Shinto. Nonostante questo, e grazie

al grande sostegno popolare, i santuari delle Montagne Kii

sopravvissero nelle forme tradizionali.

Il sito, iscritto nel 2004 nella Lista del Patrimonio mondiale, è

costituito da tre principali luoghi sacri: Yoshino e Omine, Kumano

Sanzan e Koya-san e dalla rete di itinerari di pellegrinaggio

costruita nel corso dei secoli nelle montagne.

Lungo ognuno di questi itinerari si incontrano elaborate

architetture tradizionali, con templi, statue, stupa, costruiti in legno,

che vengono continuamente ricostruiti nel tempo. Il sito di Yoshino

e Omine, situato nella parte più settentrionale dell'area, è il luogo

sacro dello Shugendo, i cui seguaci, chiamati «yamabushi»

(monaci delle montagne), vivono ritirati in eremi, isolati dal

mondo, nelle foreste del Monte Omine.

Il tempio principale è lo Kinpusen-ji conosciuto nella storia

giapponese per la visita che gli rese nel 1594 il celebre samurai

Toyotomi Hideyoshi (1536-98), il «daimyo» (signore feudale

) considerato come il secondo grande «unificatore» del Giappone

, e per i rituali di confessione dei peccati che vi si svolgono.

Kumano Sanzan è il nome di una serie di santuari situati nel

sudest della penisola Kii (il Santuario Hongu Taisha a Kumano),

chiamati «Sohonsha», che distano 30-40 chilometri tra di loro

e sono collegati da itinerari costruiti nella foresta, conosciuti

come Kumano Kodo. Il monte Koya (Koya-san) è il quartier

generale della setta buddhista Shingon.

La cittadina sviluppatasi attorno al monastero, Koya,

conosciuta per i suoi 120 templi, è il luogo di origine dell'itinerario

di pellegrinaggio Shikoku, che interessa 88 santuari nell'isola

omonima. A Koya, il tempio più famoso è il Kongobu-ji, costruito

dal monaco buddhista Kukai (774-835) nell'anno 816, che ha il

più grande «banryutei» (giardino di rocce) del Giappone, con oltre

140 rocce di granito disposte in modo da sembrare dragoni che

proteggono il tempio.

© Riproduzione riservataALTRI ARTICOLI DI FRANCESCO BANDARIN

 
 
 

Notizie dall'antichità.

Post n°3486 pubblicato il 08 Luglio 2022 da blogtecaolivelli

Fonte: Il giornale dell'arte, Internet

Spina etrusca, crocevia di culture del MediterraneoLe celebrazioni per il centenario del ritrovamento dell'antica città, che continua a offrire prospettive anche in relazione a temi attuali, come il rapporto tra cultura e ambiente e la salvaguardia del patrimonio

Un reperto dal Museo Delta Antico di Comacchio. Foto Matteo MangheriniUn reperto dal Museo Delta Antico di Comacchio. Foto Matteo Mangherini

VALERIA TASSINARI | 4 luglio 2022  | Comacchio

 Eco raffinata della grande Atene, potenza commerciale
del mare Adriatico, crocevia di culture del mondo
mediterraneo, tesoro di rara ricchezza: questo era
l'antica Spina etrusca, una città potente, dimenticata
per secoli e inaspettatamente ritrovata in un territorio
«marginale» del ferrarese, in un'area valliva che,
esattamente un secolo fa, quasi inaspettatamente
scopriva di essere di grande importanza per l'archeologia
italiana.


Sulla fine del IV secolo a.C., con la calata delle popolazioni

celtiche, l'espansione di Siracusa e il tramonto dell'influenza

greca, la città inizia il suo declino e l'insediamento etrusco

cade nell'oblio, mentre i mutamenti geomorfologici trasformano

il paesaggio deltizio, finché se ne perde ogni riferimento.

La vicenda del suo ritrovamento inizia nel 1922 con l'avvio

delle bonifiche del territorio vallivo comacchiese, quando

nell'area di Valle Trebba si scopre la prima tomba della necropoli.

Un'avventura che porta alla scoperta di oltre 4mila tombe e

che culmina nel 1956 con il ritrovamento del sito dell'antico

abitato, sul quale ancora oggi sono in corso indagini.

Iniziano dunque proprio a Comacchio, tra i canali e gli scorci

della pittoresca città dei pescatori, le celebrazioni di un centenario

identitario e profondamente sentito, promosso dal Ministero

della Cultura e dalla Direzione Generale Musei, che si articolerà

in una serie di iniziative editoriali, convegni ed esposizioni.

«Spina 100. Dal mito alla scoperta» è infatti la prima di una

serie di tre mostre (le prossime saranno al Museo Archeologico

Nazionale di Ferrara, tra dicembre 2022 e aprile 2023, e al

Museo di Villa Giulia a Roma, nella primavera 2023), intorno

alle quali si concentreranno per un anno le narrazioni di questa

storia affascinante, che continua a offrire prospettive di sviluppo

anche in relazione a temi attuali, come il rapporto tra cultura e

ambiente e la salvaguardia del patrimonio.

Coinvolgente il percorso espositivo, una sequenza di ambienti

che accompagna la visita dell'antica città etrusca e del suo prezioso

tesoro, tra cui spicca una grande varietà di corredi vascolari.

Un suggestivo viaggio nel tempo alla scoperta delle origini

di un mito, coordinato da un nutrito comitato scientifico e da

Caterina Cornelio Cassai, direttrice del Museo Delta Antico

di Comacchio.

© Riproduzione riservata

 
 
 

Ultime notizie dalla Svizzera.

Post n°3485 pubblicato il 08 Luglio 2022 da blogtecaolivelli

Fonte:  Rivista Archeologia, Internet
  1. Archeologia 
  2. Svizzera, scoperto un allineamento di 13 menhir
  3.  nel Canton Vallese: "Straordinario e raro"
Svizzera, scoperto un allineamento di 13 menhir nel Canton Vallese: "Straordinario e raro"

di Redazione , scritto il 12/08/2021, 11:32:29
Categorie: Archeologia
 In Svizzera, nel Canton Vallese, è stato scoperto un

allineamento di 13 menhir definito "straordinario e raro"

da un esperto dell'Ufficio Archeologico Cantonale.

Un'équipe di archeologi al lavoro per l'Ufficio Archeologico

del Canton Vallese (Svizzera) ha scoperto, nel corso di

uno scavo preventivo per una costruzione nel comune di 

Saint-Léonard, in località Les Fougains, un allineamento

di 13 menhir di medie dimensioni (sono alti poco più di

un metro), che potrebbero risalire all'età del Bronzo oppure

al Neolitico (al momento sono in corso le datazioni al

carbonio-14 per avere informazioni più precise).

I menhir sono grandi pietre che venivano issate in

verticale dalle popolazioni antiche che vissero durante

il Neolitico: potevano essere eretti singolarmente o in gruppo

ed erano utilizzati per scopi religiosi.

Si tratta di una scoperta eccezionale per il territorio,

perché l'ultimo rinvenimento simile nel Canton Vallese

risale al 1964, quando nel capoluogo cantonale Sion fu

scoperto un sito, detto Le Petit-Chasseur, dove furono

rinvenuti tre dolmen.

Il Comune di Saint-Léonard intanto fa sapere che, terminata

la fase di studio, verrà avviata una discussione su come

valorizzare il ritrovamento.

"In regione ci sono molte tracce del Neolitico", ha dichiarato

al quotidiano Le Figaro l'archeologo François Mariéthoz 

dell'Ufficio Archeologico del Canton Vallese.

"Centri abitati, tombe, ceramiche... dal neolitico medio fino

al tardo neolitico, in questa regione della Svizzera c'è stata

molta attività".

Saint-Léonard ricade nel territorio che afferisce a quella

che gli archeologi identificano come la cultura neolitica

di Cortaillod, che interessò la Svizzera centrale e occidentale

e l'alta Savoia tra il V e il IV millennio a.C., e di conseguenza,

afferma Mariéthoz, il ritrovamento dei menhir non costituisce

"una vera sorpresa", malgrado sia "straordinario e molto raro".

I menhir di Saint-Léonard si trovano disposti in fila lungo

 una linea retta, e gli studiosi dovranno ora cercare anche

di chiarire scopo e significato di questo allineamento, che secondo

Mariéthoz "potrebbe avere legami con le sepolture scoperte nel

circondario.

Potrebbe avere un ruolo sociale o religioso, e servire da marcatore

tra territori immaginari o reali.

Per esempio, potrebbe rappresentare la frontiera tra i morti e i vivi,

oppure tra la terra e l'acqua". Una datazione più precisa potrebbe

aiutare a chiarire le idee.

 
 
 

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