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Messaggi del 04/04/2019

Decifrare l'enigmatico codice del cervello

Post n°2085 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze
29 dicembre 2017

Decifrare l'enigmatico codice del cervello

Alcuni neuroscienziati stanno sfruttando

tecniche usate nella crittografia per

decodificare i segnali che permettono

al cervello di muovere gli arti.

Il loro obiettivo è arrivare a protesi neurali

sempre più efficientidi Helen Shen/Scientific American

neuroscienzecomputer science

I dispositivi protesici controllati dal cervello

potrebbero potenzialmente migliorare la

vita delle persone con mobilità limitata a

causa di lesioni o malattie.

Per guidare queste interfacce cervello-

computer, i neuroscienziati hanno sviluppato

una varietà di algoritmi che decodificano

i pensieri relativi al movimento in modo

sempre più accurato e preciso.

Ora i ricercatori stanno ampliando la

loro cassetta degli attrezzi prendendo

in prestito tecniche dal mondo della

crittografia per decodificare i segnali

neurali e tradurli in movimenti.

Durante la seconda guerra mondiale,

gli addetti alla decodifica dei codici hanno

decifrato il codice tedesco Enigma sfruttando

la conoscenza di schemi presenti nei

messaggi crittografati.

Questi schemi includevano le tipiche

frequenze e distribuzioni di certe lettere

e parole nel testo.

Sapendo qualcosa su quello che ci si

aspettava di leggere, l'informatico britannico

Alan Turing e i suoi colleghi erano riusciti a

trovare la chiave per tradurre il codice in

un linguaggio comprensibile.

Anche molti movimenti umani, come camminare

o stendere un braccio per afferrare qualcosa,

seguono schemi prevedibili.

La posizione dell'arto, la velocità e molte

altre caratteristiche del movimento tendono

a combinarsi in modo ordinato.

Pensando a questa regolarità, Eva Dyer,

neuroscienziata del Georgia Institute of Technology,

ha deciso di testare nell'ambito della

decodifica neurale una strategia ispirata

alla crittografia. Con i suoi colleghi, ha

pubblicato i risultati di un recente studio

su "Nature Biomedical Engineering".

"Avevo già sentito parlare di questo

approccio, ma questo è uno dei primi studi

a essere pubblicato", dice Nicholas Hatsopoulos,

neuroscienziato dell'Università di Chicago,

che non è stato coinvolto nel lavoro.

"È piuttosto insolito".

Le attuali interfacce cervello-computer

usano i cosiddetti "decodificatori supervisionati"

(supervised decoders).

Questi algoritmi si basano su un'informazione

dettagliata che è ottenuta momento per

momento e che riguarda il movimento, per

esempio posizione e velocità degli arti;

questa informazione è registrata mentre

si registra l'attività neurale.

Raccogliere questi dati può essere un processo

laborioso e dispendioso in termini di tempo.

In seguito, l'informazione è usata per addestrare

il decodificatore a tradurre gli schemi neurali nei

movimenti corrispondenti.

In termini di crittografia, sarebbe come confrontare

un certo numero di messaggi già decrittati con le

loro versioni criptate per decodificare la chiave.

Decifrare l'enigmatico codice del cervello

Blend Images / AGAl contrario, il gruppo di Dyer ha

cercato di prevedere i movimenti usando solo i

messaggi criptati (l'attività neurale) e una

comprensione generale dei modelli che emergono

in determinati movimenti.

Il gruppo ha addestrato tre macachi a stendere

il braccio o piegare il polso per guidare un cursore

su bersagli disposti attorno a un punto centrale.

Allo stesso tempo, i ricercatori hanno usato

schiere di elettrodi per registrare l'attività di

circa 100 neuroni nella corteccia motoria, una

regione del cervello cruciale per il controllo

del movimento, di ogni scimmia.

Nel corso di molte prove sperimentali, i

ricercatori hanno ottenuto statistiche sui

movimenti di ciascun animale, come la velocità

orizzontale e verticale. Un buon decodificatore,

dice Dyer, dovrebbe trovare schemi sepolti

nell'attività neurale che, come in una mappa,

corrispondono a schemi visti nei movimenti.

Per trovare il loro algoritmo di decodifica,

i ricercatori hanno effettuato un'analisi

sull'attività neurale per estrarre e snellire

la sua struttura matematica principale.

Poi hanno testato un gran numero di modelli

computazionali per trovare quello che

allineava maggiormente gli schemi neurali

agli schemi di movimento.

Quando i ricercatori hanno usato il loro

modello migliore per decodificare l'attività

neurale da prove individuali, sono stati in

grado di prevedere i movimenti reali degli

animali come nel caso di alcuni decodificatori

supervisionati di base.

"È un risultato molto interessante",

afferma Jonathan Kao, neuroscienziato

computazionale dell'Università della California

a Los Angeles, che non è stato coinvolto nello

studio. "In passato avrei pensato che avere

l'informazione momento per momento della

precisa estensione del braccio, conoscendo

la velocità in ogni momento, avrebbe

permesso di costruire un decodificatore migliore

di quello ricavato dalle statistiche complessive

del movimento".

Poiché il decodificatore di Dyer richiedeva

solo statistiche generali sui movimenti, che

tendono a essere simili tra gli animali o tra l

e persone, i ricercatori hanno anche potuto

usare schemi di movimento di una scimmia

per decifrare i dati neurali di un'altra scimmia,

cosa che non è possibile fare con decodificatori

supervisionati tradizionali. In linea di principio,

vuol dire che gli scienziati potrebbero ridurre

tempo e sforzi necessari per raccogliere dati

di movimento dettagliati. Invece, potrebbero

acquisire le informazioni una sola volta e

usarle di nuovo oppure distribuirle per

addestrare le interfacce cervello-computer

in molti animali o persone.

"Potrebbe essere molto utile sia per la comunità

scientifica che per quella medica", dice Hatsopoulos.

Dyer definisce il suo lavoro una dimostrazione

di fattibilità per l'impiego di strategie crittografiche

nella decodifica dell'attività neurale, inoltre la

neuroscienziata osserva che c'è ancora molto

lavoro da fare prima di poter usare questo

metodo in modo esteso.

"Rispetto ai decodificatori di ultima generazione,

questo non è ancora un metodo competitivo",

afferma. L'algoritmo potrebbe essere migliorato

inviando segnali da un numero ancora più

grande di neuroni, oppure fornendo ulteriori

caratteristiche note dei movimenti, come la

tendenza degli animali a fare movimenti fluidi.

Per essere utile a guidare i dispositivi protesici,

l'approccio dovrebbe anche essere adattato

a decodificare i movimenti più complessi e

naturali, un compito non banale. "Abbiamo

solo scalfito la superficie", dice Dyer.

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato

su Scientific American il 27 dicembre 2017.

Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti

riservati.)

 
 
 

Herzog di Saul Bellow

Post n°2084 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Risorse della Biblioteca Scolastica

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Titolo originale

Herzog

Autore

Saul Bellow

1ª ed. originale

1964

1ª ed. italiana

1965

Genere

romanzo

Sottogenere

romanzo epistolare

Lingua originale

inglese

Ambientazione

Stati Uniti, seconda metà del XX secolo

Personaggi

Moses Herzog

Herzog è un romanzo di Saul Bellow, pubblicato

nel 1964. È un romanzo astruttura epistolare,

dove le lettere scritte dal protagonista

costituiscono gran parte del testo.

Il romanzo ha vinto il National Book Award 

nel 1965. La rivista TIME ha incluso il romanzo

nella lista dei 100 migliori romanzi in lingua

inglese dal 1923 al 2005

Trama

Ambientato negli Stati Uniti del secondo

dopoguerraHerzog è un romanzo sulla crisi

di mezza età di un intellettuale ebreo, Moses

E. Herzog, che ha appena divorziato per la

seconda volta (un divorzio particolarmente

difficile). Ha due figli, uno con la prima moglie

e uno con la seconda, che stanno crescendo

senza la sua presenza.

La sua carriera di scrittore e di accademico è

in una fase di stallo. Herzog ha una relazione

con Ramona, una donna molto sensuale con cui,

però, non vuole impegnarsi.

Il secondo matrimonio di Herzog, quello con

l'esigente e manipolatrice Madeleine, si è appena

concluso in modo umiliante. Madeleine ha convinto

Moses a far trasferire lei e la loro figlia Junie a

Chicago, e a fare in modo che anche i loro migliori

amici, Valentine e Phoebe Gersbach, si trasferissero

là, dopo aver procurato un buon lavoro a Valentine.

Ma era tutta un'astuta manovra, perché Madeleine

e Valentine hanno una tresca e, subito dopo il

trasferimento a Chicago, Madeleine lascia Herzog,

ottiene un ordine restrittivo contro di lui e cerca di

farlo internare in un ospedale psichiatrico.

Herzog passa il tempo scrivendo lettere che poi

non invia. Le lettere sono indirizzate ad amici,

familiari e personaggi famosi.

I destinatari possono essere persone non più in

vita, e spesso sono persone che Herzog non ha

mai incontrato.

L'unico elemento comune delle lettere è che

Herzog esprime costantemente la sua delusione,

o per i suoi fallimenti o per i fallimenti degli altri o

per le parole dette dagli altri; altre volte Herzog

chiede scusa per il modo in cui egli stesso ha deluso

gli altri.

All'inizio del romanzo, Herzog si trova nella sua

casa di Ludeyville, una città nelle Berkshires, nel

 Massachusetts occidentale. Sta pensando di

tornare a New York per vedere Ramona, ma poi

invece si reca a Martha's Vineyard, per visitare

degli amici. Arriva alla loro casa, ma là scrive un

biglietto - un biglietto reale, stavolta - dove dice

che deve partire:

Va a New York per tentare di fare quelle cose,

tra cui riottenere la custodia della figlia, Junie.

Dopo aver trascorso la notte con Ramona, va in

tribunale per incontrare il suo avvocato e discutere

i suoi piani, e finisce con l'assistere a una serie di

tragicomiche udienze, come quella in cui una donna

è accusata di aver ucciso il suo bambino di tre anni

scaraventandolo contro il muro.

Moses, già sconvolto per aver ricevuto una lettera

dalla baby-sitter di Junie che parla di un incidente

in cui Valentine ha chiuso a chiave Junie nella

macchina mentre lui e Madeleine litigavano in

casa, va a Chicago. Va a casa della sua matrigna

e prende una pistola antica, caricata con due

proiettili, e progetta confusamente di uccidere

Madeleine e Valentine, e poi fuggire con Junie.

Il piano va in fumo perché Herzog vede Valentine

che fa il bagno a Junie e si rende conto che Junie

non è in pericolo.

Il giorno seguente, dopo aver portato la figlia

all'acquario, Herzog rimane coinvolto in un incidente

stradale e alla fine è accusato di possesso di

arma carica. Suo fratello, il freddo e razionale

Will, cerca di farlo tornare alla realtà. Herzog

va a Ludeyville, incontra suo fratello, il quale

cerca di convincerlo a farsi ricoverare in una

clinica. Ma Herzog, che in precedenza aveva

preso in considerazione questa possibilità, sta

riconciliandosi con la vita. Ramona lo raggiunge

per passare la notte insieme - con grande sorpresa

di Will - e Herzog comincia a fare progetti per

restaurare la casa che, come la sua vita, pur

bisognosa di essere riparata, ha una struttura

solida. Herzog conclude dicendo che non ha più

bisogno di scrivere lettere.

Numerosi flashback nel corso del romanzo rivelano

dettagli cruciali della vita di Herzog, tra cui il

matrimonio con la solida Daisy e l'esistenza del loro

figlio, Marco, la vita del padre di Herzog, un fallito

in ogni lavoro che cominciava, e le molestie sessuali

 subite da Herzog su una strada di Chicago da

parte di uno sconosciuto.

Stile

La bellezza del romanzo sta nell'analisi

profonda della mente di Herzog.

Nello stile tipico di Bellow, la descrizione delle

emozioni dei personaggi e delle caratteristiche

fisiche sono ricche di spirito e di energia.

Le relazioni di Herzog sono il tema centrale del

romanzo: non solo le donne e gli amici, ma

anche la società e lui stesso. I pensieri di Herzog

e i suoi processi mentali vengono messe a nudo

nelle lettere che scrive. Via via che il romanzo

si svolge, le lettere (scritte in corsivo nel libro)

diventano sempre meno frequenti.

Questo sembra rispecchiare la guarigione della

mente del narratore, mentre la sua mente si

distoglie dalla sua lotta interiore e si volge

alle opzioni offerte dalla sua situazione attuale 

- non dover essere uno studioso, la possibilità

di un nuovo inizio con Ramona, e così via.

In altre parole, il chiarimento psicologico che

sta verificandosi a livello di contenuto si riflette

stilisticamente nello spostamento da una struttura

prevalentemente epistolare a una struttura

narrativa organizzata in modo più lineare.

TemiLa ricerca dell'identità

Herzog passa la maggior parte del tempo ad

angosciarsi per quello che lui non è - un buon

marito, un buon padre, un accademico di successo.

Herzog definisce se stesso in questi termini,

piuttosto che accettarsi e definire se stesso in

termini positivi. Alla fine del romanzo Herzog

comincia a mostrare i segni di questa

trasformazione:

È importante anche notare che il nome del

personaggio, Moses E. Herzog, è tratto da un

personaggio minore dell'Ulisse di Joyce.

Il fallimento della filosofia

Herzog pensa che la vita, con la sua accettazione

del materialismo e delle sue vittime, sia umiliante.

Lui ha rinunciato a un matrimonio stabile con la sua

prima moglie (Daisy) perché era monotono e

alienante, ma alla fine del secondo matrimonio si era

trovato isolato e ingannato. Le lettere e i pensieri

di Herzog rivelano che ha letto i più grandi filosofi,

ma li trova tutti inutili, compresi Freud e Nietzsche,

e nelle lettere spiega in che cosa le loro idee lo

hanno deluso. La visione del mondo di Herzog è

più ottimistica:

Elementi autobiografici

Il personaggio di Herzog rispecchia in molti aspetti

un Saul Bellow romanzato. Alcune similitudini

tra Herzog e Bellow:

Entrambi sono cresciuti in Canada.

Entrambi sono ebrei.

Entrambi hanno genitori emigrati dalla 

Russia (San Pietroburgo).

Entrambi hanno vissuto a lungo a 

Chicago.

Entrambi hanno divorziato due volte

(all'epoca della scrittura del romanzo; Bellow,

in seguito, avrebbe collezionato divorzi da

quattro delle sue cinque mogli).

Entrambi avevano il padre contrabbandiere

di alcolici.

Il personaggio di Valentine Gersbach è ispirato

a Jack Ludwig, un vecchio amico di Bellow che

aveva una relazione con la seconda moglie

di Bellow, Sondra

 
 
 

eventicomunicazione della scienzafilosofia

Post n°2083 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

Dal 9 al 12 aprile si tiene a Foligno la nuova

edizione della Festa di Scienza e di Filosofia, i

l cui filo conduttore di quest'anno è la scienza

come strumento per capire come sta cambiando

il mondo. Oltre 70 i relatori i relatori previsti per

quattro giornate di incontri destinati a "studiare

il presente e guardare al futuro con l'ottimismo

del sapere"di Marco Boscolo

"Mi interessa molto il futuro: è lì che passerò il

resto della mia vita": è una citazione che viene

attribuita a vari personaggi, dal comico Groucho

Marx all'inventore Charles Kettering, direttore

della ricerca di General Motors tra il 1920 e il 1947.

Con tutti i limiti della battuta di spirito, la frase

coglie un aspetto ineluttabile del futuro:

è determinato dal presente.

E in questo presente gli strumenti in mano alla

scienza sono i più potenti che abbiamo a

disposizione per capire come sta cambiando

e cambierà il mondo in cui viviamo, dagli aspetti

della produzione industriale a come ci spostiamo,

da come e cosa mangiamo ai mezzi per

comunicare, dalle cure che la medicina ci mette

a disposizione alle cose che possiamo e

potremo comperare. 

È a questo incrocio che è dedicata la quinta

edizione della Festa di Scienza e di Filosofia 

organizzata da Laboratorio di scienze

sperimentali e comune di Foligno.

La città umbra ospita oltre 70 relatori che

nell'arco di quattro giornate esploreranno

altrettanti aspetti del futuro: il vero e il falso

nella comunicazione della scienza, il rapporto

tra cervello e mente, la "divisione" tra le due

culture (umanistica e scientifica) e il ruolo

della scienza nella costruzione di un futuro

pacifico. 

Plasmare il futuro con i saperi

Cortesia: Festa di Scienza e Filosofia

Dal programma si segnalano gli interventi

di Lucia Votano sulla ricerca dei neutrini, di

Roberto Battiston sull'esplorazione spaziale

e di Guido Barbujani sulle radici di Homo sapiens.

Ancora, l'esplorazione delle componenti del

rischio spiegata da Simona Morini, il contributo

pacifista di Albert Einstein raccontato da Pietro

Greco e il "dialogo tra un umanista e uno

scienziato" con Tullio De Mauro e Carlo Bernardini. 

Che cos'è la verità è il titolo della conferenza

di Piergiorgio Odifreddi, mentre Giulio Giorello

parlerà della scienza come modello di cultura

democratica e Maria Chiara Carrozza dei rapporti

tra scienza e politica in Italia.

E, come è tradizione della manifestazione, oltre

ai grandi nomi e agli intellettuali più famosi, in

programma ci sono anche ricercatori, insegnanti e

giornalisti che questi futuri stanno contribuendo a

costruirli e raccontarli. 

Accanto al programma principale, non mancano

laboratori e attività per i giovani, come il progetto

degli Ambasciatori della Festa, che coinvolge nella

gestione dell'evento ragazzi delle scuole secondarie

e studenti universitari.

 
 
 

Un mondo senza libero arbitrio

Post n°2082 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

 

04 gennaio 2014

Dieci errori concettuali in materia di libero arbitrio

Lo abbiamo o non lo abbiamo?

Il post di John Horgan sul libero arbitrio - un

concetto da sempre al centro di polemiche  -

ha riaperto la discussione.

La risposta positiva e ottimistica di Horgan,

per esempio, non ha convinto la fisica teorica

Sabine Hossenfelder.

Che spiega perché l'esistenza del libero

arbitrio è incompatibile con le nostre attuali

conoscenze della natura.

E perché il timore che la sua assenza apra

le porte a una deresponsabilizzazione

morale delle persone è infondato, e si basa

su una serie di errori concettualidi Sabine

Hossenfelder

filosofiaeticafisica teorica

Quando qualcuno parla di una "domanda

a cui la scienza non può rispondere", ciò

che intende realmente è una domanda

per cui non vuole una risposta.

E' vero, la scienza può essere molto

irriverente verso le convinzioni delle

persone.

Ma mentre sono disposta ad accettare

il desiderio di credere anziché di sapere,

mi arrabbio se qualcuno spaccia i propri

desideri per un argomento reale.

"Gli esseri umani hanno il libero arbitrio?"

è una domanda che mi interessa

profondamente.

E' al centro del nostro modo di comprendere

noi stessi e di organizzare il nostro vivere

insieme.

E ha anche un ruolo centrale per i

fondamenti della meccanica quantistica.

Nei più reconditi recessi del mio animo,

sono convinta che non stiamo facendo

alcun progresso nella gravità quantistica

perché i fisici non sono capaci di

abbandonare la loro fede nel libero

arbitrio.

E dai fondamenti della meccanica

quantistica questo freno si ripercuote

fino alle neuroscienze e alla politica.

Sì, ho appena accusato la mancanza

di una discussione razionale sul libero

arbitrio della maggior parte dei problemi

dell'umanità, gravità quantistica inclusa.

A quanto pare, suggerire che il libero

arbitrio non esiste è in grado di sconvolgere

anche nel XXI secolo.

Non bisogna farlo, perché si presuppone

che dirlo basti a rendere immorali gli altri.

Già la percepite? L'immoralità che dal mio

blog penetra nelle vostre vene? Avete

paura di continuare a leggere? 

Non c'è ragione di preoccuparsi. 

Questi timori nascono da un fraintendimento

su ciò che vuol dire non avere il libero

arbitrio. In questo post affronto gli errori

concettuali più comuni, ma prima lasciatemi

spiegare perché, stando alle migliori

conoscenze attuali delle leggi della natura,

non abbiamo il libero arbitrio.

Partiamo dai fatti.

Fatto 1: Tutto nell'universo, compresi noi

e il nostro cervello, è costituito da particelle

elementari.

Quello che fanno queste particelle è descritto

dalle leggi fondamentali della fisica.

Tutto il resto, in linea di principio, deriva da

questo.

Ne consegue che, per quanto poco pratico,

in linea di principio si può descrivere, per

esempio, l'anatomia umana in termini di quark

ed elettroni. Gli scienziati delle altre discipline

usano però componenti più grandi e cercano

di descriverne il comportamento.

L'utilità pratica del ricorso a scale, variabili e

componenti sempre più grandi -

e la precisione approssimativa di tale procedura

- si chiama "emergenza"

In linea di principio, però, tutte queste

proprietà derivano dalla descrizione

fondamentale. Questo è ciò che viene

definitoriduzionismo.

L'idea che le proprietà emergenti dei grandi

sistemi non derivino dalla descrizione

fondamentale si chiama "emergenza forte".

Ad alcuni piace affermare che, solo perché

un sistema (per esempio il cervello) è

costituito da molte componenti, è in qualche

modo esente dal riduzionismo e che qualcosa

(il libero arbitrio) "emerge in modo forte".

Ma il fatto è che non esiste un solo esempio

noto di un simile evento, né esiste alcuna

teoria - neppure una non sperimentata -

su come può funzionare una simile

"emergenza forte". E' del tutto irrilevante

che il sistema sia caratterizzato da aggettivi

come aperto, caotico, complesso o

consapevole. Si tratta sempre solo di un

numero molto grande di particelle che

obbediscono alle leggi fondamentali della

natura. Allo stato attuale, credere

nell'emergenza forte si colloca sullo stesso

livello intellettuale del credere in un'anima

immortale o nella percezione extrasensoriale.

e le leggi fondamentali conosciute della

natura sono o deterministiche o casuali.

Per quanto ne sappiamo attualmente,

l'universo si evolve grazie a una miscela

di entrambe, ma quali siano le esatte

proporzioni della miscela non sembra

rilevante per quanto segue.

Detto ciò, devo spiegare cosa intendo

esattamente per assenza del libero arbitrio:

a) Se le tue decisioni future sono determinate

dal passato, non hai il libero arbitrio.

b) Se le tue decisioni future sono casuali,

significa che nulla le può influenzare, e

quindi non hai il libero arbitrio.

c) Se le tue decisioni sono una qualsiasi

combinazione di a) e b), non hai il libero

arbitrio.

In quanto precede, si può leggere "tu"

come "qualsiasi sottosistema dell'universo",

i dettagli non contano.

Dal Fatto 1 e dal Fatto 2 segue direttamente

che - secondo la definizione di mancanza di

libero arbitrio in a), b), c) - il libero arbitrio è

incompatibile con ciò che  conosciamo

attualmente della natura.

Ammetto che ci sono altri modi per definire

il libero arbitrio. Alcuni, per esempio, vogliono

chiamare "libera" una scelta se nessun altro

avrebbe potuto prevederla, ma per quello

che mi riguarda questo è solo pseudo-libero

arbitrio.

Vero! Non ho parlato di neurobiologia, di

coscienza, di subconscio o di persone che

premono pulsanti. Non mi serve.

Perché il libero arbitrio esista, è necessario

che sia consentito dalle leggi fondamentali

della fisica.

E' necessario, ma non sufficiente: se si

potesse rendere il libero arbitrio compatibile

con le leggi della fisica, sarebbe ancora

possibile che la neurobiologia trovi che

il nostro cervello non è in grado di usare

quell'opzione. La fisica non può dire che

il libero arbitrio esiste, ma può dire che

non esiste. Ed è quello che ho appena

detto.

Si noti che non affermo che non esiste

l'emergenza forte, né che una legge

fondamentale deve essere una combinazione

di determinismo e casualità.

Quello che sto dicendo è che se si vuole

sostenere che il libero arbitrio esiste (o che

si può sfuggire a determinismo e casualità)

perché l'emergenza forte funziona, allora

voglio vedere un esempio di come

dovrebbe funzionare.

Ed ecco i principali equivoci in materia di

libero arbitrio.

1. Se non hai il libero arbitrio, non puoi o

non devi prendere decisioni.

Indipendentemente dal fatto che tu abbia o

meno il libero arbitrio, il tuo cervello esegue

valutazioni e produce risultati, e questo è

ciò che significa "prendere una decisione".

Non si può non prendere decisioni.

Il fatto che i tuoi processi mentali siano

deterministici non comporta che non

debbano essere eseguiti in tempo reale.

Lo stesso vale anche se hanno una

componente casuale.

Questo equivoco nasce da una concezione

"divisa" della personalità: le persone immaginano

se stesse come se, nel cercare di prendere

una decisione, fossero ostacolate di qualche

malvagia legge di natura che sfida il libero

arbitrio.

Questo naturalmente non ha senso.

Tu sei qualsivoglia processo cerebrale che

funzioni con qualsivoglia input che riceve.

Se non hai libero arbitrio, non l'hai mai

avuto, e finora te la sei cavata bene.

Puoi continuare a pensare nello stesso

modo in cui hai sempre pensato.

Lo faresti comunque.

 
 
 

Il gabbiano Jonathan Livingston

Post n°2081 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Risorse della biblioteca scolastica

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Autore

Richard Bach

1ª ed. originale

1970

Genere

romanzo

Sottogenere

fiaba

Lingua originale

inglese

Il gabbiano Jonathan Livingston 

(Jonathan Livingston Seagull1970) è un celebre

 romanzo breve di Richard BachBest seller in

molti paesi del mondo negli anni settanta,

diventato per molti un vero e proprio cult

Jonathan Livingston è essenzialmente una 

fiaba a contenuto morale e spirituale.

Lametafora principale del libro, ovvero il

percorso di autoperfezionamento delgabbiano 

che impara a volare/vivere attraverso

l'abnegazione, il sacrificio e la gioia di farlo

è stata letta da diverse generazioni secondo

diverse prospettiveideologiche, dal cattolicesimo

 al pensiero positivo, l'anarchismo cristiano e

laNew Age. Bach dichiarò che la storia era

ispirata a un pilota acrobatico di nome John

H. "Johnny" Livingston (Cedar Falls, Iowa,

30 novembre 1897 - 30 giugno 1974),

particolarmente attivo nel periodo fra gli 

anni venti e trenta

La dedica originale è: To the real Jonathan

Seagull who lives within us all[1].

La dedica italiana è: "Al vero gabbiano

Jonathan, che vive nel profondo di noi"

Trama

Per il giovane gabbiano Jonathan Livingston, i

l volo è l'unica ragione d'essere.

Questo lo condurrà a trasgredire tutte le regole

stabilite, e di conseguenza all'esilio, ma in fine

all'amore ossia alla saggezza.

Parte prima

Jonathan è un gabbiano diverso dagli altri:

mentre tutti gli altri gabbiani si affannano per

trovare il cibo e sopravvivere, senza badare

ad altro, lui adora volare e si allena per

diventare perfetto nel volo.

Per questo è rimproverato dagli altri

componenti del suo stormo, lo Stormo Buonappetito,

che non comprendono la sua passione per 

il volo, ritenendolo soltanto come una comodità

per procurarsi il cibo. Nonostante la buona

volontà di Jonathan per cercare di essere un

gabbiano come tutti gli altri, che lo porta a

smettere di dedicarsi alla sua passione, il suo

desiderio di volare è più forte di lui, così

ricomincia ad allenarsi, arrivando in poco tempo

a saper compiere acrobazie incredibili, mai

compiute da nessun altro volatile.

Fiero dei suoi risultati, Jonathan decide di

mostrare allo Stormo quanto ha imparato

sul volo, ma riceve solo biasimo dai compagni,

che lo considerano un folle.

Alla fine il Consiglio degli Anziani decide di

esiliarlo, deplorando la sua condotta temeraria

e spericolata, inappropriata per un gabbiano.

Abbandonato e solo, da quel momento Jonathan

conduce la sua vita presso delle scogliere

solitarie, perfezionandosi sempre di più nel volo,

fino al giorno in cui, dopo una lunga vita, giunta

l'ora della sua morte, viene raggiunto da due

gabbiani dal candido piumaggio, più aggraziati

persino di lui nel volo, che, dopo aver messo

alla prova la sua abilità, lo convincono a seguirli,

verso un luogo dove potrà volare molto meglio.

Jonathan accetta e, diventato anche lui bianco

e splendente come i suoi nuovi compagni, va

via con i loro amici.

Parte seconda

Arrivato nel posto di cui parlavano i due gabbiani,

che inizialmente crede essere il paradiso, Jonathan

vi trova altri gabbiani per i quali, come per lui,

la cosa più importante è volare e scopre di poter

volare molto più veloce di prima, ma comunque

con dei limiti, così, sotto la guida di un gabbiano

di nome Sullivan, comincia ad allenarsi per

migliorare, proprio come faceva sulla Terra.

È lo stesso Sullivan, insieme ad altri gabbiani, a

spiegargli che quello non è il vero Paradiso, ma

solo un livello di esistenza superiore a quello

terrestre, ma transitorio, dopo il quale si passa

più in alto ancora, e che tutti, prima o poi,

migliorando nel volo, salgono verso un livello

superiore, in un'ascesa che ha come livello ultimo

la perfezione. Pur avendo ormai raggiunto il livello

di Sullivan nel volo, Jonathan comprende che

volare normalmente, per quanto si vada veloci,

costituisce comunque un limite, perché non

permette di trovarsi in un posto nel momento

esatto in cui lo si desidera, così chiede al

gabbiano più anziano ed esperto del gruppo,

Ciang, di insegnargli a volare alla velocità del

pensiero, superando il limite del "qui ed ora",

ovvero spostarsi liberamente nel tempo e nello

spazio semplicemente pensandolo, cosa che

soltanto il vecchio gabbiano sa fare.

Dopo molti tentativi, Jonathan riesce nel suo

impegno e padroneggia il volo col pensiero,

ma Ciang gli spiega che il suo cammino verso

la perfezione non è finito, infatti questa consiste

nell'arrivare a comprendere il segreto della

bontà e dell'amore.

Pochi giorni dopo, il vecchio mentore, diventato

improvvisamente splendente, svanisce per

ascendere ad un livello di esistenza superiore,

lasciando così il posto di mentore a Jonathan.

Jonathan comincia così ad aiutare Sullivan

nell'istruire i gabbiani, ma, dopo poco tempo,

tormentato dal desiderio di insegnare al resto

dei gabbiani terrestri tutto ciò che ha appreso,

gli confessa i suoi pensieri; viene però dissuaso

dall'istruttore, che lo convince che c'è maggior

bisogno di lui lì, per istruire i nuovi arrivati,

piuttosto che sulla Terra, dove sarebbe ignorato

e mal visto.

Parte terza

Jonathan prosegue allora nel suo ruolo di maestro,

ma il desiderio di condividere la bellezza del volo

con il suo vecchio stormo diventa sempre più forte,

finché un giorno egli saluta Sullivan e ritorna sulla

Terra. Qui, trova un giovane gabbiano reietto

appassionato di volo, come lo era stato lui:

il gabbiano Fletcher Lynd, che diventa suo allievo.

Le lezioni di volo di Jonathan a Fletcher non

passano inosservate allo Stormo e pian piano

altri gabbiani reietti si uniscono ai due per

imparare, formando in poco tempo un gruppo

ben nutrito. Con il tempo, sempre più gabbiani

iniziano ad avvicinarsi a Jonathan, interessati

a saperne di più sul volo, e si uniscono al

gruppo degli allievi, sfidando la Legge dello Stormo

e divenendo così reietti.

Agli allievi, Jonathan non dà solo semplici

lezioni di volo, ma anche insegnamenti morali:

egli spiega loro che il volo è l'espressione

della libertà di ogni gabbiano e serve a

diventare sempre migliori, per aspirare alla

perfezione, che consiste nel comprendere il

segreto dell'amore. I giovani allievi comprendono

poco le parole di Jonathan, ma migliorano

costantemente sotto la sua guida.

Un giorno, durante una lezione di volo, Fletcher

Lynd, per evitare un giovane gabbiano che ha

perso il controllo durante un'acrobazia, va a

sbattere contro una roccia con tanta violenza da

rimanerne tramortito.

Per Fletcher, che ormai aveva imparato molto

sul volo, quella è la soglia di passaggio alla

dimensione superiore, dove incontra Jonathan,

che gli spiega dove si trova e cos'è quel luogo,

e gli pone una scelta da compiere: rimanere

nella dimensione superiore ed imparare nuove

tecniche di volo, continuando la sua ascesa,

o tornare, per il momento, a prestare la propria

opera presso lo stormo.

Fletcher sceglie di tornare indietro, e così

rinviene, ritrovandosi nel punto dove era  svenuto.

Dalla sua scelta, Jonathan capisce che il suo

compagno ormai è pronto per prendere il suo

posto di maestro e che la propria missione

presso quel luogo è compiuta, così saluta l'amico,

affidandogli la guida degli allievi e spiegandogli

che da qualche altra parte ci sono altri gabbiani

che hanno bisogno della sua guida, quindi

sparisce nel nulla.

Il gabbiano Fletcher, inizialmente dubbioso e

smarrito per la partenza del suo mentore,

realizza infine di essere pronto e continua

ad istruire gli altri gabbiani.

Conscio che un giorno, non lontano, rincontrerà

Jonathan e che potrà mostrargli una o due cose

 riguardante il volo.

 
 
 

I sotterranei, Jack Keroua

Post n°2080 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Risorse della biblioteca scolastica

Andrea Pomella

Per contribuire a un momento d'incontro,

approfondimento e scambio come Tempo

di Libri, la fiera del libro che si terrà a Milano

dall'8 al 12 marzo, abbiamo creato uno

speciale doppiozero | Tempo di Libri dove

raccogliere materiale e contenuti in dialogo

con quanto avverrà nei cinque giorni della fiera.

Riprenderemo i temi delle giornate - dalle

donne al digitale -, daremo voce a maestri

che parlano di maestri, i nostri autori

scriveranno sugli incipit dei romanzi più amati,

racconteremo gli chef prima degli chef,

rileggeremo l' "Infinito" di Leopardi e

rivisiteremo la Milano di Hemingway,

rileggeremo insieme testi e articoli del

nostro archivio, che continuano a essere

attuali e interessanti.

"Ero una volta giovane e aggiornato e 

lucido e sapevo parlare di tutto con

nervosa intelligenza e con chiarezza e

senza far tanti retorici preamboli come

faccio ora; in altre parole questa è la

storia di uno sfiduciato che non è più

padrone di sé e insieme la storia di un

egomaniaco, per costituzione e non

per facezia, - questo tanto per cominciare

dal principio con ordine ed enucleare la

verità, perché è proprio questo che voglio

fare. Cominciò con una calda notte d'estate,

sì, con lei seduta su un parafango quando

Julian Alexander che sarebbe...

Ma cominciamo dalla storia dei sotterranei

di San Francisco". 

Intorno ai vent'anni mi innamorai di

questo incipit letterario del quale mi sono

disinnamorato solo oggi, 24 gennaio 2018,

per le ragioni che spiegherò di seguito. 

Il libro in questione è I sotterranei di Jack

Kerouac (nella mia edizione - Feltrinelli, 1994

- alla voce "traduzione dall'americano" è

scritto "di ANONIMO").

A dirla tutta, il mio amore, o dovrei dire la

mia ossessione, riguardava più in generale

l'opera complessiva di Jack Kerouac, ossia

colui che - citando Henry Miller - "ha violentato

a tal punto la nostra immacolata prosa, che

essa non potrà più rifarsi una verginità".

Ma questo incipit, questo particolare incipit,

negli anni a seguire ha martellato più di tutti

nella mia testa, e così a lungo da avermi

condizionato ogni volta che mi sono seduto

al computer anche solo per stilare un

protocollo d'intesa, o per scrivere una

lettera velenosa alla mia compagnia

assicurativa.

I sotterranei è ambientato nelle caves 

di San Francisco, popolate di droga, jazz,

puttane e messicani "che fanno yayà nei locali",

e narra l'amore turbolento tra un bianco e

una nera. Inizia con una frase piena zeppa di

"e": E, e, e, e, e... una congiunzione via l'altra,

come un'ouverture suonata col charleston

della batteria che mette subito in chiaro

quale sarà il ritmo portante della serata.

"Questa è la storia", dice Kerouac.

Va bene, ma quale storia? Qui si dà avvio ad

almeno TRE storie, con TRE personaggi diversi

(tre  di un unico io schizofrenico): lo sfiduciato,

quello che non è più padrone di sé e l'egomaniaco.

Per poi, subito dopo, far entrare in scena altri

due personaggi che non sono né lo sfiduciato,

né quello che non è più padrone di sé, né

l'egomaniaco, bensì una donna seduta sul

parafango e un tale di nome Julian Alexander,

che sarebbe... no, Kerouac non ce lo dice

(a onor del vero lo svelerà nel paragrafo

successivo). Perché l'autore sembra riconoscere

di aver messo troppa carne al fuoco, perché ci

ha già detto tutto e non ci ha detto niente, e

perché prima d'ogni altra cosa deve trovare la

chiusa del paragrafo, ed è una cosa che

occorre fare nella dovuta maniera.

E quanta umana, vezzosa debolezza in quel 

 che l'anonimo traduttore ha messo tra le

virgole: "Cominciò con una calda notte d'estate,

sì, con lei seduta su un parafango" 

(nel testo originale c'è un ancor più vezzoso

"ah": "It began on a warm summer night - ah,

she was sitting on a fender...").

Ora, intorno ai vent'anni sentivo nell'incipit

di I sotterranei, e in tutta l'opera di Kerouac,

una sincerità dolorosa e commovente.

Mentre oggi, da lettore scafato quale sono,

oggi avverto la catena dello stile.

Lo stile è il giogo che impediva a Kerouac di

giungere alla verità; la completa, nitida,

luccicante verità di qualsiasi cosa egli volesse

raccontare. Lo stile è la sua prigione, la

gabbia dalla quale non è mai evaso.

Va bene, ma perché me ne sono accorto

solo adesso? Forse una risposta ce l'ho:

perché nel frattempo ho smesso di avere

vent' anni. 

 
 
 

La terra di porpora di W.H.Hudson

Post n°2079 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

 

La Terra Rossa è uno dei pochissimi libri felici

che ci siano al mondo» ha scritto Jorge

Luis Borges. Di fatto, questo romanzo

possiede la felicità, nell'unico modo, quasi

inconsapevole, con cui si può possedere la

più volatile dea: una felicità contagiosa,

anche per il lettore, che incontra questo

libro come uno di quegli amori immediati,

rapidissimi e crudeli che balenano nelle

sue pagine.

A Montevideo, verso il 1870, in un periodo

di aspre contese civili, il giovane inglese

Stephen Lamb abbandona la sua sposa

-bambina, Paquita, per trovare lavoro

all'interno del Paese.

Quando egli parte con questo proposito,

e una certa boria britannica, non sa che

la sua mente segue un pretesto labilissimo,

che servirà solo ad adescarlo all'avventura,

nella incantata esplorazione della immensa

Terra Rossa, illusoriamente monotona

come il mare, punteggiata dalle isole delle

 estancias, che celano vicende imprevedibili.

Stephen Lamb, come ogni ulisside, ha

quell'accortezza che gli permette di

indovinare sempre i gesti giusti - o per

lo meno i gesti che salvano la vita - in un

mondo dove vigono regole tutte da scoprire;

per il resto è un giovane «oppresso

dalle armi e dalla corazza della civiltà», ma

che non osa confessare a se stesso la

noia che quest'ultima gli ispira: carico di

vitalità, è pronto a trovare qualsiasi scusa

per rimandare il ritorno a quella sua

'adorata moglie'.

E ogni scusa è un incontro, ogni incontro

la scoperta di un intreccio sorprendente

di vite, e ogni scoperta porta presto le

sue conseguenze, che talora si dissolvono

nel fumo di una pistola o nella luce dei coltelli.

E ogni luogo lascia nella memoria del lettore

un grappolo di immagini animate da quella

portentosa vividezza nel particolare che

è il segreto dell'arte di Hudson - un vero

insolubile segreto, come sentì Conrad:

«Non è possibile dire come quest'uomo

raggiunga i suoi effetti. Scrive come l'erba cresce».

Molte e disparate cose incontriamo insieme

a Stephen Lamb: gauchos taciturni e temibili,

inglesi eccentrici e miserabili che affogano

nel rum le loro nostalgie, un enigmatico

capo rivoluzionario, bestie, piante e paesi

che vivono come personaggi, donne dal

fascino più diverso, fra le quali una

splendida pasionaria che l'ulisside non

potrà fare a meno di trattare meschinamente,

un vecchio di diabolica prolissità, un guerriero

cieco e pazzo, assassini e giudici - e tutti gli

oscuri destini, le battaglie e i fantasmi della

Terra Rossa. Alla fine, come vuole la regola

del genere letterario nomade e rischioso

cui appartiene il libro, il protagonista torna

al suo punto di partenza.

Ma ormai del tutto acriollado, beatamente

corrotto dalla semibarbara Terra Rossa,

alla quale non augura più, come all'inizio

delle sue avventure, i benefici civilizzatori

del dominio inglese: anzi, egli ora vede

che qualsiasi intervento europeo in quel

meraviglioso e precario equilibrio non

potrebbe che essere distruttivo, e le sue

riflessioni anticipano ciò che poi è successo,

sicché giustamente Martínez Estrada ha

scritto che «nelle ultime pagine della

 Terra Rossa è contenuta la massima filosofia

e la suprema giustificazione dell'America di

fronte alla civiltà occidentale e ai valori

della cultura cattedratica».

Con questi lucidi pensieri, che potrebbero

spingersi molto lontano, Hudson ci abbandona,

eppure il suo gesto di congedo non è più

nella riflessione ma ancora una volta nella

vita, poiché, come egli ci dice, adattando una

frase famosa, «ogni volta che tentavo di

essere un filosofo ne ero impedito perché

irrompeva sempre la felicità».

La Terra Rossa fu pubblicato per la

prima volta nel 1885.

 
 
 

Pericolo imminente

Post n°2078 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Autore

Tom Clancy

1ª ed. originale

1989

Genere

romanzo

Sottogenere

Techno-thriller

Lingua originale

inglese

Serie

Jack Ryan

Preceduto da

Il cardinale del Cremlino

Seguito da

Paura senza limite

Pericolo imminente è il quarto romanzo in

ordine di uscita della serie dispionaggio-

tecnopolitica di Tom Clancy, in cui si narra

la vita di Jack Ryan.

Trama

Il presidente degli Stati Uniti, per contrastare

l'afflusso di droga nel paese, decide di dare

il via ad una operazione antidroga coperta,

nella quale aerei con carichi di droga

vengono costretti ad atterrare o abbattuti.

I trafficanti colombiani reagiscono

effettuando a Bogotà un attentato che

costa la vita al direttore dell'FBI.

La reazione americana è improntata alla

massima durezza e portata attraverso il

dispiegamento di squadre speciali che

attaccano gli aeroporti e le centrali di 

raffinazione della droga sul territorio

colombiano con l'appoggio di un 

MH53 Pave Low del 160° SOAR.

Inoltre alcuni capi vengono uccisi

attraverso l'uso di bombe a guida laser

sganciate da un aereo della US Navy

 durante una esercitazione di un gruppo

da battaglia al largo della costa del Pacifico,

dove la bomba viene diretta da un 

puntatore laser gestito da Clark, un uomo

della CIA infiltrato nel paese.

La cosa dura fin quando il cartello di Medellín

 non scopre la trama e un suo infiltrato, i

l colonnello Cortez, ex spia cubana della

 DGI (Dirección General de Inteligencia,

il servizio segreto cubano), ricatta il

consigliere della sicurezza nazionale,

ammiraglio Cutter, facendogli interrompere

l'operazione e lasciando indifese le squadre

sul campo. Ma non tutti gli uomini della CIA,

a partire da Ryan che era stato tenuto

all'oscuro di tutto, e dell'Aeronautica accettano

l'imposizione e Clark torna in Colombia

insieme a Ryan con l'elicottero e riesce a

recuperare due delle squadre mentre le altre

vengono sopraffatte dagli uomini del Cartello

che davano loro la caccia; nell'azione un

sergente dell'aeronautica, Buck Zimmer,

viene colpito a morte e Ryan promette di

avere cura dei suoi figli, rischiando egli

stesso la morte per un colpo di fucile

mitragliatore che si infrange sul suo casco.

Con una imboscata Clark, aiutato dalle

squadre recuperate, riesce anche ad

impadronirsi del colonnello Cortez e a

portarlo alla base americana di Guantanamo.

Durante l'evacuazione, l'MH53 è costretto

ad uno spettacolare e problematico

atterraggio su un cutter della Guardia Costiera

statunitense, il Panache, mentre è in corso

un uragano nel Golfo del Messico.

Scoperta la trama complessiva, lo stesso

Clark invita Cutter a suicidarsi per evitare

imbarazzanti inchieste, cosa che avviene,

e il presidente americano deve presentare

delle imbarazzate scuse al governo

colombiano per l'accaduto.

Adattamenti

Il romanzo ha ispirato la sceneggiatura del

film Sotto il segno del pericolo diretto da 

Phillip Noyce, con protagonista 

Harrison Ford nel ruolo di Jack Ryan.

 
 
 

Il dono di Humboldt

Post n°2077 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Risorse della Biblioteca scolastica

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Titolo originale

Humbold's Gift

Autore

Saul Bellow

1ª ed. originale

1975

Genere

romanzo

Lingua originale

inglese

Il dono di Humboldt è un romanzo di

 Saul Bellow, pubblicato nel 1975 da

Secker & Warburg (Londra) e Viking

Press (New York). Il libro ha vinto il

Premio Pulitzer per la narrativa nel

 1976 contribuendo, lo stesso anno,

a far vincere anche il Premio Nobel per

la letteratura al suo autore. In italiano

 è stato tradotto, nell'anno del Nobel,

presso Rizzoli.

Trama

Il romanzo, in qualche modo da

considerare roman à clef, indaga

l'amicizia di Bellow con il poeta 

Delmore Schwartz, esplorando il

rapporto tra arte e potere negli

Stati Uniti materialistici degli anni 1970.

Due scrittori, Von Humboldt Fleisher

(appunto un'incarnazione di Schwartz,

geniale, impacciato, ingenuo) e il suo

pupillo Charlie Citrine (che è stato visto

come lo stesso Bellow, abile, noto,

ricco) a confronto: uno persegue

l'arte pura e l'altro si arricchisce

ulteriormente con una commedia a 

BroadwayVon Trenck (basata su

un personaggio alla Humboldt);

uno vive a New York e l'altro a Chicago,

quando la rivista Life chiede al secondo

di fare un viaggio. Gli incontri e le

riflessioni, narrate in prima persona da

Citrine, toccano gli argomenti freudiani

 della psicopatologia e della frustrazione

rispetto agli obiettivi dell'arte e della vita

intera.

Un altro personaggio, Rinaldo Cantabile,

una specie di gangster fallito, spinge

Citrine via dal suo maestro, da quel dono

che non possono avere nessuno dei due,

Humboldt perché lo spreca e Citrine perché

solo lo imita da fuori, con spiritualità

(allaRudolf Steiner che Bellow stava leggendo

in quei giornie successo economico in

contrasto irrimarginabile, tra cambiamenti

d'umore continui e un finale da commedia

"carnevalesca" che sembra portare tutto

solamente alla ricerca di un egoismo più

radicato.

 
 
 

Underworld di Don Delillo

Post n°2076 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Risorse della Biblioteca scolastica

Underworld (DeLillo)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Titolo originale

Underworld

Autore

Don DeLillo

1ª ed. originale

1997

Genere

romanzo

Lingua originale

inglese

Ambientazione

USA, durante la Guerra Fredda

Underworld è un romanzo dello scrittore

statunitense Don DeLillo, pubblicato nel 1997,

edito in Italia da Einaudi nel 1999 con la

traduzione di Delfina Vezzoli.

È considerato da vari critici uno dei lavori

migliori dello scrittore, nonché uno dei romanzi

più importanti degli ultimi decenni, vincitore

di numerosi premi. Underworld è un esempio

significativo della letteratura postmoderna 

americana.

Trama

«La palla non portava né fortuna né sfortuna.

Era un oggetto che passava di mano.

Ma spingeva la gente a raccontargli cose,

confidargli segreti di famiglia e storie personali

inconfessabili, a singhiozzare di cuore sulla

sua spalla. Perché sapevano che lui era

il loro, come dire, il loro strumento di sfogo.

Le loro storie avrebbero assunto un rilievo

diverso, sarebbero state assorbite da

qualcosa di più vasto, il lungo viaggio della

palla stessa e l'assurda marcia di

Marvin nel corso dei decenni.»

(Don DeLilloUnderworld)

La vicenda inizia il 3 ottobre 1951,

quando un ragazzino di colore riesce ad

entrare di soppiatto nello stadio (il Polo

Grounds di New York) in cui si sta

giocando la storica partita di baseball 

tra i New York Giants (oggi San Francisco

Giants) e i Brooklyn Dodgers (gli attuali 

Los Angeles Dodgers).

Nel nono inning della partita, il famoso

battitore Bobby Thomsoneffettua un

memorabile fuoricampo, dando la vittoria

ai Giants (5-4 il punteggio), che conquistano

così il campionato. Nella realtà non si sa

che fine abbia fatto la pallina colpita da

Thomson, ma nel romanzo il ragazzino

riesce a impadronirsi di questo cimelio,

che gli verrà però sottratto dal padre,

il quale venderà la palla per 32 dollari

e 45 cents.

La palla da baseball inizia così a passare

di mano in mano, e viene usata come un

filo rosso per la costruzione di un

gigantesco affresco dell'America dall'inizio

della Guerra Fredda fino agli anni novanta.

Tematiche e stile

Molti elementi di Underworld sono tipici della

letteratura postmoderna, di cui DeLillo è uno

degli esponenti più noti. In particolare citiamo

il tema del "complotto" (le dietrologie tipiche

del clima da guerra fredda), dell'ossessione

mediatica (lesoap opera, il ciberspazio post

mortem, il videotape del killer trasmesso

ossessivamente) e dei prodotti della società

dei consumi. Non da ultimo le numerose incursioni

nel mondo della cultura popolare (tra cui la 

pop art dell'artista Klara Sax, lo sport, l'agenzia

pubblicitaria, i graffiti sulla metropolitana e le

riprese del backstage del concerto dei Rolling

Stones), in particolar modo nella cultura

cinematografica.

Durante la narrazione viene fatta un'allusione

che spiegherebbe il titolo del romanzo.

Si riferisce ad un immaginario film diEjzenštejn 

degli anni trenta, ritrovato dopo decenni e

proiettato per la prima volta nel 1974 dalla

cerchia di artisti di New York amici di Klara Sax.

Il film si chiama Unterwelt, traduzione tedesca

di Underworld. Più avanti, dalla stessa Klara,

viene fatto un secondo rinvio citando

l'omonimo film muto del 1927 di 

Josef von Sternberg.

Un tema chiave del libro è quello della

spazzatura, rappresentato dal protagonista

Nick Shay, operatore del settore di smaltimento

rifiuti. Questo personaggio, per via delle sue

origini italoamericane nel Bronx e di alcuni

ragionamenti che esprime, forse può essere

considerato un alter ego di DeLillo.

Infatti nel testo originale talvolta compaiono

alcune parole italiane (anche dialettali) in

corsivo. Le scorie nucleari, le indagini dell'FBI 

sui sacchetti di immondizia, le opere d'arte

fatte con i rifiuti e i vecchi cimeli sportivi

simboleggiano, insieme ad altre immagini,

i residui del mondo dei consumi postmoderno.

Un altro tema è quello dell'incombenza della

bomba atomica, presente non a caso sia nel

prologo (il giorno della partita è contemporaneo

ad un test atomico dell'URSS) che nell'epilogo

(lo smaltimento delle scorie nucleari post sovietiche).

«Dice che l'immondizia è la gemella del

diavolo. Perché l'immondizia è la storia

segreta, la storia che sta sotto, il modo

in cui l'archeologo dissotterra la storia

delle culture precedenti, ogni mucchio

d'ossa e strumento rotto, letteralmente

dissotterrato. [...]

Tutti quei decenni, dice, in cui pensavamo

in continuazione alle armi e mai alle

scorie che si moltiplicavano in segreto.»

Lo stile è frammentato, come un montaggio

cinematografico, in cui si intersecano spesso

dialoghi diversi tra loro e pensieri dei vari

personaggi. Poiché l'ambientazione è

dilatata nel tempo e nello spazio, vengono

rappresentate molte situazioni e epoche

differenti, piccole vicende personali e la

grande storia mondiale, classi sociali

alte e basse, quartieri malfamati e salotti

intellettuali, in un impasto multirazziale

reso in modo crudo, ironico e dinamico.

Struttura del libro

Il romanzo ha due narratori: l'extra-

autodiegetico Nick Shay (Parte I, Parte

III capp. 1 e 3, frammenti «privati» della

Parte V, Epilogo) e il suo alter ego extra-

eterodiegetico (Prologo, Parte II, Parte

III cap. 2, Parte IV, frammenti «pubblici»

della Parte V, Parte VI, oltre che «Manx

Martin» 1, 2 e 3).

«Maneggiando una trama che si dipana

entro un arco temporale di quasi mezzo

secolo e coinvolge un gran numero di

personaggi, dopo avere tratteggiato nel

Prologo con evidenza visionaria balzachiana

il punto di inizio della sua cronologia

(3 ottobre 1951), con un salto vertiginoso

il romanzo si sposta in prossimità della fine

(Parte I: primavera - estate 1992) e lungo

il tronco centrale gradualmente retrocede

verso l'inizio (Parte II: metà anni Ottanta

- primi anni Novanta; Parte III: primavera

1978; Parte IV: estate 1974; Parte V:

anni Cinquanta e Sessanta; Parte VI:

autunno 1951 - estate 1952), per conquistare

finalmente nell'Epilogo il presente della scrittura (1997)».

Gli otto blocchi principali sono intervallati da

tre capitolati che raccontano la storia di

Manx Martin, il padre di Cotter (il primo

possessore della palla da baseball), durante

i giorni che seguono la celebre partita.

In quest'occasione, nel libro compare una

pagina in nero come segno divisorio.

Ogni parte del libro è divisa in vari capitoli e

presenta una struttura propria: il prologo

narra un evento unico e circoscritto

(la partita di baseball), le prime quattro

parti e l'epilogo raccontano le vicende

dei vari personaggi nel determinato

periodo storico (di solito uno per capitolo),

la quinta presenta brevi frammenti

all'interno di ogni capitolo con la storia

di personaggi anche secondari, la sesta

ha solo pochi personaggi ed è ambientata

tutta nel quartiere italiano del Bronx.

Il libro è così strutturato:

Prologo: Il trionfo della morte- (3 ottobre 1951)

Parte prima: Long Tall Sally- primavera / estate 1992

Manx Martin 1 - (1951)

Parte seconda: Elegia per sola mano sinistra -

metà anni ottanta / primi anni novanta

Parte terza: La nube della non-conoscenza-

primavera 1978

Manx Martin 2 - (1951)

Parte quarta: Cocksucker Blues[ - estate 1974

Parte quinta: Cose migliori per una vita

migliore grazie alla chimica - frammenti

scelti pubblici e privati degli anni cinquanta

e sessanta

Manx Martin 3 - (1951)

Parte sesta: Composizione in grigio e nero 

- autunno 1951 / estate 1952

Epilogo: Das Kapital- (anni novanta)

I personaggi

Nome

Parte nella trama

e personaggi collegati

Russ Hodges

commentatore della partita tra 

Giants e Dodgers per la WMCA

Bobby Thomson

battitore dei Giants (il vincitore):

manda la palla in fuoricampo

(finisce sugli spalti vicino a Cotter)

Ralph Branca - lanciatore dei

Dodgers (il vinto): tanto Branca

che Thomson compariranno in

varie foto celebrative con diversi

presidenti USA nel corso dei decenni

Frank Sinatra

cantante e attore; spettatore alla partita

Jackie Gleason

conduttore statunitense, attore della 

sitcom The Honeymooners; spettatore

alla partita

Toots Shor

proprietario di un famoso locale a 

Manhattan; spettatore alla partita

J. Edgar Hoover

(detto Jedgar) direttore dell'FBI negli

anni cinquanta e sessanta; spettatore

alla partita.

Clyde Tolson - (detto Junior) fedele

braccio destro di Hoover

Cotter Martin

ragazzo afroamericano che entra di

straforo alla partita dei Giants e si i

mpossessa per primo della palla

Rosie Martin - sorella di Cotter

Manx Martin - padre di Cotter; ruba

la palla al figlio e poi la rivende a

Charles Wainwright

Ivie Martin - madre di Cotter

Bill Waterson - seduto accanto a

Cotter durante la partita; litigano

per chi deve impossessarsi della

palla

Klara Sax

artista; moglie di Albert Bronzini

Teresa - figlia di Klara

Esther Winship - amica e

mecenate di Klara

Jack Marshall - marito di

Esther Winship

Miles Lightman - regista di film

indipendenti e compagno di Klara

Acey Greene - pittrice e amica di Klara

Jason Vanover - secondo marito

di Klara

Nick Shay

imprenditore della spazzatura;

ultimo possessore della palla

(la compra da Marvin Lundy).

Marian Shay - sua moglie

Jeff Shay - suo figlio

Lainie Shay - sua figlia

Jimmy Costanza - suo padre,

allibratore scomparso quando

i figli erano piccoli

Brian Glassic - amico e socio di

Nick Shay; amante di Marian

Simeon Branson Biggs - collega

di Nick Shay

Greta Branson Biggs - moglie

di Simeon

Loyal Branson Biggs - figlio di

Simeon

Matt Shay

fratello di Nick, da bambino

appassionato di scacchi, lavora in

una base militare americana

Janet Urbaniak - infermiera; sua

fidanzata (poi moglie)

Eric Deming - progettista dei

bombardieri e collega di Matt

Marvin Lundy

collezionista di cimeli del baseball,

ossessionato dalla ricerca della

palla della celebre partita

Albert Bronzini

professore in pensione, primo

marito di Klara Sax

Laura Bronzini - sua sorella

Ismael Muñoz

pittore di graffiti, con il nome

d'arte Moonman 157.

Alma Edgar

suora; ex insegnante di Matt Shay

Grace Fahey - giovane consorella

di Alma Edgar

Charles Wainwright

secondo possessore della palla,

comprata da Manx Martin

Chuckie Wainwright - suo figlio,

militare, eredita la palla ma la perde

Richard Henry Gilkey

serial killer, battezzato il Texas

Highway Killer

Bud Walling - suo amico

Lenny Bruce

cabarettista acido ed

eclettico

 
 
 

La Sindrome Di Cenerentola

Post n°2075 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Risorse della biblioteca scolastica

La Sindrome Di Cenerentola: Quando Si Ha Paura Della Propria Indipendenza di

Colette Dowling

Diventare indipendenti e trovare in modo

autonomo la propria strada non è così scontato.
Ci sono donne, per esempio, che inconsciamente 

cercano in continuazione sostegno dagli altri,

desiderano essere curate e accudite perchè

hanno paura di raggiungere la loro indipendenza.

Rientrano nella casistica descritta dalla scrittrice

e ricercatrice Colette Dowling nel libro intitolato

"Il Complesso di Cenerentola"

vittime del loro stesso timore di diventare

indipendenti, queste donne come la protagonista

della fiaba sono giovani, belle, istruite, educate,

lavoratrici che però hanno bisogno di una

"forza esterna" che le aiutino e le portino in

salvo da una condizione in qualche modo triste.

Anche se all'apparenza dimostrano di avere

tutte le carte in regola per diventare donne

adulte e indipendenti, segretamente

aspettano con ansia l'arrivo del "principe

azzurro", o meglio un uomo che acquisisce

tratti fortemente idealizzati, che le salvi e

si prenda cura di loro.

La donna con la sindrome di Cenerentola 

è la vittima ideale di un partner dalla forte

autostima. Infatti, la sua controparte è

generalmente un uomo con la "sindrome del

cavaliere bianco" o un narcisista: entrambi

approfittano delle insicurezze della compagna

per manipolarla e portarla a fare ciò che lui

desidera.

Cenerentola ha la necessità di essere 

cavallerescamente salvata, curata e coccolata

da qualcuno e questo atteggiamento la mette

in una posizione rischiosa in quanto facile

bersaglio di persone che alimentano la propria 

autostima soccorrendo chi è in difficoltà o

manipolando le persone a conferma del proprio

valore, la propria onnipotenza e di un ego smisurato.

Amare un narcisista

È un gioco psicologico sottile ma che fa leva

sul disagio della donna a stare da sola,

sebbene sia perfettamente abile a gestire

autonomamente la sua vita.

Il "principe salvatore" dà il via alla dinamica

psicologica con l'intento di tutelare la sua

partner indifesa e affermando "Sto solo

cercando di aiutarti"; il passo successivo è 

trasformarsi nel suo "persecutore":

cominciano le critiche, le frasi e i gesti che

tendono a svalutare e sminuire le capacità

di Cenerentola con l'obiettivo di relegarla in

un angolo ed evitare che acquisisca sicurezza

e autonomia. 

Lei conferma a lui la sua incapacità a stare

da sola e lui dà respiro al suo senso d'essere

indispensabile.

È la società odierna a incoraggiare questo

tipo di legame, visto che è diffuso sia il

concetto di sottomissione della donna all'uomo,

sia l'idea che al donna sia meno valevole

dell'uomo. Anche in ambito professionale è

palese la maggiore difficoltà della donna a

realizzarsi in termini di carriera e a ricoprire

cariche importanti con retribuzioni paritarie.

 Le limitazioni all'autonomia femminile 

sono anche il risultato di una società

maschio-centrata o maschilista. 

In ogni caso, il complesso di Cenerentola non

è esclusivo delle donne, dato che ci sono molti

casi di uomini spesso intimoriti da una società

altamente competitiva.

È necessario ricordare che la vita non è una

favola e non esistono uomini o donne perfetti

a cui appoggiarsi per evitare di prendersi l

aresponsabilità di crescere.

Bisogna imparare a fidarsi e nello stesso

tempo impegnarsi a diventare autonomi:

ciò richiede sicuramente uno sforzo che

deve essere affrontato con consapevolezza

perchè non si nasce indipendenti, lo si

diventa crescendo e con l'acquisizione di

competenze. Raggiungere l'indipendenza

significa affrontare rischi e superare le

proprie paure, ma anche acquisire la capacità

di prendere delle decisioni e conquistare

degli obiettivi.

L'indipendenza non è incompatibile con

una relazione affettiva se quest'ultima è

basate sull'inter-dipendenza ossia sul 

reciproco sostegno, sul rispetto e sulla

valorizzazione delle risorse individuali.

Il partner deve essere un punto di riferimento

per un sano confronto finalizzato alla

crescita personale di entrambi.

All'interno di una relazione sana si creano

dinamiche di scambio che aiutano ad

apprendere modalità nuove che il partner

possiede ed ama mettere a disposizione

della persona a cui vuole più bene.

 
 
 

Cani su Marte?

Post n°2074 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

Cani su Marte: sopravvivrebbero? Potremmo portarli

con noi?Ci hanno seguito nelle grandi migrazioni, e hanno

già affrontato alcuni viaggi spaziali (non sempre finiti bene).

Sono ritratti anche negli ultimi poster della NASA, ma ci

sono ottime ragioni per credere che i nostri amici a quattro

zampe non apprezzerebbero il Pianeta Rosso.

cane-desertoCacciatori di dune? Sulla Terra, forse. Ma su Marte, la

capacità esplorativa dei cani finirebbe fuori uso.|

SHUTTERSTOCK

Di recente la NASA ha pubblicato alcuni poster tematici sul

futuro delle missioni umane su Marte e sulla Luna: mostrano

un'astronauta che fluttua nel Deep Space Gateway, l'avamposto

in zona cislunare che dovrebbe fare da base per le missioni nello

Spazio profondo; un futuro colono lunare che fotografa la Terra,

e un uomo che porta il suocane a spasso su Marte

(entrambi con tuta spaziale).

Un cane su Marte? Avete capito bene: anche se nei piani di

colonizzazione marziana della NASA Fido non compare affatto

- salvo che in questa licenza artistica - l'occasione è ghiotta per

parlare di come se la caverebbero i nostri amici a quattro zampe

nello Spazio (spoiler:male).

I PRECEDENTI. 

L'idea sarà anche peregrina, eppure i cani nello Spazio ci sono

andati: negli anni '50 e '60, l'Unione Sovietica ne spedì almeno

57 in voli orbitali e suborbitali.

La maggior parte superò incolume la missione, alcuni perirono

per guasti tecnici, altri - come Laika - perché non era previsto

che tornassero in vita. Erano per lo più randagi, spesso femmine

(perché considerate più docili), addestrati per sopravvivere in

spazi angusti e dotati di tute spaziali apposite.

Con i gatti ci si provò una volta soltanto: hanno il brutto vizio

di rifarsi le unghie...

La cagnolina Laika fu la prima ad affrontare una vera missione

nello Spazio: rimase in orbita terrestre per cinque mesi, in una

capsula progettata per rimanere a corto di ossigeno dopo

una settimana. I sensori posizionati sul suo corpo registrarono

un battito cardiaco tre volte più alto del normale durante il lancio,

e un respiro affannoso. La poverina morì disidratata e per il

surriscaldamento, dopo la decima rivoluzione intorno alla Terra.


Laika, sacrificata nella Corsa allo Spazio



RISCHI IMPOSTI. 

Quando nello Spazio iniziò ad andarci l'uomo, i cani furono

lasciati in santa pace. Portarli in futuro su Marte, loro malgrado,

sarebbe innanzi tutto una tortura imposta: ci seguirebbero

anche sulla Luna, ma non possono prendere decisioni informate.

Chi decide, per un loro eventuale sacrificio?

La presenza di un cane sarebbe problematica a partire dal

viaggio: l'esperienza del lancio, con pressioni quattro volte

superiori alla gravità terrestre, i fluidi corporei confinati nella

testa e negli occhi, le radiazioni, i problemi ai muscoli e alle ossa...

NIENTE DA ANNUSARE.

 Anche se i cani-astronauti superassero un'esperienza del

genere, arrivati su Marte passerebbero dallo spazio angusto

di una capsula a quello di un habitat artificiale.

Sul Pianeta Rosso, o sulla Luna, sarebbero privati del loro senso

fondamentale:l'olfatto.

Senza tuta non si può stare: l'aria è irrespirabile, il suolo tossico.

Ma all'interno del casco, i 300 milioni di recettori olfattivi di Fido

sarebbero costretti a respirare sempre lo stesso odore: il proprio.

Senza questo essenziale strumento, il cane non riuscirebbe

mai a conoscere la nuova casa e le sue caratteristiche, non

avvertirebbe la nostra presenza o quella di un altro cane, e

non saprebbe dove fare pipì: in viaggio dovrebbe imparare a

liberarsi nei pannolini, e una volta a destinazione, a farlo al

chiuso. All'aperto, dovrebbe poi vedersela con la ridotta gravità.

EXTRATERRESTRI NATI. 

Se mai si arrivasse a una seconda generazione di cani, forse

non sentirebbe nostalgia delle pozzanghere, del terriccio e dei

cespugli terrestri: non li avrebbe mai conosciuti.

Ma difficilmente la prima classe di cani astronauti

sopravvivrebbe: sarebbe già un miracolo tecnologico se ce la

facessero gli uomini.Per alcuni antropologi la presenza al nostro

fianco dei cani e di altre creature utili come i polli sarebbe un

fatto naturale: gli animali domestici ci hanno storicamente

sempre seguito. Ma porrebbe grossi problemi etici: se su Marte

volessimo compagnia, sarebbe certamente più semplice cercare

l'affetto di un robot. In quella situazione, riusciremmo a

trovare empatici anche loro

 
 
 

L'ultimo dei Mohicani

Post n°2073 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Autore

James Fenimore Cooper

1ª ed. originale

1826

Genere

romanzo

Sottogenere

Romanzo storico,romanzo d'avventura

Lingua originale

inglese

Ambientazione

America settentrionale,1755-1762

Protagonisti

Occhio di Falco

Coprotagonisti

Uncas, Chingachook

Antagonisti

Magua

Altri personaggi

Duncan, Munro, Cora e Alice

L'ultimo dei Mohicani  è un romanzo 

d'avventura scritto da James Fenimore Cooper 

(1789-1851) e pubblicato per la prima volta

nel 1826. Fu il romanzo più letto al suo tempo

ed è oggi considerato il suo romanzo migliore.

Trama

Il romanzo è ambientato durante la guerra franco

-indiana, teatro nordamericano della Guerra dei

sette anni, alla metà del XVIII secolo.

La storia ha come sfondo sia le frequenti battaglie

tra Francesi e Inglesi sia tra Uroni (mercenari alleati

con i francesi) e Mohicani (mercenari alleati con gli

inglesi).

Narra le diverse vicende di Natty Bumppo,

un cacciatore bianco soprannominato Occhio

di Falco (in seguito chiamato La Longue Carabine,

lungo fucile, dal sachem Urone), Uncas e suo

padre Chingachgook.

I tre si troveranno a dover aiutare le due

figlie del colonnello inglese Munro, Alice e

Cora, rapite dal nemico comune Magua,

capo di un gruppo urone e alleato con i

francesi. Cora e Alice in realtà sono sorellastre

poiché Cora è il frutto del primo matrimonio

di Munro con una donna caraibica di origine

mulatta. Fiera e determinata, è lei ad

incoraggiare spesso la sorella, più delicata

e inesperta. Nella vicenda interviene

anche il giovane Duncan, ufficiale inglese

innamorato di Alice.

Magua un tempo combatteva per gli inglesi,

ma un giorno, ubriaco, straparlò, e il colonnello

lo fece frustare;

Magua si offese a morte per l'oltraggio e per le

cicatrici rimastegli, e alleatosi ai francesi nemici

degli inglesi, organizza la vendetta.

Magua vuole Cora in moglie e più volte le offre

la scelta fra il "matrimonio" e la morte, ma ella

rifiuterà sempre sdegnata.

Il lungo inseguimento di Magua si concluderà

con la morte di Cora, Uncas e dello stesso

Magua, ucciso da Occhio di Falco.

Il romanzo si conclude con una dettagliata

descrizione dei funerali secondo il rito indiano

di Cora e Uncas.

Personaggi

I personaggi principali del racconto sono:

Natty Bumppo, detto Occhio-di-falco e

 la Longue Carabine

vero protagonista del ciclo dei "Racconti

di Calza-di-cuoio", è figlio di coloni bianchi,

educato dai Fratelli Moravi e cresciuto fra

Mohicani. Amico di lunga data del capo

indiano Chingachgook.

Maggiore Duncan Heyward

ufficiale dell'esercito britannico originario

della Virginia, innamorato di Alice, sembra

un personaggio marginale, ma il suo ruolo

non è di secondo piano, poiché interviene

in momenti difficili e la sua azione è

determinante.

Colonnello Munro, Cora e Alice

una famiglia scozzese composta da padre

e due sorelle.

Munro comanda le truppe inglesi di stanza

a Forte William-Henry. In seguito, insieme

ad Occhio-di-falco, Chingachgook ed Uncas

dovranno salvare le sorelle rapite da Magua.

Chingachgook, soprannominato

grosso serpente

è un Mohicano, il cui unico figlio è Uncas che

per lui rappresenta la continuazione della

sua gente, in quanto ultimo mohicano puro

(cioè discendente sia per linea paterna sia

per linea materna da soli Mohicani).

Uncas, soprannominato Cervo Agile

è figlio di Chingachgook.

È il penultimo dei Mohicani dopo suo padre.

Anche se non risulta essere molto chiaro

nel testo, sembra essere innamorato di Cora.

Magua, soprannominato Volpe astuta

(Le Renard Subtil) 

è un Urone (e quindi nemico dei Mohicani),

alleato dei francesi.

Catturato dai Mohawk (nazione indiana

alleata degli inglesi), gli fu risparmiata la vita

e venne adottato nella nuova tribù.

Fatto fustigare da Munro per essere stato

sorpreso a bere whiskey, ritornò presso la

sua tribù dove scoprì che la moglie aveva

sposato un altro uomo.

Decide così di tramare vendetta contro il

colonnello, cercando di rapire la figlia Cora,

della quale vorrebbe farne la propria nuova

moglie.

È il nemico comune di tutti i personaggi elencati.

La vicenda è ambientata nello 

stato di New York nel 1757, durante

la guerra franco-indiana.

La focalizzazione nel romanzo è zero,

quindi il punto di vista del narratore è onnisciente:

conosce tutto e sa spiegare tutto.

Molto spesso utilizza il discorso diretto cedendo

la parola direttamente ad essi; così facendo

si esprime senza alcuna mediazione.

Una scena del romanzo è ambientata sulle

 cascate di Glens Falls.

Analisi di momenti importanti

Nel romanzo è sottolineato il rispetto che gli

Irochesi provano per i luoghi di sepoltura, anche

dei nemici, al punto di sospendere la guerriglia

in quei luoghi.Opere derivate

Numerosi film, basati sulla trama del libro,

furono girati nel 1911192019321936 e 1992.

La versione del 1920, diretta daClarence Brown 

Maurice Tourneur, e quella di George Brackett Seitz 

del 1936, sono considerate particolarmente

importanti. Il film del 1920 è stato classificato

come "culturalmente significativo" dalla 

Biblioteca del Congresso (Library of Congress)

e selezionato per la conservazione nel registro

dei film americani (United States National Film Registry).

Il film diMichael Mann del 1992 è basato più sulla

versione del 1936 che sul libro di Cooper

Numerose serie TV sono state fatte, inclusa

quella del 1957 della ITC Entertainment serie

Hawkeye and the Last of the Mohicans.

 
 
 

Martin Eden

Post n°2072 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Risorse della Biblioteca scolastica

Classificazione

Letteratura statunitense

Autore

Jack London

EDITORE

Casa editrice

Einaudi

Romanzo largamente autobiografico,

Martin Eden riflette l'inquietudine di

London, la sua vita stravagante, la

tensione autodistruttiva che lo porterà

al suicidio.

Il protagonista è un marinaio americano

che finisce casualmente per frequentare

il mondo borghese.

Tra l'iniziale timidezza e un'irresistibile

attrazione per il nuovo ambiente, Martin

Eden dovrà misurarsi con due impreviste

passioni: la giovane Ruth Morse e la

letteratura. Attraverso sogni delusi e

speranze che sfumano, la strada verso

la conquista di una fama che si rivelerà

effimera sarà costellato dal conflitto tra

le sue origini modeste e una cultura che

comunque gli è estranea.

Non è mai semplice leggere Jack London

perché i suoi scritti sono tutti intrisi di un

mix di emozioni crude e situazioni ai limiti

che non possono lasciare indifferenti.

"Martin Eden" è tra tutti i suoi lavori il più

celebre e emblematico in quanto fortemente

impregnato della sua esperienza

autobiografica.

Sin dalle prime battute dove il protagonista,

un marinaio rozzo e con una istruzione e

modi mediocri viene invitato a un pranzo di 

famiglia dell'alta borghesia, il componimento

è caratterizzato da dolore, rabbia, tenerezza,

senso di inferiorità e malinconia.

Immediata è la percezione di confusione e

di inadeguatezza da questo provate, una

inadeguatezza che lo rende autore di piccole

ma inevitabili gaffe, che lo rendono impacciato,

che lo fanno sentire un pesce fuor d'acqua,

che lo rendono inetto a quelle circostanze

che gli si presentano innanzi.

Tutto è altresì accentuato dall'incontro con

Ruth, la bella figlia del padrone di casa e

chiaramente oggetto inarrivabile del

desiderio che però a causa di un chiaro

turbamento fa all'eroe presupporre di

avere qualche possibilità. I libri che da

sempre lo incuriosiscono seppur mai

abbia avuto la possibilità di approfondire

il loro senso, sono adesso lo strumento

con cui arrivare al cuore di lei ed anche

con cui raggiungere una nuova dimensione

personale.

Questi sono inoltre ricchi di un significato

che nella sua verità gli è sempre stato

oscuro e che piano piano si dipanerà ai

suoi occhi. Più passerà il tempo e più i libri

da leggere diventeranno complessi e più

il marinaio muterà nei modi e nella mente. 

Amore, illusione, desiderio di riscatto,

disfatta, impossibilità di cambiare il

proprio status sociale, emarginazione,

abbandono sono soltanto alcuni degli

elementi che caratterizzano l'opera.

Martin, che diventerà uno scrittore e

che farà dell'istruzione la sua arma

per raggiungere il riscatto, si allontanerà

da quel che è stata la sua formazione

e da quel che era il suo mondo finendo

con il non appartenere più né a questo

né a quello borghese in cui ha

faticosamente cercato di entrare.

Gli stessi valori che gli erano propri

risulteranno a lui estranei e incomprensibili

come quella ipocrisia insita alla classe

sociale più elevata per la quale, nonostante

i suoi sforzi, resta un emarginato, un non

degno, un non voluto. Ecco perché egli

riuscirà ma al contempo fallirà nella sua impresa. 

Ciò mediante una penna precisa, pignola,

attenta e minuziosa nelle descrizioni a cui si

sommano una serie di riferimenti alle teorie

darwiniane nonché alle teorie filosofiche del

Superuomo che conducono, ancora, ad una

profonda autoanalisi sul senso della vita,

dell'essere, della sconfitta, del desiderio di

annullamento e di quella voglia di scomparire

senza lasciare alcuna traccia.

Un libro in cui è impossibile non rispecchiarsi per

la miriade di situazioni e circostanze presenti,

un libro complesso che va letto e gustato

poco alla volta e che induce il lettore a

guardarsi dentro e a interrogare il suo

animo più intimo su quel profondo senso

di solitudine che inesorabilmente ci

portiamo appresso. 

«In me è morto qualcosa, io non ho mai

avuto paura della vita, tanto che non mi

sarei mai nemmeno sognato che avrei

potuto esserne sazio.

La vita mi ha talmente saziato, che mi

ha svuotato di ogni desiderio per

qualsiasi cosa.»

 
 
 

Lo zoo di vetro

Post n°2071 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Autore

Tennessee Williams

Titolo originale

The Glass Menagerie

Lingua originale

Inglese

Composto nel

1944

Prima assoluta

26 dicembre 1944
Civic TheatreChicago(Illinois)

Premi

New York Drama Critics Circle Award

Personaggi

  • Amanda, madre di Laura e Tom
  • Laura, figlia di Amanda
  • Tom, fratello di Laura e figlio di Amanda
  • Jim, collega di Tom

Riduzioni cinematografiche

Lo zoo di vetro, riduzione cinematografica del1950 diretta da Irving Rapper.

Lo zoo di vetro, riduzione cinematografica del1987 diretta da Paul Newman.

Lo zoo di vetro, riduzione televisiva del1960 diretto da Vittorio Cottafavi.

Lo zoo di vetro, riduzione televisiva del1973 diretto da Anthony Harvey.

 

Lo zoo di vetro (The Glass Menagerie) è un'opera teatrale

 di Tennessee Williams.

La prima avvenne a Chicago nel 1944.

La trama della drammatizzazione espande quella

di un racconto del 1934 dello stesso Williams,

dal titolo Ritratto di una ragazza di vetro

(Portrait of a young girl in glass).

Trama

All'inizio del dramma Tom, che è sia il protagonista

che il narratore della storia, si rivolge direttamente

al pubblico (cosa che farà spesso nel corso della

recita) spiegando che si tratta di un suo ricordo

della madre Amanda e la sorella Laura.

Siamo alla fine degli anni '30 del XX secolo.

Amanda ha cresciuto i suoi due figli da sola, dopo

che suo marito li ha abbandonati.

La donna, volitiva ed energica, viene dagli Stati del

Sud, dove era ammirata per la sua bellezza, e prova

ancora rimorso per aver lasciato tutto e aver seguito

suo marito. Il suo rapporto con Tom e Laura oscilla tra

il tenero e l'eccessivo; in particolare la donna si

preoccupa del futuro di Laura, resa zoppa da una

malattia e pertanto introversa e chiusa:

ella si è chiusa in un suo mondo di illusioni, e passa

tutto il suo tempo ad ascoltare vecchi dischi, leggere

romanzi e soprattutto accudire una collezione di

animaletti di vetro.

Tom lavora in una fabbrica di scarpe per mantenere

Laura e Amanda, ma la vita noiosa e banale che

conduce (nonché la morbosa presenza della

madre) lo rende irascibile.

Il ragazzo tenta senza successo di diventare un

poeta, e cerca conforto recandosi al cinema a tutte

le ore della notte per vivere delle avventure almeno

con la fantasia. Questo scatena l'ansia di Amanda,

che teme suo figlio sia un alcolizzato come il padre.

Un giorno Amanda scopre che Laura, a causa

della sua timidezza, ha lasciato il corso da

segretaria che stava seguendo.

In passato era accaduta la stessa cosa per

il liceo.

La donna diventa allora ossessionata dall'idea

di trovarle un marito che le garantisca un

futuro sereno; la ragazza non ha però

alcun interesse nel trovare eventuali

corteggiatori, così sua madre prega Tom di

trovarle un pretendente.

Per liberarsi dalle pressioni di  sua madre,

Tom invita così Jim, un amico di vecchia

data che ora lavora con lui alla fabbrica.

Amanda si dedica completamente

all'allestimento della cena; quella sera però

Laura comprende che Jim altri non è che

un ragazzo che ai tempi del liceo le

piaceva moltissimo, così all'arrivo del

ragazzo viene soggiogata dalla sua

timidezza e non riesce nemmeno a

sedersi con gli altri a cena.

Durante la cena, improvvisamente la

luce va via (Tom si è così disinteressato

alla famiglia che aveva scordato di

pagare la bolletta).

Con uno stratagemma Amanda riesce

a fare in modo che Laura e Jim rimangano

da soli perché parlino e si conoscano.

I due ragazzi si trovano così a parlare

a lume di candela, e pian piano Jim riesce

a vincere la ritrosia di Laura, che gli

confessa quanto lui le piacesse in passato.

Jim, con molta tenerezza, dice che i suoi

problemi sono causati esclusivamente

dalla sua insicurezza, e che lei dovrebbe

prendersi maggior cura di sé perché la

trova una splendida ragazza.

I due si trovano così a danzare insieme,

ma con un brusco movimento Jim fa cadere

un unicorno di vetro che fa parte della

collezione di Laura, spezzandogli il corno.

Subito dopo lui la bacia, ma quasi

immediatamente dopo le confessa di essere

già promesso sposo a un'altra donna.

Laura gli dona l'unicorno spezzato come

regalo di nozze prima di chiudersi in un

ostinato e doloroso silenzio; al ritorno

di Amanda e Tom, Jim se ne va.

Quando Amanda viene a sapere del

fidanzamento di Jim, si infuria con Tom

perché ritiene che lui ne fosse fin dall'inizio

a conoscenza, e lo caccia di casa.

Nel soliloquio finale Tom spiega che dopo

quella sera lui abbandonò Amanda e Laura

e non tornò mai più da loro, anche se il loro

ricordo lo aveva tormentato per tutta la vita;

chiede così a Laura di "spegnere le candele",

ossia di lasciare che lui la possa dimenticare.

Mentre lui esce, Laura spegne effettivamente

le candele che hanno illuminato la scena.

AnalisiAutobiografia e memoria

La prima idea per Lo Zoo di Vetro fu un

racconto che Williams scrisse nel 1934,

dal titolo Ritratto di una Ragazza di Vetro;

esso conteneva a sua volta dei forti

riferimenti autobiografici riferibili all'autore

stesso. Il protagonista reca addirittura

il suo stesso nome (il vero nome di Tennessee

Williams era Thomas), mentre il personaggio

di Laura si basa sulla vita di sua sorella Rose:

a causa di alcuni problemi psichici la ragazza

fu sottoposta a un intervento di lobotomia,

causando immenso dolore per Williams che

le era molto affezionato.

Addirittura nella rappresentazione viene

spesso detto che il soprannome della

ragazza è Blue Rose.

In Laura si cristallizzano anche elementi

dello stesso autore: l'introversione e la

timidezza erano propri di Tennessee

Williams negli anni della sua giovinezza,

e l'ossessione per lo zoo di vetro di Laura

riflette i sogni e le fantasie dell'autore da giovane.

Gli elementi autobiografici del dramma

convergono in un unico tema, quello della

memoria, che persiste nel corso di tutta la

rappresentazione: la storia viene vista

attraverso gli occhi di Tom, filtrata dai suoi

sentimenti e dai suoi ricordi; i caratteri dei

personaggi che gli girano intorno risultano

discontinui e grotteschi, come "deformati"

dal tempo passato e dalle sensazioni

contrastanti nei riguardi di madre e sorella.

Il rapporto col proprio io

Un altro grande tema del dramma è il

rapporto col proprio ego: tre dei quattro

personaggi agiscono esclusivamente per

il proprio tornaconto personale, travestendolo

da azioni altruiste.

Tom invita Jim a cena apparentemente per

accontentare sua madre e aiutare sua sorella,

ma in realtà è un piano orchestrato ad hoc per

fuggire da una realtà che gli sta stretta;

Amanda sembra voler trovare un marito a

Laura e si adopera per riuscirci, ma vuole solo

riscattarsi da un matrimonio fallito e da una

giovinezza perduta;

Jim in un primo momento aiuta Laura e pare

addirittura apprezzarla nonostante il suo

handicap, invece è già fidanzato e vuole solo

approfittare della sua bellezza.

Tom, Amanda e Jim finiscono però per

soccombere alle loro stesse mancanze,

rimanendo confinati nel loro egoismo e

causando danni piuttosto che risolverne.

Laura, che è al centro delle finte attenzioni

degli altri tre, è l'unica che non mostra

atteggiamenti egoistici, anzi più di una volta

nel corso del dramma si fa riferimento al suo

altruismo e alla sua bontà; in definitiva,

quella che sembra essere chiusa in se stessa

è quella che invece ha un migliore rapporto

col proprio io, ma finisce per venire sottomessa

dall'egocentrismo degli altri tre.

Lo zoo di vetro

Non è un caso che lo zoo di vetro di Laura

dia il titolo all'intera opera, poiché esso

simboleggia l'intera chiave di lettura del

dramma. Esso è l'immagine del mondo

interiore di Laura, fatto di fragili illusioni.

Non solo: gli animali di vetro sono fragili e

apparentemente pacchiani, ma se illuminati

dalla giusta luce rivelano tutti i colori

dell'arcobaleno: diventano, in pratica,

un'immagine di Laura stessa,  psicologicamente

debole e di aspetto scialbo, ma in realtà più

umana e virtuosa degli altri personaggi.

Anche in questo caso, in effetti, si verifica

una dicotomia tra Laura e gli altri personaggi,

che specularmente alla ragazza vivono

delle vite banali cercando disperatamente

l'apparenza: Tom si rifugia nel mondo del

cinema, Amanda sogna il riscatto sociale

e Jim si fregia dei suoi successi sportivi e

professionali; in realtà sono tutti espedienti

per sfuggire alla scontentezza della propria vita.

La lunga scena del dialogo tra Laura è Jim è

caricata di un forte simbolismo: Jim rompe il

corno dell'unicorno di vetro, la statuetta

preferita di Laura, che così diventa un

"semplice cavallo" come tutti gli altri; lo

stesso oggetto gli sarà poi regalato dalla

ragazza.

Tutto questo allude alla storia stessa della

ragazza: le premure che Jim le usa sembrano

trasformarla per un attimo in una ragazza

"normale", a scapito della sua unicità, fatta

di bellezza e fragilità; ma la "violenza" che

si nasconde in queste premure fa sì che la

ragazza si rompa come la statuina.

Il fatto che lei gliela regali, infine, rappresenta

ciò che lei ha perso in tutta la faccenda e ciò

che lui le ha tolto con la sua falsità.

 
 
 

L'asteroide Ryugu č pił asciutto del previsto

Post n°2070 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte:Focus

I primi dati della sonda Hayabusa-2 confermano

che sul masso spaziale c'è meno acqua del

previsto, e riaprono così un dibattito fondamentale:

come ci è arrivata, l'acqua, sulla Terra?

ryugu_da-minerva-1b_1La superficie rocciosa dell'asteroide Ryugu:

una foto scattata dal rover della Jaxa MINERVA

II 1B.|JAXA

I primi dati arrivati dalla sonda giapponese

Hayabusa 2 svelano particolari interessanti

sulla composizione dell'asteroide Ryugu, su

come si è formato e - indirettamente - sulle

caratteristiche del Sistema Solare delle origini

e sul trasporto delle prime molecole d'acqua

sulla Terra. I risultati sono illustrati in tre

diversi articoli pubblicati suScience.

La sonda della JAXA ha raggiunto la roccia

spaziale di 900 metri di diametro a 300 milioni

di km dalla Terra il 27 giugno 2018, e da allora

si è messa a collezionare dati e immagini,

sfruttando una telecamera nella luce visibile

e uno spettrometro che lavora nel vicino infrarosso.

 Ha tentato un atterraggio morbido 

in preparazione di un altro, rischioso atterraggio

in programma per il 5 aprile, in cui sparerà un

proiettile di 2 kg sulla superficie di Ryugu alla

velocità di 2 km al secondo, per ricavare un

cratere ampio 10 metri e profondo un metro

dal quale estrarre regolite. I campioni di roccia

saranno riportati a Terra per le analisi nel 2020.

Non è chiaro che cosa abbia reso il corpo celeste

da cui Ryugu ha avuto origine così disidratato:

forse la presenza di materiali radioattivi al suo

interno, o il bombardamento di altri corpi rocciosi.

 | 2019 SEIJI SUGITA ET AL., SCIENCE

Una delle prime scoperte degli scienziati del

Dipartimento di Scienze della Terra e Planetarie

dell'Università di Tokyo riguarda la presenza di

acqua - o meglio, la sua assenza: Ryugu è molto

più arido del previsto, e data la sua "giovane" età

(100 milioni di anni) si presume che anche l'asteroide

da cui ha avuto origine ne fosse in gran parte privo.

Il dato è importante perché si colloca nell'annoso

dibattito sull'origine dell'acqua sulla Terra: viene

dalle distanti comete, o dai più vicini asteroidi

della Fascia principale (cui appartiene anche Ryugu)?


L'asteroide Ryugu ha una albedo, o potere riflettente,

eccezionalmente bassa (del 2%): ai nostri occhi

apparirebbe più nero del carbone, ma le telecamere

di Hayabusa 2 sono studiate per visualizzarne i più

fini dettagli. | 2019 SEIJI SUGITA ET AL., SCIENCE

ASTEROIDI A CONFRONTO.

 I dati potrebbero inoltre essere utili agli esobiologi,

per capire in quali sistemi planetari sia utile indagare

l'eventuale presenza di acqua.

Ryugu sembra avere molta meno acqua di Bennu,

l'asteroide che la sonda della NASA OSIRIS REx

studia dal dicembre 2018, e che pure con Ryugu

ha diversi punti di contatto (la rapida rotazione,

la presenza di grossi massi superficiali, l'aspetto

estremamente scuro).

Un altro studio guidato dagli scienziati dell'Università

di Nagoya (Giappone) descrive la composizione di

Ryugu, un "cumulo di macerie" dall'interno poroso,

formato da rocce disgregate che hanno assunto la

forma di trottola a causa della rapida rotazione.

L'analisi dei dati spettrografici ha permesso di

confermare il tipo di rocce superficiali di Ryugu,

che sembrerebbero molto simili alle condriti

carbonacee dei meteoriti arrivati sulla Terra.

UN MUCCHIO DI DETRITI. 

Queste rocce sono di estremo interesse, dal

punto di vista scientifico, perché la loro

composizione rispecchia quella della nube

di gas da cui ha avuto origine il Sistema Solare.

Un terzo e ultimo studio

 prova a ricostruire l'origine di Ryugu: si pensa

che i piccoli asteroidi come questo siano nati da

corpi celesti più grandi, in questo caso da un

masso largo diverse decine di chilometri.

La roccia spaziale sarebbe il risultato di un catastrofico

impatto sull'asteroide "padre", e di un successivo

riaccumulo di frammenti.

 
 
 

L'acqua sulla Terra....

Post n°2069 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

Da dove arriva l'acqua presente sulla Terra?

Da lungo tempo ormai è aperto il dibattito tra gli

scienziati planetari sull'origine dell'acqua presente

sul nostro pianeta, grazie alla quale è stata...

Da lungo tempo ormai è aperto il dibattito tra gli

scienziati planetari sull'origine dell'acqua presente

sul nostro pianeta, grazie alla quale è stata possibile

la comparsa della vita.

Le scuole di pensiero sono due.

L'acqua potrebbe essere stata portata sulla Terra

dalle comete, e provenire dai margini esterni del

Sistema Solare dove la maggior parte di queste

hanno avuto origine; oppure potrebbe essersi

formata più vicino a noi, nelle parti più interne

del Sistema Solare, e la "fonte" di quella presente

sulla Terra sarebbero soprattutto gli asteroidi, che,

specialmente nelle fasi evolutive iniziali della sua

formazione, l'hanno bombardata incessantemente.

Secondo i risultati di un recente studio l'acqua sulla

Terra sarebbe stata portata dall'impatto di una grande

quantità di asteroidi e meteoriti di natura carbonacea.

Ma i dubbi al riguardo sono ancora tanti.

Adesso, i risultati di uno studio pubblicato recentemente

sulla prestigiosa rivista Science da Conel Alexander e

colleghi della Carnegie Institution for Science (Washington, DC)

fanno propendere decisamente per la prima ipotesi,

quella degli asteroidi. Gli autori hanno analizzato

campioni provenienti da 85 meteoriti appartenenti alla

classe delle condriti carbonacee, quelle più primitive

e che spesso contengono composti organici complessi.

In particolare, hanno studiato la percentuale di deuterio -

un isotopo dell'idrogeno il cui nucleo è formato da un

protone e da due neutroni - presente in queste rocce cosmiche.

La percentuale di deuterio nell'acqua presente su un corpo

del Sistema Solare è considerata, infatti, un buon indicatore

della distanza dal Sole a cui questo si è formato; più questa

è grande, più alto è il contenuto di deuterio.

I ricercatori hanno quindi confrontato le concentrazioni

misurate con quelle relative ad alcune comete (in questo caso,

l'abbondanza di deuterio viene determinata per mezzo

della spettroscopia, cioè l'analisi della luce emessa dalle comete).

Alexander e colleghi hanno così mostrato che le condriti

carbonacee contengono una percentuale di deuterio molto

più bassa rispetto alle comete e quindi simile a quella

presente sulla Terra.

Le due popolazioni di oggetti si sarebbero quindi formate

in regioni diverse: gli asteroidi nella zona più interna del

nostro sistema planetario, tra le orbite di Giove e di Marte,

le comete molto più lontano.

Una conclusione che sarebbe in contrasto con la teoria

prevalente, secondo la quale ambedue questi tipi di corpi

planetari si sarebbero formati assieme ben oltre l'orbita

di Giove, per poi avvicinarsi al Sole, portando il loro

contenuto di ghiaccio d'acqua sui pianeti più interni,

compresa la Terra. E a questo punto, proprio in base al

contenuto di deuterio, la fonte più probabile di composti

volatili (e quindi di acqua) sul nostro pianeta sarebbero

le condriti carbonacee.

Le conclusioni sono però ben lontane dal chiudere

il dibattito. Tutto si basa infatti sulla misura del rapporto

deuterio/idrogeno, che per le comete è molto difficile da

determinare.

Talmente difficile che questo dato è stato ottenuto soltanto

per 4 o 5 comete.

Fare considerazioni statistiche sulla base di così pochi dati

è molto pericoloso, poiché si corre il rischio di scambiare

un oggetto eccezionale per uno rappresentativo.

Servirà ancora molto tempo prima di avere abbastanza dati

per una statistica solida.

Quanto all'idea che l'acqua terrestre venga soprattutto

dalle condriti carbonacee,  quest'idea fu già proposta

all'inizio dello scorso decennio da un gruppo di ricercatori,

compresi alcuni italiani, ma da allora il quadro è molto

cambiato, è un mosaico a cui mancano ancora molti tasselli

e non si può dire che ci sia un'ipotesi prevalente.

Il motivo per cui i risultati di studi come questo, interessante

ma che non aggiunge moltissimo, vengono pubblicati su un

giornale scientifico come Scienceè proprio dovuto al fatto

che il campo è così ancora aperto e incerto. 

 
 
 

I banchetti preistorici a Stonehenge

Post n°2068 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

Il sito neolitico fu al centro di alcune delle

prime cerimonie rituali su larga scala di

cui si abbia traccia in Gran Bretagna:

ne sono prova i resti di maiali da sacrificare,

anticamente condotti fin qui per centinaia

di chilometri.

Una festa degna di questo nome lascia

sempre dietro di sé una scia di disordine.

Dai resti di grandi e affollati banchetti

tenuti nel tardo Neolitico in quattro siti

attorno ai monumenti di Stonehenge e

Avebury, nell'Inghilterra sudoccidentale,

sono emerse le prove di alcune delle

celebrazioni rituali di massa più importanti

della Gran Bretagna antica.

I risultati delle scoperte sono descritti

su Science Advances.

Un gruppo di archeologi dell'Università di

Cardiff ha analizzato le ossa di 131 maiali

vissuti tra il 2800 e il 2400 a.C. e sacrificati

in quattro località - Durrington Walls, Marden,

Mount Pleasant e West Kennet Palisade

Enclosures - che un tempo servivano la

contea di Wiltshire, dove si trovano

Stonehenge e Avebury, un altro sito

neolitico molto ben conservato.

 

DA LONTANO.

 Attraverso analisi isotopiche, capaci di

rintracciare nelle ossa i residui chimici

dell'acqua e del cibo consumati dagli animali,

gli scienziati sono riusciti a stabilirne l'origine

geografica. I maiali, animali tenuti in serbo

per i sacrifici rituali delle grandi occasioni,

provenivano da Scozia, Inghilterra nord

orientale, Galles occidentale: in altre parole

furono portati fino a lì per centinaia di

chilometri, una prova piuttosto dettagliata

del grado di mobilità possibile nella Gran

Bretagna del Neolitico.

PRELIBATEZZE DI CASA.

 Procurarsi animali da immolare nelle vicinanze

dei siti sarebbe stato più facile, tuttavia si pensa

che i partecipanti ai banchetti ci tenessero a

portare come contributo capi allevati nelle zone

di provenienza. Può darsi che questi eventi

prevedessero, come regola, di dover arrivare

alle feste accompagnati dagli animali da sacrificare.

I maiali non sono facili da spostare come altri

animali allevati: trasportarli per chilometri, vivi

o macellati, doveva richiedere uno sforzo non

da poco. Per i ricercatori, la prova di un livello di

organizzazione e complessità sociale finora

inimmaginabile.

A lungo si è ipotizzato che i complessi megalitici

del Neolitico potessero avere, in Inghilterra e

non solo, il ruolo di centri cerimoniali, ma iniziano

ora a emergere i particolari di queste feste,

senza paragoni come scala e partecipazione.  

 
 
 

L'ape gigante esiste ancora

Post n°2067 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

Alla ricerca delle specie perdute: l'ape gigante è (ancora) viva

Mandibole gigantesche, 6 centimetri di apertura alare, 4

di lunghezza: l'ape più grande del mondo, scoperta nel 1858,

non è estinta.

|UNIVERSITY OF GEORGIA, CLAY BOLT

Non è una chimera e non è estinta (come si pensava) l'ape

gigante di Wallace (Megachile pluto), l'insetto che prende

il nome dall'esploratore britannico Alfred Russel Wallace,

che la descrisse nel 1858: nonostante le dimensioni impressionanti,

con le femmine che raggiungono i 4 centimetri con un'apertura

alare di 6 cm, quest'ape indonesiana è una vera rarità, sempre

molto elusiva. Solo sporadicamente, dopo la scoperta, sono

giunte notizie di avvistamenti - peraltro mai confermati.

Finché, nel 1981, l'entomologo americano Adam Messer non

ne confermò l'esistenza in vita su tre delle isole delle Molucche

(Indonesia). Dopo di ciò, però, nessun altro avvistamento

ufficiale fino al 2018, quando un esemplare morto da poco

e in buono stato di conservazione fu battuto all'asta su eBay

alla considerevole cifra di 9.100 dollari. Quell'ape doveva pur

essere vissuta da qualche parte!

Così, a gennaio, un team di ricercatori finanziato dal 

Global Wildlife Conservation, sulle tracce di Wallace (anche)

alla ricerca dell'ape gigante e ha infine trovato una femmina

viva sull'Isola delle Molucche del Nord.

IL NIDO CON LE TERMITI. 

Clay Bolt, fotografo naturalista al seguito della spedizione,

racconta così la riscoperta: «È stata un'emozione incredibile

trovarci quasi all'improvviso davanti a questo bulldog volante

che pensavamo estinto, vederlo volare proprio sopra le nostre teste».

La spedizione ha potuto documentare anche che la femmina

aveva costruito il nido proprio in prossimità di un nido di

termiti, isolandolo da quest'ultimo (per evitare intrusioni)

con la resina raccolta dagli alberi con le sue gigantesche mascelle.

L'ape gigante è dunque sopravvissuta a un'estinzione

ormai data per certa, in un habitat molto limitato ma,

evidentemente, adeguato al mantenimento della specie:

si tratta adesso di studiarla, oltre che di cercare di mantenerla

in vita.

 
 
 

La cultura dello scimpanzé va scomparendo

Post n°2066 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

L'uomo sta erodendo la diversità culturale degli scimpanzé

Tradizioni e ricchezza di comportamenti diminuiscono

drasticamente, negli habitat contaminati dalla nostra presenza.

Così il cugino più prossimo dei sapiens sta perdendo abilità

cruciali per la sua sopravvivenza, tramandate da una generazione

all'altra.

scimpanze-groomingUn momento di pace e connessione sociale: il grooming tra

maschi di scimpanzé nella comunità di Rekambo, all'interno

del Loango National Park (Gabon).|

TOBIAS DESCHNER/LOANGO CHIMPANZEE PROJECT

Diversamente da altre specie animali, gli scimpanzé

(Pan troglodytes) mostrano un'incredibile varietà di tradizioni 

e comportamenti appresi, che si distinguono tra un gruppo e l'altro.

L'uso di strumenti, le strategie per procurarsi cibo, le preferenze

alimentari e i gesti scambiati per comunicare si basano in gran parte

su informazioni mutuate da altri membri del clan, tanto che ogni

popolazione sviluppa un proprio, specifico "patrimonio culturale"

per certi versi simile a quello delle comunità umane.

Ora uno studio pubblicato su Science e basato su dati raccolti in

quasi 150 gruppi di scimpanzé dimostra che la vicinanza

dell'uomo minaccia questa ricchezza di sfumature culturali,

perché riduce in modo drastico la trasmissione di abilità e

sapere tra questi primati.

La scoperta suggerisce quanto in là possa spingersi l'influenza

dell'uomo sulla biodiversità animale, che non include soltanto la

ricchezza genetica o di servizi dell'ecosistema, ma anche

patrimoni "immateriali" come quello culturale.

Scimpanzé della foresta di Taï (Costa d'Avorio) usano un

"martello" di pietra per rompere le noci.

 | LIRAN SAMUNI/TAÏ CHIMPANZEE PROJECT

VICINI SCOMODI. 

Così come altri primati, gli scimpanzé risentono della

pressione umana sui loro habitat principali.

Le foreste tropicali e le aree boscose della savana sono

sempre più spesso occupate da terreni agricoli,

piantagioni e insediamenti abitati, degradati per la

costruzione di infrastrutture o per l'estrazione di

risorse naturali.

Un team internazionale di ricercatori guidato da Hjalmar

Kühl e Ammie Kalan del Max Planck Institute for

Evolutionary Anthropology e del German Centre

for Integrative Biodiversity Research, ha raccolto

una mole di dati senza precedenti su 31 comportamenti

osservati tra scimpanzé in 144 gruppi o comunità

disseminati nell'intero areale geografico di questi primati.

DIFFERENZE REGIONALI.

 Oltre a considerare gli studi scientifici già presenti

sul tema, i primatologi hanno anche effettuato, negli

ultimi nove anni, osservazioni sul campo in 46 diverse

località di 15 Paesi in cui gli scimpanzé vivono.

Tra i comportamenti valutati ci sono le tecniche di

estrazione e consumo di termiti, formiche, alghe, noci

e miele; l'uso di strumenti per cacciare o per scavare

in cerca di tuberi, el'utilizzo di pietre, grotte o pozze

d'acqua.

DIVENTARE INVISIBILI.

 La diversità specifica di comportamenti per ogni area

è stata confrontata con la capillarità della presenza umana

in quei luoghi (popolazione, strade, riduzione di riserve

idriche e copertura forestale, uso del suolo).

Nelle aree più toccate dalla vicinanza umana, la diversità

culturale nelle comunità di scimpanzé risultava ridotta

dell'88%, rispetto alle comunità più isolate.

La prossimità dell'uomo può influire negativamente

sulla ricchezza culturale di questi primati in vari modi:

perché ne assottiglia la popolazione, perché gli scimpanzé

temono di rendersi più visibili a eventuali cacciatori

manifestando alcuni comportamenti (come la rottura delle noci),

o ancora perché la diminuzione di risorse e la degradazione

dell'habitat riducono le occasioni di trasmissione di informazioni

da una generazione all'altra.

NUOVE FORME DI TUTELA. 

Per i ricercatori, le località in cui gli scimpanzé manifestano

tratti culturali eccezionali andrebbero tutelate con una protezione

ad hoc, e altrettanto andrebbe fatto con le aree occupate da altri

animali in cui la trasmissione di comportamenti rivesta un ruolo

importante: per esempio per gli oranghi, o le balene.

 
 
 

Da un racconto di Erodoto

Post n°2065 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

Il relitto di un'imbarcazione dell'antico Egitto dimostra

che uno dei racconti del greco Erodoto, finora messo

in dubbio, era vero e molto preciso.

baris_1|CHRISTOPH GERIGK / FRANCK GODDIO / HILTI FOUNDATION

Un'imbarcazione utilizzata oltre 2.500 anni fa dagli Egizi

per i commerci lungo il Nilo è venuta alla luce grazie a

una ricerca archeologica condotta da Damian Robinson,

direttore del Centro di Archeologia Marittima 

dell'Università di Oxford. La nave, lunga circa 28 metri,

è stata rinvenuta, in ottimo stato di conservazione,

nell'area archeologica dell'antica città portuale

(oggi sommersa) di Thonis-Heracleion.

Una scoperta importante per l'archeologia, ma ancora

più importante per gli storici perché mette fine a una

discussione che si è protratta a lungo su uno dei racconti

di Erodoto (V secolo a.C.), considerati il "padre della Storia".

Erodoto scrisse con grande dovizia di particolari, durante

i suoi viaggi in Egitto, anche dell'esistenza di una particolare

imbarcazione chiamata baris - e questa parte delle sue Storie 

era stata messa in dubbio, anche perché non erano mai stati

rinvenuti reperti dell'imbarcazione.

Erodoto, relitti storici, antico Egitto, commerci, archeologia, archeologia marina| CHRISTOPH GERIGK / FRANCK GODDIO / HILTI FOUNDATION

«Quando abbiamo scoperto il relitto ci siamo resi conto

non solo che Erodoto non aveva inventato nulla, ma che

è stato molto preciso nel descrivere l'imbarcazione»,

afferma Damian Robinson.

Lo storico greco affermava di essere stato testimone

della costruzione di una baris e di aver notato come

gli operai tagliassero innanzi tutto tavole di due cubiti

di lunghezza (un po' meno di 1 metro) che venivano

sistemate come mattoni nella costruzione di un muro,

poi a queste sovrapponevano tavole via via più lunghe.

Il tutto veniva poi rivestito da papiri e il timone -

dettaglio importante - passava attraverso un foro

nella chiglia.

La descrizione di Erodoto è ampia e ricca di dettagli,

ma in generale storici e archeologi l'hanno sempre

considerata imprecisa «perché», afferma Robinson,

«mancavano reperti con i quali confrontarsi per interpretare

correttamente lo scritto dello storico greco».

Grazie allo scavo che ha portato alla luce quella che è

stata chiamata "nave 17" si è appurato che quella descrizione

era invece particolarmente precisa anche dal punto di vista

"ingegneristico".

 
 
 

Un virus strano..

Post n°2064 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

Un virus che sembra infrangere tutte le regole

Un patogeno delle piante suddivide i suoi geni in diversi

segmenti, che si riproducono infettando cellule diverse:

conduce insomma un'esistenza sparpagliata, che comporta

un vantaggio evolutivo.

segmenti-viraliLe cellule della pianta (in blu) infettate da diversi segmenti

virali (verde e rosso).|STEPHANE BLANC

Un virus non è che una collezione di geni impacchettata

in un involucro proteico: per funzionare e infettare l'ospite,

ha bisogno di occupare una cellula, prenderne il controllo e

usarla per creare nuove copie di se stesso.

Usciti da questa "fabbrica", i patogeni di seconda generazione

cercano nuove cellule da hackerare, e il meccanismo si ripete.

Funziona così per tutti i virus, da Ebola a quello dell'influenza.

Ma ora gli scienziati dell'Università di Montpellier (Francia) 

ne hanno scoperto uno che fa eccezione.

Un virus che infetta gli ortaggi e che si diffonde attraverso i

morsi degli afidi, il Faba beannecrotic stunt virus (FBNSV),

suddivide i suoi geni in otto segmenti, ognuno dei quali

protetto da un capside (l'involucro proteico).

Una cellula infettata dal virus Ebola vista al microscopio

elettronico a scansione. | NIAID, FLICKR

SPARPAGLIATI.

 I biologi sono ora giunti alla conclusione che questi pezzi

separati si riproducono pur infettando cellule diverse.

Anche se il virus ha bisogno di tutte le sue componenti per

funzionare, non gli serve che si trovino nello stesso posto: 

vive un'esistenza distribuita, con frammenti di materiale

genetico divisi tra diverse cellule ospiti, che non si riuniscono

mai.

Questa strategia riproduttiva era totalmente sconosciuta

ai virologi. FBNSV fa parte dei cosiddetti virus multipartiti,

i più complessi e difficili da realizzare, perché disseminano

i propri geni in capsule diverse.

Finora si pensava che, per replicarsi, questi patogeni dovessero

fare in modo che tutti i segmenti si trovassero nella stessa

cellula, ma nel 2012, uno studio dimostrò che le probabilità

che questo accada sono troppo basse, per un virus che abbia

più di tre o quattro frammenti.

Con queste premesse, FBNSV non avrebbe mai dovuto evolversi.

E se fossimo noi, che ci stiamo perdendo qualcosa? Forse -

ha ipotizzato Stéphane Blanc, a capo del team di ricerca -

questo virus non ha affatto bisogno di riunire tutti i segmenti.

I ricercatori hanno contrassegnato ciascun frammento genetico

con una molecola di diverso colore, e poi hanno osservato

le cellule delle piante infettate al microscopio, per vedere

se in ciascuna di esse vi si trovassero più colori: non

succedeva quasi mai.

SCAMBIO PROFICUO.

 Non solo: nelle diverse specie di piante, i livelli di

riproduzione dei vari segmenti non erano bilanciati, ma

proseguivano a ritmi diversi. A questo punto è sorto

un altro problema: se ogni segmento genetico codifica

per una diversa funzione (la formazione del capside, la

copia del DNA...), come può una cellula infettata svolgere

il suo compito, se le mancano dei pezzi di istruzioni?

Il team ha scoperto che se i geni che codificano restano

confinati in cellule diverse, le proteine prodotte con le

loro istruzioni possono migrare da una cellula all'altra,

e tappare i buchi nella catena di replicazione.

virus, influenza

Illustrazione: influenza, il virus H1N1.

 Perché l'influenza ci mette a tappeto? | SHUTTERSTOCK

FLESSIBILITÀ. 

Un'ipotesi è che questa migrazione sia particolarmente

facile solo fra le cellule delle piante, e che sia anche per

questo che i virus multipartiti praticamente non si

osservano, tra gli animali.

Questa bizzarra esistenza deve pur avere un vantaggio

evolutivo, e Blanc potrebbe averlo intuito.

All'interno delle piante della stessa specie infettate

dal virus FBNSV, le proporzioni nelle replicazioni

dei diversi segmenti rimangono sempre più o meno

costanti. Quando però la specie cambia, cambia

anche la "formula genetica": alcuni segmenti favoriti

in altre specie vengono replicati di meno, e viceversa.

Si pensa che questo sia, per i virus, una tecnica per

adattarsi ad ambienti diversi.

Anche gli animali lo fanno, moltiplicando le copie

dei geni più importanti per una determinata funzione.

Poiché i virus sono entità molto piccole, con capsidi

che hanno spazio per piccoli segmenti genetici soltanto,

questa distribuzione separata è molto più agile.

UN NUOVO MODO DI RAGIONARE. 

La scoperta potrebbe cambiare il modo di studiare

virus che ci interessano da vicino, come quello

dell'influenza: anche il suo materiale genetico è

diviso in otto segmenti, che però sono impacchettati

all'interno dello stesso capside.

Fino a pochi anni fa si pensava che ogni capsula

proteica contenesse l'ottetto completo, ma nel 2013

si è scoperto che non è così. Il 90% dei capsidi è

mancante di almeno un segmento.

Il confine tra virus normali e multipartiti potrebbe

essere più fluido di quanto si credesse.

 
 
 

Le ultime scoperte sul nostro pianeta

Post n°2063 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Focus

I cambiamenti nel Grande Nastro Trasportatore oceanico

anticipano quelli climatici di quattro secoli

Quanto tempo occorre affinché la perturbazione di una

fondamentale componente della circolazione oceanica

"presenti il conto" sulle temperature globali?

In due occasioni del passato, ci sono voluti 400 anni.

circolazione-termoalinaLa Circolazione termoalina.|SHUTTERSTOCK

Nell'Oceano Atlantico scorre senza sosta

un Grande Nastro Trasportatore che

conduce le acque calde dei Tropici fino alle

alte latitudini di Islanda e Groenlandia, dove

l'acqua si raffredda e sprofonda prima

di viaggiare di nuovo verso sud, nelle

profondità marine.

Questo sistema conosciuto anche come 

Circolazione termoalina ha un ruolo di

regolazione climatica fondamentale,

nell'Artico e in Europa: è responsabile, tra

le altre cose, della mitigazione delle

temperature nella parte occidentale del

nostro continente.

Da qualche tempo sappiamo che si sta

indebolendo, a causa, anche,

 di alcuni fenomeni legati al riscaldamento globale 

Maquanto tempo occorre, affinché un

rallentamento di questa circolazione abbia

effetti concreti sulle temperature? Uno

studio della Columbia University e del

Norwegian Research Centre pubblicato

su Nature Communications prova a elaborare

le prime stime precise.

QUATTRO SECOLI DI ATTESA. 

I ricercatori si sono concentrati su una

componente chiave di questa circolazione

chiamata capovolgimento meridionale della

circolazione atlantica (Atlantic meridional

overturning circulation, AMOC), in cui l'acqua

si raffredda e sprofonda nel Nord Atlantico.

I risultati suggeriscono AMOC abbia cominciato

a indebolirsi quattro secoli prima un grande

periodo di raffreddamento iniziato 13 mila

anni fa, e che si sia rafforzata circa quattro

secoli prima di un improvviso evento di

riscaldamento avvenuto 11 mila anni fa,

l'ultima deglaciazione dell'emisfero

settentrionale.

TRE FONTI DIVERSE. 

Per arrivare a questa conclusione, il team

ha incrociato in modo sapiente i dati di

sedimenti estratti dal fondale del Mare

Norvegese, dal letto di un lago scandinavo

e da alcune carote di ghiaccio prelevate in

Groenlandia. Di norma, per determinare l'età

dei sedimenti si ricorre al carbonio-14, ma

per quelli oceanici il metodo è impreciso:

questo isotopo creato in atmosfera può

infatti impiegare secoli, per depositarsi sul

fondo del mare.

Al contrario, i meno profondi sedimenti di

lago contengono resti di piante con carbonio

-14 direttamente tratto dall'atmosfera, che

hanno permesso di risalire all'età dei vari

strati di materiale lacustre.

Alcuni indicatori, come le ceneri di note

eruzioni vulcaniche, hanno permesso di

allineare i dati sull'età dei sedimenti di lago

a quelli sull'età dei sedimenti marini.

A questo punto, i ricercatori conoscevano

l'età reale dei vari livelli di sedimenti del

Nord Atlantico.

Confrontando la loro datazione con quella

del carbonio 14, si è capito quanto tempo

aveva impiegato l'isotopo a raggiungere il

fondo del mare: ossia quanto fosse "veloce"

AMOC.

Il fondale del Mare di Norvegia (nella foto)

accoglie le acque profonde più dense e pesanti

del pianeta. Vedi anche: 

10 cose+1 sugli oceani che forse non sapevi

| OFFICIAL U.S. NAVY PAGE

RIPERCUSSIONI CLIMATICHE. 

Le carote di ghiaccio in Groenlandia hanno

permesso di capire quali effetti avessero

avuto queste oscillazioni della corrente

sul clima. AMOC iniziò a indebolirsi quattro

secoli prima del Dryas recente, l'ultimo

grande evento di glaciazione del Pianeta:

quando le temperature atmosferiche

"registrarono" il cambiamento, in Groenlandia

calarono velocemente, diminuendo anche

di 6 °C. Lo stesso lasso di tempo si registrò

prima che l'atmosfera iniziasse a scaldarsi

molto velocemente, 11 mila anni fa: dal r

afforzamento di AMOC al riscaldamento

(fino a 8 °C) passarono 400 anni circa.

I primi segni di indebolimento del Grande

Nastro Trasportatore oceanico si sono

osservati 150 anni fa: lo studio servirà a

migliorare le previsioni climatiche basate

sulle avvisaglie che ci mandano gli oceani

 
 
 

La ricetta Telethon per l'editing genetico

Post n°2062 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

27 marzo 2019

La ricetta Telethon per l'editing genetico

Saranno le immunodeficienze il banco di prova

prescelto dai ricercatori dell'Istituto San Raffaele

Telethon per la Terapia Genica per effettuare la

loro prima sperimentazione clinica con le nuove

biotecnologie di precisione

geneticaimmunologia

I dati sono rassicuranti. Le tecniche sono mature.

E l'istituto San Raffaele Telethon per la Terapia

Genica (SR-Tiget) è quasi pronto per il debutto.

"Non abbiamo ancora una data.

Ma nel breve periodo il nostro istituto conta di

avviare la prima sperimentazione clinica con

l'editing del DNA".

Ce lo rivela Raffaella Di Micco, group leader

all'SR-Tiget e coautrice di uno studio uscito

recentemente su "Cell Stem Cell" in collaborazione

con il team di Luigi Naldini.

"Il nostro modello cellulare sono le staminali del sangue.

Con il protocollo che abbiamo ottimizzato non

riscontriamo instabilità genomica né mutazioni indesiderate.

Il cocktail che abbiamo messo a punto dovrebbe

già garantire un beneficio terapeutico nel campo delle

malattie rare. Perciò il prossimo passo sarà vedere la

risposta nell'uomo", ci ha detto la ricercatrice

commentando con noi gli ultimi dati.

Il banco di prova saranno le immunodeficienze su cui l'SR-

Tiget non ha rivali al mondo, essendo già riuscito

nell'impresa di portare in commercio la prima terapia genica

classica: il trattamento Strimvelis, sviluppato nell'era

pre-CRISPR per i pazienti affetti da ADA-SCID.

Nel frattempo altri gruppi hanno incontrato difficoltà

a replicare quel successo di terapia genica "tradizionale"

su un altro tipo di immunodeficienza severa combinata,

trasmissibile con il cromosoma X e detta SCID-X1.

Rispetto all'approccio precedente, l'editing ha il grosso

vantaggio di garantire un'espressione più controllata

del gene terapeutico.

La migliore precisione dovrebbe consentire di correggere

il difetto genetico con maggiore efficacia e sicurezza",

sostiene Di Micco. In cima alla lista delle malattie candidate,

dunque, c'è la SCID-X1, in compagnia di un'altra

immunodeficienza: la sindrome da iper-IgM.

"Comunque il lavoro che abbiamo pubblicato è una

dimostrazione di fattibilità, lo stesso approccio può

trovare altre applicazioni".

Di Micco, classe 1980, si è laureata in biotecnologie mediche

a Napoli, per poi specializzarsi tra Milano e New York,

e da tre anni è stata chiamata all'istituto diretto dal

pioniere della terapia genica Naldini, con la missione di

studiare come le cellule rispondono al danno del DNA e

contribuire allo sviluppo di nuove terapie avanzate.

Lavorando insieme, hanno dimostrato di poter inserire

in modo affidabile una sequenza correttiva nelle cellule

staminali ematopoietiche.

La  ricetta di San Raffaele e Telethon prevede l'utilizzo

di una scarica elettrica per far entrare nelle cellule tre

ingredienti terapeutici: la piattaforma per l'editing genomico

(costituita dall'enzima che taglia il DNA, opportunamente

programmato per trovare il giusto bersaglio), un vettore

virale detto AAV6 che trasporta la sequenza da introdurre

in corrispondenza del taglio e, a parte, un terzo elemento opzionale.

Si tratta di un trascritto con le istruzioni per sintetizzare

una molecola che destabilizza la proteina p53, nota anche

come "il guardiano del genoma".

In questo modo Di Micco e colleghi hanno aggirato un 

ostacolo emerso lo scorso anno in popolazioni cellulari diverse

e descritto da due gruppi indipendenti su "Nature Medicine".

Quando l'editing produce la rottura del DNA, le cellule attivano

un kit di pronto intervento che vede come protagonista il p53

e può avviare le cellule editate alla distruzione.

Per fortuna i ricercatori dell'SR-Tiget hanno appurato che, almeno

per le staminali ematopoietiche, il problema è limitato e risolvibile.

La ricetta Telethon per l'editing genetico

"Anche nel nostro modello basta un singolo taglio per far scattare

l'allarme, ma la risposta si risolve nel giro di poche ore quando

la lesione viene riparata e alla fine le cellule conservano la piena

funzionalità", assicura la ricercatrice.

Se oltre a tagliare il DNA si fornisce una sequenza correttiva,

utilizzando un vettore virale, la reazione difensiva è più forte,

ma l'SR-Tiget ha dimostrato di poterla controllare inibendo il p53.

Nel giro di un giorno o due l'arresto proliferativo si sblocca e,

trapiantando le cellule editate nel topo, si osserva che un

maggior numero di cellule corrette si localizza nel midollo,

per la ricostituzione del sistema ematopoietico.

"Il sistema CRISPR è più facile da programmare rispetto

alla tecnica di editing genomico precedente, ma nel nostro

modello funziona bene anche la piattaforma zinc finger, che

ha il vantaggio di essere stata studiata più a lungo", spiega Di Micco.

Da quando CRISPR è arrivata sulla scena ha conquistato

tutti i riflettori per la sua versatilità, mentre il metodo delle

"dita di zinco" è rimasto nell'ombra pur non essendo obsoleto.

"Con questo lavoro abbiamo dimostrato che i risultati delle

due tecnologie sono paragonabili, ciò che conta è la specificità

dell'enzima che effettua il taglio, indipendentemente da quale

piattaforma viene utilizzata", sostiene la ricercatrice.

Scegliere l'una o l'altra sarà una decisione strategica, da

prendere insieme agli sponsor dei trial clinici futuri, valutando

anche gli aspetti di natura brevettuale.

Intanto ci sono altre sperimentazioni di editing in cellule

staminali ematopoietiche che stanno già reclutando i primi

pazienti in diversi paesi del mondo: il database 

clinicaltrials.gov ne conta già tre con zinc finger e due

basate su CRISPR.
(L'originale di questo articolo è stato pubblicato 

nel blog CRISPerMANIA il 27 marzo 2019. 

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

 
 
 

All'origine delle allucinazioni visive

Post n°2061 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte Le Scienze

27 marzo 2019

All'origine delle allucinazioni visive

Le allucinazioni sono legate a una

riduzione dell'attività della corteccia

visiva, e non a una sua iperattività,

come finora pensato.

L'allucinazione deriverebbe quindi da

un eccesso di tentativi delle aree

cerebrali superiori di dare un'interpretazione

agli input insufficienti che le raggiungono

neruoscienzevisionedisturbi mentali

Le allucinazioni visive potrebbero essere

innescate da una riduzione dei segnali che

i neuroni si scambiano all'interno della

corteccia visiva, e non, come si supponeva,

da un loro aumento legato a un'attività

spontanea dei neuroni senza uno stimolo

reale corrispondente.

A suggerirlo è uno studio condotto da

ricercatori dell'Università dell'Oregon a

Eugene che firmano un articolo 

pubblicato su " Cell Reports".

Se ulteriori ricerche confermeranno il risultato

- ottenuto su topi con tecniche invasive che

non possono essere applicate agli esseri umani

- sarà un importante progresso nella

comprensione delle basi neurologiche di

disturbi come la schizofrenia, che sono

caratterizzati anche da allucinazioni.

L'uso di sostanze allucinogene per studiare

i disturbi psichiatrici esordì negli anni

quaranta del secolo scorso, ma fu interrotto

alla fine degli anni sessanta a causa della

diffusione di quelle sostanze a uso ricreativo

e alla loro conseguente proibizione.

Questo tipo di studi è quindi ripreso, con

cautela, solo in anni recenti.

Cristopher M. Niel e colleghi hanno somministrato

a un gruppo di topi un farmaco che interferisce

con i recettori della serotonina 2A in modo

analogo a quanto fanno LSD e la psilocibina

e altri farmaci allucinogeni. 

Ènoto inoltre, che questi recettori hanno un ruolo

nella schizofrenia.

All'origine delle allucinazioni visive

icercatori hanno quindi monitorato l'attività

dei neuroni della corteccia visiva, osservando

che il farmaco provocava una riduzione dello

scambio di informazioni fra i neuroni di quell'area,

e di conseguenza anche una riduzione delle

comunicazioni inviate da quell'area alle regioni

cerebrali superiori a cui è collegata.


"Siamo rimasti sorpresi dalla scoperta, ma ha

senso nel contesto dell'elaborazione visiva", ha

detto Niel. "Capire ciò che sta accadendo nel

mondo è una questione di equilibrio tra

l'acquisizione di informazioni e la nostra

interpretazione di quelle informazioni.

Se diamo troppo poco peso a quello che succede

intorno a noi [ossia agli stimoli reali], ma poi

ci scateniamo in un eccesso di interpretazione

per dargli un senso, questo potrebbe portare

ad allucinazioni." Un esempio sono le immagini

vivide che spesso si vedono nei sogni anche

se al cervello non arriva alcun segnale visivo.

I ricercatori osservano che questo risultato

probabilmente non spiega del tutto le allucinazioni

visive, ma potrebbe rappresentare un tassello

significativo per la loro comprensione. (red)

 
 
 

Una base genetica per l'insonnia

Post n°2060 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

15 marzo 2019

Due studi di genomica hanno mostrato

collegamenti tra geni implicati nell'insonnia

e geni relativi a malattie cardiovascolari

e psichiatriche. In prospettiva, questa

linea di ricerca potrebbe fornire punti di

accesso privilegiati alla biologia

dell'insonnia grazie a cui migliorare le

terapie adattandole ai singoli pazienti

sonnogenetica

Dagli studi su gemelli, i ricercatori sanno

che l'incapacità di addormentarsi o di

restare addormentati ha una componente

genetica, ma i geni responsabili sono per lo

più sconosciuti.

Ora, due studi pubblicati di recente su

"Nature Genetics" hanno permesso di dare

una prima occhiata alla base biologica

dell'insonnia, implicando specifiche regioni

cerebrali e processi biologici, e rivelando

legami con malattie cardiache e disturbi

psichiatrici come la depressione.

Entrambi sono studi di associazione sull'intero

genoma (indicati anche con la sigla GWAS),

che esaminano il DNA di molte migliaia di

individui per determinare dove si trovano i

marcatori genetici relativi a salute, malattia

o a un tratto particolare.

Il primo studio, effettuato da un gruppo

guidato dalla genetista Danielle Posthuma

della Vrije University di Amsterdam, ha analizzato

i genomi di oltre 1,3 milioni di persone, creando

il più vasto GWAS finora mai realizzato per un

tratto complesso.

Lo studio ha usato i dati di UK Biobank, un

grande progetto di genetica a lungo termine,

e di un'azienda che offre servizi di genetica al

pubblico, 23andMe, per identificare 202 aree

del genoma legate all'insonnia, che coinvolgono

956 geni, ben di più dei sette trovati in precedenza.

"Sono abbastanza sicuro che la stragrande

maggioranza di questi geni sono realmente

coinvolti", dice il genetista Stephan Ripke,

esperto di GWAS al Berlin Institute of Health,

che non è stato coinvolto nei due studi.

"Abbiamo però bisogno di conferme su coorti

diverse, da paesi e ricercatori differenti."

I ricercatori hanno poi studiato in quali regioni

e cellule cerebrali sono attivi più spesso questi geni.

L'analisi ha coinvolto gli assoni (le connessioni di uscita)

dei neuroni, parti della corteccia e regioni cerebrali

"sottocorticali" più profonde, come lo striato,

coinvolte nel movimento; inoltre ha esaminato

i "neuroni spinosi medi", che occupano la maggior

parte dello striato e i neuroni di altre regioni,

compreso l'ipotalamo. I risultati concordano con

quelli di studi di imaging cerebrale, che suggeriscono

una disfunzione di alcune regioni durante l'insonnia,

e con quelli di studi sugli animali, che coinvolgono

queste cellule nella regolazione del sonno.

"Prima della nostra ricerca sapevamo poco su

quali geni, vie e cellule fossero implicati", dice

Posthuma. "Ora abbiamo ipotesi concrete che

possono essere testate".

Il secondo studio,

effettuato da un gruppo guidato dalla genetista

Richa Saxena del Massachusetts General Hospital,

ha analizzato oltre 450.000 genomi, sempre dalla

UK Biobank.

I ricercatori hanno identificato 57 regioni, che

comprendono 236 geni, e hanno confermato

i risultati in analisi di due insiemi di dati distinti.

Uno riguardava pazienti con diagnosi clinica,

l'altro si basava su sintomi meno affidabili e riferiti

dai pazienti. Saxena e colleghi hanno anche

analizzato i dati di quasi 84.000 soggetti

partecipanti a UK Biobank che per una

settimana avevano indossato rilevatori di

movimento per registrare come si muovevano

e rigiravano nel sonno oppure un eventuale

sonnambulismo, permettendo così di collegare

i risultati genetici con le misurazioni reali del

sonno.

"Tutto questo mostra che i risultati sono validi

per diverse definizioni di sintomi correlati

all'insonnia, inclusi alcuni misurati oggettivamente",

osserva Mackenzie Lind, esperta di statistica

genetica alla Virginia Commonwealth University.

I due studi hanno trovato una significativa

sovrapposizione tra i geni implicati nell'insonnia

e quelli relativi ai tratti psichiatrici e metabolici.

A volte i geni per i tratti, tra cui depressione,

ansia, schizofrenia, malattia coronarica e diabete

di tipo 2, erano gli stessi.

I risultati suggeriscono che l'insonnia sia più

fortemente correlata a disturbi neuropsichiatrici

che ad altre caratteristiche legate al sonno,

per esempio l'essere mattinieri.

"È stata una grande sorpresa", dice Saxena.

"E implica che si tratta di un disturbo che a

livello genetico probabilmente è legato alle

malattie psichiatriche e alla regolazione

dell'umore, non necessariamente alla sola

regolazione del sonno".

Entrambi i gruppi di ricerca hanno anche

usato una tecnica (randomizzazione mendeliana)

che ha permesso di dedurre possibili nessi

causali grazie al confronto dei loro risultati

con quelli di studi di tipo GWAS per altre

condizioni.

I due studi indicano che l'insonnia può

causare depressione e malattia coronarica,

e lo studio più ampio ha anche trovato una

connessione causale con il rischio di effetti

sull'indice di massa corporea e di diabete di

tipo 2.

"Una delle motivazioni per il ricorso alla genetica

nello studio del sonno era individuare dove c

'è e dove non c'è un nesso causale", dice Saxena.

"Così, alla fine gli interventi possono essere

mirati dove c'è questo nesso".

Non tutti i ricercatori però hanno altrettanta fiducia

in questi test. "La sovrapposizione genetica è

valida", dice Ripke.

"Ma c'è un dibattito su questi test di

randomizzazione mendeliana; non darei per

scontate le conclusioni."

Entrambi gli studi hanno coinvolto un gene

implicato nella sindrome delle gambe senza

riposo, e questo, dice Saxena, "ha senso

poiché pure questa sindrome è un disturbo

del sonno", sebbene se il suo gruppo abbia

trovato anche che questo in parte potrebbe

essere dovuto a casi non diagnosticati della

sindrome nel loro insieme di dati.

In realtà, è probabile che l'insonnia non sia

una condizione singola, ma un gruppo di

sintomi che possono avere una serie di

cause sottostanti.

In un paziente potrebbe essere conseguenza

di un trauma infantile, in un altro potrebbe

essere legata a processi circadiani stravolti o

semplicemente derivare dalla sindrome delle

gambe senza riposo in un altro ancora.

"Se così fosse, saremmo davvero in grado

di distinguere i casi con la genetica", dice Saxena.

"Capire se ci sono diversi tipi di insonnia, come

possiamo studiarli e magari curarli separatamente,

è la speranza di questo campo di ricerca."

In prospettiva i risultati forniscono punti di

accesso privilegiati alla biologia dell'insonnia.

"Ora stiamo seguendo due strategie", dice Posthuma.

L'implementazione procede "aumentando

ulteriormente le dimensioni del campione" e

"progettando esperimenti di laboratorio che

dimostrino il nesso di causalità e mostrino

come i diversi tipi di cellule coinvolte influenzano

l'insonnia". Studi come questo possono mettere

a fuoco nuovi bersagli terapeutici.

Anche se esistono trattamenti, l'accesso a terapie

come quella cognitivo-comportamentale non è in

grado di soddisfare la domanda esistente.

La terapia comportamentale, però, mostra perché

vale la pena seguire questa linea di ricerca.

La sovrapposizione genetica tra insonnia e disturbi

dell'umore può indicare perché la terapia cognitivo

-comportamentale può essere efficace sia per il

sonno sia per l'ansia.

Dal canto loro, i farmaci attuali hanno un'efficacia

limitata, possono creare dipendenza e avere

effetti collaterali.

"Identificare nuove varianti che contribuiscono

al rischio aiuta a individuare nuovi bersagli

biologici", dice Lind.

Questa ricerca, aggiunge, è "un passo verso

l'obiettivo finale di usare le informazioni

genetiche per prevedere rischio e risultati

della terapia, anche se non siamo ancora a

questo punto".

 
 
 

L'agricoltura nell'antica Anatolia.

Post n°2059 pubblicato il 04 Aprile 2019 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

20 marzo 2019

La diffusione dell'agricoltura nell'antica Anatolia

La diffusione dell'agricoltura nell'antica Anatolia

La diffusione dell'agricoltura in Anatolia non fu la

conseguenza di migrazioni di popolazioni

provenienti dalla Mezzaluna fertile, ma un fenomeno

di contagio culturale in cui i cacciatori-raccoglitori

locali adottarono idee, piante e tecnologie

antropologiageneticaagricolturaLa diffusione

dell'agricoltura in Anatolia centrale a partire

dall'8300 a.C. circa avvenne per contagio culturale,

e non a causa di una massiccia migrazione di

popolazioni provenienti dalla vicina regione della

Mezzaluna fertile - la regione che si estendeva

sui territori corrispondenti agli attuali stati di Iraq,

Siria, Israele, Libano, Egitto e Giordania - dove

era nata circa 11.000 anni fa. Lo ha stabilito un gruppo

internazionale di scienziati guidato da ricercatori del

Max Planck Institut per la scienza della storia umana

a Jena, in Germania, che ne riferiscono

 su "Nature Communications".

La diffusione dell'agricoltura nell'antica Anatolia

La sepoltura di un cacciatore-raccoglitore anatolico di

15.000 anni fa. (Cortesia Douglas Baird)Diverse prove

archeologiche avevano già suggerito che in Anatolia

l'agricoltura fosse stata adottata e sviluppata da gruppi

di cacciatori-raccoglitori locali che cambiarono la loro

strategia di sussistenza.

La conferma di questa ipotesi arriva ora grazie al

sequenziamento del genoma di otto antichi abitanti

della regione vissuti fra 15.000 e 7000 anni fa, genoma

che Johannes Krause e colleghi hanno poi confrontato

con il DNA di 587 soggetti antichi e 254 moderni di

quelle regioni e delle regioni limitrofe.

Dalle analisi è emerso che la popolazione originaria

dell'Anatolia è rimasta geneticamente stabile per oltre

7000 anni e che i primi agricoltori condividevano per

il 90 per cento il loro patrimonio genetico con i più

antichi cacciatori-raccoglitori del posto, con un contributo

genetico non superiore al 10 per cento, attribuibile in parte

alle popolazioni legate agli attuali abitanti dell'Iran, in

parte a quelle del vicino Caucaso e, in misura minore,

dell'Europa meridionale.

Solo fra il 7000 e il 6000 a.C. il contributo di popolazioni

non anatoliche arrivò al 20 per cento. Nel frattempo, parte

delle antiche popolazioni anatoliche avevano iniziato a

migrare in Europa, portandovi il nuovo stile di vita e i

loro geni.

Purtroppo, ha osservato Krause, "ci sono ancora grandi

lacune, sia nel tempo che nelle localizzazioni geografiche,

nei genomi attualmente disponibili.

Questo rende difficile dire come sono avvenute queste i

nterazioni genetiche più sottili, se si trattava di grandi

movimenti ma per un periodo molto ristretto, o di

interazioni più frequenti ma che hanno riguardato di

volta in volta poche persone."

I ricercatori sperano che ulteriori ricerche in questa area

e in quelle limitrofe possano aiutare a rispondere anche

a queste domande. (red)

 
 
 

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