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Messaggi del 01/02/2020

Ombre a Zamboula

Post n°2505 pubblicato il 01 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli

Ombre a Zamboula

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Autore

Robert Ervin Howard

1ª ed. originale

1935

Genere

Racconto

Sottogenere

heroic fantasy

Lingua originale

inglese

Protagonisti

Conan il barbaro

Coprotagonisti

Nefertari

Serie

Conan il barbaro


Ombre a Zamboula è un racconto fantasy facente parte del

ciclo di Conan il barbaro dello scrittore Robert Ervin Howard.

Ombre a Zamboula è una delle storie originali di Robert E.

Howard su Conan il Cimmero, pubblicato in Weird Tales nel

novembre 1935. Il suo titolo originale è stato "The Man-Eaters

of Zamboula".

La storia si svolge nel corso di una notte nella città desertica

di Zamboula, in mezzo a intrighi politici e a strade piene di 

cannibali.

Questa storia ha anche introdotto un nemico particolare, lo

strangolatore Baal-Pteor, uno dei pochi esseri umani nelle

storie di Conan a rappresentare fisicamente un avversario

temibile per il forzuto barbaro.

La storia include uno stereotipo razziale che vede i neri come

cannibali, anche se Howard si sforzò di limitare questo,

evidenziando che i cannibali in Zamboula fossero solo i neri

del Darfar.

Trama

Nonostante l'avvertimento ricevuto in un suq da un anziano

nomade, Conan trascorre la notte in una taverna a buon mercato

di Zamboula, di proprietà di Aram Bisi. Come cala la notte, un 

cannibale nero del Dafar entra nella sua camera attraverso

una botola, per trascinare Conan lontano e divorarlo.

Tutti gli schiavi darfariani in città sono cannibali e vagano

per le strade di notte.

Dal momento che i cannibali attaccano solo gli stranieri, gli

abitanti della città sopportano tutto questo e la sera restano

ben chiusi nelle loro case, mentre i nomadi e mendicanti

trascorrono la notte a una distanza di sicurezza da Zamboula.

AAram Bisi ha fatto un accordo con i cannibali, egli fornisce

loro "carne fresca" e lui trae profitto dagli effetti personali

dei suoi sfortunati ospiti alla locanda.

Questa notte, tuttavia, il cannibale è sfortunato, non riesce

a sorprendere Conan, e paga con la sua vita.

Capito che la sua stanza è in realtà una trappola, Conan si

inoltra nelle strade Zamboula dove incontra una donna nuda

e il suo fidanzato che appare impazzito.

Conan salva la donna da un attacco dei cannibali.

La donna gli confida di aver cercato di ottenere il suo amore

perpetuo attraverso una pozione d'amore, che invece lo ha

reso un pazzo furioso.

Dopo aver promesso a Conan "una ricompensa " in cambio

del suo aiuto, i due tentano di uccidere un sommo sacerdote

responsabile della follia dell'amante.

La donna viene catturata e, dopo essere stata ipnotizzata, è

costretta a ballare davanti al sommo sacerdote fino a quando

non crolla esausta.

Conan, dopo aver sconfitto uno strangolatore di nome Baal-

Pteor al suo stesso gioco, salva la donna e uccide il prete corrotto.

Poco prima che Conan potesse rivendicare la sua ricompensa,

la donna gli rivela di essere Nafertari, moglie del satrapo di

Zamboula, Jungir Khan (l'amante folle).

Dopo aver dato a Jungir l'antidoto al veleno, Nafertari promette

a Conan una posizione nel suo Consiglio della satrapia e

vaste ricchezze.

Conan, tuttavia, rinuncia e lasciando la città e rivela al lettore

di aver riconosciuto i due immediatamente.

Prima però si vendica di Aram Bisi, tagliandogli la lingua e la

barba, rendendolo muto e irriconoscibile.

Alla fine, trascina Bisi verso i cannibali affamati in modo che

possano divorarlo (una delle esposizioni più profonde del

senso ironico di Conan).

Dopo aver avuto a che fare con Aram Bisi, Conan lascia la

città con l'oro e l'anello magico che ha causato gli intrighi

della notte (Conan l'aveva rubato a Jungir durante il loro primo

incontro), intenzionato a vendere il suo premio.

 
 
 

Stardust memories...

Post n°2504 pubblicato il 01 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

14 gennaio 2020

La polvere di meteorite che racconta

la nascita delle stelle

Illustrazione dell'origine dei granuli presolari

(©NASA/W. Sparks (STScI) and R. Sahai (JPL)

/Janaína N. Ávila) Piccoli campioni di minerali

trovati in un meteorite caduto in Australia nel

1969 sono stati datati tra 5 e 7 miliardi di anni

fa: sono i materiali solidi più antichi mai scoperti

sulla Terra e sono la prova di un'epoca di

intensa formazione di nuove stelle

I granuli presolari sono solo dei piccoli campioni

di minerali contenuti all'interno di un meteorite

caduto in Australia circa 50 anni fa, ma raccontano

qualcosa della nascita delle stelle. Philipp Heck,

dell'Università di Chicago, e colleghi, autori di

uno studio apparso sui "Proceedings of the

National Academy of Sciences" li hanno infatti

datati tra cinque e sette miliardi di anni.

Si sono cioè formati prima che si accendesse

il Sole, circa 4,6 miliardi di anni fa, e rappresentano

i materiali solidi più antichi mai trovati sul nostro

pianeta.

I ricercatori sono stati fortunati: i granuli presolari

sono difficili da trovare, poiché si trovano solo nel

cinque per cento dei meteoriti caduti sulla Terra

e sono di dimensioni minuscole.

Circa 30 anni fa, alcuni studiosi dell'Università

di Chicago ne isolarono alcuni dal meteorite di

Murchison, caduto in Australia nel 1969.

"Tutto inizia con la frantumazione dei frammenti

del meteorite, fino a ottenere una polvere", ha

spiegato Jennika Greer, ricercatrice dell'Università

di Chicago e coautrice dello studio.

"Una volta che tutti i pezzi sono separati, è una

specie di pasta, che viene poi sciolta nell'acido,

fino a quando rimangono solo i grani presolari:

è come bruciare il pagliaio per trovare l'ago".

L'età da primato dei grani è un risultato

importante, ma dietro lo studio c'è molto di più,

perché hanno a che fare con il ciclo di vita delle

stelle.

Queste infatti nascono dall'aggregazione e dal

collasso di polveri e gasi che fluttuano nel cosmo,

riscaldandosi e raggiungendo elevatissime

temperature.

Le stelle poi bruciano per milioni o miliardi di

anni e infine muoiono, proiettando  nello

spazio le particelle di cui sono formate.

Questa polvere poi va a formare nuove stelle,

pianeti, satelliti e meteoriti.

E quando rimangono intrappolati nei meteoriti,

i granuli presolari rimangono inalterati per

miliardi di anni, rappresentando una sorta di

capsula del tempo che consente ai ricercatori

di gettare uno sguardo a quello che succedeva

quando il sistema solare non c'era ancora.

E questo sguardo rivela che a quell'epoca il

tasso di formazione stellare era molto elevato.

"Abbiamo osservato più granuli di quanto ci

aspettassimo", ha aggiunto Heck.

"La nostra ipotesi è che la maggior parte di

quei grani, che hanno tra i 4,9 e i 4,6 miliardi

di anni, si sia formata in un epoca, prima

dell'inizio del Sistema Solare, in cui la nascita

di nuove stelle procedeva a un ritmo più

sostenuto del normale."

Questa scoperta potrebbe così porre fine al

dibattito tra scienziati sul fatto che nuove

stelle si formino o meno a un ritmo costante,

o se ci sono alti e bassi nel numero di nuove

stelle nel tempo.

"Alcune persone pensano che il tasso di forma-

zione stellare della galassia sia costante", ha

concluso Heck.

"Ora, grazie a questi granuli, abbiamo a disposi-

zione prove dirette del fatto che sette miliardi di

anni fa ci fu un periodo di maggiore formazione

stellare nella nostra galassia: questo è uno dei

risultati chiave del nostro studio." (red)

 
 
 

Herpes Simplex..

Post n°2503 pubblicato il 01 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli

 

13 gennaio 2020Comunicato stampa

Herpes simplex: studiata relazione tra epidemiologia e storia

Fonte: Irccs Medea/Univ.Milano

Herpes simplex virus ©Vem/Agf Rivista la

datazione della dispersione dei virus originati

in Africa: non è il frutto di antiche migrazioni

ma di eventi più recenti, come la tratta degli

schiavi del XVIII secolo.

Lo studio delll'IRCCS Medea in collaborazione

con l'Università degli Studi di Milano pubblicato

su Molecular Biology and Evolution: "Recent

out-of-Africa migration of human herpes simplex

viruses"

Un gruppo di ricerca italiano ha ripercorso la storia

e le origini di due patogeni estremamente

diffusi nelle popolazioni umane, i virus herpes

simplex di tipo 1 e 2. Lo studio, guidato dal gruppo

di bioinformatica dell'IRCCS Medea di Bosisio Parini

(Lc) in collaborazione con l'Università degli Studi

di Milano, è stato appena pubblicato su Molecular

Biology and Evolution.

Come molti di noi possono sperimentare letteral-

mente sulla propria pelle, il virus herpes

simplex 1 è estremamente comune e causa

prevalentemente manifestazioni orofacciali.

Il virus hepes simplex di tipo 2 è meno frequente

ed è di solito responsabile di herpes genitale.

Entrambi i virus possono anche causare malattie

molto gravi tra cui encefalite non epidemica e

herpes neonatale.

In quest'ultimo caso il virus è generalmente

trasmesso dalla madre durante il parto e le

conseguenze possono essere estremamente

serie per il neonato.

Così come per altri virus appartenenti alla famiglia

degli Herpesviridae (ad esempio il virus della varicella,

il virus della mononucleosi, il citomegalovirus), i

virus herpes simplex 1 e 2 sono molto simili a virus

che infettano le grandi scimmie africane.

In molti casi questi virus si sono evoluti insieme

ai propri ospiti e hanno infettato la nostra specie

da quando ha avuto origine in Africa (circa 200000

anni fa).

Ad oggi, l'Africa rimane il continente in cui i virus

herpes simplex 1 e 2 sono più diffusi.

Questo ha dato origine all'ipotesi che i ceppi virali

che oggi ci infettano abbiano lasciato l'Africa in

tempi molto antichi, cioè durante l'evento migra-

torio che, circa 60000 anni fa, portò gli esseri

umani a popolare tutti gli altri continenti.

Gli autori del lavoro appena pubblicato hanno

dimostrato che la storia evolutiva di questi due

virus è diversa e più complessa di quanto si

immaginasse.

"Abbiamo analizzato la diversità dei due virus

in relazione alla loro provenienza geografica

- spiega Diego Forni dell'IRCCS Medea - e

abbiamo notato come virus derivanti da

continenti differenti non fossero particolarmente

diversi, un'osservazione che non è in accordo

con l'ipotesi di migrazione antica.

I nostri dati, tuttavia, indicavano chiaramente

che i due virus hanno avuto origine in Africa.

Abbiamo quindi pensato che fosse necessario

stimare quando i ceppi virali che circolano

oggi tra le popolazioni umane abbiano lasciato

il continente africano."

"Recentemente, grazie anche allo studio di

virus rinvenuti in resti archeologici, la comunità

scientifica ha una migliore conoscenza della

velocità con cui evolvono le specie virali e

abbiamo quindi a disposizione metodi piuttosto

precisi che consentono di datare l'origine e la

dispersione dei virus - aggiunge Manuela Sironi

dell'IRCCS Medea.

Applicando queste metodiche, abbiamo quindi

stimato che i ceppi oggi circolanti di virus herpes

simplex 1 sono migrati dall'africa circa 5000 anni fa.

Ancora più recente l'uscita dall'Africa del virus

herpes simplex 2, che probabilmente avvenne

nel XVIII secolo."

Quest'ultimo risultato è estremamente interes-

sante perché consente di mettere in relazione

dati epidemiologici ed eventi storici: il XVIII

secolo rappresenta, infatti, il momento culmine

della tratta transatlantica degli schiavi.

In questi cento anni milioni di persone furono

deportate dall'Africa alle Americhe.

Molto probabilmente, questa atroce migrazione

forzata di esseri umani determinò anche l'iniziale

diffusione del virus herpes simplex 2 nelle Americhe.

In tale continente, infatti, la prevalenza del virus

è più elevata che altrove ed è seconda solo

all'Africa.

Il virus herpes simplex 2 non è probabilmente

l'unico patogeno ad essere stato introdotto nel

continente americano in conseguenza della tratta.

Studi precedenti hanno dimostrato che lo stesso

avvenne nel caso del virus della febbre gialla e di

un verme parassita (Schsitosoma mansoni).

Per motivi ecologici, tuttavia, questi patogeni

sono rimasti confinati ad aree tropicali o subtropicali.

Il virus herpes simplex 2 non ha invece trovato

barriere alla propria diffusione planetaria.

 
 
 

Una paleodieta...

Post n°2502 pubblicato il 01 Febbraio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: Internet

03 gennaio 2020

I primi carboidrati nella dieta di Homo sapiens

Dr. Lyn Wadley).I nostri antichi antenati

raccoglievano e cuocevano le parti sotterranee

di piante ricche di carboidrati già 170.000 anni

fa.

Lo dimostra una datazione di resti carbonizzati

di fibre vegetali scoperti in Sudafrica, che

testimonia una tappa importante dell'evoluzione

dell'alimentazione umana

Gli esseri umani hanno iniziato a raccogliere e

cuocere il rizoma, la parte di alcune specie

vegetali che si trova sottoterra, almeno

170.000 anni fa. A quell'epoca infatti risalgono i

resti fossili di fibre vegetali ricche di amidi

scoperte nella Border Cave, una grotta situata

sui monti Lebombo, in Sudafrica, secondo una

nuova datazione pubblicata su "Science" da

Lyn Wadley dell'Università del Witwatersrand a

Johannesburg e colleghi. Il risultato fa luce su

una tappa fondamentale per l'evoluzione

dell'alimentazione umana.

Ossa e utensili litici sono i resti meglio preservati

nei siti fossiliferi, ed è per questo che le strategie

di caccia e le abitudini alimentari carnivore dei

nostri antichi antenati sono ben documentate.

Nel caso della Borde Cave, famosa per la

scoperta avvenuta negli anni settanta di uno

scheletro completo di un bambino e delle ossa

di almeno cinque ominini adulti, l'analisi di resti

animali ha dimostrato già da tempo che gli

occupanti avevano una dieta a base di carne

di potamoceri (mammiferi simili ai suini), facoceri,

 

zebre e bufali.

Il primo barbecue

Intervista di Kate Wong
I resti di vegetali invece si deteriorano facilmente,

ed è per questo che i dati relativi alla dieta

vegetariana di Homo sapiens scarseggiano.

I paleoantropologi sono comunque quasi certi

che comprendesse piante ricche di amido

come per esempio le geofite.

Questa famiglia di vegetali, che comprende

patate, cipolle e zenzero, immagazzina una

notevole quantità di carboidrati nei rizomi, e

storicamente ha rappresentato una fonte di

energia importante per gli esseri umani.

Le documentazioni archeologiche, tuttavia,

non permettono di stabilire in quale epoca

le geofite siano entrate nell'alimentazione

umana.

Le più recenti tecniche che permettono di

analizzare i resti carbonizzati di antichi fuochi

di cottura offrono ora la possibilità di trovare

una testimonianza di fibre vegetali conservate.

Passando al setaccio le ceneri della Border

Cave, Wadley e colleghi hanno scoperto i

resti di antichi rizomi carbonizzati, probabilmente

caduti nel fuoco durante la cottura e non più

recuperati, risalenti fino a 170.000 anni fa.

Dal confronto di rizomi attuali e fossili, gli

autori hanno stabilito trattarsi di piante del

genere Hypoxis, molto diffuse in tutta l'Africa

sub-sahariana.

L'idea dei ricercatori è che i rizomi di Hypoxis 

abbiano rappresentato una fonte di carboidrati

dal sapore gradevole, ampiamente disponibile

e facilmente trasportabile per le prime popolazioni

umane nomadi che si spostavano nel continente

africano.

La cottura rappresentava poi un modo agevole

per rendere i rizomi meno coriacei. (red)

 
 
 

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