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Messaggi del 25/03/2020

Un articolo interessante ed esauriente sui CV

Post n°2644 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dalle Scienze

16 marzo 2020La Bat Woman cinese che va a caccia di virus

di Jane Qiu/Scientific American


Shi Zhengli durante una spedizione per il prelievo di

campioni dai pipistrelli (© Wuhan Institute of Virology)

 Da sedici anni Shi Zhengli, virologa di Wuhan, preleva

campioni di tessuto e sangue dai pipistrelli che

vivono nelle grotte della Cina, identificando decine

di virus mortali, da quello della SARS al nuovo

coronavirus.

Il problema, spiega, non sono gli animali, ma

l'aumentare dei contatti con loro a causa dell'espansione

della presenza umana

- I misteriosi campioni dei pazienti sono arrivati

all'Istituto di virologia di Wuhan alle 7 di sera del

30 dicembre 2019.

Subito dopo, il cellulare di Shi Zhengli ha squillato:

era il suo capo, il direttore dell'istituto.

Il Centro per il controllo e la prevenzione delle

malattie di Wuhan aveva scoperto un nuovo

coronavirus in due pazienti ospedalieri con una

polmonite atipica, e voleva che il prestigioso laboratorio

di Shi indagasse.

Se la scoperta fosse stata confermata, il nuovo

patogeno avrebbe rappresentato una grave minaccia

per la salute pubblica: infatti apparteneva alla stessa

famiglia di virus trasmessi dai pipistrelli di quello

responsabile della SARS (sindrome respiratoria acuta

grave), una malattia che tra il 2002 e il 2003 ha colpito

8100 persone provocando quasi 800 vittime.

Il direttore ha detto: "Interrompi quello che stai

facendo e mettiti al lavoro subito", ricorda Shi.

Shi - una virologa che spesso i colleghi definiscono

la Bat Woman cinese, dato che da sedici anni va a

caccia di virus tra i pipistrelli delle caverne - è uscita

dalla conferenza a cui stava partecipando a Shanghai

ed è saltata sul primo treno per Wuhan. "Mi chiedevo

se [l'autorità sanitaria municipale] si stesse

sbagliando", racconta.

"Non avevo mai pensato che una cosa del genere

potesse succedere a Wuhan, nella Cina centrale".

I suoi studi avevano dimostrato che sono le aree

subtropicali dello Guangdong, dello Guangxi e dello

Yunnan, nel sud del paese, quelle in cui è maggiore

il rischio che i coronavirus passino agli esseri umani

dagli animali, in particolare dai pipistrelli,

notoriamente un serbatoio di molti virus.

Se i colpevoli erano i coronavirus, ricorda di avere

pensato, "potevano essere arrivati dal nostro

laboratorio?"

Pipistrelli del genere ferro di cavallo

(© AGF)Mentre il team di Shi all'istituto dell'Accademia

cinese delle scienze correva contro il tempo per scoprire

l'identità e l'origine del contagio, la misteriosa malattia 

si diffondeva in modo incontrollabile.

L'epidemia è tra le peggiori ad avere colpito il mondo

negli ultimi decenni.

Gli scienziati avvertono da tempo che stanno emergendo

sempre più velocemente nuove malattie infettive,

soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove si incontrano

e circolano sempre più spesso fitte popolazioni di persone

e animali.

"Identificare la fonte dell'infezione e la catena della

trasmissione tra specie è molto importante", spiega

l'esperto di ecologia delle malattie Peter Daszak,

presidente della EcoHealth Alliance, un'organizzazione di

ricerca no profit di New York, che collabora con scienziati

come Shi in tutto il mondo per scoprire nuovi virus negli

animali selvatici.

Un compito altrettanto importante - aggiunge - è andare

a caccia di altri patogeni collegati - le "incognite note" -

per "evitare che si ripetano avvenimenti simili".

Rintracciare il virus alla fonteLa sua prima spedizione

alla scoperta dei virus a Shi sembrò quasi una vacanza.

Nella primavera nel 2004, in una giornata ventosa e

soleggiata, si era unita a un team internazionale di

ricercatori per raccogliere campioni dalle colonie di

pipistrelli nelle grotte vicino a Nanning, la capitale della

regione dello Guangxi.

La prima caverna che avevano esplorato era tipica

di quella zona: grande, ricca di colonne di calcare e

- essendo una meta turistica popolare - di facile accesso.

"Era spettacolare", ricorda Shi, con stalattiti bianco latte

che pendevano dalla volta come ghiaccioli luccicanti per

l'umidità.

Ma l'atmosfera di vacanza era sparita presto.

Molti pipistrelli - tra cui varie specie insettivore

del genere "ferro di cavallo" (Rhinolophus) diffuse

nel sud dell'Asia - dormono in grotte profonde e

strette, su terreni ripidi.

Guidati anche dai consigli degli abitanti del luogo,

Shi e colleghi dovevano camminare ore per

raggiungere siti potenziali, strisciando attraverso

stretti crepacci di roccia.

E i mammiferi volanti possono essere sfuggenti.

In una frustrante settimana, il team aveva esplorato

più di 30 caverne vedendo solo una dozzina di pipistrelli.

Le spedizioni facevano parte di un progetto per

scoprire il colpevole dell'esplosione della SARS

, la prima grande epidemia del XXI secolo.

Un team di Hong Kong aveva riferito che nel Guangdong

alcuni commercianti di animali selvatici avevano contratto

per primi il coronavirus SARS dagli zibetti, mammiferi

simili a manguste originari delle zone tropicali e

subtropicali di Asia e Africa.

Prima della SARS il mondo non sapeva granché sui

coronavirus - chiamati così perché, visti al microscopio,

hanno una superficie a punte che ricorda una corona -

spiega Linfa Wang, che dirige il programma delle

malattie infettive emergenti alla Duke-NUS Medical

School di Singapore.

Dei coronavirus si sapeva per lo più che provocavano

il comune raffreddore. "L'epidemia di SARS ha cambiato

tutto", racconta Wang, il cui lavoro sui coronavirus

trasmessi dai pipistrelli è stato citato brevemente nel

blockbuster hollywoodiano del 2011 Contagion.

Per la prima volta è emerso un coronavirus mortale e

potenzialmente pandemico.

Questa scoperta ha contribuito ad avviare una ricerca

globale di virus che dagli animali si possono trasmettere

agli esseri umani.

Shi è stata tra i primi partecipanti a quell'impresa

su scala mondiale, ed è stato allora che Daszak e Wang

hanno cominciato una lunga collaborazione con lei.

Ma era ancora un mistero come gli zibetti avessero

contratto il virus.

C'erano due precedenti significativi: il contagio del virus

Hendra nel 1994 in Australia, passato dai cavalli alle

persone, e l'epidemia di virus Nipah nel 1998 in Malesia,

passata dai maiali agli esseri umani.

Si è scoperto che entrambe le malattie erano provocate

da patogeni provenienti dai pipistrelli della frutta.

Cavalli e maiali erano solo ospiti intermedi.

In quei primi mesi di caccia ai virus, nel 2004, ogni

volta che il team di Shi trovava una caverna di pipistrelli,

montava una rete all'uscita prima del crepuscolo e

aspettava che le creature notturne si avventurassero

all'esterno in cerca di cibo.

Intrappolati i pipistrelli, i ricercatori prelevavano campioni

di sangue e saliva, oltre a tamponi fecali, spesso lavorando

fino alle ore piccole.

Dopo avere recuperato un po' di sonno, al mattino tornavano

alla grotta per raccogliere urina e palline di feci.

Ma nessuno di quei campioni conteneva tracce di materiale

genetico di coronavirus. Fu un brutto colpo.

"Sembrava di aver buttato via otto mesi di duro lavoro",

racconta Shi. "Pensavamo che forse ai coronavirus non

piacevano i pipistrelli cinesi." Il team stava per arrendersi

quando un gruppo di ricerca in un laboratorio vicino gli

passò un kit diagnostico per testare gli anticorpi prodotti

dalle persone affette dalla SARS.

Non c'era alcuna garanzia che il test avrebbe funzionato

per gli anticorpi dei pipistrelli, ma Shi fece comunque un

tentativo: "Non avevamo niente da perdere", racconta.

I risultati superarono le sue previsioni: i campioni di tre

specie di ferro di cavallo contenevano gli anticorpi

contro il virus della SARS. "Fu un punto di svolta per

il progetto", continua Shi. I ricercatori capirono che

la presenza del coronavirus nei pipistrelli era effimera

e stagionale, ma la reazione degli anticorpi poteva durare

da qualche settimana a qualche anno.

Così il kit diagnostico offrì un'indicazione preziosa su

come cercare le sequenze genomiche virali.

Il team di Shi usò il test degli anticorpi per ridurre

il numero di luoghi e specie di pipistrelli da esaminare

alla ricerca di questi indizi genomici.

Dopo avere vagato su terreni montuosi in gran parte

delle decine di province cinesi, i ricercatori si concentrarono

su un luogo: la grotta di Shitou nei pressi di Kunming,

la capitale dello Yunnan, dove eseguirono un'intensa

campionatura in varie stagioni per cinque anni consecutivi.

L'impegno ha dato i suoi frutti.

I cacciatori di patogeni hanno scoperto centinaia di

coronavirus trasmessi dai pipistrelli, con un'incredibile

varietà genetica.

"Per la maggior parte sono innocui", spiega Shi, ma

decine appartengono allo stesso gruppo della SARS.

Sono in grado di infettare le cellule polmonari umane

in una capsula di Petri, provocare malattie simili alla

SARS nei topi e resistere a vaccini e farmaci che

funzionano contro la SARS.

I pipistrelli e l'origine del virus della SARSNella

grotta di Shitou - dove un esame minuzioso ha rivelato

una biblioteca genetica naturale di virus dei pipistrelli

- nel 2013 il team ha scoperto un ceppo di coronavirus

che proveniva dai ferro di cavallo e aveva una sequenza

genomica che coincideva al 97 per cento con quella

rilevata negli zibetti nel Guangdong.

La scoperta ha concluso la ricerca, durata un decennio,

del serbatoio naturale del coronavirus SARS.

Melting pot virali.

In molte caverne di pipistrelli campionate da Shi,

compresa quella di Shitou, "il costante mescolarsi

di virus diversi crea un'ottima occasione per fare

emergere nuovi patogeni pericolosi", spiega Ralph Baric,

virologo all'Università del North Carolina a Chapel Hill.

E nei pressi di questi melting pot virali, aggiunge Shi,

"non occorre commerciare animali selvatici per farsi

contagiare".
Vicino alla grotta di Shitou, per esempio, ci sono molti

villaggi adagiati tra le colline rigogliose, in una regione

nota per le rose, le arance, le noci e le bacche di biancospino.

A ottobre del 2015 il team di Shi ha raccolto campioni

di sangue da oltre 200 abitanti in quattro di questi villaggi.

Ha scoperto che sei persone, cioè quasi il 3 per cento

, avevano anticorpi contro coronavirus simili a quello

della SARS provenienti dai pipistrelli, anche se nessuna

di loro aveva maneggiato animali selvatici o riferito

sintomi analoghi alla SARS o ad altre forme di polmonite.

Solo una persona aveva viaggiato fuori dallo Yunnan

prima del campionamento, e tutti dicevano che nel loro

villaggio si erano visti volare dei pipistrelli.

Tre anni prima il team di Shi era stato chiamato per

indagare sul profilo virale di una miniera nella contea

montuosa di Mojiang, nello Yunnan - famosa per il suo

tè fermentato Pu'er - dove sei minatori soffrivano di

malattie simili alla polmonite (due sono morti).

Dopo avere raccolto campioni nella grotta per un anno,

i ricercatori hanno scoperto un variegato gruppo di

coronavirus in sei specie di pipistrelli. In molti casi, più

ceppi virali avevano infettato un solo animale, trasformandolo

in una fabbrica volante di nuovi virus.


Nel laboratorio ad alta sicurezza biologica di Wuhan

(© Xinhua/Photoshot/AGF)"La miniera puzzava in modo terribile",

racconta Shi, che era entrata con i colleghi indossando

maschera e tuta protettive.

"La caverna era sporca di guano di pipistrello coperto da un fungo."

Si è scoperto che era questo fungo il patogeno che aveva fatto

ammalare i minatori, ma Shi dice che sarebbe stata solo

questione di tempo prima che fossero contagiati, se la miniera

non fosse stata chiusa prontamente.

Di fronte alla crescita delle popolazioni umane che invadono

sempre più gli habitat degli animali selvatici, ai cambiament

i senza precedenti nell'uso dei suoli, al trasporto in tutto

il mondo di selvaggina e bestiame nonché dei relativi prodotti

e al netto incremento dei viaggi nazionali e internazionali,

è quasi una certezza matematica che scoppino epidemie

destinate a raggiungere proporzioni pandemiche.

È questo pensiero che toglieva il sonno a Shi e a molti altri

ricercatori, ben prima che quei campioni misteriosi arrivassero

all'Istituto di virologia di Wuhan in quella drammatica

sera dello scorso dicembre.

Circa un anno fa, il team di Shi ha pubblicato due analisi

approfondite dei coronavirus su "Viruses" e

"Nature Reviews Microbiology". Basandosi sui dati dei suoi

studi - molti dei quali pubblicati su prestigiose riviste

accademiche - e di altri, Shi e colleghi avevano avvertito

del rischio di future epidemie provocate dai coronavirus

trasmessi dai pipistrelli.

Corsa contro un patogeno mortaleSul treno di ritorno

a Wuhan, il 30 dicembre dell'anno scorso, Shi e i

colleghi hanno discusso su come fare a cominciare

subito a testare i campioni dei pazienti.

Nelle settimane seguenti - il periodo più intenso e

stressante della sua vita - la Bat Woman cinese ha

avuto la sensazione di combattere nel suo peggior

incubo, anche se era ciò cui si stava preparando da

sedici anni.

Usando una tecnica detta reazione a catena della

polimerasi, che è in grado di rilevare un virus

amplificando il suo materiale genetico, il primo round

di test ha mostrato che i campioni di cinque pazienti

su sette contenevano sequenze genetiche note per

essere presenti in tutti i coronavirus.

Shi ha dato istruzioni al suo team di ripetere i test e

contemporaneamente ha mandato i campioni a un altro

laboratorio per sequenziare i genomi virali completi.

Nel frattempo ha riesaminato freneticamente i documenti

degli ultimi anni del suo laboratorio in cerca di eventuali

errori nella gestione dei materiali sperimentali, soprattutto

durante lo smaltimento.

Quando sono arrivati i risultati, Shi ha tirato un sospiro

di sollievo: nessuna delle sequenze corrispondeva a quelle

dei virus campionati dal suo team nelle grotte dei pipistrelli.

"Mi ha davvero tolto un peso", racconta.

"Non dormivo da giorni."
Il 7 gennaio, il team di Wuhan aveva ormai stabilito che

il nuovo virus era effettivamente la causa della malattia

di quei pazienti: questa conclusione si basava sui risultati

dell'analisi della reazione a catena della polimerasi, sul

sequenziamento completo del genoma, sui test degli

anticorpi nei campioni di sangue e sulla capacità del virus

di contagiare cellule polmonari umane in una capsula di Petri.

La sequenza genomica del virus - che ora si chiama

ufficialmente SARS-CoV-2 essendo legato al patogeno

della SARS - era identica al 96 per cento a quella di un

coronavirus identificato dai ricercatori nei pipistrelli ferro

di cavallo nello Yunnan, come hanno scritto in un articolo

pubblicato il mese scorso su "Nature". "È evidente che,

ancora una volta, il serbatoio naturale sono i pipistrelli",

commenta Daszak, non coinvolto nello studio.

Le sequenze genomiche dei ceppi virali dei pazienti

sono in effetti molto simili tra loro, senza cambiamenti

rilevanti dalla fine dello scorso dicembre, in base alle

analisi di 326 sequenze virali pubblicate.

"Questo fa pensare che i virus abbiano un antenato comune",

commenta Baric. Inoltre i dati - aggiungono i ricercatori -

indicano una sola introduzione negli esseri umani,

seguita da una forte trasmissione intra-umana.

Poiché il virus sembra piuttosto stabile e molte

persone contagiate manifestano sintomi leggeri,

gli scienziati sospettano che il patogeno fosse in

circolazione già da settimane, o perfino mesi, quando

i primi casi gravi hanno fatto suonare l'allarme.

"Potrebbero esserci stati piccoli focolai, ma il virus

si è spento" prima di seminare lo scompiglio, spiega

Baric.

"L'epidemia di Wuhan non è assolutamente frutto

del caso." In altre parole, era quasi inevitabile.

Secondo molti, i fiorenti mercati di selvaggina della

regione - che vendono un'ampia gamma di animali

come pipistrelli, zibetti, pangolini, tassi e coccodrilli -

sono dei perfetti melting pot virali.

È vero che gli esseri umani potrebbero avere contratto

il virus mortale direttamente dai pipistrelli (secondo

vari studi, compresi quelli di Shi e colleghi), ma studi

in attesa di pubblicazione di team indipendenti hanno

ipotizzato che i pangolini possano avere fatto da

ospiti intermedi.

Questi team hanno riferito di avere scoperto coronavirus

simili al SARS-CoV-2 in pangolini sequestrati durante

operazioni anticontrabbando nel sud della Cina.

Il 24 febbraio la nazione ha annunciato un divieto

permanente di consumare e vendere selvaggina,

se non per scopi di ricerca, medici o espositivi: questo,

secondo un rapporto del 2017 dell'Accademi cinese

di ingegneria, annienterà un settore con un valore di

76 miliardi di dollari, provocando 14 milioni di disoccupati

. Alcuni accolgono con favore l'iniziativa, ma altri, come

Daszak, temono che senza un impegno per cambiare le

credenze tradizionali della gente o dare mezzi di

sussistenza alternativi, un divieto generale potrebbe

spingere il business nella clandestinità.

Rilevare le malattie potrebbe quindi diventare ancora

più difficile.

"Nel sud della Cina il consumo di selvaggina fa parte

della tradizione culturale" da millenni, commenta Daszak

. "Non cambierà da un giorno all'altro."

Un mercato dei maiali (© robertharding/AGF)In ogni caso

- aggiunge Shi - "il commercio e il consumo di selvaggina

è solo un aspetto del problema».

Verso la fine del 2016, in quattro allevamenti di maiali

nella contea di Qingyuan nel Guangdong - a un centinaio

di chilometri dal punto di origine dell'epidemia di SARS -

gli animali soffrivano di nausea acuta e diarrea, e ne

sono morti quasi 25.000

. I veterinari locali, non riuscendo a rilevare patogeni

conosciuti, avevano chiesto aiuto a Shi.

Si è scoperto che la causa della malattia, detta SADS

(sindrome suina da diarrea acuta), era un virus con una

sequenza genomica uguale al 98 per cento a un

coronavirus scoperto nei pipistrelli ferro di cavallo d

i una caverna vicina.

"È un motivo di forte preoccupazione", spiega Gregory

Gray, epidemiologo delle malattie infettive alla Duke

University. I maiali e gli esseri umani hanno un sistema

immunitario molto simile, e perciò per i virus è facile

passare da una specie all'altra. Inoltre un team della

Zhejiang University, a Hangzhou, ha scoperto che il virus

della SADS era in grado di contagiare in una capsula di

Petri le cellule di molti organismi tra cui roditori, polli,

primati non umani ed esseri umani. Date le dimensioni

dell'allevamento di maiali in molti paesi, tra cui Cina

e Stati Uniti - continua Gray - la ricerca di nuovi

coronavirus nei maiali dovrebbe avere la massima

priorità.

Anche se l'epidemia di Wuhan è la sesta negli ultimi

26 anni a essere provocata da virus trasmessi dai

pipistrelli - le altre cinque sono Hendra nel 1994,

Nipah nel 1998, SARS nel 2002, MERS (sindrome

respiratoria mediorientale) nel 2012 ed Ebola nel 2014 -

"il problema non sono gli animali [di per sé]", spiega

Wang.

Anzi, i pipistrelli aiutano a favorire la biodiversità e

la salute dei loro ecosistemi nutrendosi di insetti e

impollinando le piante.

"Il problema - continua - nasce quando veniamo in

contatto con loro."

 
 
 

Un articolo sui CV

Post n°2643 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Prevenire le epidemie future (parte 2)

A oltre due mesi dall'inizio dell'epidemia - e sette settimane

dopo che il governo cinese ha imposto restrizioni ai trasporti

in tutta la città di Wuhan, una metropoli con 11 milioni di

abitanti - la vita sembra quasi normale, commenta Shi r

idendo. "Forse ci stiamo abituando.

Sicuramente il peggio è passato." I dipendenti dell'istituto

hanno un pass speciale per viaggiare da casa al laboratorio,

ma non possono andare altrove. Per oltre un mese, durante

le lunghe ore in laboratorio hanno dovuto accontentarsi di

pasti precotti perché la mensa dell'istituto era chiusa.

I ricercatori hanno scoperto che il nuovo coronavirus

entra nelle cellule polmonari umane usando un ricettore

detto enzima convertitore dell'angiotensina 2 (ACE2).

Da allora gli scienziati stanno selezionando farmaci in

grado di bloccarlo.

E come altri gruppi di ricerca, si stanno affrettando a

sviluppare vaccini e testare candidati promettenti.

Nel lungo periodo, il team punta a sviluppare vaccini e

farmaci ad ampio spettro contro i coronavirus ritenuti

rischiosi per gli esseri umani.

"L'epidemia di Wuhan è un campanello d'allarme",

avverte Shi.

 

Molti scienziati sostengono che il mondo non debba

limitarsi a reagire ai patogeni mortali quando si presentano.

"Il progresso migliore è la prevenzione", commenta Daszak.

Dato che il 70 per cento delle malattie infettive

trasmesse dagli animali proviene dalla selvaggina -

aggiunge - "il punto di partenza dovrebbe essere

trovare tutti quei virus negli animali selvatici a livello

globale e sviluppare test diagnostici migliori".

Sostanzialmente, si tratterebbe di continuare il lavoro

di ricercatori come Daszak e Shi, ma su scala molto

più ampia.

Questi impegni dovrebbero concentrarsi sui gruppi

virali ad alto rischio in alcuni mammiferi esposti alle

infezioni da coronavirus come pipistrelli, roditori,

tassi, zibetti, pangolini e primati non umani, commenta

Daszak. E aggiunge che in questa battaglia contro i

virus dovrebbero essere in prima fila i paesi in via di

sviluppo che si trovano nelle zone tropicali con la

maggiore varietà di animali selvatici.

Malattie emergenti in un mondo che cambia

Negli ultimi decenni, Daszak e i suoi colleghi hanno

analizzato circa 500 malattie infettive umane del

secolo scorso.

Hanno scoperto che, tendenzialmente, i nuovi patogeni

sono comparsi in luoghi dove una popolazione ad alta

densità aveva modificato il paesaggio: costruendo strade

 e miniere, tagliando le foreste e intensificando l'agricoltura.

"La Cina non è l'unico luogo a rischio", osserva,

aggiungendo che sono a forte rischio anche altre grandi

economie emergenti, come India, Nigeria e Brasile.

Una volta mappati i potenziali patogeni - spiega Gray -

gli scienziati e le autorità sanitarie possono verificare

periodicamente eventuali infezioni analizzando campioni

di sangue e tamponi prelevati dal bestiame, dagli

animali selvatici allevati e venduti, nonché da popolazioni

umane ad alto rischio come allevatori, minatori e chi

vive vicino ai pipistrelli, oppure caccia o maneggia

animali selvatici.

Questo metodo, detto "One Health", punta a integrare

la gestione della salute di animali selvatici, bestiame e

persone.

"Solo allora riusciremo a fermare un focolaio prima che

si trasformi in un'epidemia", spiega, aggiungendo che

questo metodo potrebbe potenzialmente risparmiare

le centinaia di miliardi di dollari che può costare una simile

epidemia.

Tornata a Wuhan, la Bat Woman cinese ha deciso di lasciare

la prima linea delle spedizioni di caccia ai virus.

"Ma la missione deve andare avanti", spiega Shi, che continuerà

a dirigere programmi di ricerca.

"Quello che abbiamo scoperto è solo la punta dell'iceberg.

" Il team di Daszak ha stimato che nei pipistrelli in tutto il mondo

esistano ben 5000 ceppi di coronavirus che aspettano di

essere scoperti.

Shi sta allestendo un progetto nazionale per campionare

sistematicamente i virus nelle caverne dei pipistrelli, in modo

molto più ampio e intenso rispetto ai precedenti tentativi del

suo team.

"I coronavirus trasmessi dai pipistrelli provocheranno altre

epidemie", dice preoccupata con un tono di certezza.

"Dobbiamo trovarli prima che ci trovino loro."
-------------------------(L'originale di questo articolo è stato

pubblicato su "Scientific American" l'11 marzo 2020.

Traduzione di Lorenzo Lilli, editing a cura di Le Scienze.

Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)  

 
 
 

Sui Neanderthaliani..

Post n°2642 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli


28 novembre 2019

Il peso dei fattori demografici nell'estinzione dei Neanderthal

Ricostruzione del volto dell'uomo di Neanderthal in mostra al

Museo di storia naturale di Washington D.C. (© B. Christopher

/AGF) Popolazioni poco numerose, accoppiamenti tra membri

dello stesso gruppo e fluttuazioni di natalità, mortalità e fertilità

sarebbero stati fattori sufficienti a causare la scomparsa dei

nostri antichi cugini

L'uomo di Neaderthal si è estinto circa 40.000 anni fa, più o meno

nello stesso periodo in cui gli esseri umani moderni hanno iniziato

a migrare verso il Medio Oriente e l'Europa

. Questa coincidenza temporale ha fatto ipotizzare che la competizione

con Homo sapiens abbia avuto un ruolo cruciale nel determinare

la scomparsa dei nostri antichi cugini.

Un nuovo studio apparso sulla rivista PLOS ONE a firma di  Krist

Vaesen, del Politecnico di Eindhoven, e colleghi ora ridimensiona

questa ipotesi.

Ha infatti concluso che la dimensione limitata delle popolazioni,

l'endogamia (cioè l'accoppiamento tra membri dello stesso gruppo) e

fluttuazioni demografiche casuali sarebbero state sufficienti a causare

il processo di estinzione dei Neanderthal.

Gli autori hanno usato un modello al computer per simulare i processi

di crescita e decrescita di popolazioni di diverse dimensioni, da 50 a

5000 individui, utilizzando come parametri i dati disponibili sulle

popolazioni di cacciatori-raccoglitori attuali. In questo contesto,

hanno poi indagato l'influenza sul rischio di estinzione entro

10.000 anni di diversi fattori.

Il primo di questi è stato il cosiddetto "effetto Allee", che prevede ch

e la densità di una popolazione possa talvolta aumentare i tassi di

fecondità e di sopravvivenza e contempla un rischio di collasso delle

piccole popolazioni.

Gli altri fattori considerati sono stati l'endogamia e le fluttuazioni

demografiche casuali dovute a variazioni dei tassi di natalità, mortalità

e fertilità.

Il primo risultato della simulazione è che l'endogamia da sola è una

causa improbabile dell'estinzione, a meno che non si tratti di popolazioni

con un numero estremamente ridotto di membri. Invece, nelle popolazioni

fino a mille individui, un calo del 25 per cento nel numero di nascite

nell'arco di un determinato anno, causato da una diminuzione del tasso

di fecondità dovuto all'effetto Allee - un fenomeno comune osservato

nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori attuali - è risultato sufficiente

a causare l'estinzione. In concomitanza con le fluttuazioni demografiche,

gli effetti Allee e l'endogamia avrebbero potuto causare, in 10.000 anni,

l'estinzione di popolazioni di Neanderthal di tutte le dimensioni previste.

"Indipendentemente dal fatto che fattori esterni, come il clima o le

epidemie, o fattori legati alla competizione per le risorse abbiano avuto

un ruolo nell'effettiva scomparsa dei Neanderthal, il nostro studio

suggerisce che qualsiasi spiegazione plausibile della loro estinzione

debba anche incorporare i fattori demografici come variabili chiave",

concludono i ricercatori. (red)

 
 
 

Dalla preistoria..

Post n°2641 pubblicato il 25 Marzo 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: Le Scienze

10 gennaio 2020

Una nuova cronologia delle migrazioni di Homo erectus

Cranio quasi completo di H. erectus ritrovato nel

sito di Sangiran (©Hisao Baba/National Museum

of Nature and Science) Una nuova datazione indica

che i primi H. erectus migrarono dall'Asia centrale

verso il Sudest asiatico e Giava quasi 300.000 anni

più tardi di quanto indicato negli attuali modelli

paleoantropologici, riscrivendo la cronologia di una

tappa fondamentale dell'evoluzione dei nostri antenati

Homo erectus, la prima specie umana a mantenere

stabilmente la stazione eretta, visse sull'isola di Giava,

in Indonesia, per un arco temporale certo molto ampio,

ma probabilmente più vicino a noi di quanto ritenuto

finora.

pochi giorni dalla descrizione dell'ultimo H. erectus

 vissuto a Giava, scomparso non prima di 117.000-

108.000 anni fa, arriva ora la notizia che il più antico

risale a 1,3-1,5 milioni di anni fa.

Ciò implica che i primi esseri umani completamente

bipedi migrarono dall'Asia centrale verso il Sudest

asiatico e Giava quasi 300.000 anni più tardi di quanto

indicano gli attuali modelli paleoantropologici.

Lo ha stabilito una nuova datazione, illustrata sulla

rivista "Science" da Shuji Matsu'ra del Museo nazionale

di natura e scienza di Tsukuba, in Giappone, e colleghi

di una collaborazione internazionale, che hanno

condotto nuove analisi dei resti fossili trovati nel

sito archeologico di Sangiran, dichiarato Patrimonio

mondiale dell'Unesco.

Lo studio dei fossili di Homo erectus è tutt'uno con

gli scavi sull'isola indonesiana.

I primi resti fossili di questa specie umana, furono

infatti stati scoperti nel 1891 nel sito di Trinil, nella

parte orientale dell'isola, dal paleontologo olandese

Eugène Dubois, tanto che l'ominide fu battezzato

inizialmente Uomo di Giava.

Ma è il sito di Sangira, nella parte centrale dell'isola,

a essere stato teatro, pochi anni dopo, della scoperta

del primo scheletro completo di H. erectus, seguito

da un'abbondante messe di reperti, i più antichi fossili

umani del Sudest asiatico.


Finora, dai sedimenti di Sangira sono stati recuperati

più di 100 esemplari di almeno tre diverse specie di

ominidi.

Per questo il sito è considerato come uno dei più

importanti per comprendere l'evoluzione dei nostri

primi antenati e la loro lenta espansione in tutto il

mondo.

Benvenuti in famiglia

di Bernard WoodDecenni di ricerche, tuttavia, non

hanno consentito finora di definire una cronologia

del sito, che rimane incerta e controversa, in

particolare per i tempi della prima apparizione di H

. erectus nella regione: le date attualmente accettate

sono difficili da conciliare con altri giacimenti

fossiliferi dell'Asia. Una comprensione accurata

della cronologia del Sangiran è dunque cruciale

per comprendere le prime migrazioni e i primi

insediamenti umani nel continente.

Matsu'ura e colleghi hanno usato la tecnica di

datazione all'uranio/piombo per determinare l'età

degli zirconi di provenienza vulcanica trovati sopra,

sotto e all'interno, degli strati geologici in cui erano

compresi i resti fossili. Mentre le stime precedenti

avevano stimato l'arrivo di ominidi nel sito già 1,7

milioni di anni fa, i risultati di Matsu'ura e colleghi

suggeriscono una data molto più recente: probabilmente

di 1,3 milioni di anni fa, ma non prima di 1,5 miliioni

di anni fa. (red)

 
 
 

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