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Messaggi del 16/06/2020
Post n°3102 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet SUPRAMONTE DI ORGOSOLO La foresta primaria di Sas Vaddes e i nuraghi dentro il bosco Tombe dei Giganti sotto il cielo stellato. © Bobore Frau BOBORE FRAU4 GIORNI FA Con il termine Supramonte si indica una vasta area montuosa caratterizzata da substrato calcareo, morfologicamente accidentata e poco accessibile, ubicata nella Sardegna centro orientale. Ma da cosa ha avuto origine questo toponimo? Inizialmente "supra'e Montes" indicava una porzione del territorio di Orgosolo che si trova appunto "al di sopra" della località di Montes. Definizione che è stata poi estesa ai territori vicini di Urzulei, Baunei, Dorgali e Oliena, accomunati dal medesimo substrato geologico e con aspetti naturalistici molto simili. Nella prima tappa della nostra ultima escursione di due giorni abbiamo deciso di visitare il cuore più autentico del Supramonte di Orgosolo: la foresta primaria di Sas Vaddes e i nuraghi custoditi nel suo cuore verde. La prima sensazione che si prova quando il fuoristrada si addentra nel territorio di Orgosolo è un misto di stupore e smarrimento. Un immaginario varco temporale ci riporta indietro a un'epoca lontana e indefinibile, dove le tracce dell'uomo sembrano una perturbazione appena percettibile. La segnaletica è praticamente inesistente e per muoversi in sicurezza è necessario affidarsi a una guida esperta. La prima tappa della nostra escursione è il nuraghe Mereu, noto a Orgosolo come "su Nurahe de intro 'e Padente" che letteralmente significa "il nuraghe dentro il bosco di lecci". Questa affascinante costruzione in bianca pietra calcarea si erge dal fitto del bosco e domina il territorio circostante. L'utilizzo dei nuraghi è cambiato nel tempo ma una delle teorie più accreditate è che queste imponenti torri avessero originariamente una funzione difensiva, così come le muraglie megalitiche ritrovate nelle vicinanze. Dal Nuraghe Mereu, in allineamento con il canyon di Gorropu, si distingue una seconda costruzione: il Nuraghe Presethu Tortu. Tutto il territorio è ricco di altre testimonianze archeologiche come tombe dei giganti e domus de janas, prova di una frequentazione umana costante nel tempo. Il mare verde della foresta separa i due nuraghi, celando al suo interno altri inestimabili tasselli della storia sarda, per molti aspetti ancora avvolta nel mistero. Tortu. © Bobore Frau La nostra escursione prosegue verso un autentico santuario naturale: la foresta primaria di Sas Vaddes. Un pecchiaiolo in migrazione saluta il nostro ingresso prima di riprendere il suo tragitto errabondo. In questo luogo, ogni espressione della natura si manifesta in modo monumentale. Le chiome di enormi lecci plurisecolari, come lunghe e forti braccia indurite dal tempo e dalla fatica si sollevano dal buio del bosco alla disperata ricerca di luce. La foresta di Sas Vaddes è una delle più antiche d'Europa, rappresenta un unicum in ambito mediterraneo e sfortunatamente versa in una situazione di pericolo. Lungo i sentieri che la attraversano si osservano grossi lecci spezzati o sradicati . Le cause sono ancora oggetto di studio ma prendono in considerazione una concomitanza di fattori in grado di indebolire gli apparati radicali (sovrapascolamento, scavi tra le radici operati da maiali e cinghiali, attacchi fungini...) e spianare così la strada all'azione del vento e della neve. A ogni modo, i varchi lasciati dalle piante più vetuste sembrano trovare rimpiazzo in quelle più giovani, che come una promessa di rinnovamento godono di nuova luce e spazio vitale. Ancora inebriati dall'odore del sottobosco, dal buio e dai suoi misteri, lasciamo Sas Vaddes per accamparci nel rifugio di sa Senépida. Prima che il sole tramonti riusciamo a osservare gli spostamenti di alcuni mufloni in mezzo alle ferule in fiore. Cala la notte. Il vino e il fuoco riscaldano l'atmosfera, mentre una meravigliosa volta stellata incornicia le tombe dei giganti poco lontane dal rifugio. Un ringraziamento particolare ai compagni di viaggio Sergio, Kecco e Davide. © RIPRODUZIONE RISERVATA RIPRODUZIONE CONSENTITA CON LINK A ORIGINALE E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°3101 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet INCONTRI SUL FIUME SILE - PRIMA PUNTATA Quando l'acqua viene dalla pianura: il fenomeno delle risorgive Le risorgive del fiume Sile PAOLO ROCCAFORTE21 OTT 2016
Con i suoi 95 chilometri di lunghezza, il Sile rappresenta il più importante fiume di risorgiva in Italia. Nasce in prossimità della località Casacorba (Treviso). Dalle sorgenti scorre da ovest verso est grossomodo fino a Treviso; a valle della città si orienta verso sud-est sino ad incontrare la laguna, dove sfociava anticamente. Nel 1991 questo tratto del fiume, è stato istituito a Parco Naturale Regionale.
Repubblica di Venezia nel XVII secolo, è stata fatta confluire nel Sile-Piave Vecchia sino alla foce a Cavallino. In questo tratto il fiume lambisce ed abbraccia la Laguna Nord di Venezia ed il paesaggio fluviale si fonde con quello dei vasti orizzonti lagunari fatto di canneti e di barene. Ma cosa sono le risorgive? Il termine risorgive indica genericamente il fenomeno di risorgenza delle acque dai suoli di pianura; si tratta di un fenomeno tipico della Pianura Padana. Nella Pianura Veneta, con riferimento alla realtà propria del Fiume Sile, il Piave allo sbocco dal sistema alpino scorre sul vastissimo deposito di detriti che le sue stesse acque hanno accumulato nel corso dei millenni. L'alveo fluviale è dunque formato, nel primo tratto planiziale (alta pianura) da ciottoli levigati dal trascinamento delle acque e dall'abrasione per sfregamento con gli altri ciottoli. Per questo l'alveo presenta una elevata permeabilità e le acque quindi s'infiltrano abbondantemente nel sottosuolo, raggiungendo e formando la falda ipogea. La pendenza degli strati sedimentari determina un lento, ma costante scorrimento sotterraneo delle acque che si interrompe, però, nella fascia in cui avviene il passaggio tra l'alta pianura, formata appunto da sedimento grossolano e la bassa pianura formata da sedimento fine (sabbia, limo, argilla). Qui, le acque che scorrono in profondità incontrano strati di sedimento impermeabile sempre più consistenti, che ne ostacolano il deflusso e che le "costringono" a risalire ed affiorare spontaneamente in superficie. In questo modo si formano le suggestive polle sorgive, piccoli avvallamenti in cui il perenne scaturire dei fiotti d'acqua origina un ruscello le cui acque, dette appunto "di risorgiva", il più delle volte confluiscono in un unico corso fluviale. La zona di transizione tra alta e bassa pianura costituisce la fascia delle risorgive, ampia da 2 a 8 chilometri circa, che percorre tutta la Pianura Veneta e che s'inoltra in territorio friulano, dove il fenomeno presenta aspetti assolutamente analoghi. Le peculiarità dell'acqua delle risorgive Le peculiarità delle acque di risorgiva sono varie; per aver subito un processo di naturale filtraggio attraverso gli interstizi del sottosuolo ghiaioso dell'alta pianura, sgorgano non solo limpidissime, ma anche esenti da inquinanti, in particolare microbiologici. La temperatura dell'acqua oscilla tra i 10° ed i 13°C. Infatti, le acque di risorgiva hanno una temperatura media costante durante l'anno, con modeste oscillazioni di valore tra le diverse fasi stagionali; questo contribuisce perciò a mitigare il clima, sia durante l'estate che durante l'inverno, riducendo i picchi delle temperature massime e minime; questo rappresenta un fattore ecologico di straordinaria importanza, poiché si crea un microclima particolare che si riflette sui popolamenti vegetali ed animali, che annoverano specie non rilevabili in altre zone della nostra regione. © RIPRODUZIONE RISERVATA RIPRODUZIONE CONSENTITA CON LINK A ORIGINALE E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°3100 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet INCONTRI SUL FIUME SILE - SECONDA PUNTATA Le sorgenti del Sile, viaggio a ritroso verso la primigenia naturalità nel paesaggio PAOLO ROCCAFORTE26 OTT 2016 Lungo il corso del Fiume Sile uno dei luoghi più caratteristici ed interessanti è senza dubbio l'area delle Sorgenti che conserva tracce significative di "naturalità originaria"; la polla sorgiva, il ruscello, la torbiera, questi sono i biotopi residui, che conservano la memoria della primigenia naturalità nel paesaggio umanizzato della Pianura Veneta. Si tratta di elementi infinitesimali e fragili, ma che garantiscono ancora un notevole grado di conservazione e diffusione della biodiversità. Visitare le polle sorgive da cui nasce il Sile, chiamate localmente "fontanassi", rappresenta sempre un momento di notevole fascino. Il sedimento sabbioso del fondo della polla che si muove continuamente disegnando cerchi mutevoli in perenne ridefinizione e le bolle d'acqua che risalgono in superficie, rendono immediata ed efficace la percezione del fenomeno della risorgenza delle acque, offrendo inoltre la percezione diretta di acque fresche e pulite. Anche il corso fluviale iniziale, il ruscello poco profondo, offre queste sensazioni, con le acque caratterizzate da un'elevatissima limpidezza che permette la penetrazione della luce solare e quindi consente alle piante acquatiche di superficie e di fondale di effettuare la fotosintesi. Ci sono specie che non si trovano ormai così spesso nei nostri corsi d'acqua, come l'Erba gamberaia (Callitriche stagnalis), una pianta che radica sul fondo che forma dei banchi fittissimi sommersi nell'acqua e di cui si vedono le rosette verdi delle foglie apicali. In associazione con questa, dove l'acqua è più ferma, si osserva la Lenticchia d'acqua (Lemna minor), una pianticella galleggiante di dimensioni ridottissime che può formare tuttavia colonie monospecifiche su superfici anche molto estese. Diffusa è la Sedanina d'acqua (Berula erecta), che ricopre alcuni tratti del ruscello, costituendo nella sua forma sommersa, l'associazione tipica del tratto iniziale dei corsi d'acqua di risorgiva; sensibile all'inquinamento derivato dagli scarichi è in alcuni luoghi in forte regresso. Presente è la Menta acquatica (Mentha aquatica), tipica di quella comunità floristica che forma isole sott'acqua. È dotata di piccoli peli: sono le ghiandole secretrici dell'essenza di menta, che si accumulano in un gruppetto di cellule alla cima di ognuno di essi. In misura minore è presente la Brasca comune (Potamogeton natans), a foglie ellittiche, lanceolate, galleggianti; è facilmente riconoscibile per l'infiorescenza formata da una spighetta di colore verde che sporge dalla superficie delle acque. In tratti più circoscritti si può osservare la Brasca arrossata (Potamogeton coloratus), che ha le foglie tipicamente di color cupreo, emerge con le foglie in superficie e forma anch'essa dei banchi più o meno estesi. Questa specie è ormai scomparsa o in via di diventare tale in molte località del suo areale. Poco oltre è visibile il Ranuncolo a foglie capillari (Ranunculus trichophyllus), con fusti esili e flessibili, foglioline ramificate, fiori che compaiono all'estremità dei fusti e che sporgono dalle acque formando dei caratteristici tappeti fioriti di colore bianco; questa è una condizione che riguarda molte piante acquatiche, in cui i fiori devono sporgere dalla superficie dell'acqua per poter essere visitati dagli insetti impollinatori. Nelle basse sponde delle polle e del ruscello si trova la Calta palustre (Caltha palustris); la fioritura "esplode" in aprile, con i fiori di un giallo intenso, con le foglie a forma di cuore. È una specie legata alle zone umide dotate di acque fresche essendo una pianta tendenzialmente microtermica, tanto è vero che vive anche presso le aree palustri in alta montagna, oltre i 2400 m di altezza. In passato era molto frequente lungo i fiumi di risorgiva, oggi purtroppo si sta rarefacendo a causa dell'alterazione delle sponde.
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Post n°3099 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet INCONTRI SUL FIUME SILE - TERZA PUNTATA Campi chiusi, un paesaggio antico da tutelare PAOLO ROCCAFORTE15 NOV 2016
Un ambiente caratteristico presso le sorgenti del Sile è quello dei cosiddetti campi chiusi o prese, un paesaggio agrario antico e ormai raro, un vero e proprio elemento di archeologia del paesaggio rurale, ovvero di situazioni letteralmente assimilabili a paesaggi agrari di tipo medioevale, attualmente estinti nella devastata campagna del Veneto industrializzato. È formato da prati stabili, ossia prati che subiscono un certo numero di falciature all'anno, delimitati da siepi e alberate spontanee che crescono lungo le sponde di fossi e scoline perimetrali, che in primavera e in estate sono un sicuro rifugio per numerose specie di animali. Nei tempi passati, durante l'inverno si allagavano i prati sbarrando gli scoli e si praticava la cosiddetta irrigazione termica. Infatti, l'acqua - più calda dell'aria - proteggeva il manto erboso dalle basse temperature. All'occorrenza l'allagamento si eseguiva anche in estate, in modo da mantenere umido il suolo nei mesi più caldi. La costante presenza dell'acqua, unita all'effetto ombreggiante delle piante ad alto fusto, manteneva un microclima che permetteva di effettuare anche cinque tagli di foraggio all'anno. La sistemazione a campi chiusi, oggi di pregevole valore paesaggistico e storico, un tempo interessava un'area di notevole estensione. Attualmente, a causa della conversione dei prati in coltivi, i campi chiusi si osservano solo in superfici di pochi ettari. Il livello di alterazione del tessuto paesaggistico, infatti, ha portato a una progressiva frammentazione degli spazi peculiari del paesaggio agrario. Nonostante queste modifiche, nella zona la destrutturazione dell'ecosistema della campagna non è stata completa. Oltre ai campi chiusi, si sono mantenute superfici coltivate, di dimensioni contenute e bordate anch'esse da siepi ed alberate, e nei vigneti sono ancora diffusi i tutori vivi, come salici o gelsi, connotando senza dubbio un paesaggio agrario appartenente al passato, legato ad una tradizione colturale in corso di estinzione. La sua valenza ecologica, tuttavia, è di notevole interesse, in particolare per la fauna; infatti, la campagna alberata possiede una grande ricettività faunistica, offrendo importanti opportunità d'habitat e fonti alimentari agli animali selvatici.
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Post n°3098 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet INCONTRI SUL FIUME SILE - QUARTA PUNTATA Nella Pianura Veneta ci sono piante che hanno l'età dei mammut PAOLO ROCCAFORTE24 NOV 2016 Il contingente di specie floristiche insediato nelle residue torbiere è una delle componenti di maggiore interesse naturalistico della biodiversità propria del Sile, con specie che rappresentano un archivio prezioso di rarità botaniche, relitti di un lontano passato giunti sino a noi e oggi alle soglie dell'estinzione nella Pianura Veneta. In pianura la specie tipica delle torbiere è il Giunco nero (Schoenus nigricans), con infiorescenze composte da 5-10 spighette di colore bruno-nerastro; questo piccolo giunco rappresenta l'elemento edificante della torbiera contribuendo alla produzione della materia organica che in parte si decompone e in parte si accumula sotto forma di torba. Tra i cespi di Giunco nero si trovano altre specie di prateria umida, come la Carice di Davall (Carex davalliana), molto più diffusa in ambiente alpino, dove raggiunge anche i 2500 m di altezza. pianta delle torbiere montane, che s'incontra fino i 2000-2200 m di altezza. In maggio è facilmente riconoscibile per i caratteristici pennacchi pendenti di candida peluria; oggi, a causa della distruzione dei biotopi adatti, è una delle specie più a rischio di estinzione. Non è da meno il Trifoglio montano (Trifolium montanum), che a nord si estende fino alla Scandinavia meridionale, a sud si trova sulle montagne; a differenza del comune Trifoglio strisciante, è una pianta eretta di 15-40 cm, con infiorescenze sferiche di colore bianco. Rarissimo poi il Garofano a pennacchio (Dianthus superbus); in Italia si trova lungo l'arco alpino, fino a 2200 m di altitudine, con il fiore dal bianco al rosa -lilla e i petali tipicamente frangiati; fiorisce da giugno ad agosto. Infine, tra agosto ed ottobre fiorisce la Genziana di palude (Gentiana pneumonanthe), con bellissimi fiori campanulati di colore blu intenso, sfumati longitudinalmente di verde. In Italia è diffusa in ambiente alpino, sull'Appennino settentrionale e in Abruzzo. Nella Pianura Padana è rarissima a causa della distruzione dell'habitat. Queste specie sono evidenti relitti della flora microtermica giunta in pianura durante l'ultima glaciazione di Würm. Finito il periodo glaciale, con il ritiro dei ghiacci, la maggior parte delle specie ritornò negli ambienti a clima idoneo, ma alcune di queste hanno potuto sopravvivere con popolazioni più o meno consistenti in particolari ambienti di pianura, dove si stabilirono definitivamente, grazie a microclimi fresco-umidi, tra cui appunto nei pressi delle acque costantemente fresche delle risorgive. Così, mentre i grandi Mammut si estinguevano, queste piccole piante tenacemente sopravvivevano, ma la cosa più emozionante è che sopravvivono ancora oggi, nonostante l'incessante opera di distruzione dell'Homo sapiens che continua a minarne l'esistenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM
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Post n°3097 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet ESCURSIONISMO IN SARDEGNA - SECONDA PARTE Tra canyon e rapaci nel Supramonte di Urzulei © Salvatore Frau BOBORE FRAU6 MESI FA Dopo aver goduto di oasi, distese di sabbia bianca e meravigliosi panorami costieri, il nostro trekking alla scoperta di una Sardegna poco nota prosegue addentrandoci verso il cuore del Supramonte. Il cielo si tinge di rosa e i colori del tramonto salutano il nostro arrivo presso il rifugio Lampathu, dove trascorreremo la notte, a circa una decina di chilometri dal centro abitato di Urzulei. Abbiamo appena abbandonato la Strada Statale 125, meglio conosciuta come "orientale sarda", ma a giudicare dal paesaggio che i nostri occhi possono ammirare, sembra di aver attraversato un vero e proprio confine, una netta linea di demarcazione che separa il resto del mondo da quel magnifico angolo di isola chiamato Supramonte. L'escursione che ci attende è un percorso fuori dal circuito turistico, per quanto sia un po' azzardato parlare di turismo in questi luoghi. Se non altro perché difficilmente si può dare del semplice "turista" a chiunque si appresti a calpestare certi sentieri. Tra superstiti e promesse Sistemiamo le nostre cose nelle stanze e ci godiamo qualche ora di relax davanti al fuoco. Dopo una cena abbondante e qualche bicchiere di vino, il sonno non tarda ad arrivare. Chiudiamo gli occhi ripensando ai grandi spazi e agli orizzonti lontani che tra qualche ora potremo ricominciare a inseguire. Percorrendo le strade che conducono alla località di Fennau si comprende che quella del Supramonte di Urzulei è stata una delle zone più colpite dai dissennati tagli boschivi che nel XIX secolo hanno decimato il patrimonio forestale della Sardegna. Le ampie distese di nuda roccia fanno sembrare gli alberi superstiti dei testimoni attoniti di fronte al disastro operato dall'uomo. Eppure nuove piante stanno lentamente crescendo in mezzo a quelle aspre pietraie, e in quelli che oggi sembrano solo degli esili arbusti vive la promessa di una foresta nuova. Dopo un percorso a piedi di circa mezz'ora arriviamo al sito archeologico di S'Arena dove possiamo ammirare i resti di due tombe dei giganti, strutture sepolcrali di età nuragica, con camere funerarie lunghe circa 15 metri. Particolarmente suggestivo l'allineamento delle tombe con i resti del nuraghe Perda'e Balla e sull'orizzonte Monte Novo S. Giovanni. Monte Novo S. Giovanni. © Salvatore Frau Pietra scavata dall'acqua Dopo una ripida discesa su un sentiero appena accennato, entriamo in quella che viene chiamata "sa codula manna": il letto pietroso di un fiume scavato nella roccia che, solo pochi chilometri più a valle, si unirà al canyon di Gorropu. Visitare l'interno di una codula è un'esperienza unica. Ci permette di toccare con mano il lavoro dell'acqua e del tempo ed è inevitabile pensare all'energia impetuosa del fiume nel momento di massima piena. La stessa acqua che ora sembra solo un debole ruscello, che scompare e riaffiora sotto i nostri piedi, dentro camere e corridoi a noi sconosciuti. Il fiume segna il confine tra il territorio di Urzulei alla nostra destra e il territorio di Orgosolo alla sinistra, in buona parte scampato al disboscamento. Il regno dei rapaci Mentre camminiamo sui ciottoli bianchi della codula, numerosi colombacci e piccioni selvatici si alzano in volo, seguiti rapidamente da una sagoma inconfondibile: l'astore ha iniziato la sua caccia. Rapace forestale per eccellenza, presente nell'isola con la sottospecie Accipiter gentilis arrigonii, l'astore sardo trova nei boschi del territorio di Orgosolo l'habitat ideale per la nidificazione. L'astore è una specie schiva ed elusiva e il suo avvistamento è sempre emozionante. la nidificazione. © Salvatore Frau Poco più avanti un gruppo di corvi imperiali rompe improvvisamente il silenzio gracchiando in modo insistente. Altissima nel cielo fa la sua comparsa un'aquila reale. Presente nel territorio con un buon numero di coppie nidificanti, dopo un passato costellato di persecuzioni immotivate, l'aquila sta facendo registrare attualmente un trend positivo in tutta l'isola. Restiamo ancora una volta ammaliati dalla elegante bellezza dei dominatori dell'aria che svincolati dalla gravità ci osservano dall'alto di una corrente ascensionale. Usciamo dalla codula e, seguendo un percorso ad anello, facciamo ritorno alle auto. Il sole si avvicina all'orizzonte e il cielo si veste di nuvole nuove. Attraversiamo a ritroso il varco che ci separa dal resto del mondo, con le gambe stanche e gli occhi pieni di bellezza. Si ringraziano i compagni di viaggio Sergio, Simone, Giacomo, Davide, Kecco e Eleonora, Jebel Sardinia per l'esemplare organizzazione dell'escursione e Michele per l'accoglienza. © RIPRODUZIONE RISERVATA E CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°3096 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet ITINERARI IN SICILIA Sicilia, 4 itinerari per scoprire il lato nascosto dell'Isola Le Gole di Tiberio. (Foto: Giovanni Nicolosi) ANDREA DI PIAZZA10 APR 2018 Imeravigliosi basalti colonnari etnei hanno reso le Gole dell'Alcantara una delle località turistiche più gettonate di Sicilia. Pullman e taxi vomitano ogni giorno centinaia di visitatori che affollano le spiaggette della forra, dove trovare un attimo di pace è una scommessa persa in partenza. L'isola però nasconde altre spettacolari gole, immerse nella natura incontaminata e lontane dalla confusione del turismo mordi-e-fuggi, che vale assolutamente la pena scoprire. Nel cuore della terra In provincia di Siracusa si trova Cavagrande del Cassibile, un canyon lungo circa 10 km scavato nei calcari dei Monti Iblei dal lavorio millenario delle acque e considerato il "Grand Canyon" della Sicilia. Piscine, cascate, insenature e pozze cristalline si rincorrono lungo il sinuoso corso del fiume, che è immerso in una lussureggiante vegetazione ripariale. Un vero e proprio paradiso, abitato sin dai tempi antichi, come testimoniano per esempio le necropoli presenti e risalenti al 1000 a.C.. Cavagrande è protetta da una riserva regionale ed è attraversata da alcuni sentieri di cui però ad oggi, a causa di un devastante incendio avvenuto nell'estate del 2014, ne è fruibile soltanto uno: il sentiero natura Carrubella. Cavagrande è una meta obbligatoria per gli amanti delle escursioni e della natura selvaggia; un viaggio a ritroso nel tempo per ammirare una Sicilia primordiale e sorprendente. Il paradiso a due passi dal vulcano A nord dell'Etna, l'architettura nervosa dei Monti Peloritani ha disegnato dei veri e propri angoli di paradiso. A breve distanza dal centro abitato di Fiumedinisi si apre la Valle degli Eremiti, una bellissima gola discontinua, immersa nel verde di lecci e corbezzoli che crescono abbarbicati sulle pareti rocciose, sfidando le leggi della gravità. Un itinerario meraviglioso, poco battuto, attraverso l'ombrosa gola dove anticamente trovavano riparo viandanti e pellegrini. La valle termina sulla dorsale dei Peloritani, una lunga "autostrada" per gli escursionisti che vogliono camminare tra due mari, sospesi nel cielo. Per informazioni, mappe e guide si può contattare l'attivissimo gruppo escursionistico La natura selvaggia e incontaminata Muovendosi ad ovest lungo la costa settentrionale siciliana, nascosta tra le verdi vallate dei Monti Nebrodi, la valle del torrente Caronia offre la possibilità di addentrarsi in una delle zone più incontaminate e meno antropizzate dell'isola. Porta d'ingresso della valle è un mulino ottocentesco, sede dell'associazione naturalistica "I Nebrodi" che organizza tour in zona. Tra le escursioni più interessanti vi è certamente il trekking fluviale lungo il corso del torrente, itinerario lungo e faticoso che conduce nel cuore vergine delle montagne più verdi di Sicilia. L'acqua pulita e cristallina del torrente consente inoltre un bel bagno ristoratore. I meno allenati potranno raggiugere la cima del vicino Monte Pagano, dove ha sede la più estesa sughereta dell'isola. Il segreto delle Gole di Tiberio Poco più ad ovest, nascoste in una stretta valle delle Madonie ed a brevissima distanza dal mar Tirreno, le Gole di Tiberio sono diventate negli ultimi anni una delle mete più frequentate da escursionisti e viaggiatori. Geosito di punta del Madonie UNESCO Global Geopark, le gole si trovano sul corso del Fiume Pollina ed offrono la possibilità di praticare attività come il canyoning, il rafting ed il torrentismo grazie all'attivissima cooperativa "Madonie a Passo Lento" che ha sede sulla sponda del fiume (www.madonieapassolento.it). Sinuose pareti calcaree alte fino a 50 metri, giganteschi massi incastrati, grotte e anfratti che custodirebbero (leggenda vuole) un misterioso tesoro: navigare o nuotare all'interno delle gole è un'esperienza unica ed affascinante, oltre a rappresentare una valida alternativa alle affollate spiagge nella stagione estiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA CITAZIONE FONTE: RIVISTANATURA.COM |
Post n°3091 pubblicato il 16 Giugno 2020 da blogtecaolivelli
Fonte:articolo riportato dall'Internet 11 giugno 2020 dal sincrotrone a raggi X Sciences, University Cork Un nuovo studio paleontologico ha rivelato l'anatomia interna di fossili di 280 milioni di anni usando la sofisticata tecnologia del sincrotrone a raggi X PALEONTOLOGIA melanosomi fossili - microscopici granuli di melanina. I nuovi risultati dello studio mostrano che nonostante gli effetti dei processi di fossilizzazione, i melanosomi in molti fossili di vertebrati mantengono dei segnali chimici specifici di organi interni e pelle, permettendo la ricostruzione dell'anatomia interna. Lo studio pubblicato sulla rivista britannica Scientific Reports è guidato dalla dottoranda in paleobiologia Valentina Rossi e dalla Dott.ssa Maria McNamara dell'University College Cork in collaborazione con il Dott. Samuel Webb dello SLAC National Accelerator Laboratory di Stanford negli Stati Uniti. Il gruppo di ricercatori ha usato la tecnologia all'avanguardia del sincrotrone a raggi X per analizzare la chimica dei melanosomi fossili. In questo nuovo studio sono stati analizzati ben 21 fossili eccezionalmente ben preservati che provengono da famose località fossilifere da tutto il mondo, incluse l'Europa e la Cina. Tra gli incredibili dettagli anatomici visibili grazie ai raggi X ci sono branchie, occhi, pelle e organi interni come il fegato e i reni. "Possiamo ancora distinguere diversi organi interni usando la chimica dei melanosomi in molti fossili considerati relativamente giovani da un punto di vista geologica - tra i 50 e i 10 milioni di anni. La cosa incredibile è che fossili molto antichi - più antichi dei dinosauri - mostrano una buona preservazione chimica dei melanosomi", ha detto la dottoranda Rossi. "In altri fossili le tracce della chimica originale dei melanosomi sono state distrutte, probabilmente da processi geologici e di fossilizzazione". La Dott.ssa McNamara ha detto "questo nuovo studio enfatizza il fatto che i melanosomi fossili hanno il potenziale per un maggiore contributo a studi evoluzionistici di quanto ipotizzato in passato. Fino a dieci anni fa, i paleontologi usavano i melanosomi per inferire il colore di antiche creature ormai estinte. Oggi noi sappiamo che i melanosomi fossili possono essere usati per tracciare cambiamenti nella fisiologia, discriminare diverse specie di animali e anche rivelare l'anatomia interna. Quale sarà la prossima scoperta?" La ricerca è stata pubblicata il 2 Giugno 2020 sulla rivista scientifica Scientific Reports ed è accessibile gratuitamente dal sito: www.nature.com/articles/s41598-020-65868-3 . |
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