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Messaggi del 02/04/2020

Un'antica foresta pluviale.

Post n°2706 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

    Ricostruzione artistica della foresta pluviale esistente in Antartide 90 milioni di anni fa (fonte: Alfred-Wegener-Institut/James McKay) © AnsaFOTORicostruzione artistica della foresta pluviale

    esistente in Antartide 90 milioni di anni fa (fonte:

    Alfred-Wegener-Institut/James McKay) - RIPRODUZIONE

    RISERVATA+CLICCA PER INGRANDIRE

    Scoperti in Antartide i resti fossili di una foresta pluviale

    di 90 milioni di anni fa: è l'indicazione che durante il

    Cretaceo il clima al Polo Sud era eccezionalmente caldo,

    con temperature medie annuali di 12 gradi centigradi.

    Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è coordinato dal

    Centro Helmholtz per la ricerca polare e marina dell'Istituto

    tedesco Alfred Wegener, con Johann Klages, con l'Imperial

    College di Londra.

    L'analisi è stata condotta sui sedimenti raccolti nel 2017 nel

    mare di Amundsen, nella regione occidentale dell'Antartide, a

    una trentina di metri al di sotto del fondale oceanico, grazie

    all'impiego della nave rompighiaccio tedesca Polarstern.

    Le analisi condotte da allora, come complesse Tac ai raggi X,

    hanno a sorpresa riportato alla luce i resti incontaminati del

    suolo di una foresta del Cretaceo, con tracce di pollini, spore

    vegetali e radici.

    E' stato così possibile ricostruire un paesaggio palustre simile

    a quello delle odierne foreste pluviali in Nuova Zelanda.

    "L'insolita colorazione dei sedimenti, diversa da quella degli

    strati superiori, ha subito catturato la nostra attenzione", ha

    detto Klages.

    "I campioni erano così ben conservati da poterci consentire

    di distinguere le singole strutture cellulari".

    Secondo gli autori dello studio, a rendere in passato le

    temperature così miti, un'anomalia per il Polo Sud, era l'elevata

    concentrazione dei livelli atmosferici di anidride carbonica.

    Il periodo del medio Cretaceo, all'incirca tra 115 e 80 milioni di

    anni fa, è considerato dagli studiosi il più caldo degli ultimi 140

    milioni di anni, con temperature superficiali dei mari ai Tropici di

    circa 35 gradi e un livello delle acque più elevato di 170 metri

    rispetto a quello attuale.

    La scoperta, spiegano gli esperti, potrà aiutare a ricostruire la

    storia climatica della Terra, a partire dalle cause che han portato

    in Antartide al passaggio da un clima temperato a quello

    rigido attuale.

     
     
     

    Dal'antica Emilia Romagna..

    Post n°2705 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    Fonte: articolo riportato dall'Internet

    Cranio umano di 5300 anni nella grotta 'Marcel Loubens

    'Scoperta e recupero

    Particolare cranio di 5300 anni prima del recupero nella grotta Marcel Loubens

    21 giugno 2018


    Rinvenimento di un cranio umano nella Grotta Marcel Loubens

    (S. Lazzaro di Savena, Bo)

    Testo di Monica Miari (archeologa) e Maria Giovanna Belcastro

    (antropologa)

    Dall'800 ad oggi le grotte emiliano-romagnole sono state oggetto di

    esplorazioni speleologiche e archeologiche che hanno portato alla luce

    una grande quantità di resti umani, insieme a materiale archeologico

    databile all'età del Rame e all'antica età del Bronzo.

    Fra il terzo e gli inizi del secondo millennio a.C. le cavità naturali venivano

    infatti sfruttate come luogo di sepoltura collettiva, secondo un costume

    tipico sia in area appenninica che in area alpina.

    In Emilia-Romagna le grotte che hanno restituito una quantità significativa

    di resti umani risalenti alla tarda età del Rame e al Bronzo Antico sono la

    Grotta del Re Tiberio, la Tanaccia di Brisighella, la Grotta dei Banditi

    nell'area dei Gessi romagnoli, il riparo sottoroccia del Farneto nel bolognese

    e la Tana della Mussina nel reggiano.

    A questi dati si aggiunge ora il recente rinvenimento di un cranio nella Grotta

    Marcel Loubens a San Lazzaro di Savena (BO).

    La grotta si apre sul lato sud della Dolina dell'Inferno e dista dal Farneto

    meno di 600 metri in linea d'aria.
    Durante l'esplorazione di un ramo di recente scoperta è stato segnalato un

    cranio umano lungo la risalita di un alto camino: il reperto si trovava a

    strapiombo a 11 metri d'altezza dal fondo, incluso in un ammasso detritico

    franoso e poco stabile che ha reso necessario e urgente il suo recupero.

    La delicata operazione è stata eseguita dal Gruppo Speleologico Bolognese

    nell'estate 2017. Il cranio è stato subito trasportato presso il Laboratorio di

    Bioarcheologia e Osteologia forense del Dipartimento di Scienze Biologiche,

    Geologiche e Ambientali dell'Università di Bologna al fine di iniziarne lo studio.

    In fase preliminare si è realizzata una tomografia (TAC) del reperto pe

    r valutarne lo stato di conservazione e il tipo di sedimenti che riempivano la

    cavità cranica mentre le datazioni al radiocarbonio effettuate sul secondo molare

    sinistro dal CEDAD, Centro di Datazione e Diagnostica dell'Università del Salento

    , hanno collocato il reperto tra il 3.300 e il 3.600 a.C., consentendo di posizionarlo

    nell'ambito di quanto già noto nelle altre cavità naturali.

    Le indagini nella grotta sono ancora a uno stadio iniziale e al momento non sono

    disponibili altre informazioni circa la natura del deposito anche se, sulla base di

    quanto riferito dagli scopritori, parrebbe che il reperto si trovasse in giacitura

    secondaria.

    Occorre comunque ricordare che nell'età del Rame molte sepolture presentano

    pratiche funebri di manipolazione, spostamento e rimozione dello scheletro che rivelano

    un forte simbolismo legato alle credenze sacre e al culto degli antenati. I crani, in

    special modo, dovevano rivestire un forte valore simbolico: la loro asportazione

    quasi sistematica dal luogo di giacitura potrebbe suggerirne un utilizzo in ambienti

    diversi da quello strettamente funerario.

    I primi dati sono stati pubblicati dagli scopritori negli atti del convegno

    "La frequentazione delle grotte in Emilia-Romagna tra archeologia, storia e speleologia"

    tenutosi a Brisighella (Ra) dal 6 al 7 ottobre 2017 ed editi a gennaio 2018 da questa

    Soprintendenza.

    Informazioni: Tel. (+39) 051.223773
    www.archeobologna.beniculturali.it

     
     
     

    Dall'antica Aosta

    Post n°2704 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    Aosta, ritrovati due sarcofagi

    in piombo di epoca romana

    Foto tratta da aostasera.it

    Due sarcofagi in piombo in perfetto stato di conservazione, probabilmente

    di epoca romana, sono stati ritrovati durante i lavori in corso per l'ampliamento

    dell'ospedale Parini di Aosta.

    I due sarcofagi fanno parte di un più ampio contesto sepolcrale, databile a

    partire dal I sec. d.C., sorto lungo la strada che in uscita dalla città di Augusta

    Praetoria (antico nome di Aosta) portava verso il colle del Gran San Bernardo.

    Si legge nella nota diffusa: "Spiccano, alcune tombe più monumentali, tra le

    quali due in cassa di piombo, una in cassa di lastre di bardiglio con ricco

    corredo vitreo e una struttura quadrata in lastre di travertino, oltre a tre grandi

    basamenti in muratura destinati verosimilmente a sostenere dei sarcofagi"

    Il ritrovamento delle casse in piombo, fa sapere l'assessorato all'Istruzione e

    cultura, costituisce una novità nel panorama archeologico della Valle d'Aosta.

    La notizia diffusa il 03/12 da LaStampa.it è stata ripresa da alcune testate locali.

    Una news che volevamo condividere con Voi!

    La redazione,

    Siti Archeologici d'Italia

     
     
     

    La Venere paleolitica

    Post n°2703 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

     

    Venere paleoliticaSorpresa ad Amiens

     

    9 dicembre 2019


    Il sito preistorico francese di Renancourt, nei pressi di Amiens,

    è una delle realtà archeologiche più note del Paese attestando,

    prove alla mano, la presenza umana durante il Paleolitico superiore

    (35.000 - 15.000 anni fa) nel Nord della Francia.

    Scoperto durante alcuni sondaggi condotti dall'Inrap (l'Istituto di

    prevenzione archeologica francese), il sito denominato "Amiens-

    Renancourt 1"  è stato oggetto di una prima campagna archeologica

    conclusasi nel 2014.

    Poi, alla ripresa degli scavi, nel 2019, proprio quando si credeva

    di aver già scoperto tutto, è riemerso qualcosa di straordinario:

    una "Venere" di 23.000 anni fa.

    Laddove c'erano i cacciatori ...

    Sappiamo che il sito era frequentato già durante l'ultima glacia-

    zione, tra i 40.000 e i 10.000 anni fa.

    Ciò che gli archeologi hanno rinvenuto quattro metri sotto l'attuale

    livello del terreno è un deposito di manufatti molto ben conservati e

    datati col Carbonio 14 a circa 23.000 anni fa ovvero durante l'ultima

    fase della cultura Gravettiana (presente in Europa tra i  28.000 e i

    22.000 anni fa).

    Il sito di Amiens- Renancourt è oggi uno dei rarissimi che attestano

    la presenza dell'uomo moderno  (Homo sapiens) nel nord della Francia

    durante il Paleolitico superiore.

    L'abbondanza di manufatti rivela l'esistenza delle diverse attività che

    si praticavano nell'ambito degli accampamenti di caccia frequentati per

    lo più nel periodo estivo.

    Tra i reperti più numerosi vi sono punte di arma da lancio in selce,

    coltelli e raschetti; tra gli ornamenti personali degni di nota sono invece

    alcuni dischi in argilla perforati. Abbondanti resti ossei di cavallo

    documentano un consumo abituale di carne equina.

    Venere da...collezione

    La "Venere" rinvenuta nel 2019, chiude, almeno per ora, la serie di

    quindici statuette gravettiane scoperte dal 2014 a oggi in questo sito.

    Scolpita in argilla e alta quattro centimetri, si tratta di una figura

    femminile steatopigica come si desume dal volume adiposo del sedere,

    delle cosce e dei seni. Le braccia invece sono appena accennate e il

    volto è raffigurato senza dettagli fisiognomici.

    Senza dubbio aderisce perfettamente ai canoni estetici della tradizione

    stilistica gravettiana come confermato dalla somiglianza con la Venere

    di Lespugue (Haute-Garonne), con quella di Willendorf (Austria) o

    con il basso rilievo della Venere di Laussel (Dordogne).

     

     

     

     

    Laboratorio artistico della cultura gravettiana

    Al momento, il sito di Amiens-Renancourt ha restituito da solo la metà

    di tutti i manufatti "artistici" di età gravettiana finora conosciuti in

    Francia.

    Tra gli archeologi si fa strada l'ipotesi che questo luogo potesse essere

    una sorta di laboratorio.

    L'eccezionalità degli scarti in argilla tornati alla luce sarebbe una conferma

    in tal senso.

    Sulla  funzione e il significato della "Venere" invece nessuna risposta.

     
     
     

    L'Antica Via Appia..

    Post n°2702 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    archeologia viva

    L'Appia antica rinascecon un grande progetto

    5 marzo 2020


    Il MiBACT ci crede e stanzia 20 milioni 

    È stato uno degli argomenti di cui si è parlato a tourismA 2020

     a proposito dello slow tourism in Italia.

    Ora è stato presentato ufficialmente. 

    Si tratta del progetto "Appia Regina Viarum" finalizzato al recupero

    dell'antico tracciato della strada consolare romana.

    Fortemente voluta dal Ministro per i beni e per le attività culturali

    e per il turismo Dario Franceschini e finanziata con 20 milioni di

    euro all'interno del Piano Cultura e Turismo varato nel 2016,

    l'iniziativa entra una nuova fase clou con l'aggiudicazione del bando

    per l'elaborazione del progetto esecutivo.

    600 chilometri di laicità

    La "Regina di tutte le strade", conterà 29 tappe lungo i 600

    chilometri in diagonale da Roma a Brindisi attraversando ben

    quattro regioni: Lazio, Campania, Basilicata e Puglia.

    Per ripristinare il primo cammino laico a matrice culturale

     tuttavia le difficoltà non mancano.

     Spiegano dal Mibact che ad esempio, si può serenamente cam-

    minare su quattro chilometri di basolato romano, mentre lungo

    la fettuccia di Terracina, l'Appia è letteralmente "inghiottita" dal

    traffico veicolare e si dovrà trovare una soluzione alternativa.

    Una prima ricognizione aerea ha già dato la panoramica

    delle principali criticità, sulle quali ora i progettisti andranno

    a lavorare.

    Dei 20 milioni di euro, 9 milioni 150mila sono destinati ai

    lavori in loco, come la cartellonistica, l'installazione dei cippi

    miliari, le colonnine di inizio e fine tappa.

    «Il nostro viaggio ha cambiato la realtà - ha detto il giornalista

     Paolo Rumiz nel corso della presentazione - facendo nascere

    articoli, film, libri e sprigionando una potente energia civica, che

    sarà un grande elemento di unità di questa operazione di

    democrazia diretta che permetterà di vivificare un percorso

    straordinario, fatto di storia, civiltà, cultura e archeologia».

     Un po' di storia...

    La Via Appia fu la prima delle grandi strade romane a prendere

    il nome non dalla funzione o dal luogo a cui era diretta, ma dal

    magistrato che l'aveva costruita.

    Nel 312 a.C. il censore Appio Claudio Cieco provvide alla realiz-

    zazione di un nuovo asse viario che collegava Roma a Capua al

    fine di permettere il movimento veloce delle truppe romane verso

    il meridione in occasione della seconda guerra sannitica

    (326-304 a.C.).

    Successivamente il tracciato fu prolungato fino al porto di

    Brindisi, che fornì a Roma un collegamento diretto con la

    Grecia, l'Oriente e l'Egitto, fondamentale per le spedizioni

    militari, i viaggi e i commerci. Tale intervento elevò l'Appia

    a strada più importante del mondo romano, la "regina delle

    strade" (regina viarum), come la definì il poeta Stazio nel I

    secolo d.C.

    Da Roma a Brindisi tra paludi e canali navigabili

    La Regina di tutte le strade aveva inizio a Porta Capena, nei

    pressi del Circo Massimo, e proseguiva fino a destinazione

    secondo un tracciato lineare e agevole.

    Il percorso era interrotto solo nei pressi di Terracina, dove era

    necessario attraversare un canale navigabile che fiancheggiava

    la via: chiamato decennovium perché era lungo 19 miglia, vi si

    procedeva tramite chiatte trainate da animali da tiro.

    Ne offre una testimonianza illustre il poeta Orazio, che in una

    delle sue satire descrive il viaggio da lui intrapreso per Brindisi

    sulla Via Appia, lamentandosi delle zanzare che infestavano

    allora le paludi Pontine. Solo sotto Traiano si provvide a bonificare

    la zona e a lastricare anche questo tratto di strada.

    Come un'autostrada (ma piena di monumenti)

    Il tracciato della Via Appia aveva le caratteristiche poi divenute

    fondamentali per tutta la rete stradale romana: largo circa 4,10 m,

    una misura che permetteva agevole circolazione nei due sensi,

    era affiancato da marciapiedi laterali generalmente larghi 3,10 m

    contornati da numerosi monumenti funerari che i passanti potevano

    ammirare nella noia della monotonia del viaggio.

    La campagna circostante era caratterizzata da villaggi contadini,

    che già negli ultimi secoli della Repubblica avevano cominciato a

    scomparire per essere sostituiti dalle grandi ville dei ricchi romani

    desiderosi di riposare in dimore di lusso lontane dal caos della città.

    Stazioni di posta, alberghi, osterie, piccoli impianti termali e servizi

     per i viaggiatori scandivano il tracciato, ottimamente organizzato

    e gestito da curatores preposti a garantire la continuità dei collegamenti

    fra Roma e le province.

    L'Appia "regina" anche della storia

    A questa strada furono riservate sempre particolari attenzioni in epoca

    antica, tanto che ancora nel VI sec. d.C. Procopio di Cesarea, durante

    le Guerre Gotiche, era ammirato per il perfetto stato di conservazione

    del basolato.

    Nel corso della storia romana, l'Appia è ricordata come protagonista di

    numerose guerre e famose vicende, una fra tutte l'epilogo della rivolta

    di Spartaco, in cui 6000 ribelli vennero catturati e crocefissi lungo la

    strada da Roma fino a Pompei.

    www.camminodellappia.it 

     
     
     

    L'antica Via Nomentana...

    Post n°2701 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

     

    Antica NomentanaNuova campagna di scavo

    5 febbraio 2020


    Nuova luce sul passato

    Un tratto di strada romana e il relativo sepolcreto riemergono

    dall'area archeologica della via Nomentum-Eretum. 

    Siamo in località Tor Mancina, nel comune di Monterotondo

    (Rm), dove dai primi anni Duemila si stanno svolgendo

    importanti ricerche archeologiche su concessione del MiBACT

    e sotto la direzione della Soprintendenza.

    La trasformazione del sito in una vera e propria area

    archeologica si deve anche al decisivo intervento della sede

    Mentana-Monterotondo dell'Archeoclub d'Italia.

    Collegamento indispensabile (e alternativo)

    Il lungo tratto di strada romana, realizzata in basoli di calcare,

    era la prosecuzione della via Nomentana, la quale, dopo aver

    oltrepassato il centro urbano di Nomentum (oggi Mentana), si

    ricongiungeva con la via Salaria presso Eretum.

    Gli ultimi tre chilometri di tale tratto, che correvano parallela-

    mente alla via Salaria, costituivano un'alternativa a quest'ultima,

    soprattutto in quei periodi dell'anno in cui la Piana Tiberina era

    colpita dalle esondazioni del Tevere.

    L'area sepolcrale

    Su entrambi i lati del basolato è stata individuata un'area sepolcrale,

    il cui utilizzo si colloca tra il I sec. a.C. - I sec. d.C. e il II-III sec. d.C.

    e si articola in due fasi caratterizzate dalla presenza di sepolture

    diversificate per tipologia e orientamento spaziale.

    Rientrano nella prima fase sei sepolcri, tutti edificati con una grande

    accuratezza costruttiva e dislocati su un'area ben visibile sul

    fronte strada; due di questi in particolare, sono ubicati all'interno

    di un recinto sepolcrale privato.

    Sono pertinenti al secondo momento, invece, trenta deposizioni a

    fossa, che sembrano aver occupato gli spazi lasciati liberi dai

    sepolcri di prima fase, e distribuiti soprattutto all'interno del

    recinto sepolcrale.

    Dalla villa alla tomba

    L'analisi delle tipologie delle sepolture suggerisce l'appartenenza

    dei sepolcri di prima fase a personaggi di rango sociale medio-alto,

    probabilmente i proprie

    tari delle vicine villae rusticae, di cui il territorio era costellato, mentre

    gli individui delle tombe a fossa erano probabilmente gli schiavi

    occupati presso le stesse.

    Sempre lungo l'arteria stradale, sono stati individuati i resti di

    una struttura a carattere residenziale risalente ad un periodo

    compreso tra il I sec. a.C. e il V sec. d.C. e della quale sono stati

    riportati in luce due ambienti.

    Una tomba anche per il cane

    Tra i rinvenimenti, degno di nota quello relativo a una tomba a

    incinerazione di cui sono stati eccezionalmente trovati i resti

    combusti della pira di legno dove è avvenuta la cremazione e la

    sepoltura intenzionale di un cane.

     Nuovi scavi: aperte le iscrizioni

    La prossima campagna di ricerca archeologica prevista dal 16 marzo

    al 3 aprile 2020, si propone di approfondire la conoscenza dell'area

    archeologica in modo da comprenderne meglio il quadro storico che

    si presenta estremamente articolato.

    Le attività sul campo saranno alternate a lezioni frontali di ceramica,

    antropologia e restauro.

    Le attività di indagine sono aperte ad archeologi, studenti di archeologia

    e semplici appassionati. Ciascun partecipante sarà inserito nel team di

    lavoro a seconda delle proprie competenze specifiche e professionalità.

    Per partecipare

    Inviare una mail di richiesta: archeoclubmm@hotmail.com

    Info: 380.5218112  338.385573

    www.archeoclubmentanamonterotondo.com

     
     
     

    Un antico santuario..

    Post n°2700 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

     

    Santa Vittoria di Serri. Luce sul santuario nuragicoNuova campagna di scavi

    29 ottobre 2019


    Dal 1 ottobre 2019 la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Cagliari ha dato avvio a una nuova campagna di scavi archeologici e lavori di consolidamento e restauro nel santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri.

    Localizzato sul margine orientale della Giara di Serri, altopiano basaltico al confine tra la Trexenta e il Sarcidano, il santuario di Santa Vittoria è uno dei siti più importanti della Sardegna per la ricostruzione della protostoria dell'isola nell'età del Bronzo e del Ferro e per la conoscenza delle pratiche religiose delle popolazioni nuragiche. L'area conosce inoltre una continuità di frequentazione che perdura fino all'età altomedievale.

    La scoperta oltre un secolo fa

    Il rinvenimento del santuario risale al 1909, quando Antonio Taramelli dette inizio agli scavi archeologici nel sito che proseguirono a più riprese fino al 1931, portando alla luce la maggior parte delle strutture e degli edifici oggi noti e visibili, oltre a importanti reperti archeologici, molti dei quali attualmente esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

    Ulteriori interventi di scavo e restauro vennero condotti a partire dagli anni '60 dalla Soprintendenza Archeologica per le province di Sassari e Nuoro di Sassari, da Ercole Contu, Fulvia Lo Schiavo e Maria Ausilia Fadda, a cui si sono aggiunti negli ultimi anni gli scavi realizzati dal Comune di Serri con la direzione di Giacomo Paglietti.

    Dritti al "cuore" del Santuario

    Le indagini in corso interessano in particolare il cosiddetto

    recinto delle feste, una vasta area situata nel cuore del

    santuario nuragico costituita da un muro di recinzione ellit-

    tico a cui si addossano vari ambienti a pianta circolare, un

    settore verosimilmente porticato e altre strutture ancora

    di non chiara definizione.

    Interpretato da Giovanni Lilliu come luogo di incontro delle

    genti nuragiche in occasione dello svolgimento delle cerimonie

    religiose, il complesso necessita indubbiamente di ulteriori ap-

    profondimenti d'indagine, considerando in particolare che tutta

    la zona centrale risulta sostanzialmente non ancora scavata e di

    non facile lettura.

    Alla ricerca della verità archeologica

    L'obiettivo dei lavori in corso è infatti quello di verificare

    l'articolazione di questi spazi e di indagare, anche alla luce del

    progresso degli studi in ambito nuragico, la funzione di questo

    settore centrale nella topografia complessiva del santuario,

    evidenziando anche eventuali fasi di rioccupazione e frequenta-

    zione in età punica, romana e altomedievale.

    Per tutta la durata dei lavori, il cantiere di scavo archeologico sarà

    visibile al pubblico che visiterà l'area archeologica di Santa Vittoria.

     
     
     

    I pasti dei Neanderthal..

    Post n°2699 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli

    Fonte: articolo riportato dall'Internet

    30 marzo 2020

    Menù di mare per il pasto dei Neanderthal

    Frammenti fossili di chele di granchio trovati nella grotta di

    Figueira Brava (©Zilhao et al. Science 2020) I nostri antichi

    cugini che vivevano vicino alle coste seguivano un dieta ricca

    di alimenti diversi, tra cui molti pesci, molluschi, crostacei e

    mammiferi marini.

    Lo rivela un'analisi dei resti di cibo scoperti nella grotta di Figueira

    Brava, in Portogallo, dimostrando che i neanderthaliani avevano

    comportamenti e stili di vita molto simili agli Homo sapiens della

    stessa epoca

    Una dieta variata, ricca di prodotti del mare.

    È quella che seguiva l'uomo di Neanderthal, secondo un nuovo

    studio pubblicato sulla rivista "Science" dall'archeologo portoghese

    João Zilhão, insieme a Diego E. Angelucci dell'Università di Trento

    e ad altri colleghi di una collaborazione internazionale.

    La scoperta arriva dall'analisi dei resti trovati nella grotta di Figueira

    Brava, a picco sul mare a sud di Lisbona, frequentata dai

    neanderthaliani durante l'ultimo periodo interglaciale, tra 106.000

    e 86.000 anni fa circa.

    I ricercatori hanno trovato tracce di molluschi, crostacei e pesci,

    oltre a foche e delfini.

    Non mancavano però animali di terra, come cervi, stambecchi e

    cavalli, oltre a tartarughe e cibi di origine vegetale, come i pinoli.

    Ciò depone a favore dell'ipotesi che i neanderthaliani avessero

    accesso al mare, anche se all'epoca si trovava a una distanza

    compresa tra 750 metri e due chilometri, e quindi consumassero

    anche alimenti di origine marina.

    «Lo scavo ha permesso di recuperare una grande quantità di

    resti archeologici relativi all'occupazione della grotta da parte

    dei neanderthaliani: strumenti in pietra scheggiata, di selce o

    quarzo, oltre a resti di pasto, residui dell'uso del fuoco, come

    carboni e cenere", ha spiegato Angelucci.

    "Tra i resti di pasto, la sorpresa è rappresentata dall'utilizzo

    sistematico di risorse di origine marina".

    Questi risultati hanno fatto scattare il confronto con le

    popolazioni di Homo sapiens vissute nello stesso periodo lungo

    le coste del Sudafrica, per le quali il ricorso alle risorse marine

    è ben documentato, insieme a prove di una loro evoluta cultura

    materiale e simbolica, testimoniata dal ritrovamento di resti di

    decorazioni per il corpo e di oggetti di adorno personale.

    Un'ipotesi collegata a quelle prove è stata anzi che fosse stato

    il contenuto di omega 3 e acidi grassi degli alimenti di origine

    marina a favorire lo sviluppo del cervello di H. sapiens, e quindi

    tutte le caratteristiche tipiche degli esseri umani moderni, come

    il pensiero astratto, il linguaggio o un'organizzazione sociale

    complessa.

    Quando il mare salvò l'umanità

    di Curtis W. MareanGrazie a scoperte come quelle nella grotta

    portoghese, però, le differenze rimarcate finora dai

    paleoantropologi tra i sapiens e le altre specie di Homo euroasiatiche

    come i neanderthaliani e i denisoviani tendono a ridursi.

    «I dati di Figueira Brava aggiungono un ulteriore contributo al

    dibattito in corso e alla rivalutazione del modo di vita dei neandertaliani:

    se è vero che il consumo abituale di alimenti di origine marina

    ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo delle capacità

    cognitive dei nostri antenati, bisogna quindi riconoscere che questo

    processo avrà riguardato l'intera umanità e non esclusivamente

    una popolazione limitata dell'Africa australe che si è poi espansa

    fuori dal continente africano", ha concluso Angelucci.


    "Nuovamente, i dati si indirizzano a dimostrare che i neanderthaliani,

    pur 'arcaici' nei loro tratti fisici, possedevano comportamenti del tutto

    simili ai cosiddetti 'moderni' del continente africano - le persone con

    cui entreranno in contatto al momento dell'espansione dei sapiens

     in Europa, intorno a 40.000 anni fa". (red)

     
     
     

    Dalla Via Lattea

    Post n°2698 pubblicato il 02 Aprile 2020 da blogtecaolivelli


    Nuovi indizi sulla materia oscura dalla radiografia della Via Lattea

    Esclusa l'emissione di un segnale ai raggi X

    Rappresentazione grafica dell'ipotetico alone di raggi X associato, secondo alcuni modelli, alla materia oscura, (fonte: Christopher Dessert, Nicholas L. Rodd, Benjamin R. Safdi, Zosia, Rostomian, Berkeley Lab) © AnsaRappresentazione grafica dell'ipotetico alone di raggi X

    associato, secondo alcuni modelli, alla materia oscura,

    (fonte: Christopher Dessert, Nicholas L. Rodd, Benjamin

    R. Safdi, Zosia, Rostomian, Berkeley Lab) -

    RIPRODUZIONE RISERVATA+CLICCA PER INGRANDIRE

    Dalla radiografia della Via Lattea emergono nuovi indizi sulla

    materia oscura, la materia ancora misteriosa e invisibile che

    occupa circa il 25% dell'universo: non c'è traccia di un debole

    segnale ai raggi X osservato in galassie vicine e attribuito da

    alcuni modelli teorici al decadimento delle particelle di materia

    oscura, la cui natura resta, quindi, ignota. 

    È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Science

    dal gruppo dell'Università americana del Michigan, coordinato

    da Christopher Dessert e Benjamin Safdi, insieme ai colleghi

    dell'Università della California a Berkeley.

    Lo studio è basato su 20 anni di osservazioni della Via Lattea

    ai raggi X con il telescopio orbitante dell'Agenzia Spaziale

    Europea (Esa), Xmm-Newton.

    La materia oscura, secondo le attuali teorie cosmologiche,

    forma circa un quarto dell'universo.

    Ma finora non è stato possibile osservarla direttamente, perché

    non assorbe, riflette, né emette luce.

    Fa sentire la propria presenza solo attraverso l'attrazione

    gravitazionale che esercita sul resto della materia e che,

    secondo gli esperti, tiene insieme le galassie.

    Anche la natura delle particelle di cui è formata la materia

    oscura è ancora inafferrabile. Secondo alcuni modelli, una

    di queste ipotetiche particelle, il cosiddetto neutrino sterile,

    potrebbe lasciare un'impronta sotto forma di un debole

    segnale ai raggi X.

    Ma le nuove osservazioni della Via Lattea con il telescopio Xmm

    Newton non hanno trovato traccia di questo segnale.

    Per Safdi, "lo studio non esclude che la materia oscura possa essere

    formata da particelle come il neutrino sterile, ma mostra che al

    momento non ci sono prove sperimentali della loro esistenza".

    RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANS

     
     
     

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