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Messaggi del 02/07/2020

Un'immagine di Venere.

Post n°3146 pubblicato il 02 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Foto riportata dall'Internet

Occultazione radente di Venere

di Cristina CelliniOccultazione radente di VenereOccultazione radente di Venere

Elaborazione di 30" di filmato ripreso con Canon 250D su telescopio rifrattore autocostruito 150/2250

 
 
 

Ai tempi delle supernove..

Post n°3145 pubblicato il 02 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Una giovanissima supernova Messier

di Fabio Briganti e Riccardo Mancini

E ancora una supernova in una galassia Messier, questa volta

è toccato a M 85, non particolarmente fotogenica, ma se qualcuno

l'avesse ripresa nella notte tra il 24 e il 25 giugno (con una

magnitudine di ben +19) avrebbe una prediscovery eccezionale

e particolarmente preziosa.

Sono però le prossime settimane quelle giuste per riprenderla per

chi ne volesse un ricordo.

Astroshop.it

Immagine della SN2020nlb in M85 con la vicina NGC4394 ripresa

da Paolo Campaner con un telescopio 400mm F.5,5 somma di 4

immagini da 75 secondi.

Il primato dell'anno 2014, con quattro supernovae esplose nelle

galassie Messier, inizia a vacillare.

Siamo infatti appena giunti alla metà di questo 2020 e sono già tre le

supernovae esplose nelle galassie Messier.

M 85 in una vecchia immagine del telescopio spaziale Hubble.

Credit : NASA, ESA and R. O'Connell (University of Virginia)

Questa volta è toccato alla galassia lenticolare Messier 85, nella

costellazione della Chioma di Berenice a circa 55 milioni di anni

luce da noi.

Nella notte del 25 giugno il programma professionale americano

di ricerca supernovae e pianetini denominato ATLAS Asteroid

Terrestrial-impact Last Alert System ha individuato un nuovo

oggetto di mag.+17,4.

Quattordici ore dopo la scoperta dall'Osservatorio del Roque de

los Muchachos con il telescopio Liverpool di 2 metri è stato ottenuto

un primo spettro, ma la qualità non era delle migliori e il primo

report di classificazione parlava erroneamente di una supernova di

tipo Ia scoperta pochi giorni dopo il massimo di luminosità.

Sempre dall'Osservatorio del Roque de los Muchachos, poche ore

più tardi visto le migliorate condizioni atmosferiche, viene fatto un

secondo tentativo con il Nordic Optical Telescope da 2,56 metri e

questa volta lo spettro ottenuto era di buona qualità: confermava il

 tipo Ia evidenziando che la supernova era però molto giovane cioè

scoperta pochissimi giorni dopo l'esplosione e quindi circa due settimane

prima del massimo di luminosità.

Questo spettro è uno dei più "early" mai ripresi, cioè ottenuto nelle

primissime fase dell'esplosione e non ci sono perciò altri spettri per

un confronto adeguato.

I gas eiettati dall'esplosione viaggiano a una velocità di circa 14800

Km/s e non sembrerebbe essere presente un assorbimento da polveri

della galassia, se non in minima parte.

Questo significa che la luminosità della supernova, a cui è stata assegnata

la sigla definitiva SN2020nlb, potrebbe raggiungere la notevole mag.

+12 intorno al 10 luglio.

Rimane solo il dubbio che si possa trattare di una supernova di tipo Ia

sub-luminosa che quindi presenterebbe un massimo di luminosità di una

o due magnitudini più debole.

Questo dubbio sarà sciolto nelle prossime ore.

In un'immagine ripresa sempre da ATLAS il 23 giugno, profonda fino

alla mag. +19,7 la supernova non era visibile.

Abbiamo poi un'immagine dell'astrofilo giapponese Itagaki ripresa il 24

giugno (13 ore TU) profonda fino alla mag.+18,5 dove la supernova non

era visibile.

Pertanto l'arrivo della prima luce di questa supernova sulla Terra è avvenuto

tra le ultime 11 ore del 24 giugno e le prime 6 del 25 giugno (ora di scoperta).

Se qualcuno avesse un'immagine in questo lasso di tempo, potrebbe

aver immortalato la supernova nei primissimi istanti dell'esplosione,

ma naturalmente con una luminosità prossima alla mag.+19 ma sarebbe

davvero un'importante e preziosissima prediscovery.

Per M 85 è questa la seconda supernova conosciuta.

La prima fu scoperta il 20 dicembre 1960 dall'astronomo italiano Leonida

Rosino, denominata SN1960R, anche questa di tipo Ia, che raggiunse la

mag.+12. M 85 non è una galassia molto fotogenica, ma forma un bel quadretto

con la vicina galassia a spirale NGC4394 posta a soli 30" a Est, che ci

permetterà di ottenere delle belle immagini con una supernova molto

luminosa.

Leggi anche su Coelum Astronomia di Luglio e Agosto, una "new entry" nella Top Ten degli scopritori amatoriali di supernovae: Intervista a Xing Gao.
 
 
 

Le ultima scoperte dell'astronomia.

Post n°3144 pubblicato il 02 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

QUANDO LA FUSIONE DI DUE BUCHI

NERI GENERA LUCE

Un'illuminante scoperta nei pressi di un buco nero

Grazie alla Zwicky Transient Facility del Caltech, gli astronomi

hanno rilevato un flare da un quasar distante, a pochi giorni

dalla rilevazione delle onde gravitazionali generate dalla fusione

di due buchi neri avvenuta il 21 maggio 2019 da parte di Ligo/

Virgo - flare che si ritiene sia derivato dalla fusione stessa.

Tutti i dettagli su Physical Review Letters

articolo di Maura Sandri, 30 giugno 2020

Rappresentazione artistica di piccoli buchi neri nel disco di

accrescimento di un grande buco nero supermassiccio, in

orbita l'uno attorno all'altro. Crediti: Caltech / R. Hurt (Ipac)

Quando due buchi neri spiraleggiano l'uno attorno all'altro e

infine si scontrano, fondendosi generano increspature nello 

spaziotempo chiamate onde gravitazionali.

Visto che i buchi neri di per sé non emettono luce, dalla fusione

non ci aspetta alcuna emissione luminosa o, più in generale, non

ci aspetta alcuna emissione di radiazione elettromagnetica.

Tuttavia, due astrofisici del Cuny Graduate Center -

 K. E. Saavik Ford e Barry McKernan - hanno ipotizzato che

una fusione di due buchi neri potrebbe in realtà generare "luce".

E ora, per la prima volta, gli astronomi hanno trovato le prove di

uno di questi scenari nel quale è stata effettivamente generata luce.

Lo studio è stato pubblicato su Physical Review Letters.

Il team che ha effettuato la scoperta è composto da scienziati

del Cuny Graduate Center, della Zwicky Transient Facility (Ztf) del 

Caltech, del Borough of Manhattan Community College (Bmcc) e

dell'American Museum of Natural History (Amnh).

Sono loro che hanno individuato quello che sembra essere un

bagliore di luce (flare) provenire da una coppia di buchi neri

coalescenti.

L'evento - chiamato S190521g - è stato identificato per la prima

volta dal Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory

 (Ligo) della National Science Foundation (Nsf) e dall'European

Virgo detector il 21 maggio 2019, quando sono  state rilevate le

onde gravitazionali generate dall'evento di fusione di due buchi neri.

Poco dopo, gli scienziati della Ztf - che si trova presso l'Osservatorio

Palomar, vicino a San Diego - hanno rivisto le loro registrazioni

dell'evento e hanno scoperto quello che potrebbe essere un flare

proveniente dai buchi neri coalescenti.

«Al centro della maggior parte delle galassie si nasconde un buco

nero supermassiccio.

È circondato da un nugolo di stelle, alcune delle quali morte, compresi

buchi neri», riferisce Ford, professore presso il Graduate Center,

Bmcc e Amnh.

«Questi oggetti brulicano come api attorno alla mostruosa ape regina

al centro.

Possono trovare, per poco tempo, partner gravitazionali con cui accop-

piarsi ma di solito li perdono rapidamente, per via della folle danza.

Ma nel disco del buco nero supermassiccio, il gas che scorre converte

il pogo del nugolo in un minuetto classico, organizzando i buchi neri in

modo che riescano ad accoppiarsi», spiega l'astrofisico.

Una volta che i buchi neri si fondono, il nuovo buco nero più grande

viene proiettato in una direzione casuale, sollevandosi rispetto al piano

del disco.

«È la reazione del gas a questo proiettile che accelera che crea un

bagliore luminoso, visibile con i telescopi», ha detto il coautore McKernan,

professore di astrofisica presso il Graduate Center, Bmcc e Amnh.

Lo strumento Zwicky Transient Facility (Ztf) instrument installato

sul Samuel Oschin Telescope all'Osservatorio di Palomar.

La camera Ccd di grande formato è situata all'interno del tubo del

telescopio, al fuoco dello specchio primario. Crediti: Caltech Optical

Observatories

«Questo buco nero supermassiccio stava "gorgogliando" da anni prima

di emettere improvvisamente il flare», riporta il primo autore dello

studio Matthew Graham, professore di astronomia presso il Caltech

e scienziato del progetto Ztf.

«Il flare si è verificato sulla giusta scala temporale e nella giusta posizione,

tali da coincidere con l'evento dell'onda gravitazionale.

Nel nostro studio, concludiamo che il flare è probabilmente il risultato di

una fusione di buchi neri, ma non possiamo escludere completamente altre

possibilità».

Si prevede che tale bagliore sia iniziato giorni o settimane dopo la fase

iniziale di generazione delle onde gravitazionali, prodotte durante la fusione.

In questo caso, Ztf non ha subito catturato l'evento, ma quando - mesi dopo

- gli scienziati sono tornati indietro e hanno guardato le immagini archiviate

di Ztf, hanno individuato un segnale iniziato giorni dopo l'evento delle onde

gravitazionali di maggio 2019 e riscontrato che il flare si è attenuato

lentamente per un periodo di un mese.

Gli scienziati hanno tentato di dare uno sguardo più dettagliato allo spettro

del buco nero supermassiccio, ma purtroppo l'emissione era già svanita.

Un'indagine di questo tipo avrebbe offerto ulteriore supporto all'idea che

il flare provenisse dalla fusione di buchi neri all'interno del disco di

accrescimento del buco nero supermassiccio.

Tuttavia, i ricercatori affermano di essere stati in grado di escludere

ampiamente altre possibili cause del bagliore osservato, tra cui una supernova 

o un evento di interazione mareale, che si verifica quando un buco nero

divora una stella.

Inoltre, il team afferma che è improbabile che il flare provenga dalle solite

attività del buco nero supermassiccio, che si nutre regolarmente del suo

disco circostante.

Utilizzando la Catalina Real-Time Transient Surveycondotta dal Caltech,

sono stati in grado di valutare il comportamento del buco nero negli ultimi

15 anni e hanno scoperto che la sua attività è stata relativamente normale

fino a maggio del 2019, quando si è improvvisamente intensificata.

«I buchi neri supermassicci come questo esibiscono flare tutto il tempo.

Non sono oggetti silenziosi, ma i tempi, le dimensioni e la posizione di

questo flare sono stati spettacolari», riporta il coautore Mansi Kasliwal,

del Caltech.

«Il motivo per cui la ricerca di flare come questo è così importante è che

aiuta enormemente nelle questioni aperte di astrofisica e cosmologia.

Se riusciremo a osservarlo di nuovo e a rilevare la luce dalle fusioni di

altri buchi neri, allora potremo inchiodare questi buchi neri e scoprire di

più sulle loro origini».

Il buco nero appena formato dovrebbe causare un altro flare nei prossimi

anni, in quanto il processo di fusione ha proiettato l'oggetto fuori dal disco

del buco nero supermassiccio per poi, però, rientrare nel disco stesso e

produrre così un altro lampo di luce, che Ztf dovrebbe essere in grado di

vedere. Aspetteremo con pazienza.

Per saperne di più

Leggi su Physical Review Letters l'articolo "Candidate Electromagnetic 

Counterpart to the Binary Black Hole Merger Gravitational Wave

Event S190521g" di M. J. Graham, K. E. S. Ford, B. McKernan,

N. P. Ross, D. Stern, K. Burdge, M. Coughlin, S. G. Djorgovski,

 A. J. Drake, D. Duev, M. Kasliwal, A. A. Mahabal, S. van Velzen,

J. Belicki, E. C. Bellm, R. Burruss, S. B. Cenko, V. Cunningham, 

G. Helou, S. R. Kulkarni, F. J. Masci, T. Prince, D. Reiley,

H.Rodriguez, B. Rusholme, R. M. Smith, M. T. Soumagnac

 
 
 

La Luna metallica.

Post n°3143 pubblicato il 02 Luglio 2020 da blogtecaolivelli

 Fonte: articolo riportato dall'Internet
02 LUG 2020 UNA LUNA PIÙ METALLICA

Posted at 08:11h in AstronewsLune e satelliti,

 Sistema Solare by Barbara Bubbi 

Un team di astronomi, analizzando dati della

sonda Lunar Reconnaissance Orbiter, ha scoperto

che il sottosuolo lunare potrebbe essere più ricco

del previsto di metalli come ferro e titanio.

Lo studio, pubblicato su Earth and Planetary

Science Letters, può contribuire a una migliore

comprensione della formazione della Luna e della

sua connessione con il nostro pianeta.

"La missione LRO e il suo strumento radar

continuano a sorprenderci con nuovi indizi sulle

origini e sulla complessità della nostra vicina celeste",

afferma Wes Patterson del Johns Hopkins Applied

Physics Laboratory (APL) a Laurel, Maryland, tra gli

autori dello studio.

Si ritiene comunemente che la Luna derivi dalla

collisione tra la giovane Terra e un protopianeta di

dimensioni simili a Marte, avvenuta quasi 4 miliardi

e mezzo di anni fa.

Sulla base di questa ipotesi, la composizione chimica

lunare dovrebbe assomigliare a quella terrestre.

Ma non è esattamente così.

Ad esempio, negli altipiani della Luna le rocce contengono

quantità inferiori di minerali metalliferi.

Questa caratteristica si potrebbe spiegare supponendo

che la Terra si fosse già differenziata in nucleo, mantello

e crosta prima dell'impatto, portando alla formazione di

una Luna povera di metalli.

Tuttavia, i Mari lunari, al contrario, presentano

un'abbondanza di metalli più ricca rispetto a quella di

molte rocce terrestri.

Questa difformità rappresenta una sorta di mistero per

gli scienziati e ha portato all'ideazione di varie ipotesi

sul possibile contributo dell'oggetto impattante nella

formazione della Luna.

Utilizzando lo strumento Miniature Radio Frequency

(Mini-RF) a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter

(LRO) della NASA, il team ha misurato una proprietà

elettrica nel suolo lunare accumulato sul fondo di

crateri situati nell'emisfero settentrionale del nostro

satellite.

Questa proprietà è nota come costante dielettrica, un

numero che rappresenta la propensione di un mezzo ad

opporsi all'intensità della forza elettrica al suo interno,

e che potrebbe aiutare gli scienziati a individuare ghiaccio

nelle regioni in ombra dei crateri.

Il team si è accorto che questa proprietà aumenta con la

dimensione del cratere.

Per crateri ampi tra 2 e 5 chilometri, la costante dielettrica

del materiale aumenta progressivamente man mano che il

cratere diventa più grande, mentre per crateri estesi da 5

a 20 chilometri, il valore rimane pressochè costante.

"Si tratta di una correlazione sorprendente, che non avevamo

ragione di pensare potesse esistere", afferma Essam

Heggy dell'University of Southern California a Los Angeles,

primo autore dello studio.

La scoperta apre la strada a nuove possibilità.

Dal momento che le meteoriti che formano crateri più

grandi penetrano più in profondità nel sottosuolo lunare,

il valore più elevato della costante dielettrica nei crateri

più ampi potrebbe derivare dalla fuoriuscita di elementi

metallici situati più in profondità, a seguito dell'impatto.

Se questa ipotesi si rivelasse vera, implicherebbe che la

superficie lunare è povera di ossidi di ferro e titanio

soltanto per poche centinaia di metri di profondità, mentre

il sottosuolo potrebbe esserne ricco.

Utilizzando dati di altre missioni lunari, gli scienziati

hanno trovato conferme a questa ipotesi: i crateri più

grandi risultano anche i più ricchi di metalli.

Secondo i ricercatori, il nuovo studio non può rispondere

direttamente alle domande ancora aperte relative alla

formazione della Luna, ma riduce l'incertezza sulla

distribuzione di ossidi di ferro e titanio nel sottosuolo

lunare, fornendo informazioni importanti per

comprendere meglio la composizione della Luna e la

sua connessione con la Terra.

Image Credit: NASA / GSFC / Arizona State University

 

 

 
 
 

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