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Messaggi del 02/09/2020

Guasto del contatore

Post n°3255 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

 

A causa di un guasto al contatore, non

appaiono le visite giornaliere che al

momento attuale sono circa 72730

 
 
 

Le ultime da Neanderthal.

Post n°3254 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet.

Pomici e conchiglie:

i Neanderthal sfruttavano

le risorse marine

Nel sito Neanderthal di Grotta dei Moscerini sono stati

trovati utensili ricavati da bivalvi e pietre vulcaniche,

pescati o raccolti sulla spiaggia.

uomo-di-neanderthal-uso-degli-strumentiLa gamma di strumenti utilizzata dall'Uomo di Neanderthal

non si riduceva alla selce: comprendeva anche conchiglie e

materiali trasportati dal mare. | SHUTTERSTOCK  

I Neanderthal si avventuravano anche sotto l'acqua, pur di

ottenere strumenti appuntiti, taglienti e abrasivi.

Uno studio archeologico compiuto presso uno dei più ricchi

siti archeologici italiani frequentati da Neanderthal rivela un

aspetto poco conosciuto degli antichi "cugini": la capacità di

pescare non solo le risorse primarie per mangiare, ma anche

il materiale più adatto per fabbricare gli utensili di uso

quotidiano. La ricerca è stata pubblicata su PLOS ONE.

I frammenti di conchiglia usati come utensili dai Neanderthal. |

VILLA ET AL., 2020

PESCATORI PROVETTI. 

La capacità dei Neanderthal di sfruttare le risorse costiere è stata

finora analizzata da un numero limitato di studi.

Dati archeologici raccolti in Spagna, Francia e Italia suggeriscono

che sapessero pescare molluschi marini e pesci d'acqua dolce,

ma la nuova ricerca condotta nella Grotta dei Moscerini, una

caverna aperta sulla spiaggia nei pressi di Gaeta (Latina)

ed esplorata a partire dal 1949, indica che dal mare traevano

anche materie prime per la fabbricazione di utensili, come

conchiglie di fasolari (molluschi bivalvi che vivono nei

fondali sabbiosi) e pietra pomice.

La grotta è particolarmente ricca di conchiglie tagliate e levigate

a mano risalenti al Medio Paleolitico (circa 100 mila anni fa),

per la maggior parte provenienti da fasolari (Callista chione).

Paola Villa, archeologa del Museo di Storia Naturale

dell'Università del Colorado e dell'Istituto Italiano di Paleontologia

Umana di Roma, ne ha analizzate 171: a giudicare dallo stato di

conservazione del guscio e delle incrostazioni presenti su di esso,

un quarto di esse sembra essere stato recuperato dirattamente dal

fondo del mare, quando gli animali erano ancora vivi.

Le conchiglie rimanenti sarebbero state, invece, raccolte sulla

spiaggia, insieme alle pietre pomici trovate nella grotta in abbondanti

depositi.

Queste rocce di origine vulcanica, utilizzate come oggi per la loro

capacità abrasiva, sarebbero arrivate via mare dopo eruzioni

sull'Isola di Ischia o nei Campi Flegrei (la vasta area vulcanica nel

Golfo di Pozzuoli).

I bordi arrotondati delle pietre indicano che furono

trasportate dalle correnti per circa 70 km, fino alla spiaggia alla base

della Grotta dei Moscerini.

IMMERSIONI MIRATE. 

Secondo gli archeologi, la scoperta prova che i Neanderthal

nell'Europa occidentale erano in grado di guadare tratti di mare o

immergersi nelle acque costiere con scopi ben precisi, per rac-

cogliere risorse specifiche, anche prima che l'Homo sapiens 

portasse queste abitudini nella regione.

La pratica è risultata più diffusa negli strati archeologici che

presentano meno utensili in pietra: può darsi che i Neanderthal

ricorressero alla pesca di bivalvi nei periodi in cui le rocce

silicee scarseggiavano, oppure che cercassero appositamente

le conchiglie per i loro bordi taglienti e affilati.

 
 
 

Le ultime notizie dal profondo universo.

Post n°3253 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Nuovi, bizzarri oggetti dell'UniversoNell'Universo, forse

fuori dalla Via Lattea, a una distanza che non conosciamo,

ci sono quattro oggetti mai classificati prima, chiamati

Odd Radio Circles.

Illustrazione: una galassia a spirale| NASA IMAGES / SHUTTERSTOCK  

Si pensava che tutti gli oggetti che si osservano nell'Universo

con telescopi e radiotelescopi potessero rientrare in una delle

classificazioni già note, ma recentemente è stato visto

qualcosa che esula da ogni definizione a noi nota.

Si tratta di quattro strani oggetti di forma circolare: tre di

essi hanno bordi estremamente luminosi, e circondano il quarto,

piuttosto opaco.

La scoperta - al momento pubblicata solo su arXiv - è di un

gruppo internazionale di astronomi guidato dall'astrofisico

Ray Norris, della West Sydney University (Australia):

i ricercatori hanno dato un nome a ciò che hanno visto, 

Odd Radio Circles (ORC), e bizzarri (odd) lo sono per

davvero.

«Le grandi strutture circolari», spiega Norris, «sono note

ai radioastronomi: di solito si tratta di oggetti sferici prodotti

da residui di supernove o nebulose planetarie - che è ciò che

resta di un'esplosione stellare - o anche dischi protoplanetari,

cioè sistemi solari in formazione.»

I radioastronomi sono anche consapevoli del fatto che a volte

tali strutture possono essere solamente "artefatti" che si

formano attorno a fonti luminose, causati da errori di calibra-

zione degli strumenti.

In questo caso, però, i ricercatori hanno escluso ogni tipo di

oggetto noto e qualunque possibile artefatto, e quindi avanzano

l'ipotesi che possa trattarsi proprio di una nuova classe di

oggetti astronomici. Gli ORC sono stati individuati per la

prima volta verso la fine del 2019 nel corso del programma

Pilot Survey dell'iniziativa di osservazioni radio EMU,

Evolutionary Map of the Universe condotta dall'Australian

Square Kilometer Array (SKA) Pathfinder, la rete di

radiotelescopi forse più sensibile al mondo.


Odd Radio Circles (ORC)I nuovi oggetti identificati dalla rete di radiotelescopi australiana:

per gli scienziati si tratta di una classe di oggetti nuova, mai rilevata

e classificata prima, e forse al di fuori della Via Lattea -

a una distanza ignota. | RAY NORRIS ET ALL

Inizialmente, come spiegazione più logica, si era pensato proprio

a un artefatto nella ricezione, che poteva essere prodotto anche 

da interferenze di un semplice forno a microonde.

Ma tutte le possibilità sono state messe a tacere quando si è

scoperto che nei dati d'archivio raccolti nel 2013 con il radio-

telescopio Giant MetreWave vi era un oggetto del tutto simile

a quello trovato dai ricercatori dello SKA nel 2019.

I quattro ORC identificati sono oggetti relativamente grandi

(occupano uno spazio nel cielo che corrisponde a circa il 3%

della Luna piena), ma non si è ancora potuto stabilire quanto

lontani siano da noi, e questo è un fattore importante per

definirne le caratteristiche; inoltre, ciò che li rende ancora

più misteriosi è il fatto che sono completamente invisibili ai

raggi X, alle radiazioni infrarosse e alle radiazioni nel visibile.

Il gruppo di ricerca ipotizza che gli ORC si trovino al di fuori

della Via Lattea e che possano essere il risultato di onde d'urto

sferiche gigantesche causate da qualche evento catastrofico,

ma nessuna ipotesi è al momento supportata da dati certi.

 
 
 

Ultime notizie sul global warming.

Post n°3252 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Cambiamenti climatici:

il global warming senza

precedenti negli ultimi

2000 anni

L'attuale evento di riscaldamento globale è il primo a

interessare il mondo intero: in passato, l'aumento o la

diminuzione naturali delle temperature furono di portata

regionale, e mai così violenti.

scenari-antropoceneScenari post apocalittici: benvenuti nell'Antropocene. | SHUTTERSTOCK  

La rapidità e l'estensione del global warming che conosciamo

- cioè quello causato dalle attività antropiche dall'indomani

della Rivoluzione Industriale ad oggi - non hanno precedenti

negli ultimi due millenni di storia della Terra.

Lo affermano tre diversi studi pubblicati su Nature e Nature

Geoscience [qui e qui], che si sono lanciati in un'impresa

monumentale: confrontare le caratteristiche dei più importanti

eventi di riscaldamento o raffreddamento che, nel corso dei

secoli, hanno interessato il nostro pianeta.

A differenza dell'attuale periodo di riscaldamento globale,

che ha una portata mondiale, i passati episodi di prolungato

aumento o calo delle temperature avvennero soltanto in alcune

regioni di Terra, e mai in modo tanto repentino come negli

ultimi decenni.

Sotto queste asserzioni crolla uno degli argomenti preferiti 

dai negazionisti del clima: quello che vuole che il global warming

attuale non sia che una delle tante e naturali oscillazioni

climatiche del nostro pianeta.


13 giugno 2019: i ricercatori del Danish Meteorological Institute

 cercano di recuperare la strumentazione scientifica sul ghiaccio

marino della Groenlandia, ormai ridotto a pozzanghera. 

| STEFFEN M OLSEN/TWITTER

PRECEDENTI DIVERSI. 

Nella storia climatica della Terra emergono alcune fasi di anomalie

di temperatura, come il "Periodo caldo romano", tra il 250 e il 400

d.C., o la Piccola Era Glaciale, che comportò in più parti del pianeta

un ribasso delle temperature a partire dal 1300.

A lungo si è pensato che questi eventi avessero avuto una portata

globale, e che analizzando gli anelli di un albero o una carota di ghiaccio

di qualunque parte del mondo se ne sarebbe trovato riscontro.

Non è proprio così.

PROVE A CONFRONTO. 

Gli scienziati hanno studiato circa 700 reperti che conservano una

memoria climatica raccolti in ogni continente ed oceano, dagli anelli

degli alberi ai coralli, ai sedimenti dei laghi, e si sono accorti che

nessuno dei passati eventi di rialzo o calo delle temperatura ebbe

una portata globale.

Per esempio, la Piccola Era Glaciale colpì più duramente il Pacifico

nel 15esimo secolo, e l'Europa nel 17esimo. Al contrario, per il 98%

della Terra (fatta eccezione per l'Antartide), le più alte temperature

degli ultimi due millenni si sono registrate negli ultimi anni.

DAL MAGMA ALL'UOMO. 

Prima dell'Era industriale, le più importanti fonti di variabilità

climatica erano le eruzioni vulcaniche, e non l'attività solare come

spesso ipotizzato.

Tuttavia, la rapidità di innalzamento delle temperature registrata

negli ultimi due decenni o poco più sorpassa ogni possibile

variabilità naturale delle temperature: è un evento straordinario,

nell'accezione più negativa del termine.

Lo studio non si concentra sulle cause dell'attuale global warming

che però sappiamo essere da ricercare nelle attività antropiche:

 un fatto ormai accettato dal 97% o più della comunità scientifica

mondiale.

 
 
 

Come iniziņ la tettonica a placche.

Post n°3251 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato

dall'Internet

Il calore del mantello gonfiò e fratturò la crosta primordiale,

creando le placche che con la tettonica avrebbero dato vita

a terremoti e vulcani, e plasmato la superficie della Terra.

Illustrazione: le fratture della crosta primordiale della Terra hanno avviato la tettonica delle zolle?Illustrazione: le fratture della crosta primordiale della Terra

hanno avviato la tettonica delle zolle? | 

KJPARGETER / SHUTTERSTOCK  

La tettonica delle zolle (o delle placche) è una teoria ormai

consolidata, sulla quale da oltre 50 anni concorda la maggior

parte degli scienziati: è il modello di dinamica della Terra 

che vuole che da miliardi di anni (da 3,3 a 4,4, a seconda delle

ipotesi che ruotano atorno alla teoria) la litosfera - ossia la

parte più esterna della Terra, composta dalla crosta e dal 

mantello superiore solido - sia suddivisa in una ventina circa

di placche, tra grandi e piccole, che si muovono le une rispetto

alle altre dando origine a vulcani e terremoti, e plasmano il pianeta 

creando continenti, catene montuose, oceani.

Al di là delle molte questioni da risolvere su ciò che tiene in

movimento le placche, c'è una domanda a monte di tutte le altre: 

com'è nata la tettonica? Che cosa l'ha innescata? 

Tante sono le ipotesi fin qui avanzate, ma nessuna che sia riuscita

a resistere a tutte le obiezioni, almeno finora, perché un gruppo

internazionale di ricercatori ha avanzato un'ipotesi (ora pubblicata

su Nature Communications) che, sulla carta, risponde a molte

domande.

TUTTO IN 5 MILIONI DI ANNI. 

Il gruppo di lavoro coordinato da Chun'an Tang (China University of

Geosciences) ha presentato un modello che vuole che la litosfera

primordiale venne surriscaldata dal mantello caldo sottostante, e ciò

causò un'espansione del guscio che portò poi a numerose fratture che

in seguito si unirono tra loro suddividendo la litosfera nelle placche

che conosciamo oggi.

È un'ipotesi che ricorda l'idea della Terra in espansione, proposta a fine

'800 dallo scienziato italiano Roberto Mantovani: egli sosteneva che il

Pianeta era in continua espansione, grazie all'attività vulcanica.

Un'ipotesi minata pochi anni dopo dalla teoria della deriva dei continenti 

Alfred Wegener, 1912) e definitivamente messa da parte dall'evoluzione

di quest'ultima nella tettonica delle placche, che spiegava anche perché

la Terra non si espandeva all'infinito.

La nuova ipotesi in effetti sostiene che un'espansione ci fu, ma per non

più di un chilometro (il raggio della Terra è di 6.371 chilometri) dopo di

che iniziò a frantumarsi: i modelli utilizzati per lo studio mostrano che

le fratture impiegarono 5 milioni di anni per ricongiungersi e formare le

prime placche della Terra.

Un'ipotesi affascinante, che ha purtroppo l'unico, piccolo difetto di

non essere verificabile: la tettonica delle placche stessa ha cancellato

quasi totalmente quel che avvenne sulla Terra dei primordi.

 
 
 

L'origine dell'acqua sulla Terra.

Post n°3250 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Né asteroidi né comete portatrici d'acqua: l'acqua del nostro

pianeta potrebbe essersi formata dalla materia organica presente

in abbondanza nella nube interstellare che diede origine al

Sistema Solare.

Paesaggi di una Terra primordiale| LEE REITZ / SHUTTERSTOCK  

La storia e le caratteristiche del nostro Pianeta nascondono

diversi misteri: tra questi, la domanda sull'origine dell'acqua,

ancora senza una risposta definitiva.

Da dove è arrivata l'acqua sulla Terra? Per anni si è pensato

che fosse stata portata per lo più da comete, ricche di ghiaccio

d'acqua, arrivate dalle regioni più remote del Sistema Solare

nel corso di eventi come il cosiddetto bombardamento tardivo.

Un'ipotesi non del tutto accantonata, oggi, ma che ha perso

posizioni da quando è stato possibile effettuare l'analisi del

rapporto tra isotopi dell'idrogeno sulle comete, che abbiamo

scoperto essere molto diverso da quello dell'idrogeno delle

molecole d'acqua terrestre.

Neppure gli asteroidi sono rimasti in cima alla lista dei portatori

d'acqua: non avrebbero potuto portarne in quantità sufficiente

a giustificare tutta l'acqua del Pianeta. Altre ipotesi? Sì, ma

nessuna esauriente.

«Finora abbiamo rivolto scarsa attenzione alla materia organica,

nonostante la sua abbondanza nello Spazio attorno alla Terra ai

primordi della formazione del Sistema Solare», afferma Akira

Kouchi (Università di Hokkaido, Giappone), giunta ad un'interessante

conclusione studiando la materia organica interplanetaria.

Uno studio condotto da esperti di diverse università giapponesi

(pubblicato su Scientific Reports) dimostra che riscaldando la 

materia organica a elevate temperature si ottengono qrandi quantità

di acqua e oli.

Questo suggerisce che comete e asteroidi potrebbero avere avuto

un ruolo marginale nel riempire il Pianeta di acqua, che potrebbe

invece essersi formata dall'interazione tra il materiale organico in

caduta e il nostro rovente pianeta primordiale.

In laboratorio funziona: in speciali celle, partendo da una miscela

di composti organici simile a quella che doveva esserci in abbondanza

attorno al nostro neonato pianeta nel Sistema Solare primitivo e

agendo su radiazioni UV, pressione e temperatura si ottiene pioggia

d'acqua e, a circa 400 °C, anche un olio nero e denso che ha le stesse

caratteristiche del petrolio (che sulla Terra potrebbe perciò essere

più abbondante di ciò che si crede).

L'acqua sul nostro pianeta potrebbe dunque essersi originata da

condizioni del genere, del tutto verosimili, accreditando un'ipotesi

di alcuni anni fa che dipingeva la Terra primordiale come 

un mondo d'acqua.

14 LUGLIO 2020 | LUIGI BIGNAMI

 
 
 

Le ultime news dell'archeologia..

Post n°3249 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall' Internet

In Israele è stata fatta una scoperta sensazionale

Una chiesa di 1.300 anni fa è stata scoperta nel

villaggio di Kfar Kama, vicino al Monte Tabor

Per 1300, chissà quante persone ci sono passate

accanto e, quando poi hanno costruito la strada,

chissà quante auto... Eppure, proprio a due passi

dal ciglio di quella strada si nascondeva un vero

e proprio tesoro.

Una chiesa di 1.300 anni fa è stata scoperta nel

villaggio di Kfar Kama, in Galilea, vicino al Monte

Tabor, quell'"alto monte" sul quale, secondo i

Vangeli, avvenne la trasfigurazione di Gesù.

Questo eccezionale ritrovamento è avvenuto in

modo del tutto casuale, durante gli scavi

effettuati dalla Israel Antiquity Authority, sotto

la guida della dottoressa Nurit Feig, in

collaborazione con il Kinneret Academic College,

diretto da Moti Aviram per i lavori ri realizzazione

di un parco giochi.

Secondo la dottoressa Feig, "La chiesa, che misura

12 × 36 metri, comprende un ampio cortile, un foyer

in nartece e una sala centrale.

Particolare di questa chiesa è l'esistenza di tre absidi

(nicchie di preghiera), mentre la maggior parte delle

chiese della medesima epoca erano caratterizzate da

un'unica abside.

La navata centrale e le navate laterali erano pavimentate

con mosaici parzialmente ritrovati.

La loro decorazione colorata si distingue dall'incorporare

motivi geometrici e motivi floreali blu, neri e rossi.

Una scoperta speciale è stata quella relativa al piccolo

reliquiario, una scatola di pietra usata per conservare

le reliquie sacre".

Un'ulteriore serie di ambienti adiacenti alla chiesa

è stata parzialmente portata alla luce.

Secondo un'ispezione radar a penetrazione effettuata

nel terreno, ci sarebbero delle stanze aggiuntive nel

sito ancora da scavare.

All'inizio degli Anni '60, una chiesa più piccola con

due cappelle fu scavata all'interno del villaggio di

Kfar Kama e fu datata, dai ritrovamenti, alla prima

metà del VI secolo d.C.

Secondo il Prof. Moti Aviam, "questa era probabilmente

la chiesa del villaggio", mentre la chiesa ora scoperta

era probabilmente parte di un monastero

contemporaneo alla periferia del villaggio.

La nuova scoperta allude all'apparente importanza

del villaggio cristiano insediato in epoca bizantina

a ridosso del monte Tabor, un sito di grande importanza

religiosa per la cristianità.

Nel 1876, quando la tribù Circassa Shapsug si stabilì

per la prima volta a Kfar Kama, usò le pietre dell'antico

villaggio per costruire le case.

La scoperta della chiesa a Kfar Kama contribuirà al

vasto progetto di ricerca sull'insediamento cristiano

in Galilea che viene condotto dal Prof. Moti Aviam e

dal Dr. Jacob Ashkenazi del Kinneret Institute of Galilean

Archaeology nel Kinneret Academic College.

Già negli Anni '60 erano state ritrovate alcune tombe

risalenti al IV secolo.

Secondo gli archeologi, il piccolo villaggio di Kfar Kama

è molto più importante di quanto non appaia oggi:

si tratterebbe, infatti, dell'antica città di Helenopolis,

fondata niente meno che da Costantino durante

l'Impero bizantino e intitolata alla madre Elena.

L'antichissima regione della Galilea, nel Nord di

Israele, si snoda intorno al lago che della regione

stessa porta il nome.

È caratterizza da un paesaggio verde e ricco di

vegetazione, perfetta per ogni tipologia di turismo,

da quello spirituale alle attività outdoor fino alla

scoperta di inediti siti archeologici, e quindi

ricchissima di storia e di tradizione

 
 
 

Le ultime news dell'archeologia..

Post n°3248 pubblicato il 02 Settembre 2020 da blogtecaolivelli

Fonte: articolo riportato dall'Internet

Archeologia > News > Dettaglio News23 GIUGNO 2019ARCHEOLOGIAdi Amanda Ronzoni

http://www.nationalgeographic.it

La battaglia navale tra Greci, Etruschi e Cartaginesi

che cambiò la storia.

Al Museo Civico Archeologico Falchi di

Vetulonia, fino al 3 novembre 2019,

una mostra sullo scontro navale di Alalìa,

il primo storicamente documentato, che

decise le sorti del Mediterraneo nel 540

a.C.

Al Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi

di Vetulonia, un allestimento suggestivo e

più di 150 reperti di rilievo scientifico e artistico

raccontano uno degli eventi antichi più importanti

nella storia del Mare Nostrum, che decise le

sorti delle due isole tirreniche di Kyrnos (Corsica)

e Sardò (Sardegna).

Anno 545 a.C.: nel Mediterraneo arrivano i

greci Focei in fuga dall'avanzata persiana.

Abbandonata la loro città, Focea (oggi la turca

Foça), dalla costa occidentale dell'Anatolia si

trasferirono in massa ad Alalìa, in Corsica

(l'odierna Aleria), dove esisteva un insediamento

foceo già dal 565 a.C..

Il loro arrivo in massa turbò l'assetto geopolitico

dell'intera regione mediterranea, interferendo

con lo status quo di scambi commerciali ed aree

di influenza riconosciute, tra Fenici, Greci ed

Etruschi, dove Corsi e Sardi giocarono la loro

parte.

Per preservare la propria egemonia sul Tirreno,

gli Etruschi si allearono ai Fenici e, nel 540 a.C.,

ingaggiarono contro i Focei una delle più grandi

battaglie navali dell'antichità.

180 navi (pentecontère) si affrontarono nel tratto

di mare antistante la città di Alalìa. Fu uno scontro

durissimo.

Così lo racconta Erodoto parlando della "battaglia

del Mar Sardo":

"I Focei allora, equipaggiate anch'essi le loro navi

che erano in numero di 60, andarono loro incontro

nel mare detto di Sardegna.

Scontratisi in battaglia navale, i Focei ottennero

una vittoria cadmea, poiché quaranta loro navi

furono distrutte, e le rimanenti venti erano inservibili,

con i rostri spezzati".

L'esito fu incerto (di qui la definizione di vittoria

cadmea), le perdite ingenti da entrambe le parti: si

sa che i prigionieri greci finirono lapidati e che nel

535 a.C. i Focei abbandonarono Alalìa, diretti verso

Reggio, risalirono le coste campane e fondarono

Velia, a sud di Paestum.

Per una cinquantina di anni, il Tirreno tornò ad

essere un "lago etrusco", gli scambi con i Corsi

sempre più attivi, i legami culturali sempre più saldi,

come testimoniano i numerosi reperti in mostra a

Vetulonia.

Gli oggetti esposti ci parlano di queste vicende

storiche e del dialogo interculturale tra questi

popoli e di un progetto scientifico che ha unito

per l'occasione nei prestiti il Museo di Aleria,

l'Antiquarium Arborense di Oristano e la

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio

di Sassari e Nuoro, il Museo Archeologico Nazionale

di Firenze, per quanto concerne la Toscana, il Museo

Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma, e il Nucleo

Tutela del Patrimonio Archeologico della GdF di

Roma, con una selezione di reperti sequestrati.

Simbolo della mostra e reperto di altissimo valore

artistico, oltre che scientifico, è il prezioso dinos

(vaso utilizzato in Grecia prevalentemente per

mescolare l'acqua al vino) attico frammentato (foto

sopra), in prestito dal Museo Nazionale Etrusco

di Villa Giulia, a Roma,

La mostra è stata curata da Simona Rafanelli,

nel quadro del primo grande progetto internazionale

di valorizzazione della Corsica (Programma Collettivo

di Ricerca su Aleria e i suoi territori ) curato dal

prof. Vincent Jolivet e dal prof. Jean Castela.

Dopo Vetulonia, la mostra sarà nel 2020 ad Aleria

e nel 2021 a Cartagine.

 
 
 

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