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Messaggi del 14/09/2021
Post n°3453 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet
Fonte foto: 123rfSCIENZA L'esperimento per ricreare la luna di Saturno in una provetta Riprodurne una copia potrebbe svelare alcuni segreti dello Spazio. Il gelido Titano è l'unico altro mondo nel nostro sistema solare dominato da molecole organiche e con laghi e fiumi. Titano è gelida luna di Saturno ed l'unico altro mondo nel nostro sistema solare dominato da molecole organiche e solcato da laghi e fiumi. Ha anche un'atmosfera densa, un clima stagionale e precipitazioni, simili a quanto avviene sulla Terra. La differenza è che i suoi bacini sono pieni di metano e la pioggia probabilmente brucerebbe la nostra pelle. Allo stesso tempo il satellite saturniano potrebbe essere un ottimo punto di partenza per cercare segni di vita extraterrestre. Un nuovo esperimento, condotto dai ricercatori della Southern Methodist University, sta cercando di riprodurre in provetta le condizioni di Titano proprio per provare ad analizzare il suo ambiente. L'imitazione della luna di Saturno in provetta Mentre la Nasa ha in programma di lanciare una sorta di "grande drone" su Titano nel 2027, con la missione Dragonfly, alcuni scienziati stanno provando ad anticipare i possibili risultati dell'osservazione diretta, ricreando in provetta l'atmosfera della fredda luna di Saturno, in particolare le molecole organiche che condivide con il nostro pianeta. "Se vogliamo studiare i minerali su Titano, dobbiamo dare un'occhiata a queste comuni molecole organiche - ha spiegato Tomče Runčevski, autore principale dell'esperimento presentato al meeting autunnale dell'American Chemical Society - ma guardandole con occhi diversi, attraverso il prisma di Titano". L'esperimento "Titan in a glass" di Runčevski ha combinato le caratteristiche della luna saturniana, come le sue temperature di immersione e i liquidi caratteristici, all'interno di cilindri di vetro ai quali ha aggiunto due molecole, acetonitrile e propionitrile, presenti nell'atmosfera lunare. Su Titano, questi composti sono sotto forma di cristalli solidi che contengono sequenze di "polimorfi", o variazioni nella struttura, che dipendono dalla temperatura. La composizione chimica è la stessa, ma il modo in cui le sostanze chimiche si legano è leggermente diverso in base a quanto è caldo o freddo. I risultati dell'esperimenti hanno mostrato che le sequenze strutturali delle due molecole sono cambiate, con la stabilizzazione dei polimorfi s ia ad alta che a bassa temperatura. Anche le proprietà dei composti sono state modificate. Le temperature di Titano scendono fino a -290 gradi Fahrenheit. Ma ciò non ha impedito la formazione di polimorfi ad alta temperatura. L'ipotesi è che non è solo la temperatura a influenzare la chimica di Titano e le nuove proprietà individuate dell'acetonitrile e del propionitrile possono anche riaprire domande sulla chimica terrestre. Intanto un'altra ricerca ha studiato gli anelli di Saturno riuscendo a osservare cosa c'è nel cuore del pianeta. Stefania Bernardini |
Post n°3452 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: Alcune stelle nascondono un segreto anti invecchiamento Questi astri possono avere una seconda vita. Le nane bianche, le meteore più comuni nell'universo, sono in grado di rallentare il loro processo d'invecchiamento. 9 Settembre 2021 Le stelle più comuni nell'universo sono in grado di rallentare il loro processo d'invecchiamento. Si tratta delle nane bianche che riescono a ringiovanire e avere una vera e propria seconda vita. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall'italiano Francesco Ferraro, dell'università di Bologna e associato all'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), ed è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy. Il risultato dello studio cambia completamente le conoscenze finora ritenute valide sul ciclo di vita delle piccole stelle. Il segreto anti invecchiamento delle stelle Le stelle piccole e medie, come il nostro Sole, diventano nane bianche nell'ultima fase del ciclo di sviluppo e si ritiene rappresentino la stragrande maggioranza di tutti i corpi celesti, f ino al 98%. Secondo quanto si è ritenuto finora, questo tipo di meteore, quando esauriscono il loro combustibile, si "gonfiano" fino a espellere gli strati più esterni, mentre al centro rimane un nucleo nudo, molto caldo, in cui non avvengono più reazioni nucleari. Da questo momento vanno gradualmente a raffreddarsi fino a spegnersi del tutto. Analizzando le immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble di due distinti ammassi stellari, Messier 3 e Messier 13, considerati praticamente identici tra loro, i ricercatori hanno scoperto per la prima volta delle piccole anomalie che però dimostrano che non tutte le nane bianche invecchiano allo stesso modo. "La nostra scoperta - ha detto all'Ansa Ferraro - dimostra che alcune nane bianche sono in grado di trattenere un sottilissimo strato di idrogeno, dell'ordine di un decimillesimo della massa del Sole ma sufficiente per permettere una minima attività termonucleare che consente di produrre ancora un po' di energia, rallentando così il processo di spegnimento e di raffreddamento, in pratica rallentando il loro invecchiamento". Il segreto di questo "elisir di giovinezza" sarebbe scritto nel loro passato. Il differente invecchiamento sarebbe infatti guidato da un processo di rimescolamento dei gas della stella che avviene nella transizione che porta alla nascita della nana bianca. In stelle con massa iniziale più piccole della media l'idrogeno riesce in parte a conservarsi e consentire così un ringiovanimento. La scoperta cambierebbe quindi i meccanismi usati finora per stimare l'età delle nane bianche in funzione della sola luminosità con una differenza, rispetto ai calcoli precedenti, anche di 1 miliardo di anni. Lo studio delle meteore continua a rivelare informazioni sorprendenti su questi astri, per esempio una ricerca di scienziati del Regno Unito è riuscita a individuare l'origine delle prime stelle, mentre il telescopio Kepler ha catturato il momento appena precedente l'esplosione di una supernova. Stefania Bernardini |
Post n°3451 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Fonte foto: getty imagesSCIENZA Alcune stelle finora sconosciute stanno esplodendo Il telescopio Kepler ha catturato il momento appena precedente l'esplosione di una supernova: è la prima osservazione diretta della fase finale della vita di una stella, confermata dalla NASA. Sappiamo praticamente da sempre che l'universo è popolato di supernove: si tratta di stelle che - più grandi del Sole - finiscono la propria vita con una massiccia esplosione che poi le trasforma in stelle di neutroni, o pulsar. La prima testimonianza scritta di una supernova risale addirittura al 185 d.C., quando un gruppo di astronomi cinesi lasciò traccia dell'osservazione della stella SN185; si pensa però che le prime osservazioni di supernove risalgano a Ipparco di Nicea, quindi al II sec.a.C, almeno secondo quanto riportato dallo scrittore romano Plinio il Vecchio. Sappiamo che ci sono, dunque, ma fino ad oggi nessun telescopio ottico era riuscito a catturare l'immagine di una supernova. La prima foto di una supernova È stato pubblicato lo scorso 3 Agosto sulla rivista scientifica della Royal Astronomical Society lo studio che per la prima volta riporta l'osservazione di una supernova - cento volte più grande del Sole. Condotto dalla Australian National University (ANU) in collaborazione con la NASA, il gruppo di ricercatori è così riuscito nell'impresa di osservare l'esplosione di una supernova. "È la prima volta che qualcuno riesce ad avere uno sguardo così preciso sull'intera curva di raffreddamento di una supernova", afferma Patrick Armstrong, a capo dell'equipe. L'immagine mostra un potente lampo di luce provenire dalla stella, nel momento appena precedente l'esplosione vera e propria: l'emissione segue il passaggio della prima onda d'urto, in una successione di shock che condurranno la supernova alla detona- zione finale. Si tratta di un'osservazione di importanza storica: come spiega Armstrong "essendo lo stadio iniziale di una supernova così veloce, è molto difficile che i telescopi riescano a catturare questo fenomeno". Ci è riuscito il telescopio della NASA Kepler: progettato per indagare una specifica regione della Via Lattea alla scoperta di pianeti simili alla Terra, Kepler non è più operativo dal 2018, ma i dati raccolti in quasi dieci anni di attività sono ancora in fase di studio. Tra questi, un evidente fenomeno della durata di tre giorni che mostra "con una cadenza senza precedenti, lo shock da raffreddamento" che segue il cosiddetto lampo da urto, quello che non consente ai telescopi ottici di osservare direttamente la fase finale dell'esplosione. Non solo Kepler: il telescopio Spitzer conferma le ipotesi degli scienziati Secondo la NASA, quelle delle supernove sono le più grandi esplosioni mai osservate dagli umani, e si crede che proprio tali fenomeni siano alla base della creazione di molti elementi fisici del nostro universo. Un'ulteriore indagine sul ciclo vitale delle supernove - pubblicata circa un mese prima della scoperta dell'Università australiana - ha usato le immagini ad infrarossi del telescopio Spitzer per individuare, oltre la polvere che ne impedisce l'osservazione diretta, quelle stelle di cui gli scienziati hanno fino a oggi soltanto potuto ipotizzare l'esistenza. La NASA così ha potuto descrivere per la prima volta la fine di una supernova come una "esplosione che riduce le stelle in frantumi". Spitzer ha così confermato l'esistenza di stelle ipotetiche, ma ne ha anche scoperte cinque del tutto nuove, che gli scienziati non avevano mai considerato. Ori Fox, scienziato dello Space Telescope Science Institute di Baltimora e promotore dello studio, i dati acquisiti da Spitzer sono fondamentali: "sapere quante stelle stanno esplodendo ci può aiutare a predire quante stelle si stanno formando", il che è fondamentale per diverse aree della ricerca astrofisica. Il prossimo a tentare di studiare le supernove sarà il telescopio ad infrarossi James Webb, il cui lancio è previsto per il prossimo Ottobre e che sarà il più grande telescopio mai inviato nello spazio dalla NASA. |
Post n°3450 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Fonte foto: 123rfSCIENZA Scoperto un pianeta a 90 anni luce dalla Terra dove potrebbe esserci vitaTOI-1231 b ed è un mondo gassoso, molto simile al nostro Nettuno, con un'atmosfera molto interessante: ci sono le nuvole e, probabilmente, anche l'acqua. Nello spazio ci potrebbe essere vita. Un nuovo esopianeta con un'atmosfera molto interessante è stato scoperto a 90 anni luce dalla Terra. Si chiama TOI-1231 b ed è un mondo gassoso molto simile al nostro Nettuno. Grande 3,5 volte il diametro della Terra, è un po' più caldo del globo terrestre, con una temperatura tra i 56°C e i 57°C, ma comunque che rientra tra i pianeti di questo tipo più freddi che siano mai stati osservati. Per gli scienziati TOI-1231 b è in una posizione privilegiata che permette alla sua atmosfera di essere studiata dai telescopi spaziali. L'esopianeta orbita attorno a una stella nana rossa, più piccola ma più longeva del nostro Sole, e un anno su questo mondo dura 24 giorni. La scoperta è stata inserita nell'Exoplanet Archive della NASA il 3 giugno e gli astronomi ritengono che il pianeta resti relativamente freddo perché anche la sua stella sarebbe sul lato più freddo. I dettagli di TOI 1231 b, il pianeta a 90 anni luce dalla Terra Sebbene non sia abitabile a causa delle sue dimensioni, TOI 1231 b potrebbe offrire agli scienziati la possibilità di catturare una sorta di "codice a barre" dell'atmosfera di un esopianeta temperato delle dimensioni di Nettuno. Ciò potrebbe consentire confronti con mondi simili in altre parti della galassia, portando a intuizioni potenzialmente profonde sulla composizione e sulla formazione di esopianeti e sistemi planetari, inclusi la Terra. Con una tecnica chiamata spettroscopia di trasmissione, gli scienziati dovrebbero essere in grado di utilizzare il telescopio spaziale Hubble, e presto anche il più sensibile telescopio spaziale James Webb, per catturare la luce delle stelle che brilla attraverso l'atmosfera di TOI-1231 b e rivelare quali gas sono presenti nella sua atmosfera. La stella nana rossa del pianeta, sebbene piccola, è piuttosto brillante nella parte infrarossa dello spettro luminoso. L'ipotesi è che nell'atmosfera di TOI-1231 b ci siano nuvole, forse fatte anche di acqua. L'esomondo si sta muovendo così rapidamente che gli atomi di idrogeno che fuoriescono dall'atmosfera del pianeta potrebbero essere facilmente rilevati. Ogni volta che il pianeta passa davanti alla sua stella, i telescopi sarebbero in grado di vedere, attraverso la sovrapposizione, nubi nella sua atmosfera nelle quali si pensa possa esserci H2O e probabilmente anche qualche forma di vita. Lo studio degli esopianeti sta interessando sempre di più gli scienziati che, oltre a TOI-1231 b, stanno concentrando l'attenzione anche su altre formazioni nella galassia, una sorta di super Terre ed esolune gassose e con acqua liquida che potrebbero essere abitabili. Stefania Bernardini |
Post n°3449 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Fonte foto: 123RFSCIENZA Potrebbe esserci vita ai margini della galassia: la nuova scoperta oltre la via Lattea La simulazione di alcuni scienziati individua dove nello spazio è possibile incontrare gli alieni: potrebbe esserci vita ai margini della galassia. Nonostante la calma apparente che emana dalla fotografie restituiteci dai telescopi in grado di sbirciare nelle profondità della galassia, l'immenso spazio fuori dai confini della nostra Terra è tutt'altro che un posto "tranquillo" e adatto alla vita. Secondo gli scienziati, infatti, una serie di aspetti, molto rappresentati nelle profondità siderali, riducono le chances di vita su altri pianeti (almeno di vita per come la conosciamo). Nello specifico, si tratta di collisioni tra piccole galassie, radiazioni cosmiche, esplosioni di supernove. Avvenimenti dalle dimensioni colossali e dalla portata distruttiva inimmaginabile che rendono la placida staticità del cosmo qualcosa di più simile a un inferno. Al di là delle premesse, però, nel cosmo c'è ancora abbastanza spazio da ipotizzare l'esistenza di qualche oasi felice in cui la vita (per come la conosciamo, è bene ripeterlo) potrebbe prosperare rigogliosa. I ricercatori guidati dal fisico Duncan Forgan dell'Università di St. Andrews, a Fife, nel Regno Unito, hanno quindi messo a punto una simulazione per provare a comprendere quali zone del cosmo presenterebbero le maggiori probabilità di ospitare la vita. Come la vita verrebbe distrutta nella parte sbagliata dello spazio Innanzitutto gli scienziati si sono premurati di individuare le condizioni necessarie alla vita: si tratterebbe della presenza di acqua liquida su pianeti che non sono né troppo vicini, né troppo distanti dalla stella intorno alla quale orbitano, insomma pianeti temperati. I centri delle galassie invece sono tempestati di esplosioni, causate dall'elevata densità di stelle. Ciò brucerebbe l'ozono di un pianeta simile alla Terra uccidendo qualsiasi forma di vita con i raggi ultravioletti. E allora, dove è possibile che nasca la vita? Gli scienziati hanno ragionato sul lunghissimo termine, simulando al pc l'evoluzione di una galassia basandosi sulle conoscenze attualmente a nostra disposizione, non soltanto riguardanti la via Lattea, ma anche delle galassie vicino al nostro "quartiere spaziale": Andromeda e Triangulum. "Siamo i primi a vedere come la storia delle galassie influisce sulla loro abitabilità", spiega Forgan. Come influisce? Ebbene, sembra che la distribuzione di gas, stelle e sistemi planetari all'interno dei vortici di stelle renda abitabili le zone periferiche delle galassie, dove tra l'altro si trova la Terra, collocata nella fascia interna della cerchia esterna della Via Lattea. La galassia è immensa e le possibilità di trovare esseri viventi sono davvero ridottissime, ma se dovessimo mai cominciare a cercare, sarà bene cominciare dal bordo. Nel frattempo c'è comunque chi ipotizza l'esistenza di funghi su Marte e chi vede tracce aliene sul fondo dell'oceano. Giuseppe Giordano |
Post n°3448 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Fonte foto: 123rfSCIENZA Alcune stelle nascondono un segreto anti invecchiamento Questi astri possono avere una seconda vita. Le nane bianche, le meteore più comuni nell'universo, sono in grado di rallentare il loro processo d'invecchiamento. 9 Settembre 2021 Le stelle più comuni nell'universo sono in grado di rallentare il loro processo d'invecchiamento. Si tratta delle nane bianche che riescono a ringiovanire e avere una vera e propria seconda vita. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall'italiano Francesco Ferraro, dell'università di Bologna e associato all'Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), ed è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy. Il risultato dello studio cambia completamente le conoscenze finora ritenute valide sul ciclo di vita delle piccole stelle. Il segreto anti invecchiamento delle stelle Le stelle piccole e medie, come il nostro Sole, diventano nane bianche nell'ultima fase del ciclo di sviluppo e si ritiene rappresentino la stragrande maggioranza di tutti i corpi celesti, fino al 98%. Secondo quanto si è ritenuto finora, questo tipo di meteore, quando esauriscono il loro combustibile, si "gonfiano" fino a espellere gli strati più esterni, mentre al centro rimane un nucleo nudo, molto caldo, in cui non avvengono più reazioni nucleari. Da questo momento vanno gradualmente a raffreddarsi fino a spegnersi del tutto. Analizzando le immagini riprese dal telescopio spaziale Hubble di due distinti ammassi stellari, Messier 3 e Messier 13, considerati praticamente identici tra loro, i ricercatori hanno scoperto per la prima volta delle piccole anomalie che però dimostrano che non tutte le nane bianche invecchiano allo stesso modo. "La nostra scoperta - ha detto all'Ansa Ferraro - dimostra che alcune nane bianche sono in grado di trattenere un sottilissimo strato di idrogeno, dell'ordine di un decimillesimo della massa del Sole ma sufficiente per permettere una minima attività termonucleare che consente di produrre ancora un po' di energia, rallentando così il processo di spegnimento e di raffreddamento, in pratica rallentando il loro invecchiamento". Il segreto di questo "elisir di giovinezza" sarebbe scritto nel loro passato. Il differente invecchiamento sarebbe infatti guidato da un processo di rimescolamento dei gas della stella che avviene nella transizione che porta alla nascita della nana bianca. In stelle con massa iniziale più piccole della media l'idrogeno riesce in parte a conservarsi e consentire così un ringiovanimento. La scoperta cambierebbe quindi i meccanismi usati finora per stimare l'età delle nane bianche in funzione della sola luminosità con una differenza, rispetto ai calcoli precedenti, anche di 1 miliardo di anni. Lo studio delle meteore continua a rivelare informazioni sorprendenti su questi astri, per esempio una ricerca di scienziati del Regno Unito è riuscita a individuare l'origine delle prime stelle, mentre il telescopio Kepler ha catturato il momento appena precedente l'esplosione di una supernova. Stefania Bernardini |
Post n°3447 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet Fonte foto: 123rfSCIENZA La nascita delle prime stelle non è più un mistero: la scoperta degli astronomiPresto le prime galassie potrebbero diventare osservabili. Uno studio di scienziati del Regno Unito colloca l'alba cosmica tra 250 e 350 milioni di anni dopo il Big Bang. C'è finalmente una collocazione temporale riguardo a quando le prime stelle hanno iniziato a brillare nel cielo. Uno studio di scienziati del Regno Unito è riuscito a individuare l'alba cosmica tra 250 e 350 milioni di anni dopo il Big Bang. La scoperta è collegata all'idea che presto le prime galassie che ospitano queste stelle primordiali potrebbero diventare osservabili con i nostri nuovi strumenti tecnologici. La ricerca è stata pubblicata negli avvisi mensili della Royal Astronomical Society e l'obiettivo è quello di ampliare la comprensione di uno dei più misteriosi periodi dell'universo: le oscure età cosmiche. La nascita delle prime stelle Nel cosmo nessuna meteora ha brillato per centinaia di milioni di anni. Poi, lentamente, il gas ha iniziato ad ammassarsi in grandi nubi fino a causare un collasso gravitazionale dal quale nacquero le prime stelle. Il team di ricercatori ha stimato questo evento esaminando sei delle galassie più lontane mai scoperte. La luce di questa mezza dozzina di oggetti ci arriva da quando l'Universo aveva appena 550 milioni di anni. Gli scienziati hanno quindi stimato l'età di queste galassie, suggerendo quando possano essere nate le stelle al loro interno. "Le nostre osservazioni indicano che l'alba cosmica è avvenuta tra 250 e 350 milioni di anni dopo l'inizio dell'universo e, al momento della loro formazione, galassie come quelle che abbiamo studiato sarebbero state sufficientemente luminose da poter essere osservate con il telescopio James Webb", ha affermato in una dichiarazione l'autore principale della ricerca, il dott.Nicolas Laporte dell'università di Cambridge. Grazie alle osservazioni dei telescopi spaziali Hubble e Spitzer, il team è stato in grado di stimare la presenza di idrogeno atomico. Durante le età cosmiche oscure, tutto l'idrogeno era atomico, ma la luce delle stelle strappava gli elettroni da quegli atomi di idrogeno in un processo chiamato ionizzazione. Alla fine dell'alba cosmica, la stragrande maggioranza dell'idrogeno nell'universo è stata nuovamente ionizzata e dalla stima di quanto idrogeno rimane ionizzato in una galassia si può calcolare da quanto tempo sono attive le sue stelle. "Questo indicatore di età viene utilizzato per datare le stelle intorno alla Via Lattea, ma può anche essere utilizzato per datare galassie estremamente remote, viste in un periodo molto antico dell'universo", ha aggiunto il co-autore Romain Meyer, dell'Università College London e del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, in Germania. Da questi calcoli gli astronomi hanno indicato che le prime galassie hanno tra i 200 e i 300 milioni di anni e sono abbastanza sicuri che presto i nostri telescopi riusciranno a osservarle. Un'altra ricerca ha invece individuato che i buchi neri risucchiano le stelle. Stefania Bernardini |
Post n°3446 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: articolo riportato dall'Internet. L'intelligenza artificiale che può eliminare povertà e disuguaglianze L'intelligenza artificiale può aiutarci a eliminare povertà e disuguaglianze: gestisce le risorse, crea cibo sintetico e sa anche insegnare le emozioni. 5 Agosto 2021 Il discorso sulle Intelligenze Artificiali è, sin dall'inizio della sua storia, lastricato di timori: colpa forse di un immaginario distopico che va da Hal 9000 a Skynet, spesso le paure superano l'entusiasmo, in materia. È anche per analizzare le radici di tanti dubbi che il CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha recentemente pubblicato "L'Intelligenza Artificiale per lo Sviluppo Sostenibile", un volume che spiega come le Intelligenze Artificiali possono - e in realtà già lo fanno - contribuire al benessere della popolazione mondiale e allo sviluppo sociale ed economico. Lo studio è promosso da CISV-ONG 2.0, Associazione Italiana per l'Intelligenza Artificiale (AIxIA) e dal Dipartimento di Informatica dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Dopo un'attenta definizione del concetto di Intelligenza Artificiale e dello stato attuale delle ricerche, il volume fornisce uno sguardo d'insieme su i tanti progetti che, in tutto il mondo, usano l'IA per migliorare benessere dei cittadini e sostenibilità ambientale. I 17 obiettivi dello sviluppo sostenibile Nel Settembre del 2015 più di 150 leader internazionali, riuniti alle Nazioni Unite, hanno approvato l'Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile: il documento illustra una strategia globale che intende porre fine a povertà e disuguaglianze in nome di uno sviluppo economico che sia sostenibile in termini umani, ambientali ed economici. Alla base dell'Agenda 2030, ci sono i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile: eliminazione di fame e povertà ma anche diritto all'istruzione ed accesso a fonti d'acqua pulita, tutela del clima e contrasto alle disuguaglianze. Il volume del CNR illustra nel dettaglio le opportunità offerte dall'impiego delle IA nel raggiungimento di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, senza però fare mistero dei potenziali rischi connessi all'impiego di queste tecnologie. Una delle più note implicazioni dell'uso di Intelligenze Artificiali particolarmente complesse è il grave impatto ambientale: le IA che elaborano i linguaggi naturali (deep neural network) emettono, in un anno, quasi cinque volte la CO2 prodotta da un'automobile americana. Secondo di dati ufficiali, inoltre, nel 2040 il 14% dell'emissione totale di gas serra sarà riferibile al comparto delle tecnologie informatiche, Intelligenze Artificiali e quantum computer compresi. D'altro canto, sono diversi i progetti che già utilizzano le IA per attività tese al raggiungimento della sostenibilità ambientale: monitoraggio, assegnazione delle risorse e razionalizzazione dei processi sono compiti che le Intelligenze Artificiali svolgono con grande successo. Migliorare il mondo con l'IA: alcuni progetti rivoluzionari Un uso delle Intelligenze Artificiali teso a favorire il benessere e la sostenibilità ambientale può aumentare la produttività agricola dei terreni, pre-diagnosticare malattie, ridurre gli sprechi alimentari, individuare discriminazioni. Nel 2019, 42 Paesi hanno sottoscritto i Principi Ocse sull'IA: l'Intelligenza Artificiale deve andare a vantaggio delle persone e del pianeta promuovendo una crescita inclusiva e uno sviluppo sostenibile, e deve tener conto della legge, dei diritti umani e dei valori democratici. In definitiva, le intelligenze artificiali non sono buone né cattive, tutto dipende da come le si programma, da quel che gli si chiede, dagli eventuali pregiudizi che il programmatore può inconsapevolmente trasferire nel ragionamento della macchina. L'IA può individuare, grazie ai dati delle immagini satellitari, le aree più povere dei villaggi africani e le zone in cui, per esempio dopo un disastro naturale, è più urgente veicolare gli aiuti umanitari. È ormai dal terremoto che devastò Haiti nel 2010 che i soccorsi vengono guidati con il supporto delle intelligenze artificiali di Northrop Grumman. In Sud America diversi progetti rivoluzionari usano l'IA per produrre cibo sano a poco prezzo: l'intelligenza artificiale è usata per combinare gli ingredienti in modo tale da poter creare gelato senza latte e carne senza animali. Sono inoltre molteplici i progetti che usano la capacità di previsione dell'IA per razionalizzare i processi e la distribuzione delle risorse in agricoltura: l'indiana Conserwater aiuta gli agricoltori, grazie alle immagini satellitari, a distribuire le risorse idriche in base al tipo di coltura. Un contributo essenziale, in un Paese in cui due terzi delle acque dolci sono usati a scopo agricolo. In ambito sanitario, l'IA è molto usata come strumento di pre-diagnosi per alcune malattie, ma è anche alla base dei servizi sanitari via telefono di Babylon Health, che aiuta i medici a fornire una diagnosi in remoto a pazienti, per esempio, affetti da Covid. Viene dall'Olanda invece il robot che vuole insegnare ai bambini autistici: si chiama De-Enigma e si basa sul riconoscimento delle emozioni e sulla loro espressione. I potenziali effetti distopici attribuiti all'AI, secondo i promotori dello studio, dipendono solo dagli obiettivi verso cui vengono indirizzate le tecnologie. Un dato è certo: l'uso virtuoso dell'IA, insieme alla piena consapevolezza delle criticità che porta con sé, può contribuire al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile in maniera a volte più decisiva di quanto si possa fare ricorrendo esclusivamente all'intelligenza umana. Alessandra Caraffa |
Post n°3445 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte foto: ISTOCKSCIENZA Secondo una nuova teoria, la vita su Marte è possibile Secondo un nuovo studio, non è da escludere la presenza di microbi alimentati dalla radioattività. Secondo un nuova teoria, la vita su Marte è possibile. 15 Agosto 2021306 La nostra conoscenza di Marte fa ogni mese importanti passi in avanti. Il Pianeta Rosso affascina gli scienziati che, anche grazie alle informazioni spedite sulla Terra dal rover marziano della NASA Perseverance, sono riusciti a "guardare" nel nucleo, ipotizzando così cosa c'è nel cuore di Marte. Non solo, il quarto pianeta del Sistema Solare canalizza anche l'interesse della Cina - che è lì fuori anch'essa con il suo rover, eccolo in un tenero selfie - e di uno tra gli uomini più ricchi del mondo, quell'Elon Musk che ormai si dedica, un po' come altri due multimiliardari, al superamento delle frontiere galattiche. Dato che non passa settimana senza che Marte ci regali qualche sorpresa, ecco l'ultima in ordine di tempo. Perché ora gli scienziati immaginano che la vita su Marte sia possibile La teoria è stata messa a punto da un team internazionale di ricercatori guidati dalla NASA, secondo i quali la vita su Marte sarebbe possibile. In particolare, si tratterebbe di un ecosistema di organismi microbici la cui sopravvivenza avviene grazie alla radioattività presente sotto la superficie del Pianeta Rosso. Sulla Terra, la simbiosi tra microrganismi e radioattività esiste, quindi i ricercatori si sono chiesti se lo stesso non potesse succedere anche su Marte. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica "Astrobiology". Un elemento darebbe forza alle ipotesi degli studiosi: ecco quale "L'ambiente con le migliori possibilità di abitabilità su Marte è il sottosuolo", ha detto l'autore principale dello studio Jesse Tarnas, scienziato planetario del Jet Propulsion Laboratory della NASA. È bene sottolineare il fatto che, quello citato, è uno studio ampiamente s peculativo, perché, ad oggi, non non stati rinvenuti microbi alieni alimentati dalla radioattività nel sottosuolo di Marte. Anche se non li trovassimo adesso, però, non è escluso che ci siano stati a un certo punto nel tempo. C'è poi il rebus dell'acqua, che consiste più o meno in questa cosa qui: se c'è, sotto terra, sul Pianeta Rosso, dell'acqua, allora, magari nelle crepe o nei pori, il processo di radiolisi potrebbe teoricamente supportare i microbi alieni. Di colpo lo studio appena citato diventerebbe più plausibile: perché dove ci sono acque sotterranee, potrebbe anche esserci vita. Giuseppe Giordano |
Post n°3444 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: risorse libere dell'Internet Fonte foto: AnsaSCIENZA Nel "cuore" di Marte potrebbe esserci un minerale mai visto prima Il materiale potrebbe essere presente in abbondanza sul Pianeta Rosso. È stato identificato, in un frammento di meteorite, l'elgoresyte, un nuovo minerale dalle caratteristiche inedite. 18 Agosto 2021 Nel cuore di Marte ci potrebbe essere, in abbondanza, un nuovo minerale dalle caratteristiche mai viste prima: l'elgoresyte. Il materiale è stato identificato, per la prima volta, in un frammento di un meteorite. A scoprirlo è stato un ricercatore italiano, Luca Bindi, dell'università di Firenze e a capo di un gruppo internazionale di studiosi che coinvolge esperti dell'università di Bayreuth, in Germania, dell'università di Meiji, in Giappone, dell'Accademia delle Scienze Russe, di ESFR in Francia e del Guangzhou Institute of Geochemistry in Cina. Il nuovo minerale è stato isolato in una meteora caduta nel 1986, chiamata Suizhou. La scoperta del nuovo minerale che potrebbe essere su Marte Lo studio è stato pubblicato sulla rivista ACS Earth and Space Chemistry. Il meteorite Suizhou è caduto nell'aprile di 35 anni fa a Dayanpo, in Cina. Il corpo celeste si sarebbe formato nello scontro tra asteroidi nello spazio, in condizioni di altissime pressioni e temperature, paragonabili a quelle presenti nel mantello della Terra. La sua composizione chimica è però particolare, con una elevata quantità di magnesio e ferro, e ha fatto pensare ai ricercatori che potrebbe essere il materiale che compone il mantello di Marte. "Sebbene i dettagli della composizione del mantello di Marte siano ancora oggetto di discussione - ha spiegato Bindi - sembra certo che contenga una quantità di ferro e magnesio più alta rispetto alla Terra". L'ordinario di Mineralogia dell'ateneo fiorentino ha poi evidenziato che sul nostro pianeta non è mai stato osservato un minerale con le stesse caratteristiche. Il materiale sarebbe un silicato di magnesio contenenteferro e alluminio. "Se pensiamo che il minerale che fino a oggi è attestato come componente principale del mantello terrestre è la bridgmanite, quello che abbiamo scoperto - ha aggiunto il ricercatore italiano - ha una quantità di magnesio e ferro talmente elevata da farne il candidato ideale per la composizione del mantello marziano". I risultati dello studio del team internazionale sono stati approvati dalla Commission on New Minerals, Nomenclature and Classification della International Mineralogical Association. La elgoresyte prende il nome da Ahmed El Goresy, scienziato egiziano famoso per la caratterizzazione di meteoriti che hanno subito fenomeni di shock ed è stata riconosciuta ufficialmente come nuovo minerale. La scoperta aggiunge un tassello a quanto si sa fino a oggi del Pianeta Rosso e potrebbe aiutare gli scienziati a comprendere meglio quali materiali lo compongono. Intanto, secondo un nuovo studio, la vita su Marte non è da escludere perché potrebbero esservi presenti microbi alimentati dalla radioattività. Stefania Bernardini |
Post n°3443 pubblicato il 14 Settembre 2021 da blogtecaolivelli
Fonte: libere risorse dell'Internet Fonte foto: ISTOCKSCIENZA Secondo una nuova teoria, la vita su Marte è possibile Secondo un nuovo studio, non è da escludere la presenza di microbi alimentati dalla radioattività. Secondo un nuova teoria, la vita su Marte è possibile. 15 Agosto 2021306 La nostra conoscenza di Marte fa ogni mese importanti passi in avanti. Il Pianeta Rosso affascina gli scienziati che, anche grazie alle informazioni spedite sulla Terra dal rover marziano della NASA Perseverance, sono riusciti a "guardare" nel nucleo, ipotizzando così cosa c'è nel cuore di Marte. Non solo, il quarto pianeta del Sistema Solare canalizza anche l'interesse della Cina - che è lì fuori anch'essa con il suo rover, eccolo in un tenero selfie - e di uno tra gli uomini più ricchi del mondo, quell'Elon Musk che ormai si dedica, un po' come altri due multimiliardari, al superamento delle frontiere galattiche. Dato che non passa settimana senza che Marte ci regali qualche sorpresa, ecco l'ultima in ordine di tempo. Perché ora gli scienziati immaginano che la vita su Marte sia possibile La teoria è stata messa a punto da un team internazionale di ricercatori guidati dalla NASA, secondo i quali la vita su Marte sarebbe possibile. In particolare, si tratterebbe di un ecosistema di organismi microbici la cui sopravvivenza avviene grazie alla radioattività presente sotto la superficie del Pianeta Rosso. Sulla Terra, la simbiosi tra microrganismi e radioattività esiste, quindi i ricercatori si sono chiesti se lo stesso non potesse succedere anche su Marte. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica "Astrobiology". Un elemento darebbe forza alle ipotesi degli studiosi: ecco quale "L'ambiente con le migliori possibilità di abitabilità su Marte è il sottosuolo", ha detto l'autore principale dello studio Jesse Tarnas, scienziato planetario del Jet Propulsion Laboratory della NASA. È bene sottolineare il fatto che, quello citato, è uno studio ampiamente speculativo, perché, ad oggi, non non stati rinvenuti microbi alieni alimentati dalla radioattività nel sottosuolo di Marte. Anche se non li trovassimo adesso, però, non è escluso che ci siano stati a un certo punto nel tempo. C'è poi il rebus dell'acqua, che consiste più o meno in questa cosa qui: se c'è, sotto terra, sul Pianeta Rosso, dell'acqua, allora, magari nelle crepe o nei pori, il processo di radiolisi potrebbe teoricamente supportare i microbi alieni. Di colpo lo studio appena citato diventerebbe più plausibile: perché dove ci sono acque sotterranee, potrebbe anche esserci vita. Giuseppe Giordano |
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